Bonifacio VIII e il primato della Chiesa

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Catia Di Girolamo
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Eletto all’inizio del 1295, dopo un brevissimo conclave, Bonifacio VIII possiede una forte personalità e una scarsa inclinazione per la diplomazia e la mediazione. Difende con forza e irruenza le sue posizioni in materia di politica internazionale: sia nei rapporti con l’imperatore che nelle relazioni con i re di Francia e d’Inghilterra. La sua politica improntata alla rivendicazione della plenitudo potestatis papale si manifesta attraverso l’emissione di alcune fondamentali bolle e culmina nella proclamazione della Unam sanctam . In essa egli manifesta la sua fede assoluta nella santità e nell’origine divina della Chiesa, alla quale spetta la pienezza del potere su tutte le autorità terrene, spirituali e temporali.

Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII

All’inizio del 1295, dopo un brevissimo conclave tenutosi a Napoli alla fine dell’anno precedente, Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, nato in Anagni da una famiglia della piccola nobiltà della Campagna, avvia la sua attività di governo, che porta avanti con incredibile energia fino alla morte, avvenuta l’11 ottobre 1303.

Dotato di una forte personalità, ha scarsa inclinazione per la diplomazia e la mediazione, ma difende con forza e irruenza, a volte eccessive, le sue posizioni, distinguendo nettamente tra gli amici e i nemici. Nella consapevolezza che l’accresciuta gloria della Chiesa romana si riverberi sulla sua fama, con spirito “prerinascimentale” persegue molteplici e ambiziosi programmi, nello Stato della Chiesa, in Italia, in Europa, sottoponendo le finanze della Curia a un carico che non hanno avuto per il passato, e che non sopporteranno neppure nel successivo periodo avignonese. Taluni studiosi – come ad esempio Friedrich Baethgen – hanno opportunamente messo in relazione il rancore e l’odio di molti dei suoi contemporanei nei suoi confronti (Dante Alighieri, ad esempio), con la sua politica finanziaria.

Dopo aver studiato diritto, presta servizio per un trentennio nella Curia romana, dove ha modo di affermarsi come il più esperto dei canonisti. È in missione a Parigi al seguito del cardinale legato Simon de Brie, papa Martino IV, e in Inghilterra con Ottobono Fieschi, papa Adriano V. In Francia svolge la delicata incombenza di soprintendere alla raccolta delle decime per la crociata. Conduce, poi, per incarico di Niccolò III, le trattative fra Rodolfo d’Asburgo e Carlo I d’Angiò. Nominato cardinale nel 1281 da Martino IV, ha modo di conoscere di persona la grave situazione verificatasi in Sicilia a seguito della guerra del Vespro. Ne ricava una indelebile esperienza, che lo porta, una volta papa, a porre al centro della sua azione la riconquista dell’isola all’obbedienza romana e a favore degli Angioini. Nel giugno 1295 favorisce la firma del trattato di Anagni tra Giacomo II d’Aragona e Carlo II d’Angiò. È costretto, però, subito dopo a prendere atto dell’elezione di Federico III d’Aragona, e della definitiva separazione dell’isola dal Regno di Napoli. La pace di Caltabellotta (1302) sancisce, suo malgrado, la perdita dell’isola da parte degli Angioini.

Il papa e la politica internazionale

Oltre che sulla questione siciliana, Bonifacio si impegna in modo particolare su altri due problemi di politica internazionale: i rapporti del papato con l’imperatore; le relazioni con i re di Francia e d’Inghilterra.

Nel 1295 invia all’imperatore, Adolfo di Nassau, una violenta reprimenda, nella quale lo diffida a non combattere contro il re di Francia, e lo rimprovera per essersi posto al soldo del re inglese come cavaliere. Quando, poi, nel 1298 l’imperatore è deposto, Bonifacio mostra di approvare l’iniziativa, anche se la ritiene arbitraria sul piano giuridico, perché priva del suo assenso. Sembra, infatti, che nella consapevolezza della pienezza del potere papale, egli abbia pensato di procedere a una sorta di “translatio imperii”, e di nominare imperatore Carlo di Valois, fratello del re di Francia.

Un medesimo atteggiamento, improntato alla rivendicazione della “plenitudo potestatis” del papa, Bonifacio tiene nei confronti di Filippo IV, detto il Bello, re di Francia, e di Edoardo I, re d’Inghilterra. I contrasti tra i due sovrani hanno reso impossibile la crociata, auspicata dal pontefice, e li hanno, soprattutto, costretti, per procurarsi le risorse necessarie alla spedizione, a tassare tutti i sudditi, anche gli ecclesiastici. Il contrasto con Roma scoppia quando l’arcivescovo di Canterbury nega apertamente al re il diritto di tassare il clero, e ricorre al papa. Costui, che ha ricevuto le medesime lamentele anche dal clero francese, il 24 febbraio 1296 emana l’enciclica Clericis laicos, con la quale proibisce, pena la scomunica, a tutti gli ecclesiastici di pagare all’autorità laica qualsiasi tipo di tassa senza l’autorizzazione della Sede Apostolica, e a tutte le autorità laiche di imporle; le autorità civili, inoltre, non possono confiscare o detenere i beni della Chiesa.

È molto probabile che Bonifacio non abbia voluto con questa bolla rompere i rapporti con i sovrani europei. Certo è che non ne valuta appieno le conseguenze. Nel momento in cui egli vieta la tassazione del clero, e impone l’autorizzazione del papa in ogni singolo caso, si attribuisce il diritto di sindacare la legittimità della tassazione, ledendo in questo modo la sovranità fiscale dei re.

L’arcivescovo di Canterbury nel luglio scomunica re Edoardo I. Il re di Francia, da parte sua, ha una reazione molto forte. Nell’agosto impone il blocco sulle esportazioni dal regno di una serie di prodotti, e vieta agli stranieri di vivere e commerciare in Francia. In questo modo egli colpisce “tutto il sistema delle esazioni e dei trasferimenti di denaro dalle chiese di Francia alla Sede Apostolica attraverso le grandi banche toscane, che non mancano di esprimere il loro più vivo allarme al papa” (Eugenio Duprè Theseider, “Bonifacio VIII” in Enciclopedia dei Papi, 2000). Costui il 20 settembre 1296 risponde emanando la bolla Ineffabilis amoris, il primo dei suoi scritti polemici nei confronti del sovrano francese. Pur non giungendo a una rottura, sostiene con forza la libertà della Chiesa e il principio che ogni attacco contro di essa rappresenti un’offesa a Dio.

La bolla Unam sanctam

Non sappiamo se Bonifacio abbia conosciuto gli scritti polemici redatti in Francia in risposta alla Clericis laicos. Certo è che, dopo qualche mese, egli invia a re Filippo una sorta di interpretazione autentica della bolla, sostenendo che il suo pensiero è stato mal interpretato.

Subito dopo si propone come arbitro nel conflitto che continua a dividere i sovrani di Francia e d’Inghilterra, attribuendosi quel ruolo di “iudex omnium”, che già Innocenzo IV ha rivendicato al pontefice romano in occasione del suo conflitto con Federico II di Svevia. Si lascia andare all’esternazione delle sue convinzioni ierocratiche, senza ricevere obiezioni: afferma di possedere una spada dal doppio taglio, identificando il potere spirituale nell’autorità apostolica, e il potere temporale nel suo ruolo di giudice e di arbitro. La mediazione di Bonifacio è accettata dalle due parti, e favorisce la stipula di una “pace perpetua”, decisamente favorevole al re francese. È in questa occasione che il pontefice, in ottimi rapporti con Filippo IV, procede alla canonizzazione di san Luigi (11 agosto 1297).

Il Giubileo del 1300 rappresenta per Bonifacio mesi di grande gioia e distensione, che lo convincono in maniera definitiva di aver raggiunto la posizione incontrastata di arbitro dell’Europa cristiana.

Ma i buoni rapporti con il re di Francia sono interrotti, in maniera irreversibile, alla fine del 1301, quando Filippo fa arrestare l’abate Bernardo Saisset, amico e protetto del papa. Bonifacio risponde con quella irruenza che gli è propria, e in un solo giorno (5 dicembre 1301) invia tre bolle (Nuper ex rationalibus causis, Ante promotionem nostram, Ausculta fili), con le quali sospende i privilegi che ha accordato al sovrano francese nel contrasto con quello inglese, afferma l’intenzione di intervenire nelle questioni interne della Francia, richiama Filippo IV ai suoi doveri di principe cristiano.

La rottura è inevitabile. Il sovrano francese, coadiuvato da eccellenti consiglieri, pone in essere una campagna di propaganda tesa a creare in Europa un clima favorevole alla monarchia francese e contrario al papa. In particolare fa distruggere la bolla Ausculta fili, e ne fa porre in circolazione un falso riassunto (Scire te volumus); diffonde, poi, il falso testo di una lettera che avrebbe inviato al papa, in cui si legge, tra l’altro: “sappia la tua grandissima stoltezza che nelle cose temporali non siamo soggetti ad alcuno”. Passa, infine, ad attuare una serie di clamorose decisioni di natura politico-istituzionale. Nei giardini del Louvre (marzo 1302) riunisce i nobili e gli alti prelati, dinanzi ai quali il vicecancelliere Guglielmo di Nogaret accusa il papa di eresia e auspica la convocazione di un concilio per giudicarlo. In Notre-Dame, il 10 aprile dello stesso anno, convoca per la prima volta gli Stati Generali, e ottiene l’atto di sottomissione dei baroni e dei vescovi francesi.

Bonifacio risponde con la convocazione di un suo concilio, durante il quale, molto probabilmente, il 18 novembre è letta la bolla Unam sanctam, che è unanimamente considerata la più alta testimonianza della sua dottrina teologica e politica. In essa egli manifesta la sua fede assoluta nella santità e nell’origine divina della Chiesa; la sua convinzione che il papa impersoni la Chiesa, e che, quindi, gli spetti un posto preminente su tutti gli altri poteri della terra. Ma, accanto a questa orgogliosa rivendicazione della plenitudo potestatis, egli procede anche a una meditata riflessione sulla doppia natura della Chiesa: corpo mistico di Cristo, e, in quanto tale, divina; e l’altra terrena, destinata a operare sul piano umano. Bonifacio introduce un concetto del tutto nuovo, quello di corpo mistico”, che supera il dualismo cristianità-Chiesa, e pone l’uomo politico, in quanto cristiano, a far parte del corpo mistico di Cristo.

Consapevole che la rottura è definitiva, Bonifacio cerca un appoggio nell’imperatore Alberto d’Austria, e ne sostiene la rivendicazione che il re di Francia è soggetto in temporalibus all’impero.

Ancora una volta la reazione di Filippo IV è decisa. È organizzata da Filippo di Nogaret e dagli esponenti in esilio della famiglia romana dei Colonna. È convocata una nuova assemblea al Louvre, ed è avviata in Italia un’azione diretta contro il pontefice, che ha il suo epilogo in Anagni il 7 settembre 1303. Bonifacio indifeso, vestito dei paramenti pontificali, con in mano una croce, è schiaffeggiato e offeso da Sciarra Colonna, mentre il Nogaret interviene a proteggerlo. Il 18 settembre Bonifacio è accompagnato, sotto buona scorta, a Roma, dove muore l’11 ottobre.

Il potere della Chiesa

Bonifacio è una delle figure più rilevanti del papato medievale. Ha un altissimo concetto di sé e della missione che si sente chiamato a compiere in quanto capo supremo della Chiesa, alla quale spetta la pienezza del potere su tutte le autorità terrene, spirituali e temporali. Egli conduce la sua missione in maniera totalizzante, senza compromessi, fino a suscitare fortissime opposizioni e a farlo diventare oggetto di false accuse e insinuazioni, come quella, del tutto priva di fondamento, di essere un eretico.

Grande giurista, raccoglie le sue decretali nel Liber extus, ponendovi, come introduzione, la bolla Sacrosancte, in cui esprime la sua dottrina sull’origine del diritto. L’aspetto giuridico è dominante nella maggior parte dei suoi scritti, anche in quelli di contenuto più squisitamente teologico e politico. Egli si ritiene giudice di tutto e di tutti (“iudex omnium”). La sua azione per la libertà della Chiesa e l’affermazione della sua supremazia si fanno sentire in Italia (Lucca, Pisa, Orvieto) e in Europa (Francia, Inghilterra, Ungheria, Polonia, Sicilia, Germania). Non si accorge, tuttavia, che il mondo è cambiato, e che l’Europa degli Stati non può recepire e fare propria la sua, ormai inattuale, dottrina ierocratica. Il rigore, con cui egli la propugna, ha solo il merito di far precipitare la crisi in Italia e in Europa, di accelerare la fine delle fortune dell’impero, e di favorire il sorgere dello spirito laico della nuova Europa.

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