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Brasile

Dizionario di Storia (2010)
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Brasile


Stato dell’America meridionale. La regione amazzonica era abitata fin dal 9000 a.C. da comunità di contadini, pescatori, cacciatori e allevatori. Nel 15° sec. d.C. erano circa quattro milioni gli indios che vi vivevano. Nell’aprile 1500 le coste del B. furono raggiunte dal navigatore portoghese P. Alvares Cabral, e la regione fu rivendicata e ottenuta dal Portogallo in quanto rientrante nella sua area di pertinenza secondo il trattato di Tordesillas del 1494. Dopo la spedizione di Martim Afonso de Sousa (1531-33) e il completamento della ricognizione della costa atlantica, re Giovanni III avviò la colonizzazione del Paese, suddividendolo in 12 capitanerie di carattere feudale, destinate poi ad aumentare di numero. Nel 1549 l’amministrazione fu accentrata con la creazione del Governo generale del B., ma il sistema delle capitanerie rimase in vigore fino al 18° sec., fornendo le basi al popolamento del Paese e alla formazione di una classe di coloni aggressiva e intraprendente. Dalla metà del 16° sec. i gesuiti avviarono l’evangelizzazione degli indigeni, fornendo il primo nucleo di studiosi delle loro lingue e creando importanti missioni nell’interno, dove le popolazioni autoctone godevano di una certa autonomia e, soprattutto, venivano sottratte alla riduzione in schiavitù da parte dei coloni. Di qui l’ostilità di questi ultimi verso i gesuiti, gli attacchi delle bandeiras (➔ ) alle missioni e l’importazione massiccia di schiavi dall’Africa, fenomeni proseguiti fino al 18° secolo. Durante l’unione fra Portogallo e Spagna (1580-1640) il B. risentì negativamente delle vicende politiche europee e subì lo sviluppo della pirateria inglese, l’occupazione francese del Maranhão (1612-15) e quella olandese di Bahia (1624-45). Dalla fine del 17° sec. la scoperta di miniere di metalli e di pietre preziose nelle regioni meridionali provocò una notevole emigrazione interna e un nuovo afflusso di portoghesi, con conseguente insorgere di conflitti, ma anche con una più intensa esplorazione del Paese. Contemporaneamente si verificava una crescita nella produzione agricola, veniva tolto il divieto per gli stranieri di possedere beni o di commerciare, si introducevano riforme riguardanti la proprietà terriera e veniva progressivamente superato il sistema delle capitanerie. Nel 1777 il trattato di S. Idelfonso poneva termine a una secolare contesa con la Spagna assegnando a quest’ultima la colonia del Sacramento, fondata nel 1679 dai brasiliani sulle rive del Rio della Plata. L’invasione francese del Portogallo (1807), che costrinse il reggente don Giovanni a riparare in B. con la sua corte (1808), lasciando la difesa del Paese all’Inghilterra, creò le condizioni per una crescita dello spirito di indipendenza del Brasile. L’apertura dei porti alle navi inglesi favorì lo sviluppo della produzione e del commercio, ma le spese per il mantenimento della corte portoghese e per la guerra contro la Francia impoverirono l’erario e determinarono, con l’aumento della pressione fiscale, grave malcontento. Nel 1816 don Giovanni fu proclamato re (Giovanni VI) del regno unito di Portogallo, B. e Algarve (sotto la reggenza inglese fino al 1820) ma, costretto dalla rivoluzione portoghese del 1820 a fare rientro in Portogallo, perdette il B., che era rimasto sotto la reggenza del figlio don Pedro. Questi, infatti, nel 1822 proclamò l’indipendenza del B. e fu incoronato imperatore (Pietro I), ricevendo il riconoscimento portoghese nel 1825. Nonostante la Costituzione relativamente liberale promulgata da Pietro I nel 1824, i primi anni di vita del nuovo Stato furono convulsi. Dopo la ribellione della provincia Cisplatina, che ottenne l’indipendenza come Repubblica dell’Uruguay, l’imperatore fu costretto ad abdicare nel 1831, in seguito a una rivolta popolare fiancheggiata dall’esercito, lasciando il trono al figlio Pietro II di appena 6 anni. La crisi si aggravò negli anni successivi, con una serie di rivolte che misero a repentaglio la stessa unità del paese, ricomponendosi soltanto dopo la proclamazione della maggiore età di Pietro II (1840). Il regno di Pietro II (1840-89) fu un periodo di crescita e modernizzazione: furono riprese le esplorazioni nell’interno, intensificata la produzione agricola, create le prime ferrovie e sviluppata la marina mercantile; ebbe inizio una vasta corrente di immigrazione proveniente dall’Europa. La pace con l’estero venne turbata dalla guerra contro il Paraguay (1865-71), in cui il B., alleato con l’Argentina e l’Uruguay, risultò vittorioso. Il principale problema sociale e politico, a partire dal 1860, fu la questione della schiavitù. Il Paese premeva per la sua abolizione, mentre la classe dei proprietari terrieri vi si opponeva, e quando, dopo una serie di misure parziali, l’emancipazione degli schiavi fu decisa, in assenza dell’imperatore, dalla figlia e reggente Isabella (1888), il venir meno del sostegno alla corona da parte di tale classe contribuì alla caduta della monarchia. Una rivolta militare nel 1889 portò all’abdicazione di Pietro II e alla proclamazione della Repubblica, il cui primo presidente fu Deodoro da Fonseca. Nel 1891 fu varata una costituzione federalista, ricalcata sul modello di quella statunitense; ma la situazione, dopo il governo dittatoriale dei primi presidenti (militari), si stabilizzò solo dal 1895.

Il Brasile nel Novecento

I decenni successivi videro un’accelerazione dell’immigrazione dall’Europa, che fornì un’ampia offerta di mano d’opera, consentendo di superare i problemi derivanti dall’abolizione della schiavitù, e un’ulteriore espansione delle colture agricole di piantagione, in particolare di quella del caffè, divenuto il principale prodotto di esportazione. Dopo aver partecipato all’ultima fase della Prima guerra mondiale a fianco dell’Intesa, il B. fu scosso, negli anni Venti, da forti tensioni sociali, che sfociarono nel colpo di Stato che nel 1930 portò al potere G. Vargas. Varata una Costituzione nettamente autoritaria nel 1937 e sciolti tutti i partiti, Vargas mantenne la presidenza della Repubblica fino al 1945, cercando di fornire una base di massa al proprio governo dittatoriale con la mobilitazione dei ceti urbani e una serie di riforme sociali di ispirazione corporativistica, sintetizzate nel progetto di Estado novo. La sua politica centralizzatrice limitò la tradizionale autonomia degli Stati e delle oligarchie locali a vantaggio del governo federale, mentre venivano promosse l’industrializzazione e l’urbanizzazione del Paese. Tali sviluppi furono accentuati dalla Seconda guerra mondiale, cui il B. partecipò dal 1942 a fianco degli alleati: ne furono favorite le esportazioni sui mercati internazionali, in particolare americani, stimolata la crescita produttiva e rafforzati i legami con gli USA. Nel 1945 la pressione per il ripristino di una democrazia rappresentativa si espresse nel pronunciamento militare che costrinse Vargas alle dimissioni. Dimessosi Vargas, furono eletti, con la partecipazione di vari partiti, un nuovo presidente della Repubblica (il generale E.G. Dutra) e un’Assemblea costituente. Nonostante l’avvento di un relativo pluralismo politico (il Partito comunista, legalizzato nel 1945, dopo oltre vent’anni di clandestinità, fu comunque rimesso fuorilegge nel 1947), il nuovo regime rimase essenzialmente espressione dell’oligarchia tradizionale e della nuova classe media urbana, mentre l’esclusione dal suffragio degli analfabeti manteneva la maggioranza della popolazione, soprattutto nelle campagne, al di fuori della vita politica e i partiti restavano in gran parte legati a interessi e ceti dirigenti locali. I principali tra questi, il Partido trabalhista brasileiro (PTB), nazionalista e populista, il Partido social democrático (PSD), moderato, e l’União democrática nacional (UDN), conservatrice, si alternarono alla guida del governo fra il 1945 e il 1964, restando comunque soggetti a una sostanziale supervisione delle forze armate e subendo l’influenza dei poteri economici nordamericani. Rieletto presidente nel 1950, Vargas, che aveva accentuato gli aspetti populistici della sua politica, nel 1954 fu costretto alle dimissioni dai militari. Dopo le presidenziali del 1955 entrò in carica il socialdemocratico J. Kubitschek, che cercò di promuovere lo sviluppo del Paese con una politica di investimenti pubblici e fondò la nuova capitale Brasilia (1960). Al suo successore, J. Quadros dell’UDN, indotto a dimettersi dopo pochi mesi (1961), il vicepresidente J. Goulart, del PTB, osteggiato dai militari, poté subentrare solo dopo che un emendamento costituzionale ebbe ridotto le prerogative del presidente della Repubblica con l’istituzione di un primo ministro. Un referendum nel 1963 ripristinò il regime presidenziale, ma la politica riformista di Goulart (in particolare il progetto di riforma agraria) e la crescente mobilitazione popolare che l’accompagnava indussero le forze armate a prendere il potere con un colpo di Stato nel 1964. La presidenza fu assunta dal generale H. Castelo Branco, che nel 1965 mise fuorilegge tutte le forze politiche, istituendo al loro posto un partito governativo, l’Aliança renovadora nacional (ARENA), e uno di opposizione ufficiale, il Movimento democrático brasileiro (MDB). Due nuove costituzioni formalizzarono il regime militare, attribuendo poteri vastissimi al presidente della Repubblica. I movimenti di protesta, prevalentemente studenteschi, furono duramente repressi e i tentativi di dar luogo a una guerriglia rurale e urbana agli inizi degli anni Settanta furono sventati dall’esercito; anche la Chiesa cattolica, che, attraverso una parte consistente del clero, denunciava l’oppressione politica e l’ingiustizia sociale, subì la repressione governativa (condotta anche da organizzazioni terroristiche di estrema destra come gli «squadroni della morte»). Sul piano internazionale, il regime militare ristabilì i tradizionali stretti legami con gli USA messi in discussione da Quadros e da Goulart, cercando intanto di assumere un ruolo egemone nell’America meridionale, anche attraverso accordi economici e commerciali con i Paesi vicini e con alcuni Stati europei. Dopo Castelo Branco (1964-67) si succedettero alla presidenza della Repubblica A. da Costa e Silva (1967-69), E. Garrastazu Médici (1969-74) ed E. Geisel (1974-79), mentre il B. viveva un periodo di sviluppo economico accelerato ma squilibrato, fortemente dipendente dall’estero e in particolare da un intenso afflusso di capitali stranieri, soprattutto statunitensi. Verso la fine degli anni Settanta la crescita delle tensioni sociali e della pressione popolare per una democratizzazione del Paese indusse i militari ad avviare un processo di graduale liberalizzazione del regime: dopo l’avvento alla presidenza della Repubblica del generale J. B. Figueiredo (1979) fu promulgata un’amnistia per i reati politici e, sciolti l’ARENA e l’MDB, si consentì la formazione di nuovi partiti politici. Alla scadenza del mandato di Figueiredo (1985) la presidenza fu assunta da J. Sarney, fondatore del Partido da frente liberal (PFL). Tra le ragioni che avevano indotto i militari ad accettare, sia pure in una forma prudente, il ritorno a un governo civile, vi era indubbiamente la crisi economica in cui il B. era precipitato dall’inizio degli anni Ottanta, con gravi conseguenze sul tenore di vita di ampi strati della popolazione e l’acuirsi delle tensioni sociali. Il nuovo governo doveva dunque portare a termine il processo di transizione a un regime democratico e affrontare problemi sociali di fondo, a partire dal nodo irrisolto della riforma agraria, centrale in un Paese caratterizzato da enormi latifondi, in gran parte incolti, e da decine di milioni di contadini senza terra o proprietari di minuscole parcelle. Sul piano politico, furono approvati nel 1985 il ritorno all’elezione diretta del presidente della Repubblica, l’estensione del diritto di voto agli analfabeti e la legalizzazione di tutti i partiti (compresi i due comunisti), nel 1986 fu eletto il nuovo Congresso, che assunse anche la funzione di Assemblea costituente. Per quanto riguarda la riforma agraria, un progetto formulato nel 1985 fu bloccato dall’opposizione dei grandi proprietari terrieri e delle forze conservatrici, mentre la violenta reazione dei primi (dotati spesso di milizie private) alla pressione dei contadini provocò oltre mille morti (tra cui numerosi sindacalisti ed esponenti della Chiesa cattolica). Sul piano economico, di fronte a un’inflazione superiore al 200% annuo e a un debito estero di oltre 100 miliardi di dollari, i piani di stabilizzazione non ebbero successo, mentre l’aumento della disoccupazione e le misure di austerità acuirono i contrasti politici e sociali. Le elezioni presidenziali del 1989, le prime dirette dal 1960, portarono alla guida del governo il moderato F. Collor de Mello. Dopo le dimissioni di Collor de Mello (1992), accusato di corruzione, prese il governo I. Franco. Il suo ministro delle Finanze F.H. Cardoso nel 1994 riuscì a introdurre una serie di misure economiche che comprendevano, tra l’altro la ripresa vigorosa delle privatizzazioni e l’introduzione della nuova moneta, il real. Cardoso, sostenuto da figure di rilievo nel mondo dell’economia, visto con un certo favore anche dagli ambienti militari e forte dell’appoggio di parte dei ceti popolari grazie a un programma di riforme strutturali, si candidò per il Partido da social democracia brasileira (PSDB) e si aggiudicò al primo turno le presidenziali del 1994. La natura composita della coalizione al governo e il fatto che il Congresso fosse costituito per un terzo da rappresentanti dei grandi proprietari terrieri consentirono a Cardoso una realizzazione solo parziale del programma: fu proseguita la politica antinflazionistica e le privatizzazioni (già in vigore per telecomunicazioni e trasporti) furono estese al settore petrolifero, mentre non fu varata la riforma agraria, sollecitata dai sempre più cruenti scontri fra gli appartenenti al Movimento dos trabalhadores rurais sem terra (MST), sorto nel 1985, che come strumento di lotta politica impiegava l’occupazione delle grandi fazendas e dei terreni incolti, e le milizie private dei proprietari terrieri, spesso fiancheggiate dalla polizia. Alla mancata riforma faceva riscontro l’urbanizzazione massiccia di contadini senza terra e l’incremento della criminalità urbana. L’entrata in vigore del MERCOSUR (1995) fra B., Argentina, Paraguay e Uruguay, allo scopo di garantire la libera circolazione dei beni e dei servizi, una comune politica commerciale verso Paesi terzi e il coordinamento delle politiche macroeconomiche dei Paesi membri, aumentò notevolmente il volume degli scambi, ma la scarsa competitività dei prodotti brasiliani rispetto a quelli argentini e alla sopravvalutazione del real provocò un consistente deficit commerciale del B. verso l’Argentina, mentre la ristrutturazione industriale, resa necessaria dalla liberalizzazione del sistema economico, comportò un aumento considerevole della disoccupazione. A fronte di tali difficoltà le organizzazioni sindacali brasiliane reagirono con manifestazioni di protesta e scioperi generali. Tra indubbi successi nella lotta all’inflazione e impedimenti all’avvio di profonde riforme sociali, Cardoso rivinse le elezioni del 1998, prevalendo sul candidato del Partido dos trabalhadores (PT), Luiz Inacio da Silva (Lula). Quest’ultimo divenne presidente allo scadere del secondo mandato di Cardoso, nell’ottobre del 2002, primo esponente di un partito di sinistra a rivestire tale carica. La sua politica è stata improntata a grande pragmatismo, facendosi garante presso i mercati della solvibilità brasiliana e del ruolo del Paese come grande potenza e attore globale, e varando un piano di riscatto sociale («fame zero») che ha coinvolto 60 milioni di cittadini. Le tensioni determinate dalla lentezza dei processi di cambiamento e da ripetuti gravi episodi di corruzione commessi da diversi membri del governo e del PT non hanno impedito la riconferma di Lula per un secondo mandato nel 2006.

Vedi anche
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braṡile¹
brasile1 braṡile1 s. m. – Nome commerciale di alcuni tipi di tabacco coltivati in Italia e in diversi altri paesi, appartenenti alla specie Nicotiana tabacum, var. brasiliensis, originaria del Brasile.
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