MINUTI, Branca

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MINUTI, Branca (Branca di Branca)

Enrico Pispisa

– Nacque presumibilmente a Catania nell’ultimo trentennio del XIV secolo da Branca.

Le notizie biografiche sono scarse e frammentarie. L’origine siciliana è attestata dai suoi due primi autorevolissimi biografi, Pietro Ranzano, che probabilmente conobbe il M. nel 1444, e Bartolomeo Facio. Afferma il primo che «Claret quoque per haec tempora Branca siculus, chirurgorum omnium, qui toto orbe sunt, praestantissimus. Is invenit in ea arte quaedam admiratione digna et fere incredibilia. Excogitavit enim modum quo mutilatos nasos reformaret ac suppleret», tracciando un profilo suggestivo e sintetico del M.; dal brano del volume VIII degli Annales di Ranzano dipende strettamente Facio – almeno per la parte riguardante il M. – il quale non aggiunge nulla. L’origine catanese del M., che nella città etnea svolse la propria attività, è a sua volta inconfutabilmente attestata da un documento degli Atti del Senato di Catania, pubblicato da Sabbadini, dove è registrata la delibera di un pagamento «Magistro Brance de Minutis cirugico nostro caro concivi». Il documento, quindi, conferma la notizia fornita da Renda Ragusa, da De Grossis e da Amico senza il conforto, però, di una precisa documentazione. La definizione della figura e del nome del M. è stata con ottime prove sostenuta da Sabbadini (mentre il nome Gustavo, attribuitogli da qualche studioso moderno, non ha riscontro nelle fonti più antiche).

Il M. non insegnò nello Studium di Catania, ma per più di trent’anni fu con continuità chirurgo del Comune, come risulta dai periodici mandati di pagamento conservati negli Atti del Senato. L’11 genn. 1412 era tanto famoso e stimato da ottenere per sé e la sua famiglia dal re Ferdinando I d’Aragona l’«Officium Sigilli Doganae Panormi», che fruttava una considerevole rendita.

La fama e la rinomanza raggiunte dal M. dovettero creare attorno alla sua persona un alone di ostilità, la cui eco è giunta fino a noi in un documento degli Atti del Senato, datato da Sabbadini al 15 maggio 1442. In quell’anno, sorta una disputa tra il M. e Pietro Alixandrano, da poco protomedico per la Sicilia e succeduto nella carica al suocero Antonio Alexandro, il M. accusò l’Alixandrano che si difese energicamente.

La commissione preposta all’inchiesta diede questo parere al re: «Item undi si tocca lu factu di mastru Branca vi dichimu ki lamentandusi mastru Branca ki misser Petru chi avissi straczatu una sua recepta di medicina lassativa, a nuy consta per vera et clara informaxioni ki non fu veru, ymo ni consta ki a peticioni di la magnifica vostra consorti lu prefatu misser Petru consentiu ki lu prefatu mastru Branca dugna midichini lassativi, non obstanti ki per consuetudini et capituli dilu prothomedicatu esti ordinatu ki nixunu po dari midichini lassativi scamoniati exceptu medicu fisicu». Al di là dei significati della lite, quello che importa rilevare è che il M., pur essendo chirurgo, aveva ottenuto una deroga (certamente grazie alla sua fama e alla sua eccezionale abilità) alle precise disposizioni dei Capitula redatti da Antonio Alexandro nel 1429, che stabilivano «quod nullus chirurgicus, non habens licentiam in physica, audeat curare aliquem aegrum».

Le date dei mandati di pagamento consentono di collocare la morte del M.: l’ultima cedola, infatti, datata all’ottobre 1449, fa pensare che egli sia morto qualche tempo dopo, tra la fine del 1449 e l’inizio del 1450.

Il M. non accompagnò alla sua attività di chirurgo alcun lavoro che descrivesse e rendesse conto dei suoi metodi e della sua tecnica nelle operazioni di plastica (nessun chirurgo siciliano, peraltro, in quel periodo compose dei manuali), per cui si è costretti a interpretare la natura dei suoi interventi attraverso le scarse e imprecise notizie fornite dai suoi contemporanei. Dalle testimonianze di questi e degli eruditi posteriori risulta che il M., per primo in Occidente (e il segreto degli interventi di plastica rimase in mano agli Italiani fino al XVI secolo), praticò operazioni mediante le quali ricostruiva il naso e forse anche le orecchie e le labbra. Il metodo usato dal M., e poi perfezionato da suo figlio Antonio, fu, per quanto si deduce da Facio, quello del trapianto, ossia la «plastica all’italiana», che sfruttava cognizioni derivate dall’antica rinoplastica indiana e da quella bizantina. Nel M., tuttavia, il metodo era ancora primitivo e non privo di inconvenienti: egli, infatti, praticava l’autoplastica per scorrimento o per torsione, prelevando un lembo di pelle dalla guancia o dalla fronte. Con questo procedimento, però, se da un lato veniva ricostruito l’organo mutilato, sulla regione prestatrice necessariamente si creavano cicatrici molto evidenti e deturpazioni di notevole entità, tanto più fastidiose in quanto, trovandosi sul volto del soggetto, costituivano delle deformità considerevoli e vergognose. Pur con questi limiti, il M. ebbe il merito di indicare ai suoi successori, primo fra tutti il figlio, un nuovo metodo d’intervento suscettibile di clamorosi futuri sviluppi.

Figlio del M. fu Antonio che perfezionò la tecnica di autoplastica del Minuti. Di lui si hanno solo fuggevoli cenni che impediscono una circostanziata approssimazione biografica. La sua nascita è da supporre certamente in Sicilia (non è noto se a Catania), presumibilmente nel primo ventennio del Quattrocento. Sembra indubbio, invece, che a Catania egli svolse la sua attività, accanto al M. finché questi visse. Successivamente, forse, si trasferì in Calabria, dato che i suoi metodi furono ripresi dai Vianeo, famiglia di medici di Tropea. In Sicilia, comunque, continuò a operare un suo allievo, Baldassarre Pavone. Nel 1456 doveva essere ancora vivo, perché dalle note scritte da Facio in quell’anno non sembra emergere alcun elemento che provi il contrario; plausibilmente era ancora attivo nel periodo 1464-76, al quale secondo la critica (Foà) sono da ascrivere le lettere contenute nell’epistolario dell’umanista Elisio Calenzio, pubblicato nel 1503, in una delle quali si riporta succintamente la pratica ricostruttiva di Antonio.

P. Ranzano, che forse lo conobbe nel 1444, dice che «Antonius pulcherrimo patris invento non parum adiecit. Quippe non solum nares, sed labia et aures mutilatae quemadmodum resarcirentur excogitavit. Multa praeterea vulnera sanavit, quae nulla ope medica sanari posse credebantur». Più circostanziate sono le note di Facio, che permettono anche di individuare la tecnica di Antonio: «Ceterum Antonius hujus filius pulcherrimo patris invento non parum adjecit. Nam praeter nares, quo nam modo et labia, et aures mutilatae resarcirentur excogitavit. Praeterea quod carnis Pater secabat pro sufficiendo naso ex illius ore, qui mutilatum esset, ipse ex ejusdem lacerto detruncabat, ita ut nulla oris deformitas sequeretur, in secto lacerto, et in eo vulnere infixis mutilati nasi reliquiis usque arctissime constrictis adeo, ne mutilato commovendi quopiam capitis potestas esset, post quintum decimum, interdum vicesimum, dum carnunculam, quae naso cohaserat, desectam paulatim, postea cultro circumcisam in nares reformabat tanto artificio, ut vix discerni oculis junctam posset, omni oris deformitate penitus sublata. Multa vulnera sanavit, quae nulla arte, aut ope medica sanari posse videbantur». Antonio (che oltre a intervenire sul naso, operava anche le labbra e le orecchie) prelevava, quindi, dal braccio un lembo di pelle (evitando, con questo procedimento veramente geniale, ogni deturpazione sul viso) che rimaneva, infatti, unito mediante un peduncolo alla regione prestatrice; poi, dopo aver praticato un’incisione nella parte mutila, trapiantava la cute del braccio che veniva immobilizzato mediante una fasciatura rigida per un periodo compreso tra i quindici e i venti giorni, fintantoché avveniva la completa cicatrizzazione delle due ferite. Infine, tagliato il peduncolo e rimossa la fasciatura, provvedeva, con interventi secondari, al completamento dell’operazione. Non sembra possibile che egli prelevasse talvolta il lembo di cute dal braccio di un soggetto diverso dal paziente, da uno schiavo, come vuole qualche meno attendibile fonte, in quanto sarebbero sorti gravi problemi di attecchimento; comunque, se egli tentò un tale esperimento dovette ben presto abbandonare questa idea. Il metodo di Antonio, noto con il nome di «plastica all’italiana», fu tramandato dal chirurgo alla famiglia Vianeo di Tropea (che ancora nel XVII secolo, come ricorda Ughelli, aveva in Pietro uno dei maggiori esperti di rinoplastica). Gaspare Tagliacozzi, professore di anatomia a Bologna, divulgò poi alla fine del Cinquecento la tecnica, attribuendone giustamente la paternità ai Minuti.

Fonti e Bibl.: Epistola ad Orpianum, in Opus­cula Elisii Calentii poetae clarissimi …, Romae 1503, c. Bv; B. Facio, De viris illustribus, a cura di L. Mehus, Firenze 1745, pp. 38 s.; il brano degli Annales di Ranzano, oggi perduto, si legge in A. Narbone, Istoria della letteratura siciliana, XI, Palermo 1859, p. 82; R. Sabbadini, Storia documentata della R. Università di Catania, I, L’Università di Catania nel secolo XV, Catania 1898, pp. 34, 42, 52, 64 (con i documenti citati nel testo per il M.); G. Tagliacozzi, De curtorum chirurgia per insitionem, libri duo …, Venetiis 1597 (rist. con il titolo Chirurgia nova de narium, aurium, labiorumque defectu per insitionem cutis ex humero arte hactenus ignota sarciendo, Francofurti 1598, l. I, cap. 19 (il più antico manuale di «plastica all’italiana», con l’elogio del M. e di Antonio); G.B. De Grossis, Catanense decachordum, sive Novissima sacrae Catanensis Ecclesiae notitia …, II, Catanae 1642, p. 282; F. Ughelli, Italia sacra, Romae 1662, IX, p. 626; G. Renda Ragusa, Siciliae bibliotheca vetus continens elogia veterum Siculorum, qui literarum fama claruerunt, Romae 1700, p. 58; D.V. Auria, La Sicilia inventrice, o vero, Le invenzioni lodevoli nate in Sicilia, Palermo 1704, pp. 10 s., 113 s.; V. Amico, Catana illustrata, IV, Catanae 1746, p. 230; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, 2, Milano 1824, pp. 731-735; A. Insenga, Cenni storici sulla chirurgia plastica e sopra B. di Branca da Catania, Catania 1840 (che con Auria, cit., contiene ampia rassegna della folta, ma poco interessante, bibliografia precedente; cfr. la rec. in Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, LXXXVII [1841], p. 367); E. Reina, Novello onore ai dotti e agli artisti catanesi, Catania 1861, pp. 69-71; G. Corradi, Dell’antica autoplastica italiana, in Memorie del Reale Istituto lombardo di scienze e lettere, classe di scienze matematiche e naturali, s. 3, XIII (1877), pp. 225-273; L. Scuderi, Le biografie degli uomini illustri catanesi nel secolo XVIII, a cura di S. Mirone, Catania 1881, p. 55 n. 23; H. Gillies, Plastic surgery of the face, London 1920, ad ind.; V. Piazza Martini, Gustavo ed Antonio Branca de Minutis da Catania e la chirurgia plastica in Sicilia, in Boll. dell’Istituto storico italiano dell’arte sanitaria, IX (1929), 2, pp. 41-50; A. Gallassi, La storia della rinoplastica dai Branca ai Vianeo e a Gaspare Tagliacozzi. Rapporti di dipendenza, in Minerva chirurgica, X (1955), 14, pp. 1000-1005; R.H. Major, Storia della medicina, Firenze 1959, I, p. 328; L. Monga, Odeporica e medicina: i viaggiatori del Cinquecento e la rinoplastica, in Italica, LXIX (1992), pp. 378-393; S. Foà, Gallucci, Luigi (Elisio Calenzio), in Diz. biogr. degli Italiani, LI, Roma 1998, p. 745.

E. Pispisa

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