Braccio

Universo del Corpo (1999)

Braccio

Rosadele Cicchetti

Nel linguaggio comune per braccio si intende l'intero arto superiore, dalla spalla alla mano. In anatomia umana, invece, il termine indica il segmento prossimale dell'arto superiore, che va dalla spalla al gomito, mentre il segmento compreso tra il gomito e il polso prende il nome di avambraccio (v. il capitolo Arti superiori). Il braccio ha forma approssimativamente cilindrica, con differenze in rapporto al sesso e all'età, per il diverso sviluppo della muscolatura e del pannicolo adiposo; l'avambraccio ha forma di tronco di cono appiattito in senso anteroposteriore. L'impalcatura scheletrica del braccio è costituita dall'omero, che si articola con il tronco a livello del cinto scapolare; quella dell'avambraccio dal radio e dall'ulna, uniti tra loro da un robusto legamento interosseo, e articolati con l'omero e con le ossa del segmento successivo, la mano. I muscoli si ripartiscono in due logge (anteriore e posteriore): nella loggia anteriore del braccio si trovano i muscoli flessori (bicipite brachiale, coracobrachiale e brachiale anteriore), in quella posteriore i muscoli estensori (tricipite brachiale); i muscoli della loggia anteriore dell'avambraccio comprendono muscoli pronatori e flessori dell'avambraccio e della mano, quelli della loggia posteriore muscoli estensori, supinatori e abduttori del carpo e delle dita. I principali vasi del braccio e dell'avambraccio sono rappresentati dall'arteria omerale, che a livello del gomito si divide nelle arterie radiale e ulnare, dalle vene basilica e cefalica, che hanno decorso superficiale, e dalle vene profonde che seguono il percorso delle arterie. L'innervazione è assicurata da rami terminali del plesso brachiale (mediano, ulnare, radiale).

Filogenesi

La struttura del braccio umano è il risultato di un lungo percorso evolutivo, cominciato nei Pesci, dalle cui pinne pari derivano gli arti, poi perfezionatisi nei Vertebrati terrestri (v. arto). Già negli Invertebrati, come Insetti e ragni, compaiono però gli arti, intesi come strutture articolate, deputate a rendere mobile un organismo fornito di scheletro; in particolare, si parla di 'braccia' a proposito del polpo, un mollusco che ha raggiunto tra gli Invertebrati notevoli livelli evolutivi ed è fornito di tentacoli che gli consentono di muoversi sul fondo marino, trasportare conchiglie per costruire tane, avvolgere le prede per poi mangiarle, trasferire il sacchetto degli spermi nella cavità del mantello delle femmine. Le braccia del polpo non presentano, tuttavia, con quelle dei Vertebrati somiglianze strutturali tali da indicare un antenato comune e si sono sviluppate seguendo un processo evolutivo diverso.

Nella linea evolutiva che porta ai Mammiferi si osserva via via il sollevamento del corpo dal suolo, grazie a piegamenti e rotazioni degli arti, che in generale si portano da una posizione parallela all'asse del corpo a una posizione trasversale, molto vantaggiosa per assicurare rapidi e facili spostamenti. Nell'arto anteriore, che diventerà il braccio dell'uomo, la flessione e la successiva rotazione in direzione caudale portano il gomito a formare un angolo con apertura anteriore; in una fase ancora posteriore, l'incrocio di radio e ulna consente alla mano di orientarsi anteriormente, con i pollici verso l'interno. In molti Mammiferi, particolarmente nell'uomo, la rotazione assiale dell'avambraccio rende possibile il passaggio da questa posizione, detta di pronazione, a quella parallela, detta di supinazione, con il palmo volto in avanti; in particolare nell'uomo la rotazione è più ampia, in virtù anche di una parziale torsione dell'omero. Analogamente, soltanto pochi Mammiferi hanno la capacità di muovere liberamente la parte superiore del braccio nell'articolazione della spalla: un cane o un cavallo, per es., muovono le zampe soltanto avanti o indietro, mentre nelle scimmie antropomorfe e nell'uomo l'articolazione rende possibile il movimento di rotazione del braccio.

L'uomo è l'unico dei Primati, ordine a cui appartiene assieme alle scimmie, che cammini abitualmente eretto; le modificazioni scheletriche determinate da questo tipo di locomozione hanno interessato anche l'arto superiore. Il processo evolutivo che ha condotto al bipedismo ha avuto origine da una deambulazione quadrupede, riacquisita, perché più vantaggiosa per la locomozione, dopo uno stadio di bipedismo occasionale, come quello di alcuni Rettili ormai estinti. Si ritiene che nello sviluppo del bipedismo completo e altamente specializzato, qual è quello presentato dall'uomo, abbia giocato un ruolo importante la vita arboricola di alcune scimmie: infatti il loro stare appese ai rami in posizione verticale ha rappresentato un passaggio importante per raggiungere una deambulazione bipede. Gibboni e oranghi, scimmie arboricole che si nutrono essenzialmente di frutta e raramente discendono dagli alberi, hanno robuste braccia, molto più lunghe delle gambe, e mani con dita ricurve, che permettono loro di attaccarsi ai rami e di spostarsi di albero in albero, dondolandosi sulle braccia. Scimpanzé e gorilla, che hanno anch'essi le braccia molto più lunghe delle gambe, camminano poggiando sul terreno le nocche delle mani; hanno cioè una deambulazione parzialmente eretta, che, data la maggiore acutezza della vista rispetto all'odorato di questi animali, offre il vantaggio di individuare più facilmente le prede oppure i nemici. Con l'affermarsi del bipedismo, il braccio si affranca dalla deambulazione e assume funzioni diverse, favorendo l'evoluzione della mano (v.). è da sottolineare che, contrariamente a quanto si è a lungo creduto, le pressioni selettive verso il bipedismo sembrerebbero estranee alla necessità di liberare le braccia per costruire utensili. Piuttosto, la liberazione del braccio avrebbe consentito ai maschi, con la scomparsa delle foreste e l'insediamento della savana, di procurarsi il cibo anche a grandi distanze e di trasportarlo alle femmine e ai piccoli; alle femmine di dedicarsi maggiormente alle cure parentali, permettendo loro di portare i piccoli in grembo, di cullarli, di stringerli a sé nell'allattamento, e contemporaneamente di raccogliere e distribuire il cibo. Solo successivamente l'uomo avrebbe usato il braccio per costruire semplici utensili e per difendersi impugnando armi rudimentali.

Ontogenesi

Lo sviluppo del braccio comincia già alla quarta settimana di vita intrauterina, quando si possono osservare i primi abbozzi degli arti sotto forma di gemme. La gemma pettorale, che darà origine all'arto anteriore, compare per prima tra la regione cervicale e quella toracica. Le gemme, accrescendosi, assumono una forma a paletta che diventa sempre più peduncolata, e verso la quinta settimana si formano i primi abbozzi cartilaginei dei vari segmenti dell'arto. Proprio in questo periodo, quando le braccia e le gambe sono ancora rudimentali, lo sviluppo degli arti è in un momento particolarmente delicato, in cui l'influenza di fattori esterni può interferire con il normale corso di eventi, determinando malformazioni. In seguito, con l'allungamento dell'abbozzo, si possono distinguere prima due, poi i tre definitivi segmenti degli arti, che appaiono temporalmente con la sequenza braccio, avambraccio e mano; nell'avambraccio avviene la rotazione dell'omero che porta il gomito nella sua posizione definitiva. A 7 settimane, nell'allargamento a ventaglio della parte terminale dell'arto cominciano a comparire, per morte delle cellule falangee, i solchi che daranno origine alle dita; a 8 settimane il modello cartilagineo dell'arto superiore è ben formato e inizia l'ossificazione, che si concluderà alla fine dell'adolescenza.

Bibliografia

f. facchini, Antropologia: evoluzione, uomo, ambiente, Torino, UTET, 19952.

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w.j. hamilton, j.d. boyd, h.w. mossman, Human embryology, Cambridge, Heffer, 1945 (trad. it. Padova, Piccin-Nuova libraria, 19774).

f. martini, Fondamenti di anatomia e fisiologia, Napoli, SES, 1994.

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