DELLA GHERARDESCA, Bonifazio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA GHERARDESCA, Bonifazio (Fazio)

Maria Luisa Ceccarelli Lemut

Del ramo dei conti di Donoratico, era il figlio, probabilmente primogenito, di quel Gherardo che venne decapitato a Napoli insieme con Corradino di Svevia il 29 ott. 1268, e fratello di quel Ranieri che fu signore di Pisa dal 1320 al 1325. Per più di un trentennio le vicende del D. e di suo fratello furono strettamente legate: essi infatti mantennero a lungo indivisi sia il patrimonio sia la casa di abitazione, un palazzo con torre a Pisa in Chinzica - il quartiere a sud dell'Arno - nella carraia del Grasso presso il ponte Vecchio - ora ponte di Mezzo - nella cappella di S. Sebastiano.

La prima menzione del D. che ricorre nelle fonti a noi note risale al 1272, allorché egli concesse un prestito ad alcuni privati: in questo, come in altri atti successivi, egli agiva anche per il fratello Ranieri. Per gli anni seguenti, sul D. e su suo fratello ci restano ancora soltanto testimonianze relative ad attività di prestito, accanto a notizie sul loro vasto patrimonio maremmano. Solo a partire dal 1281 le fonti superstiti, pur nella loro scarsità e frammentarietà, permettono di intravedere l'azione politica svolta dai due fratelli, nella quale il D. ricopriva il ruolo principale. Negli anni immediatamente precedenti la sconfitta della Meloria (1284), si andò manifestando una differenziazione sempre più profonda tra la linea politica seguita dai due figli del conte Gherardo e quella del loro parente Ugolino di Guelfo Della Gherardesca conte di Donoratico: mentre quest'ultimo si era avvicinato fin dal 1274 ai suoi antichi avversari, i Visconti, e ai guelfi protetti da Carlo d'Angiò, il D. e Ranieri mantennero la tradizionale politica ghibellina e antiviscontea tipica della loro famiglia. Essi perciò presero le distanze da Ugolino e si legarono a famiglie dell'opposizione antiviscontea, in particolare ai Sismondi. In questo ambito si collocano due episodi narrati dalla cronaca pisana coeva edita da Emilio Cristiani: nel 1281 il D. ferì il conte Bisernino di Biserno - appartenente ad una famiglia che nel decennio precedente si era alleata a Carlo d'Angiò contro Pisa - proprio in casa del conte Ugolino. Due anni più tardi lo stesso D. capeggiò lo scontento cittadino contro Andreotto Saraceno Caldera, capitano della flotta pisana attaccata a Piombino dai Genovesi nell'estate 1283. Nella primavera successiva il D., che era stato nominato capitano della guerra in Sardegna, mentre si recava nell'isola fu catturato dai Genovesi (1° maggio 1284).

Ben quindici anni durò la sua prigionia a Genova: egli poté infatti rientrare a Pisa solo in seguito alla pace del 31 luglio 1299. Per tutto questo lungo periodo i suoi interessi furono curati dal fratello.

Da Genova, però, nonostante la prigionia, il D. poté ugualmente influire sulle vicende politiche pisane: come al principio del 1285 allorché, anche con il parere favorevole dei prigionieri pisani a Genova, al conte Ugolino Della Gherardesca fu prorogato l'ufficio di podestà di Pisa per dieci anni. Ciò non portò, tuttavia, ad un ravvicinamento tra i figli di Gherardo e Ugolino; anzi, il loro contrasto si approfondì a tal punto che poco dopo lo stesso Ranieri fu costretto a lasciare Pisa per la Sardegna, ove insieme col fratello era signore di un sesto del Cagliaritano. Probabilmente in tale occasione fu distrutta la loro torre in Pisa. Ranieri è attestato di nuovo a Pisa solo al principio del 1289, dopo la caduta della signoria di Ugolino Della Gherardesca e di Nino Visconti.

E proprio nelle vicende che condussero alla fine di quella signoria il D. svolse un ruolo importante. Fin dall'inizio del 1285 egli si era impegnato nella ricerca di una intesa tra Pisa e Genova che permettesse il rientro dei prigionieri pisani. La pace, grazie alla mediazione sua e di altri autorevoli prigionieri, fu stipulata il 15 apr. 1288 e, sotto la pressione popolare, fu accettata anche dai signori di Pisa, Nino Visconti e Ugolino Della Gherardesca. Questi ultimi erano però in realtà contrari al trattato di pace perché colpiva fortemente i loro interessi in Sardegna e cercavano pertanto di frapporre ostacoli alla sua esecuzione. A Pisa perciò l'opposizione ai due signori, capeggiata dallo stesso arcivescovo Ruggero degli Ubaldini e da alcune importanti famiglie - Gualandi, Lanfranchi, da Caprona, Zacci, Sismondi - decise di passare all'azione, valendosi anche dell'appoggio del D. e degli altri "nobiles, de populo, Gibellini" che si trovavano prigionieri a Genova. L'arcivescovo ed altri cittadini pisani trattarono segretamente con l'ambasciatore genovese - che si trovava a Pisa per l'attuazione del trattato di pace - in vista di ottenere il rientro del D. e degli altri prigionieri di guerra, onde rovesciare Ugolino e Nino. Il governo genovese non volle però apparire coinvolto direttamente nella faccenda, ma consentì a che l'ambasciatore tornasse a Pisa con lettere del D. incitanti alla rivolta. Senonché, quando le navi genovesi giunsero a Porto Pisano, a Pisa la rivolta era già avvenuta e i vincitori - l'arcivescovo e gli altri congiurati - si rifiutarono di adempiere agli impegni presi con i Genovesi (1288, estate). Riarse la guerra tra le due potenze marittime, e il D. fu trattenuto a Genova, prigioniero.

I figli superstiti del conte Ugolino, nel tentativo di vendicare la tragica fine dei loro congiunti, condussero una loro guerra personale in Sardegna contro i Pisani, assaltando tra l'altro il castello di Gioiosa Guardia, appartenente al D. e al di lui fratello Ranieri.

Il D. poté tornare a Pisa solo dopo la stipulazione di una nuova pace con Genova, che avvenne il 31 luglio 1299. Pochi anni dopo, d'accordo col fratello Ranieri, decise di porre fine alla comunione dei beni e dell'abitazione, procedendo alla divisione del loro patrimonio. In particolare, ci è rimasto il documento relativo alla divisione dei beni maremmani, avvenuta il 16 settembre 1303: al D. andarono i possessi di Guardistallo e Bolgheri, a Rameri. quelli di Casale, Donoratico, Colmezzano e Rosignano. Sappiamo pure che al D. rimase anche la casa della carraia del Grasso, mentre il fratello si trasferì altrove. Nel corso del 1305 il D. incrementò i suoi possessi a Bolgheri, riuscendo tra l'altro ad impadronirsi della quota di quel castello già appartenuta al conte Ugolino Della Gherardesca: insieme col fratello Ranieri cercò infatti d'incamerare il patrimonio del defunto signore di Pisa e riuscì anche ad impedire alla vedova di costui, Capuana, di godere dei propri diritti patrimoniali.

Dopo il suo rientro dalla prigionia, il D. riprese anche il suo antico ruolo politico a Pisa, come è attestato, ad esempio, dall'atteggiamento da lui assunto nei confronti dell'alleanza che stringeva Pisa ai bianchi toscani: così nel 1304 egli fu inviato con truppe in aiuto dei ghibellini di Arezzo.

In quegli stessi anni tornarono d'attualità a Pisa i problemi sardi, perché da una parte il papa Bonifacio VIII aveva infeudato nel 1297 l'isola al re Giacomo II d'Aragona, e dall'altra si poneva il problema della successione nei due Giudicati d'Arborea e di Gallura. Così, mentre il re Giacomo dispiegava un abile gioco diplomatico, Pisa tentava con tutti i mezzi di conservare la Sardegna: in tutto questo i conti di Donoratico, per i loro forti interessi nell'isola, svolsero un ruolo importante.

Nel 1307 il D. si oppose al ventilato matrimonio tra l'erede della Gallura, Giovanna di Ugolino Visconti, ed il conte di Donoratico Tedice di Giovanni Della Gherardesca, proponendo invece l'acquisizione diretta di quel Giudicato da parte del Comune di Pisa. La proposta fu accolta. Per questo fu compiuto contro il D. un attentato, il cui mandante la voce pubblica indicò nello stesso conte Tedice. Importante fu anche la posizione assunta dal D. e da suo fratello Ranieri nelle trattative che si svolsero dal gennaio al giugno 1309 tra Pisa e Giacomo II: di fronte alle misure prese da quel sovrano Per rendere operante l'infeudazione della Sardegna, il Comune di Pisa, nel tentativo di salvare il salvabile, decise la sottomissione della città stessa al re. Le trattative si chiusero però con un nulla di fatto, ma, durante il loro svolgimento l'Aragonese intrattenne una corrispondenza con il D. e con Ranieri, il cui parere era a Pisa molto ascoltato per quanto riguardava le questioni sarde.

Tuttavia, mentre fallivano le trattative con Giacomo II, balenava per i Pisani una nuova speranza, in seguito all'elezione a re di Germania, il 27 nov. 1308, di Enrico di Lussemburgo: questi, infatti, manifestò ben presto la sua intenzione di scendere in Italia. Appunto connessà con la venuta del nuovo sovrano è l'ultima missione pubblica a noi nota che sia stata svolta dal D.: nel dicembre del 1311 egli guidò l'ambasceria pisana che si recò a Genova incontro al re.

Meno di un anno più tardi, il, 25 nov. 1312, il D. morì a Pisa. Il suo corpo fu sepolto, come quello degli altri conti di Donoratico, nella chiesa di S. Francesco.

Aveva sposato, ignoriamo quando, una Adalasia, della quale però le fonti non ricordano il casato. Da lei aveva avuto almeno tre figli: due femmine, Contessa - che fu poi moglie del conte Alberto degli Alberti di Mangona - e Tora, e un maschio, Gherardo detto Gaddo.

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