Breve storia del cattolicesimo degli emigranti

Cristiani d'Italia (2011)

Breve storia del cattolicesimo degli emigranti

Matteo Sanfilippo

Sommario: Introduzione ▭ Emigrazione italiana e assistenza religiosa prima dell’Unità. Sant’Uffizio e Propaganda fide ▭ La crescita dell’emigrazione nell’Ottocento. La ‘scoperta’ dell’emigrazione - Gli ordini missionari e gli istituti di nuova fondazione - Gli immigrati e le Chiese locali ▭ Dopo la Breccia di Porta Pia. La nuova strategia vaticana - I nuovi istituti di vita consacrata - Scandali e contestazioni - La reazione delle Chiese nazionali - La Santa Sede prende il controllo ▭ Tra le due guerre. Il riposizionamento della rete missionaria - Concorrenza e collaborazione con la diplomazia fascista - La risposta delle Chiese locali ▭ Il secondo dopoguerra. La riorganizzazione - Le nuove direttive pontificie - Associazionismo e stampa - La risposta locale ▭ Il decrescere dei flussi. Identità e religiosità immigrata

Introduzione

Pochi studiosi hanno tentato di rappresentare il quadro generale del cattolicesimo fra gli emigranti perché bisogna misurarsi con una vicenda plurisecolare, che in parte si discosta da quanto accaduto nella penisola. All’interno della diaspora lavorativa e politica l’essere ‘italiani’ ha infatti rilevanza sin dalla prima età moderna e costituisce una costante assieme all’appartenenza a uno Stato regionale. Tale doppia appartenenza aumenta d’importanza nell’Ottocento, sia prima sia dopo l’Unità: si assiste infatti a un peculiare sviluppo dell’italianità dei confini peninsulari. Gli emigranti, prima di vari Stati e poi di varie regioni italiane, formano a partire dal 1820 comunità ‘nazionali’ coese, dirette da élites che sostengono i moti risorgimentali e in seguito ne riprendono la lezione, tornando in patria per partecipare alla Prima guerra mondiale1.

Questa tendenza a formare comunità italiane in anticipo sulla nascita del Regno d’Italia non impedisce l’esistenza di nuclei regionali, prima soprattutto genovesi e veneti, poi napoletani e siciliani, che mantengono le proprie tradizioni anche dopo l’Unità d’Italia e persino nel Novecento. Anzi sullo scorcio finale di quest’ultimo la creazione delle amministrazioni regionali e le politiche di queste ultime verso gli emigranti e i loro discendenti irrobustiscono e in certi casi reinventano le differenziazioni in base all’area di partenza2.

Come vedremo più avanti, la dialettica fra appartenenza ‘italiana’ e ‘regionale’ gioca un ruolo importante nell’inquadramento religioso degli emigranti, soprattutto nell’Otto-Novecento, e può provocare spaccature irrecuperabili, spingendo la comunità emigrata in una determinata città ad organizzarsi attorno a due parrocchie contrapposte oppure suscitando violente contestazioni all’interno di una singola parrocchia. A queste difficoltà, caratteristiche della storia migratoria non soltanto italiana, l’azione o comunque l’eco fra gli espatriati di alcune Chiese protestanti si affianca quale altro elemento di diversità dall’evoluzione peninsulare. Non si tratta qui dell’emigrazione di riformati ed evangelici italiani, che pur è stata studiata3, quanto della conversione di chi è partito cattolico.

Emigrazione e assistenza religiosa prima dell’Unità

L’emigrazione italiana è numericamente significativa sin dalla fine del Medioevo e a partire dal Trecento la presenza peninsulare nei settori mercantili, edili e militari di gran parte dell’Europa agisce da moltiplicatore, richiedendo l’arrivo di ulteriori concittadini o corregionali che offrano ai primi arrivati l’assistenza cui sono abituati in patria4. In molti casi chi è impiegato nelle attività commerciali e chi garantisce determinati servizi coabitano: talvolta nei medesimi edifici, più spesso nel medesimo quartiere, dove sorgono luoghi comunitari di incontro e di assistenza. Prima fra tutti è la parrocchia dove si va a messa, si registrano e battezzano i nuovi nati, si celebrano le cerimonie nuziali e quelle funebri, si esplicano in sostanza quasi tutte le fasi pubbliche della sociabilità diasporica. La chiesa è spesso fondata da associazioni di emigrati, in genere su base regionale o cittadina: nel 1446, ad esempio, i fiorentini a Ginevra restaurano Notre-Dame du Pont du Rhône, che diventa la Chapelle des Florentins.

Quando gli emigranti provengono da più di uno Stato peninsulare, formano istituzioni comuni, chiaramente definite come italiane. In Francia, sin dal Medioevo, i mercanti della penisola formano un unico raggruppamento e condividono gli stessi luoghi di culto5. Nella Madrid di Filippo II l’ospedale San Pedro y San Pablo de los Italianos, fondato nel 1579, diviene il centro ufficiale della comunità immigrata ed è retto da un consiglio di sei governatori, per statuto espressione dei nuclei napoletano, siciliano, milanese, genovese, romano e fiorentino. L’ospedale si sposta a Valladolid, quando questa ospita la corte di Filippo III, e in entrambe le città comprende una cappella6. A Praga nel 1600 è fondata la cappella italiana, seguita da un ospizio per i poveri e da una scuola7.

La pressione dall’esterno ha importanza nell’elaborazione di un’identità unitaria, perché gli emigrati devono difendersi contro le tentazioni xenofobe, molto frequenti fra tardo Medioevo e prima età moderna. In seguito acquista sempre più peso la diversificazione religiosa, in particolare quando sorge il problema della convivenza fra cattolici e riformati e la comunità emigrata si deve inserire in aree protestanti, come in Inghilterra, Olanda, Svizzera e molti Stati tedeschi8. In esse gli emigranti sono ritenuti agenti di Roma, della Spagna o dell’Impero e perseguitati o tenuti sotto stretto controllo.

Talvolta questi sospetti sono generati dall’unione tra confronto religioso e xenofobia, come testimonia Giordano Bruno con le pagine de La cena de le ceneri (1584) sulla violenta reazione inglese ai forestieri e con la precipitosa fuga da Ginevra9. I sospetti inglesi o ginevrini contro gli italiani non sono, però, del tutto assurdi. Nel tragico episodio di Maria Stuarda, gli inglesi dichiarano di aver scoperto il fiorentino Roberto Ridolfi partecipare nel 1570 a un complotto spagnolo10. I dati relativi alla cospirazione sono ingigantiti, ma Ridolfi, agente commerciale e finanziario a Londra, ha effettivamente contatti con la regina scozzese, conThomas Howard quarto duca di Norfolk (decapitato per tradimento nel 1572), con Firenze, Madrid e persino la Curia romana. Analogamente l’ex carmelitano Giulio Cesare Vanini si converte ufficialmente a Londra nel 1612, tuttavia continua a corrispondere con Roma e la Spagna, finché non è obbligato a riparare in Francia11.

Molti eterodossi italiani si considerano superiori alla divisione fra le Chiese cristiane e non rispettano i confini religiosi e politici venutisi a creare: provocano così aspre reazioni. Gli emigrati per ragioni di ‘lavoro’, per esempio la comunità stanziatasi in Inghilterra, cercano invece di non esasperare la società che li ospita e di adattarvisi, salvaguardando i propri spazi12. Nella Londra seicentesca una piccola congregazione italiana è ospitata nella Mercer’s Chapel, dove ha luogo la conversione di Vanini e dove Marco Antonio De Dominis pronuncia la prima predica londinese, al momento del breve passaggio all’anglicanesimo13.

Fenomeni analoghi si riscontrano in altri centri, per esempio a Ginevra. Qui Bruno non è il solo a dover abbandonare precipitosamente la città, che è al centro di un complesso gioco di spie, talvolta al soldo di Roma. Tuttavia resta sempre aperto un tempio per i riformati italiani. Nella città svizzera questi ultimi sono un centinaio a metà Cinquecento, nei due decenni successivi salgono a un migliaio per effetto della fuga dei protestanti dalla penisola, poi ridiscendono a 800 e sono 350 alla fine del secolo14. Nella seconda metà del Cinquecento parte dei più eterodossi deve fuggire e inizia una serie di peregrinazioni, che porta persino nell’Europa centro-orientale15.

Su quelli che restano a Ginevra abbiamo il rapporto di un espatriato napoletano che, dopo la guerra della Valtellina (1620-1626), descrive alle autorità romane la composizione del nucleo immigrato. «Gli Italiani [...] sono la maggior parte Lucchesi […]» e «tutti esercitano con molt’utile la mercantia della seta, facendo una unione per quest’effetto ch’è chiamata la Gran Bottega molto famosa, né apparentano per lo più se non fra di loro, o almeno fra quelli della nazione». Proprio quest’ultima, composta dai lucchesi e da napoletani, piemontesi, cremonesi, milanesi e grisoni, condivide il tempio di S. Germano. Gli italiani infatti hanno dapprima frequentato la chiesa dei francesi e ora «costumano» celebrare con propri pastori, «che hogidì sonoGiovanni Diodati e Benedetto Turrentini, descendenti di nattione lucchese e Giacomo Sartore di razza piemontese, [i quali vanno] predicando due volte la settimana in idioma italiano con cantare distinto in più parti il salterio tutto traslato in questa lingua»16.

Sant’Uffizio e Propaganda fide

L’emigrazione italiana durante l’età moderna non è stata studiata approfonditamente, né dal punto di vista demografico, né da quello religioso. Intuiamo, però, che dove si raccolgono a pregare italiani, cattolici o protestanti, officiano pastori della stessa origine. Per Ginevra abbiamo la testimonianza appena riportata; per l’Europa cattolica, sappiamo che ci si affidava ai membri degli ordini regolari. Per i cattolici in paesi protestanti la questione è più complicata.

Agli inizi del Seicento proprio quest’ultimo aspetto preoccupa il Sant’Uffizio, che indaga sui mercanti italiani in Germania17. Nel marzo 1623 l’inquisitore di Genova riporta che alcune famiglie cattoliche, partite dalla sua città, risiedono a Norimberga. Nei mesi seguenti gli inquisitori di Verona, Milano, Firenze e Lucca segnalano casi analoghi e sottolineano di aver invano chiesto ai concittadini di abbandonare la Germania luterana. I mercanti non vogliono, però, andarsene da una piazza importante per i commerci nell’impero asburgico e in Polonia, Lituania e Moscovia. Decidono quindi di rassicurare Roma circa il godimento di una buona assistenza spirituale. Riferiscono dunque che «non mancano in detto luogo […] altri Italiani cattolici, e sempre hanno mantenuta la fede, et fatto li esercizii cattolici nella Chiesa de Cavalier Teutonici»18.

I dossier del Sant’Uffizio mostrano come gli emigrati appartengano a sei nuclei (fiorentini, senesi, pistoiesi, milanesi, piacentini e genovesi), che collaborano per le faccende religiose. Ottavio e Mario Antonio Lumaga, mercanti e banchieri con «casa di fiera» a Norimberga, Genova e Piacenza, dichiarano che la loro famiglia è attiva nella città tedesca da oltre ottanta anni, vi tiene funzionari e servitori e vi stipendia un sacerdote cattolico per tutti gli italiani19.

Senza affastellare ulteriori esempi, possiamo dare per acquisiti i risvolti religiosi dell’emigrazione italiana nell’età moderna. Tale aspetto è oggi ricostruibile attraverso le serie vaticane. Non soltanto l’Archivio Segreto raccoglie informazioni sulle diocesi europee, ma dal Seicento il Sant’Uffizio e la neonata Congregazione de Propaganda fide si pongono il problema di come preservare la fede dei migranti, in particolare dove i i protestanti sono in maggioranza, nel Vecchio come nel Nuovo Mondo20.

Nonostante le indicazioni di Clemente VIII contro l’emigrazione (1596), i funzionari di Propaganda si rendono presto conto che non si può impedire la mobilità umana e tentano di sovvenire i cattolici spostatisi in territori protestanti o nei domini di potenze cattoliche di lingua diversa dalla loro. Ai primi cercano di garantire una qualche assistenza spirituale, ai secondi, preti che parlino il loro idioma. In entrambi i casi al centro dell’attenzione romana sono gli irlandesi, ma nel Sei-Settecento, Propaganda escogita meccanismi sinergetici anche per gli italiani, ricorrendo ai membri degli ordini regolari provenienti dalla penisola. Al di là della liturgia in latino gli emigranti cercano infatti un clero che sia in grado di parlare con loro.

La crescita dell’emigrazione nell’Ottocento

Sullo scorcio dell’Antico regime i fenomeni migratori assumono dimensioni inaspettate e impediscono alla Chiesa di Roma di continuare con i vecchi metodi. Dopo il 1815 i cattolici partono in numero sempre maggiore e la Santa Sede teme di perdere quelle anime. Infatti alla propaganda protestante si aggiunge ora la diffusione dell’anticlericalismo e dei movimenti nazionali che avversano Roma21. Allo stesso tempo l’arrivo di cattolici di varie nazionalità e di diversi idiomi obbliga la Chiesa cattolica a ristrutturare la propria organizzazione nel Vecchio e nel Nuovo Mondo. Non è possibile accogliere i nuovi arrivati in parrocchie territoriali, dove, oltre al latino liturgico, si parla soltanto la lingua del luogo.

La ‘scoperta’ dell’emigrazione

Tra il 1815 e il 1848 la Segreteria di Stato e Propaganda fide raccolgono notizie sugli italiani all’estero, ma l’attenzione romana si acuisce negli anni Quaranta. Proprio in questo decennio Gaetano Bedini (1806-1864), internunzio in Brasile, cerca invano di controllare la propaganda antipontificia degli esuli risorgimentali22. Inoltre scopre nel 1846 una ‘colonia’ tedesca a Petropoli e domanda ai superiori di assicurarle sacerdoti delle stesse origine e lingua, altrimenti potrebbe rivolgersi a missionari protestanti. Le lettere del diplomatico romano raggiungono la Segreteria di Stato, Propaganda fide, la gerarchia ecclesiastica brasiliana, le locali missioni di Cappuccini e persino la nunziatura a Vienna, dove Bedini è stato uditore23. Tale corrispondenza trova eco negli ambienti ecclesiastici romani ed europei. Un lunghissimo rapporto alla Segreteria di Stato, di poco posteriore, sottolinea come l’Impero brasiliano sia meta di numerosi emigranti, partiti per ragioni economiche o politiche, e suggerisce che vi vadano prelati in grado di parlare più lingue, perché è necessario offrire assistenza a ciascun gruppo24. Allo stesso tempo associazioni assistenziali quali la Ludwigsverein di Monaco di Baviera e la Leopoldine Stiftung di Vienna, seguono i connazionali d’oltreoceano e intrecciano scambi epistolari con Roma e le diocesi nord e sudamericane.

Nel 1853-1854 Bedini, nuovamente diretto in Brasile, si ferma negli Stati Uniti e nel Canada e invia numerose lettere sugli europei che hanno varcato l’Atlantico, la loro integrazione oltreoceano e la necessità di assisterli spiritualmente. In tale occasione rileva come il pericolo non sia più la propaganda protestante, bensì i movimenti ‘nativistici’, fortissimi in Nord America e ferocemente contrari all’immigrazione cattolica, e gli esuli quarantottardi, avversi allo Stato della Chiesa. Le ipotesi del diplomatico sono pienamente confermate, quando quei due fronti si saldano per accusarlo di essere responsabile della morte di Ugo Bassi e per condannare il papato.

A questo punto la difesa della presenza cattolica nelle Americhe e della fede degli emigrati si lega, per Bedini, a quella dei diritti del pontefice e del potere temporale. Secondo il nunzio, il futuro di Roma si gioca sullo scacchiere internazionale, che vede aumentare l’importanza del Nord America. Se dunque gli emigranti europei nelle colonie britanniche del Canada e negli Stati Uniti restano cattolici, possono far guadagnare al pontefice l’appoggio di queste nuove potenze, in particolare dei secondi. Gli stessi temi sono ripresi da Bedini, una volta rientrato a Roma, nei due rapporti per il cardinal segretario di Stato e il cardinal prefetto di Propaganda25.

Gli ordini missionari e gli istituti di nuova fondazione

Nei decenni che vedono fervere attività e progetti di Bedini, gli ordini missionari si occupano sul campo degli emigranti, italiani e non. Barnabiti, Cappuccini, Domenicani, Francescani, Gesuiti, Redentoristi e Serviti annoverano religiosi in grado di badare a fedeli di più nazionalità e quindi si fanno carico della loro assistenza. Sennonché tale intervento non basta e inoltre essi vogliono dedicarsi alla cura degli immigrati solo per il tempo strettamente necessario. In particolare i religiosi italiani sono infastiditi dall’incombenza e preferiscono evangelizzare i protestanti, gli autoctoni e gli afroamericani, mentre i confratelli tedeschi o polacchi sono più propensi a servire i propri connazionali.

Per quanto riguarda gli italiani, i tentativi di disimpegno degli ordini più antichi portano in prima linea istituti di nuova fondazione. Nel 1844 il papa affida gli italiani di Londra a Vincenzo Pallotti e questi incarica il sacerdote Raffaele Melia di intervenire in loco. Quest’ultimo fonda allora la parrocchia di S. Pietro a Clerkenwell. Nella corrispondenza relativa appare evidente come tale iniziativa sia presa per combattere l’influenza di Mazzini, mentre non si teme particolarmente quella anglicana26. Negli anni Cinquanta la situazione cambia perché la propaganda risorgimentale si intreccia a quella metodista grazie a personaggi quale l’ex barnabita Alessandro Gavazzi, attivo sulle due sponde dell’oceano27. I Pallottini aumentano quindi il proprio sforzo in Inghilterra e allargano il proprio raggio d’azione, sbarcando infine oltre Atlantico: nel 1884 a Brooklyn e New York e nel 1886 nel Rio Grande do Sul28.

Gli immigrati e le Chiese locali

Verso la metà dell’Ottocento la crescente presenza di italiani nei principali paesi europei e americani mette sotto pressione le locali diocesi cattoliche. I vescovi infatti li assistono per non irritare nunzi e delegati apostolici, che sono conterranei di quegli espatriati, ma temono le simpatie risorgimentali di questi ultimi. Nel frattempo alcuni esuli accompagnano l’attività politica con il progressivo impegno nelle fila protestanti o quantomeno flirtando con esse. In Gran Bretagna come in Canada e negli Stati Uniti molte Chiese riformate sono infatti favorevoli a un’Italia unita e libera dall’influenza pontificia29. Grazie alle loro offerte l’appena citato Gavazzi è attivissimo nel contrastare Bedini negli Stati Uniti e nel Canada e continua a visitare per decenni questi paesi30.

Tali iniziative turbano le autorità romane, le quali seguono con trepidazione le mosse dei ‘rinnegati’. Lo stesso timore è condiviso da sacerdoti locali, per esempio negli Stati Uniti. Nel 1849 Jeremy Cummings, che ha studiato a Roma nel Collegio urbano di Propaganda fide, tenta di riunire gli ancora pochi italiani di New York, ma è fieramente avversato da mazziniani e protestanti31. Negli anni successivi John Hughes, vescovo newyorchese, si batte incessantemente contro gli esuli italiani che danno ascolto a Gavazzi32.

In mezzo a tali polemiche tutti gli italiani finiscono per essere mal visti dai vescovi dei paesi d’immigrazione. Ne conseguono ulteriori diatribe, che riecheggiano nei palazzi romani. Dal 1857 al 1860 la comunità italiana di New York, guidata dal sacerdote Antonio Sanguinetti, protesta a Roma per la demolizione della cappella di S. Antonio da Padova, dove era solita riunirsi. Non tutti i parrocchiani rimangono, però, a fianco del sacerdote e alla fine l’arcivescovo Hughes ha buon gioco a denunciarlo a Propaganda. La vicenda è rievocata nel 1868 da Leo Pacilio, uno dei molti Francescani italiani a New York. Il nuovo arcivescovo newyorchese, John McCloskey, mette pace fra Sanguinetti e i parrocchiani di St. Anthony. Pacilio invece è sottoposto a un’inchiesta della Congregazione dei vescovi e regolari a seguito delle contrapposizioni interne ai francescani33.

La vita religiosa degli espatriati e l’esperienza del clero immigrato sono in questi primi decenni tempestose e mal dispongono la stessa Roma, che mette in guardia tutti i vescovi contro i sacerdoti che abbandonano la penisola senza autorizzazione. Per l’assistenza agli immigrati si inizia allora a pensare che possano intervenire i collegi preposti alla formazione dei missionari. Nel 1868 gli italiani di Filadelfia reclamano presso Propaganda per la chiusura di St. Mary Magdalen de’ Pazzi, la prima parrocchia italiana degli Stati Uniti. L’arcivescovo James Wood propone allora di nominare un nuovo parroco italiano e domanda aiuto al Collegio Brignole Sale Negroni di Genova, che già fornisce religiosi per le missioni statunitensi fra i neri del Sud e i messicani della California. Il rettore del collegio acconsente e nel 1869 invia Antonio Isoleri, che reggerà la parrocchia nei successivi decenni, pur fra mille proteste e dopo alcuni richiami per un eccesso di nazionalismo34.

Nei dossier sui sacerdoti per gli emigrati intravediamo le dinamiche della comunità e le sue difficoltà. Mano a mano che essa si rafforza vuole sacerdoti originari della penisola e li apprezza quando hanno un certo afflato ‘risorgimentale’, come Isoleri, il quale celebra le esequie di Vittorio Emanuele II con grande sdegno dei vescovi statunitensi35. Spesso, però, gli italiani sono affidati a un clero giramondo, incapace di inserirsi stabilmente. Nel 1871, per esempio, ricorre a Propaganda Cosimo Antonio Della Nave, già cappellano della cattedrale di Pisa, cacciato per indegnità dalla parrocchia di St. Juliana a Scranton nel New Jersey. Il ricorrente attesta che dal 1848 ha esercitato il suo ministero in Francia (Besançon, Digione, Troyes e Parigi), Inghilterra (Westminster) e Stati Uniti (Filadelfia, Newark e Scranton), sempre alla ricerca di una sistemazione definitiva36. Inoltre fra clero migrante e comunità iniziano a serpeggiare contrasti regionali: la parrocchia di Isoleri ne gemma un’altra perché i primi emigrati sono liguri, come il parroco, e non si intendono con i nuovi arrivati provenienti da Campania e Sicilia.

Dopo la Breccia di Porta Pia

La caduta di Roma nel 1870 sancisce la scomparsa dello Stato temporale e la necessità per la Chiesa cattolica di spostarsi su un altro piano. Proprio la Breccia diviene centrale per la ricerca di nuove strategie diplomatiche e per una rivalutazione della questione migratoria. La sconfitta decuplica infatti il timore della propaganda antipontificia (risorgimentale e/o protestante) tra i migranti. Inoltre la Curia realizza che mantenere questi ultimi sotto il proprio controllo ha una valenza anche offensiva, proprio come aveva intuito Bedini.

Dopo il 1870 il Vaticano conduce virulente campagne internazionali per condizionare le scelte dell’Italia e, in questo quadro, gli emigrati divengono una apprezzabile massa di manovra37. Servono, per esempio, a premere sui governi americani, in particolare su Canada e Stati Uniti, e la loro utilità è tale che la Santa Sede sogna di cattolicizzare il Nord America attraverso la diaspora migratoria. Gli emigranti tuttavia non accettano di trasformarsi in mere pedine e vogliono un sostegno effettivo. Quando non lo ottengono, minacciano di passare ad altre Chiese o comunque di abbandonare la propria. Di qui gli scismi dei cattolici polacchi, russi, ucraini e ungheresi in America, oppure la costante minaccia degli italiani di seguire i missionari metodisti o di altra denominazione, se il clero cattolico non li assiste secondo i loro termini38. Inoltre, e anche questo vale per tutti gli immigrati nel Vecchio come nel Nuovo Mondo, alle minacce anticlericali o protestanti, si aggiunge ora la forza crescente di socialisti e anarchici, che pescano nello stesso serbatoio umano del quale la Chiesa di Roma vorrebbe il monopolio39.

La nuova strategia vaticana

Mentre la situazione diviene incandescente, Propaganda fide accumula materiali sui flussi migratori e riprende le idee di Bedini. L’11 aprile 1887 autorizza quindi parrocchie ‘nazionali’, che devono integrarsi nel tessuto diocesano, ma hanno giurisdizione su una comunità immigrata e non su un quartiere. La raccolta di documenti, che precede tale decisione, mette i funzionari di Propaganda in contatto con le realtà americane e con analoghe esperienze europee, per esempio la parrocchia italiana di Londra. Inoltre sono stretti ulteriori rapporti con le associazioni germaniche, in particolare con la Raphaelsverein, nata nel 1871 quale società di patronato degli emigranti di lingua tedesca.

I funzionari di Propaganda realizzano che per gli italiani non esiste niente di simile e che scarseggiano i sacerdoti provenienti dalla penisola o, se vi sono, hanno seguito percorsi non sempre approvati dalla Santa Sede40. La Congregazione, assieme alla delibera sulle parrocchie nazionali, decide quindi di confidare a Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, la fondazione di un istituto che assista gli italiani nelle Americhe e gestisca un collegio per formare i missionari a tale compito41. Leone XIII approva il 25 novembre 1887 e il 10 dicembre 1888 presenta il progetto ai vescovi d’oltreoceano (Quam aerumnosa). Inizialmente si prevede un esperimento quinquennale, mirato agli Stati Uniti e al Brasile, ma presto il pontefice e la Curia si rendono conto dell’ineluttabile necessità di prestare maggiore attenzione alle migrazioni, pur suggerendo di non limitarsi ai soli italiani (Rerum Novarum, 1891)42.

I nuovi istituti di vita consacrata

L’ultimo quindicennio del pontificato di Leone XIII vede montare l’interesse per la mobilità umana e di ciò beneficia l’istituto scalabriniano. Inoltre nel 1889 il vescovo di Piacenza ottiene di affiancargli la Società di patronato degli emigranti S. Raffaele, creata sulla falsariga della Raphaelsverein43. Intesse infine rapporti con lo Stato italiano e collabora alla formulazione della legge sull’emigrazione del 1901. Gli sembra allora di aver sconfitto la lobby degli agenti di emigrazione, che a suo parere specula sulla pelle degli emigranti, e di poter pensare più liberamente a quanto si sta costruendo oltreoceano, dove si reca nel 1901 (Stati Uniti) e nel 1904 (Brasile)44.

Alla sua morte nel 1905 il vescovo di Piacenza lascia quaranta case in America, con annesse chiese e scuole, nonché un orfanotrofio a San Paolo. Le numerose iniziative non bastano, però, a garantire la copertura totale dell’emigrazione: sono quindi chiamati a concorrere altri istituti, a partire dai Pallottini. D’altronde la fondazione scalabriniana non è eccezionale: il secondo Ottocento registra un’esplosione di nuovi istituti di vita consacrata che sopperiscono alle difficoltà del clero diocesano. A parte il caso scalabriniano, la maggior parte di tali istituzioni non nasce per gli emigranti, ma spesso è obbligata ad assisterli. Su richiesta di Pio IX, per esempio, i Salesiani di Giovanni Bosco intervengono fra gli italiani di Buenos Aires, dove il papa desidera che sia arginata la propaganda anticlericale e socialista45. Agli inizi del Novecento i Salesiani sono presenti stabilmente fra i compatrioti emigrati in America Latina, Stati Uniti, Svizzera, Germania, Tunisia, Costantinopoli e Medio Oriente46.

L’aspetto più nuovo, e sino a oggi poco studiato, di questa fioritura è costituito dall’impegno delle congregazioni femminili47. È noto il ruolo delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù di Francesca Saverio Cabrini, che sbarca a New York nel 1889 e nei successivi 28 anni vi fonda una scuola fiorente e il Columbus Hospital. Cabrini invia poi le consorelle da New Orleans a Chicago e Seattle, e in un secondo tempo nell’America centro-meridionale. Nel frattempo intesse un fitto scambio epistolare con Pio X e i maggiori dignitari curiali, segnalando loro tappe e bisogni di questa nuova impresa missionaria. Sono, però, parimenti importanti le Apostole del Sacro Cuore di Gesù di Clelia Merloni (1861-1930), in Brasile nel 1900 e successivamente nelle parrocchie italiane delle due Americhe. Non vanno inoltre dimenticate le Salesiane, cioè le Figlie di Maria Ausiliatrice, e quelle che divengono le Scalabriniane, inizialmente ancelle degli orfani e dei derelitti all’estero: i due istituti fondano e gestiscono scuole e ospedali nelle Americhe e in Europa48.

Il numero delle congregazioni femminili che seguono gli italiani è, però, ancora maggiore, pur se al momento non ancora completamente censito. Possiamo citare alla rinfusa per il Vecchio Mondo le Figlie della carità, attive in Francia dal 1885, le Oratoriane, le Giuseppine di Cuneo, le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea, le Suore operaie e le Suore delle poverelle. Negli Stati Uniti troviamo poi le Maestre pie Filippini, le Battistine, le Pallottine, le Suore di S. Dorotea, le Figlie di S. Maria della Provvidenza, le Francescane di Gemona e le Suore Venerini. Nei paesi del Rio della Plata prestano la propria opera le Suore della Misericordia di Maria Rossello di Albisola e quelle di Carlo Steeb di Verona, le Figlie di Nostra Signora dell’Orto di Chiavari e le Piccole sorelle della carità di don Orione. Nel Rio Grande do Sul in Brasile i Cappuccini chiamano le Suore di S. Giuseppe di Chambéry e vengono fondate le piccole Suore dell’Immacolata Concezione.

Tutti gli istituti femminili prodigano le proprie forze in scuole e ospedali e proprio queste attività ne garantiscono l’efficacia e rispondono al progetto di Scalabrini, che vuole salvaguardare la fede degli italiani preservandone la coesione nazionale. La collaborazione delle suore e degli Scalabriniani sostiene e in qualche caso crea l’identità del gruppo immigrato. Le chiese, le scuole, gli orfanatrofi e gli ospedali, dove si parla italiano e non dialetto, contribuiscono infatti alla formazione di comunità nazionali, che ne raggruppano tutti i nuclei, e allo stesso tempo facilitano un’integrazione dolce nelle nuove società49. Le parrocchie nazionali degli Scalabriniani e le istituzioni scolastiche e assistenziali gestite dalle suore permettono agli immigrati di sopravvivere al primo impatto e di adattarsi al nuovo contesto gradualmente50.

Questo clima spinge a superare i contrasti ‘politici’ interni alla comunità, ma anche a compromessi disapprovati dal Vaticano. Tutta la storia delle parrocchie per gli italiani nel Nuovo Mondo è punteggiata di denunce contro religiosi che assistono alle cerimonie per i Reali d’Italia o addirittura per il Venti Settembre. Si crea infatti un calendario della comunità in base al quale le élites anticlericali e nazionaliste non boicottano le iniziative religiose, ma i parroci devono partecipare a quelle nazionali. Questo amalgama comunitario non cancella invece o comunque non sempre argina i contrasti fra gli emigranti (e i fedeli) di origine meridionale e di origine settentrionale51. Gli stessi Scalabriniani, tradizionalmente emiliano-veneti con qualche aggiunta lombarda, si rivelano poco inclini ad accettare i comportamenti di chi proviene dal Sud52.

Resta ancora da valutare un’angolatura particolare dell’impegno missionario. Peter D’Agostino ha scoperto come alcuni istituti, in particolare quello fondato da Clelia Merloni, intraprendano l’impresa americana perché nel Nuovo Mondo si ottengono offerte in denaro inimmaginabili in Europa. Le merloniane drenano dunque denaro verso la casa madre e suscitano scandalo a Boston. Rivelano così un aspetto, temuto dai vescovi locali, che riemerge più volte. In esso si distinguono soprattutto singoli individui, regolarmente denunciati al Vaticano, ma sono coinvolti anche istituti, fra i quali più tardi gli stessi Scalabriniani53.

Scandali e contestazioni

L’eco vaticana di questi scandali indebolisce le iniziative per gli emigranti, anche per le rivalità fra vecchi ordini regolari e nuovi istituti di vita consacrata e fra questi ultimi. Lo stesso Scalabrini cade in disgrazia presso Propaganda fide e inoltre la Segreteria di Stato, sulla scia di rimostranze salesiane, accusa gli scalabriniani di eccessiva acquiescenza verso le autorità italiane54. D’altronde l’apporto scalabriniano alla costruzione dell’identità italiana all’estero non può essere apprezzato in Vaticano55.

La Santa Sede riceve periodicamente le lamentele del clero delle due Americhe che paventa la frammentazione etno-nazionalista degli immigrati e delle Chiese locali. Lo stesso Scalabrini diventa consapevole della difficoltà di bilanciare appartenenza nazionale e appartenenza religiosa ed è spaventato dalle contrapposizioni oltreoceano tra gruppi emigrati. Prima di morire, propone quindi di istituire un dicastero vaticano, o eventualmente una commissione, pro Emigratis Catholicis che coordini gli sforzi delle Chiese locali e dei sacerdoti al seguito degli immigrati56.

Il suggerimento non è subito preso in considerazione dalla Santa Sede, attenta per il momento soprattutto alle scelte ‘politiche’ dei vescovi interessati alle migrazioni. Come abbiamo visto, l’istituto scalabriniano è focalizzato sulle Americhe. Del Vecchio Mondo si occupa invece Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, che nel 1900 fonda l’Opera di assistenza agli operai italiani emigrati in Europa e nel Levante57. L’iniziativa non è sponsorizzata dal Vaticano, che ritiene Bonomelli capofila dei transigenti, ma dall’Associazione Nazionale per soccorrere i missionari italiani e gode dell’appoggio di laici influenti, quali Ernesto Schiaparelli e Fedele Lampertico58.

La creatura bonomelliana si occupa del settore nel quale è più forte l’emigrazione italiana, sia pure soprattutto temporanea59. Le decine di sacerdoti da essa impegnati sono a maggioranza secolari e nel volgere di qualche anno intervengono in Svizzera, Francia e Germania, collaborano con le diocesi locali e fondano scuole, parrocchie e ospedali. La loro azione è coadiuvata da ordini e congregazioni religiose: Barnabiti a Parigi, Dehoniani a Marsiglia, Salesiani a Lione e Zurigo, Cappuccini nel Sud della Francia. Inoltre Bonomelli coinvolge laici ed ecclesiastici nello studio dell’emigrazione, mentre compie egli stesso numerose ricognizioni sul campo60. La sua iniziativa allarga quindi ulteriormente il campo dei cattolici disposti a intervenire per aiutare e irreggimentare l’emigrazione, ma, proprio per questo, innervosisce la Santa Sede.

La reazione delle Chiese nazionali

I dubbi vaticani aumentano agli inizi del Novecento assieme alle proteste delle gerarchie cattoliche nei paesi di immigrazione61. Oltre tutto, queste ultime trovano disdicevole che gli italiani siano poco interessati oppure decisamente contrari ai diritti del pontefice. Iniziano perciò, soprattutto nell’area anglofona, a considerare controproducente la diaspora italiana62. Di conseguenza cadono nel vuoto gli inviti di Propaganda fide a preoccuparsi della fede del nuovo arrivato, piuttosto che della sua americanizzazione63.

Una minoranza di vescovi, in Europa come negli Stati Uniti, cerca invece l’aiuto di ordini e istituti religiosi italiani. Tuttavia questo secondo partito è sfavorevolmente colpito dell’inesperienza di quei missionari italiani, che offendono la suscettibilità dei protestanti e degli altri cattolici e spendono troppo o comunque male per acquistare, affittare e gestire i locali di culto. I vescovi d’oltreoceano non comprendono inoltre perché i preti settentrionali siano incapaci di curare i loro parrocchiani meridionali. Infine sono sorpresi perché, qualsiasi cosa si faccia, gli immigrati non sembrano disposti a frequentare la messa64. Sfugge loro che la maggior parte di questi ultimi vuole rientrare il più rapidamente possibile e quindi cerca di risparmiare al massimo durante il soggiorno all’estero, anche se questo si protrae per anni. Pur se cattolici, non s’impegnano nelle Chiese locali, perché queste domandano contributi finanziari. Per di più non vogliono acquistare un vestito da indossare durante le funzioni religiose e preferiscono incassare gli straordinari per il lavoro domenicale65. Infine molti ordinari diocesani segnalano che gli italiani non sono a loro agio nelle parrocchie australiane, canadesi e statunitensi tagliate sul modello irlandese. Non comprendono quelle ritualità e sociabilità e se ne sentono rifiutati, allontanandosi quindi dalla Chiesa66.

Nel caso del Sud America, ulteriori elementi contribuiscono a rendere difficile il rapporto tra italiani e diocesi locali. In primo luogo, il clero sudamericano, in particolare quello argentino, ha una funzione politica, che non vuole vedere oscurata da sacerdoti e fedeli stranieri67. Inoltre i vescovi, come del resto tutto il personale politico-amministrativo locale, non gradiscono la volontà italiana di avere proprie scuole, cattoliche o laiche che siano68. Ne conseguono la scarsa eco latino-americana delle richieste di Leone XIII e le continue lamentele degli immigrati69. Le situazione è per altro complicata (e quindi ancor più indigesta ai vescovi locali) dai contrasti fra le associazioni cattoliche e quelle organizzate dalle autorità consolari italiane oppure dai maggiorenti delle comunità, in genere di appartenenza massonica70.

Nella maggior parte dei paesi europei la congiuntura non è migliore. In Francia e in Belgio i vescovi si preoccupano poco degli immigrati, tanto più degli italiani. Questi sono alla fine sostenuti dall’Italia, soprattutto grazie all’Opera bonomelliana71. Le cose vanno meglio nei paesi di lingua tedesca, in particolare in Germania, dove monsignor Lorenz Werthmann della diocesi di Friburgo in Brisgovia fa in modo che la Caritasverband operi di conserva con Bonomelli, e in Svizzera, dove sono chiamati i Salesiani72. In entrambi i casi le difficoltà sono comunque molte e pochi vescovi si mostrano ben disposti.

La Santa Sede prende il controllo

In questo clima Pietro Pisani, docente al seminario di Vercelli, visita anno dopo anno le missioni europee e nordamericane. Ogni viaggio si traduce in conferenze e pubblicazioni, mentre il sacerdote piemontese collabora fattivamente all’Opera bonomelliana. La sua attività lo spinge verso la Curia vaticana, nonostante i non troppo velati rimproveri del vescovo di Cremona. Nel frattempo Pisani contribuisce alla fondazione dell’Italica Gens (1909), federazione di congregazioni religiose e associazioni laiche che si interessano degli emigrati italiani in America73.

Immediatamente prima della Grande guerra l’assistenza a questi ultimi ha ormai dimensioni ragguagliabili. Negli Stati Uniti 223 regolari e 487 secolari reggono 590 cappelle e parrocchie italiane, alle quali sono collegate scuole, ospedali, enti di assistenza e associazioni locali. In Argentina sono all’opera Gesuiti, Francescani, Barnabiti, Giuseppini, coadiuvati dalle religiose di cui si è detto prima, e le istituzioni di don Orione. In Brasile Gesuiti e Cappuccini progressivamente lasciano il campo a Salesiani, Scalabriniani, Pallottini, Camaldolesi, Giuseppini di Murialdo, Passionisti e agli istituti femminili già ricordati.

L’espansione oltreatlantico non è eguagliata in Europa. Comunque il Vaticano decide che anche qui è necessario maggiore coordinamento. Il pontificato di Pio X è d’altronde contraddistinto dal massiccio riordinamento ecclesiale, che nel 1908 coinvolge la stessa Curia. Antiche terre di missione, come il Canada e gli Stati Uniti, sono promosse a Chiese nazionali, tolte alla supervisione di Propaganda fide e passate alla Concistoriale, mentre cresce il peso burocratico della Segreteria di Stato. Proprio quest’ultima raccoglie dal 1908 dati sui flussi migratori e la loro assistenza74; inoltre nel 1911 rammenta a tutti i vescovi che devono proteggere i fedeli in partenza75. La Concistoriale a sua volta prevede domande specifiche nei questionari riempiti in occasione della visita ad limina76. Inoltre insiste per la costituzione in ogni diocesi di un patronato per i migranti, che tuteli questi ultimi e fornisca informazioni alla Santa Sede.

Per coordinare la futura rete dei patronati Pio X inaugura nel 1912 il primo ufficio della Curia romana per l’emigrazione, una sezione speciale della Concistoriale, cui è chiamato Pisani con il compito di studiare un piano serio ed efficace di assistenza77. Tale ufficio ha competenza sull’orbe cattolico e risponde al suggerimento di Scalabrini di badare a tutti i migranti, smussando i conflitti tra loro e con le diocesi di accoglienza78. La Grande guerra arresta questo processo di centralizzazione; tuttavia l’esperienza degli anni 1870-1914 getta le fondamenta di quanto è costruito in seguito.

Tra le due guerre

Le inchieste della Concistoriale e della Segreteria di Stato prima del conflitto evidenziano che bisogna seguire gli italiani, visto che essi costituiscono il più importante gruppo migrante. Nel 1914 è dunque decisa la fondazione a Roma del Pontificio collegio per l’emigrazione italiana, che dovrebbe formare il clero diocesano per seguire gli italiani in tutto il mondo. A causa della guerra l’apertura effettiva è, però, rimandata al 192079. Nel frattempo i dicasteri romani migliorano i rapporti con l’Opera Bonomelli, ma anche quest’ultima entra in crisi per le difficoltà belliche.

Nell’immediato dopoguerra un contributo vaticano rilancia l’attività dei missionari bonomelliani, ma questi entrano in una crisi di leadership quando Ferdinando Rodolfi, il loro responsabile, chiede di tornare a guidare la diocesi di Vicenza. Le dimissioni sono accettate e si decide di designare un vescovo senza compiti territoriali, che si occupi soltanto di emigrazione. Nell’ottobre del 1920 Michele Cerrati diventa quindi il primo prelato per l’emigrazione italiana e a lui è sottoposto anche il succitato Pontificio Collegio80. Questa riorganizzazione è, però, bloccata dall’ascesa del fascismo: le iniziative più originali della Santa Sede sono infatti limitate dalla volontà del regime di gestire in prima persona l’orizzonte migratorio.

Il riposizionamento della rete missionaria

Negli anni 1920 le strutture volute da Pio X e l’impegno dei religiosi e delle religiose italiane all’estero garantiscono una buona rete di assistenza; però, la mutata situazione politica, interna e internazionale, richiede nuovi aggiustamenti. Il grosso degli sforzi d’anteguerra era mirato alle Americhe, ma queste chiudono le porte agli emigranti, che ripiegano sull’Europa, soprattutto sulla Francia81. Alcuni istituti (i Salesiani, per esempio) hanno già personale sul posto, ma lo devono aumentare; altri devono spostarsi dal Nuovo al Vecchio Mondo, senza tuttavia abbandonare il primo82. Inoltre la crescente diaspora europea è nutrita di umori antifascisti e richiede un certo tatto nei rapporti con comunità pronte a bollare i missionari come agenti del regime83.

Concorrenza e collaborazione con la diplomazia fascista

L’Opera bonomelliana cerca di pilotare questo cambio di direzione, ma entra in conflitto con le autorità fasciste, che ne ottengono la chiusura nel 192884. La Curia non può infatti resistere alle pressioni senza compromettere le trattative per i Patti Lateranensi. Inoltre una parte della gerarchia ecclesiastica è comunque favorevole al nuovo governo, mentre tra il clero missionario c’è chi ne esalta incondizionatamente i meriti, in particolare negli Stati Uniti e nel Canada85. La Concistoriale crea allora una direzione dei missionari per gli emigrati in Europa e l’affida a Costantino Babini86. Questi opera fuori d’Italia e cerca di mantenersi defilato rispetto al governo fascista, ma non vi riesce perché l’attività dei missionari fa troppo spesso concorrenza a quella consolare. Stavolta, però, la Concistoriale difende il suo rappresentante e Piero Parini, capo della Direzione generale degli italiani all’estero, deve rinunciare a chiederne le dimissioni87.

Durante il ventennio, il prelato per l’emigrazione funziona a scartamento ridotto: dal 1929 al 1931 l’ufficio è addirittura vacante. Comunque la situazione in Europa non è pessima, pur se persiste la divisione tra le parrocchie o le missioni italiane e le diocesi locali. Negli anni Trenta poi gli scontri fra autorità consolari, fasci all’estero e missionari peggiorano la situazione e spingono i vescovi dei paesi d’immigrazione a tenersi lontani da beghe che possono rivelarsi pericolose. Allo stesso tempo nelle aree di lingua tedesca la presenza italiana diminuisce vertiginosamente e, quando aumenta nuovamente con l’emigrazione pilotata di fine decennio, è integralmente affidata a sacerdoti provenienti dall’Italia88.

Nel frattempo nascono problemi con le missioni oltreoceano, cui non sono inviati rinforzi. I missionari ormai invecchiati sono profondamente divisi e una parte favorisce pesantemente la fascistizzazione delle comunità italiane89. Per evitare le tensioni i Salesiani, presto imitati da altri istituti, diminuiscono gli impegni, nonostante i richiami delle autorità consolari90. Nuovi problemi nascono dalla drastica diminuzione della presenza italiana e dall’emergere di nuove generazioni nate sul posto. Nel subcontinente meridionale si afferma un clero oriundo in grado di officiare in spagnolo o in portoghese, oltre che in italiano: nelle parrocchie inizialmente per gli italiani possono dunque entrare anche altri fedeli. In quello settentrionale le missioni scalabriniane, gesuite, salesiane e servite proseguono a curare soprattutto i propri connazionali91. Però, nel Nord come nel Sud delle Americhe, sono le congregazioni femminili a sostenere l’opera di assistenza, gestendo con il beneplacito dei vescovi, scuole, orfanatrofi e ospedali, non più limitati ai soli italiani.

La risposta delle Chiese locali

In questa situazione il sostegno finanziario di molte iniziative ricade sulle Chiese locali, per esempio negli Stati Uniti se ne deve occupare la National Catholic Welfare Conference. Tuttavia le istituzioni locali hanno ancora molte riserve verso gli italiani. In particolare, dopo la guerra d’Etiopia, se ne teme la possibile funzione di quinta colonna fascista e si schedano sacerdoti compromessi con il regime. Il clero emigrato e le stesse diocesi, nelle quali questo lavora, sono paralizzati davanti all’ondata repressiva che segue l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940: alcuni sacerdoti sono rinchiusi nei campi di prigionia assieme ai loro fedeli e quelli che non vengono reclusi sono incapaci di assistere il proprio gregge92. Ne consegue uno sbandamento che si protrae nel primissimo dopoguerra, quando i sospetti contro i fascisti non sono completamente dissipati, pur nelle more degli albori della guerra fredda. I maggiorenti e molti membri delle comunità all’estero cercano di far risaltare la propria integrazione nella società locale e la propria fedeltà ai suoi valori. Iniziano dunque a rifuggire ogni possibilità di evidenziare la propria diversità e frequentano le parrocchie territoriali, disdegnando quelle più specificamente per gli immigrati.

Il secondo dopoguerra

Le vicende belliche sottopongono l’assistenza pontificia agli emigranti a un nuovo arresto, complicato, a fine conflitto, della posizione dei rifugiati in tutto il continente europeo. Nel 1944 Pio XII istituisce la Pontificia commissione assistenza profughi (in seguito Pontificia commissione assistenza e infine Pontificia opera assistenza) e la affida a monsignor Fernando Baldelli. Questi ha collaborato con l’Opera bonomelliana e nel 1920 è stato incaricato dall’Italica Gens delle pratiche di espatrio verso le Americhe. Si è poi occupato poi di migrazioni interne, promuovendo il Comitato romano pro emigranti (1922) sotto il patrocinio della Concistoriale. Baldelli organizza tra il 1945 e il 1948 il soccorso a quasi mezzo milione di profughi italiani e stranieri dispersi nella penisola e ne promuove la partenza verso altri paesi europei o transoceanici. È l’avvio di nuovi grandi flussi migratori e permette il rilancio della rete di assistenza cattolica, ora sostenuta finanziariamente dalla statunitense National Catholic Welfare Conference.

La riorganizzazione

Subito dopo la guerra la Pontificia commissione e i principali dicasteri vaticani (la stessa Segreteria di Stato crea un ufficio apposito nel 1947) si occupano del movimento di migranti e rifugiati di tutto il mondo, senza privilegiare alcun gruppo specifico. Lentamente, però, i funzionari vaticani tornano a guardare soprattutto ai propri connazionali e a ristrutturarne l’assistenza93. Nel 1949 il Pontificio collegio per l’emigrazione è dunque riaperto e affidato agli Scalabriniani. Nel 1951 è fondata a Roma la Giunta cattolica per l’emigrazione, che deve sensibilizzare il governo italiano e coordinare gli interventi assistenziali all’estero. Per seguire i flussi mondiali è invece fondata a Ginevra, sempre nello stesso anno, la Commissione cattolica internazionale per le migrazioni.

Nel 1952 la Costituzione apostolica Exsul Familia stabilisce le nuove norme relative all’assistenza spirituale degli emigranti e conferma che questa compete alla Concistoriale. Sul piano degli strumenti pastorali, il documento pontificio ribadisce l’opportunità delle parrocchie nazionali e personali, con competenza sui fedeli di una determinata nazionalità e affidate ai sacerdoti della stessa lingua e origine. Sottolinea quindi il diritto naturale a emigrare, suggerisce lo scambio tra clero delle diverse parti del mondo per venire incontro ai migranti e dichiara che la Chiesa è responsabile del soccorso a questi ultimi. Infine ricorda come l’emigrante non sia obbligato a integrarsi immediatamente nella società d’accoglienza, ma abbia diritto a una propria autonomia culturale.

Pio XII ha già accennato sul finire della guerra a quest’ultimo tema, che ripropone preoccupazioni analoghe a quelle di fine Ottocento, quando la paura della propaganda socialista aveva scalzato il timore di quella protestante. Negli anni Cinquanta siamo in piena guerra fredda e l’impegno anticomunista tra i migranti è fondamentale: si pensi al resettlement in Occidente dei profughi d’oltrecortina, oppure, caso estremo, all’inserimento oltreoceano di criminali di guerra o comunque di ex repubblichini, ex ustasha ed ex nazisti94. L’anticomunismo non è tuttavia l’unica molla della protezione a chi emigra. Il mondo cattolico sta riscoprendo l’impegno sociale e i missionari usciti dal Pontificio collegio si muovono in sintonia con le nuove esperienze, tanto che spesso non accettano i dettami geopolitici cari alla Santa Sede. Si crea così una spaccatura tra ‘vecchi’ e ‘nuovi’ missionari, perché una parte di questi ultimi collabora con movimenti e sindacati di sinistra, mentre i primi sono più timorosi e in alcuni casi, appartenendo al gruppo formatosi durante il fascismo, sono sensibili alle parole d’ordine più conservatrici.

Tuttavia il gruppo più anziano non scompare, basti qui ricordare la straordinaria carriera di Pisani. Questi è diventato nunzio e ha stretto vigorosi rapporti con il partito fascista, tanto da compromettere la possibilità di un cappello cardinalizio. Tuttavia le sue entrature hanno protetto l’Associazione nazionale per soccorrere i missionari. Alla caduta del regime ne ha assunto la presidenza e ha garantito per essa di fronte alle nuove autorità. Nel 1945 il Ministero degli Affari Esteri concede all’associazione il contributo statale, previsto dal 1922, e negli anni seguenti la protegge contro ogni richiesta di indagini per i suoi legami con il fascismo95. Pisani è il nume tutelare di questa operazione e continua a lavorare in campo migratorio sino al 1960, traghettando nel secondo Novecento iniziative nate fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo96.

Le nuove direttive pontificie

Nel complesso il magistero di Pio XII, come poi quello di Giovanni XXIII e Paolo VI, porta non soltanto a forti tensioni nel mondo missionario, ma a un maggior rispetto dell’identità migrante97. La trasformazione è avvertibile soprattutto negli anni Sessanta, grazie al clima del concilio Vaticano II, ed è ratificata da Paolo VI98. Questi approfondisce le problematiche migratorie, pur se concernono sempre meno la popolazione italiana, tanto che nel 1973 è chiuso il Pontificio collegio. In particolare il motu proprio Pastoralis Migratorum Cura (1969) analizza la nuova mobilità e i processi di integrazione, insistendo sui diritti della persona umana. L’emigrazione è vista come un fenomeno complesso, nel quale al diritto di emigrare deve corrispondere il dovere di collaborare allo sviluppo del paese di insediamento99. Sulla linea di Paolo VI si muove anche Giovanni Paolo II, che, però, si occupa soltanto dei flussi non italiani100.

Nel frattempo le strutture curiali si sono evolute. La Concistoriale diviene nel 1967 la Congregazione dei vescovi e al suo interno è creata nel 1970 la Pontificia commissione per la cura spirituale dei migranti e degli itineranti, che si trasforma in organismo autonomo nel 1988. Si conclude così un percorso secolare che ha visto progressivamente aumentare la preoccupazione vaticana per l’emigrazione.

Associazionismo e stampa

Le scelte missionarie nel contesto della guerra fredda e della questione sociale s’inseriscono in un quadro più vasto che vede, soprattutto in Europa, intervenire sul fronte cattolico anche partiti (la Dc), sindacati (Cisl) e associazioni (Acli). Ne deriva una complessa dialettica che lega i luoghi di emigrazione alla madrepatria, dove d’altronde buona parte degli emigranti vuole e riesce a tornare stabilmente. In attesa di specifici studi le linee portanti di questo incontro sono documentate dalla stampa cattolica per gli emigranti101.

Quest’ultima nasce nella Seconda metà dell’Ottocento, soprattutto in Svizzera, e si rafforza nel primo Novecento, ancora in Svizzera, ma anche in Germania e Francia. Conosce, però, un vero boom soltanto dopo la Seconda guerra mondiale, quando in numerosi paesi assicura l’unica offerta d’informazioni in lingua italiana102. Nel 1946 il nunzio in Belgio propone di lanciare un mensile e un settimanale per gli italiani e all’iniziativa rispondono gli Scalabriniani, sotto la guida di Giacomo Sartori, e il patronato Acli. È l’inizio di una ricca messe giornalistica, sostenuta dalla verve di Sartori e dei suoi confratelli103. A partire dalla fine degli anni Quaranta appaiono infatti altre testate in Olanda, Lussemburgo, Germania, Francia e Gran Bretagna.

Nel 1974 alcune pubblicazioni dell’area francofona si fondono nel bimestrale «Nuovi orizzonti emigrazione», che dopo altri venti anni e ulteriori accorpamenti, diviene «Nuovi orizzonti europa», attualmente distribuito in meno di 10.000 copie, ma consultabile sul web104. Nell’area di lingua tedesca il trimestrale bilingue «Insieme/Gemeinsam» raggiunge invece le 13.500 copie ed è anch’esso disponibile in linea105. Da notare che molte missioni hanno prodotto nel tempo loro bollettini, talvolta confluiti in imprese maggiori come lo svizzero «Corriere degli italiani», fondato nel 1962. Inoltre non si può dimenticare la stampa per l’emigrazione, inviata direttamente dall’Italia, per esempio l’edizione per l’estero del «Messaggero di Sant’Antonio», consultabile anche sul web e irradiata da quaranta emittenti in Europa, Americhe ed Oceania106.

La storia della stampa cattolica, come in genere tutta quella della stampa italiana per l’emigrazione, è spesso intessuta di fallimenti e rapide decadenze. Tuttavia ci permette di consultare non soltanto le opinioni dei missionari − rilevandone le caute, ma sempre più decise aperture, in concomitanza sino al 1992 delle svolte di Cisl e Acli − ma anche quelle dei lettori. Questi ultimi infatti contribuiscono alla vita di quelle pubblicazioni con lettere e interventi, grazie ai quali conosciamo meglio la quotidianità dell’emigrazione contemporanea.

La risposta locale

La gerarchia locale è abbastanza lenta nel recepire le indicazioni vaticane e assai sorda alle richieste degli immigrati. I nuovi flussi, non soltanto di italiani, la colgono di sorpresa in tutti i continenti, mentre molti vescovi cercano di non stravolgere le proprie diocesi. In Australia, per esempio, resistono all’invito di Pio XII e tentano di evitare la costituzione di parrocchie nazionali, entrando in conflitto con i fedeli e con il clero missionario. Il concilio Vaticano II e il motu proprio di Paolo VI favoriscono infine questa impostazione e i vescovi australiani accettano l’apporto della Chiesa migrante, ma le tensioni non sono ancora oggi del tutto appianate e proseguono a stimolare un dibattito intenso e a volte acre107.

Anche in Europa il cammino è difficile: negli anni Cinquanta e Sessanta le missioni tra gli italiani in Francia, Belgio e Germania incontrano di sovente l’aperta ostilità di vescovi e parroci108. I missionari italiani sono accusati di travalicare i loro compiti e di far concorrenza alle parrocchie territoriali, inoltre sono biasimati per le aperture politiche e interconfessionali. Almeno sul piano della pastorale, le gerarchie cattoliche europee non gradiscono gli inviti dei pontefici e non appena il numero degli italiani accenna a calare negli anni Settanta cercano di eliminare le missioni109.

Alcune obiezioni degli ordinari diocesani all’attività del clero per i migranti si basano sul fatto che molte missioni non raggiungono tutti coloro che si dichiarano cattolici, perché di fatto non ne condividono le priorità110. Tuttavia da parte missionaria viene compiuto un enorme sforzo e nello scorcio finale del secolo si afferma una nuova spinta che fa del rapporto con il migrante il centro della riflessione pastorale e teologica111. In questo contesto e in presenza di comunità ben strutturate non soltanto le parrocchie per gli italiani in Europa rivelano una buona durata, ma spesso danno vita a centri di studio e di riflessione sull’esperienza del gruppo, soprattutto dove operano gli Scalabriniani.

Nelle Americhe la situazione è differente112. La ripresa dell’emigrazione verso il Sud rafforza la presenza italiana; però, le condizioni economiche e politiche del continente rendono difficile lo sviluppo di parrocchie etniche, tanto più che le comunità locali sono divise non soltanto dal contrasto tra vecchia e nuova emigrazione, ma anche da quello tra presenze di contrapposta valenza politica. Dal primo dopoguerra a tutti gli anni Settanta, alcuni paesi latinoamericani divengono infatti un porto sicuro per fascisti, neofascisti e terroristi d’estrema destra, mentre altri emigrati italiani, anche cattolici, partecipano ai movimenti di sinistra. Nel Nord la situazione è ovviamente di gran lunga migliore e la nuova immigrazione, per quanto assai meno numerosa, trova sostegno nelle parrocchie italiane delle maggiori città e sfrutta il lento affermarsi di italo-canadesi e italo-statunitensi. Nel frattempo, però, i discendenti degli immigrati adottano l’inglese (o il francese nel Québec) e parte del clero italiano è riciclata per assistere le nuove immigrazioni ispanofone.

Il decrescere dei flussi

Dopo il 1975 i flussi in partenza dalla penisola diminuiscono, mentre crescono quelli in arrivo. Tuttavia l’Italia resta sempre un paese d’emigrazione come attestano gli oltre 3 milioni di cittadini italiani attualmente residenti all’estero. Inoltre nello scorso e in questo secolo bisogna considerare l’importanza degli enormi movimenti interni. In questo contesto si è posto e si pone ancora il problema dell’assistenza agli immigrati: soprattutto meridionali nel settentrione italiano e italiani nel vecchio continente. Per quanto riguarda i secondi, alla metà degli anni Novanta sono serviti da 262 missioni, presso le quali operano 300 sacerdoti, per oltre la metà regolari. Tra questi circa un terzo è composto da Scalabriniani, seguiti da lontano da Salesiani, Frati minori, Dehoniani e Cappuccini. I missionari risultano coadiuvati in Europa da 236 religiose, mentre non si hanno cifre per queste ultime negli altri continenti, dove nel 1995 sono presenti 636 sacerdoti italiani, 519 dei quali nelle sole Americhe113. Dieci anni dopo sono attivi 431 centri fra parrocchie e missioni, nei quali operano 543 sacerdoti aiutati da 166 suore e 51 operatori laici. Questa forza è ripartita quasi alla pari fra Vecchio e Nuovo Mondo con una minoranza non infima in Oceania e scarsissimi avamposti in Africa e Asia114.

Identità e religiosità immigrata

La maggior disponibilità di fonti (lettere ai giornali, memorie di sacerdoti e di immigrati, interviste) ha permesso in questi ultimi decenni di affrontare un dato più volte menzionato nei paragrafi precedenti, ma mai del tutto approfondito: le richieste degli immigrati. Per gran parte della storia moderna e contemporanea delle migrazioni questi costituiscono il vero convitato di pietra, del quale si può solo talvolta indovinare cosa voglia. Un romanzo di Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, frutto di memorie familiari e di ricerche d’archivio, già confluite in un precedente saggio, dedica decine di pagine alla religiosità degli emigranti veneto-romagnoli nella pianura pontina115. L’ipotesi dell’autore è che essa sia stata sostanzialmente ‘inventata’ sul posto dagli emigranti stessi, nella spasmodica ricerca di un elemento di coesione comunitaria, e che soltanto una volta in funzione abbia portato alla richiesta di sacerdoti provenienti dalle regioni di origine. In un secondo tempo poi proprio quelle parrocchie separate dalle altre del Lazio avrebbero facilitato l’inserzione degli abitanti dei nuovi insediamenti.

Qualcosa di simile è stato suggerito anche dagli studiosi dell’emigrazione verso gli Stati Uniti e la Francia e in interventi di sintesi su identità migranti e religione116. Tuttavia molti vescovi locali non hanno mai approvato queste forme di cattolicesimo immigrato e hanno insistito sui loro effetti esiziali o ridicoli117. Per esempio, agli inizi del Novecento John Farley, arcivescovo di New York, era assai sarcastico riguardo alla processione della Vergine del Carmelo, che riteneva un banale stratagemma per attrarre gli italiani118.

Negli ultimi anni si è approfondito al proposito il discorso sulla religiosità ‘popolare’ degli emigrati, soprattutto di quelli meridionali, e sul valore identitario delle celebrazioni di santi e della Vergine, un fenomeno che dal secondo Ottocento si protrae sino ai giorni nostri119. Non vi è, però, unanimità fra gli studiosi: se alcuni insistono sulla solidità della fede popolare, altri ne ricordano la vicinanza alla superstizione120. Nel frattempo lo studio di altri gruppi cattolici, per esempio i messicani negli Stati Uniti121, ha favorito un approccio più analitico, che cerca di tener conto anche dei pregiudizi degli stessi studiosi122. Si è quindi tornati a ragionare sulle parrocchie come luogo di integrazione e di sociabilità e a riflettere sulle dinamiche fra parrocchiani e clero, ammettendo che l’argomento necessita comunque di ulteriori approfondimenti123. Infine si è insistito che identità originarie, identità migranti, identità immigrate, identità locali e identità religiose sono tutti fattori in continua mutazione che devono essere interrogati con estrema cautela, ma anche con grande apertura mentale124.

Note

1 E. Franzina, La storia altrove. Casi nazionali e casi regionali nelle moderne migrazioni di massa, Verona 1998; Id., Lealtà nazionale e caratteri regionali nell’immigrazione italiana all’estero, Viterbo 2006; Id., M. Sanfilippo, Garibaldi, i Garibaldi, i garibaldini e l’emigrazione, «Archivio storico dell’emigrazione italiana», 4, 2008, 1, pp. 23-52.

2 R.F. Harney, Undoing the Risorgimento: Emigrants from Italy and the Politics of Regionalism, in Italia/Canada/Ricerca, II, Studi canadesi, a cura di M. Sanfilippo, Ottawa-Roma 1991, pp. 49-74; M. Colucci, M. Sanfilippo, Guida allo studio dell’emigrazione italiana, capp. I-II, Viterbo 2010.

3 G. Audisio, Une grande migration alpine en Provence (1460-1960), «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 87, 1989, pp. 65-139, 511-559; L’emigrazione confessionale dei lucchesi in Europa, a cura di S. Adorni-Braccesi, C. Sodini, Firenze 1999; C. Vangelista, M. Reginato, L’emigrazione valdese, in St.It.Annali, XXIV, Migrazioni, a cura di P. Corti, M. Sanfilippo, 2009, pp. 161-182.

4 G. Pizzorusso, Le migrazioni degli italiani all’interno della Penisola e in Europa in età moderna, in Movilidad y migraciones internas en la Europa latina, a cura di A. Eiras Roel, D.L. Gonzales Lopo, Santiago de Compostela 2002, pp. 55-85; Id., Mobilità e flussi migratori prima dell’Età moderna: una lunga introduzione, «Archivio storico dell’emigrazione italiana», 3, 2007, pp. 205-222; Id., Migrazioni di lavoro: la penisola italiana in età moderna, in Migrazioni, cit., pp. 41-54.

5 P. Racine, Les marchands italiens dans le royaume de France (XII-XVI siècles), in Spazio urbano e organizzazione economica nell’Europa medievale, a cura di A. Grohman, Napoli 1994, pp. 99-126.

6 M. Rivero Rodríguez, La preeminencia del Consejo de Italia y el sentimento de la nación italiana, in La Monarquía de las naciones. Patria, nación y naturaleza en la Monarquía de Espaňa, a cura di A. Álvarez-Ossorio Alvariňo, B.J. García García, Madrid 2004, pp. 506-527; L. Fernández Martín, La colonia italiana de Valladolid, corte de Felipe III, «Investigaciones históricas», 9, 1989, pp. 163-195.

7 D. De Meyer, Patria est ubicumque est bene: les architectes italiens à Prague au XVIIe et au début du XVIIIe siècle, in Les étrangers dans la ville. Minorités et espace urbain du Bas Moyen Age à l’époque moderne, éd. par J. Bottin, D. Calabi, Paris 1999, pp. 317-357.

8 R. Mazzei, Convivenza religiosa e mercatura nell’Europa del Cinquecento. Il caso degli italiani a Norimberga, in La formazione storica dell’alterità. Studi di storia della tolleranza nell’età moderna offerti a Antonio Rotondò, a cura di H. Méchoulan, R.H. Popkin, G. Ricuperati, et al., I, Secolo XVI, Firenze 2001, pp. 395-428; G. Pizzorusso, M. Sanfilippo, Prime approssimazioni per lo studio dell’emigrazione italiana nell’Europa centro-orientale, sec. XVI-XVII, in La cultura latina, italiana, francese nell’Europa centro-orientale, a cura di G. Platania, Viterbo 2004, pp. 259-297.

9 G. Bruno, La cena de le ceneri, a cura di G. Aquilecchia, Torino 1955; S. Ricci, Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, Roma 2000.

10 J. Wormald, Mary Queen of Scots: Politics, Passion and a Kingdom Lost, London 2000.

11 D. Foucault, Un philosophe libertin dans l’Europe baroque: Giulio Cesare Vanini (1585-1619), Paris 2003; F.P. Raimondi, Giulio Cesare Vanini nell’Europa del Seicento, Pisa-Roma 2005.

12 D. Abulafia, Cittadino e denizen: mercanti mediterranei a Southampton e a Londra, in Sistema di rapporti ed élites economiche in Europa, a cura di M. Del Treppo, Napoli 1994, pp. 273-292.

13 E. Belligni, Auctoritas e potestas. Marcantonio De Dominis fra l’inquisizione e Giacomo I, Milano 2003.

14 E.W. Monter, The Italians in Geneva, 1550-1600, in Genève et l’Italie, éd. par L. Monnier, Genève 1969, pp. 53-77.

15 D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania (1558-1611), Firenze 1970 (nuova ed., Firenze 1999); Pier Paolo Vergerio il Giovane, un polemista attraverso l’Europa del Cinquecento, a cura di U. Rozzo, Udine 2000.

16 Relazione di A. Cordoino (Biblioteca Apostolica Vaticana, Urbaniani Latini, vol. 1700, ff. 1-109, in partic. ff. 104-108). Vedi inoltre M.-C. Pitassi, La chiesa italiana di Ginevra tra la fine del 600 e il 700: qualche pista di ricerca, in Il protestantesimo di lingua italiana nella Svizzera, a cura di E. Campi, G. La Torre, Torino 2000, pp. 99-105.

17 M. Sanfilippo, Le origini dell’emigrazione italiana in Germania, «Il Veltro», 49, 4-6, 2005, pp. 337-347.

18 Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, S. Uffizio, Stanza Storica, M4-C, De Haereticis, f. 33.

19 Ibidem, f. 59.

20 G. Pizzorusso, M. Sanfilippo, Dagli indiani agli emigranti. L’attenzione della Chiesa romana al Nuovo Mondo, 1492-1908, Viterbo 2005.

21 F. Devoto, Catolicismo y anticlericalismo en un barrio italiano de Buenos Aires (La Boca) en la segunda mitad del siglo XIX, «Estudios migratorios latinoamericanos», 14, 1990, pp. 183-209.

22 Archivio Segreto Vaticano (d’ora in poi ASV), Segr. Stato, 1837-1841, busta 453, fasc. 1, e 1847, rubr. 7, fasc. 1; ibidem, Nunz. Brasile, fasc. 110.

23 ASV, Segr. Stato, 1846 e 1847, rubr. 7; ibidem, Spogli cardinali, Bedini, busta 4, fasc. H; ibidem, Nunz. Brasile, fasc. 97; ibidem, Archivio part. Pio IX, fasc. 24.

24 ASV, Spogli cardinali, Bedini, busta 3, fasc. E.

25 ASV, Segr. Stato, 1854, rubr. 251, fascc. 1-2.

26 Archivio Generale della Società per l’Apostolato Cattolico (Pallottini), armadio 18, cassetto 1, cartelle 14-16, e Archivio di Propaganda fide (d’ora in poi APF), Lettere, voll. 334-358, passim. Per Melia: Archivio del Vicariato di Roma, Opera della propagazione della fede, XII, 1.341.

27 L. Santini, Alessandro Gavazzi e l’emigrazione politico-religiosa in Inghilterra e negli Stati Uniti nel decennio 1849-1859, «Rassegna storica del risorgimento», 41, 1954, pp. 587-594.

28 M.S. Garroni, Archivio Generale della Società per l’Apostolato Cattolico (Pallottini), «Studi emigrazione», 124, 1996, pp. 703-705.

29 Il mito del Risorgimento nell’Italia unita, «Il Risorgimento», 57, 1-2, 1995, nr. monografico; Gli Stati Uniti e l’unità d’Italia, a cura di D. Fiorentino, M. Sanfilippo, Roma 2004.

30 Diario Autobiografico di Alessandro Gavazzi, Biblioteca dell’Archivio di Stato di Roma, ms. 504. Vedi inoltre R. Sylvain, Alessandro Gavazzi (1809-1899), clerc, garibaldien, prédicant des deux mondes, Québec 1962; G. Monsagrati, s.v. Gavazzi, Antonio (in religione Alessandro), in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, LII, Roma 1999, pp. 719-722.

31 APF, Congressi, America Centrale, 15 (1848-1851), ff. 205-208.

32 M. Sanfilippo, Tra antipapismo e cattolicesimo: gli echi della Repubblica romana e i viaggi in Nord America di Gaetano Bedini e Alessandro Gavazzi (1853-1854), in Gli Americani e la Repubblica Romana nel 1849, a cura di S. Antonelli, D. Fiorentino, G. Monsagrati, Roma 2001, pp. 159-187.

33 APF, Congressi, America Centrale, voll. 17-22, passim; ibidem, Lettere, vol. 360 (1868), f. 874rv e 1232rv-1233rv, e vol. 361 (1869), f. 670rv.

34 APF, Congressi, America Centrale, voll. 22 (1868-1869) e 24 (1872-1873), passim; ibidem, Lettere, voll. 361 (1869), f. 670rv, 362 (1869), f. 743rv, 363 (1870), ff. 59rv-60rv; 366 (1871), f. 846rv, 368 (1872), ff. 841rv, 1067rv-1068rv, 1187rv, e 369 (1873), f. 589v. Vedi inoltre: R.N. Juliani, Building Little Italy. Philadelphia’s Italians Before Mass Migration, University Park PE 1998, e Priest, Parish and People. Saving the Faith in Philadelphia’s «Little Italy», Notre Dame IN 2007.

35 M. Sanfilippo, La Breccia di Porta Pia e i rapporti tra chiesa cattolica statunitense e Santa Sede (1870-1888), in Le relazioni tra Stati Uniti e Italia nel periodo di Roma capitale, a cura di Id., D. Fiorentino, Roma 2008, pp. 63-77.

36 APF, Congressi, America Centrale, vol. 23 (1870-1871), ff. 721-802.

37 S. Tramontin, L’Opera dei Congressi e i suoi contatti con gli italiani all’estero, «Studi emigrazione», 115, 1994, pp. 545-550; M. Sanfilippo, «Masse briache di livore anticlericale»: la documentazione vaticana sul 20 settembre (1870-1922), «Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», 109, 1, 1997, pp. 139-158; D.I. Kertzer, Prisoner of the Vatican. The Popes’ Secret Plot to Capture Rome from the New Italian State, Boston, 2004 (trad. it: Prigioniero del Vaticano, Milano 2005).

38 M. Sanfilippo, L’affermazione del cattolicesimo nel Nord America. Élite, emigranti e chiesa cattolica negli Stati Uniti e in Canada, 1750-1920, Viterbo 2003; Id. La Santa Sede e l’emigrazione dall’Europa centro-orientale negli Stati Uniti tra Ottocento e Novecento, Viterbo 2010.

39 M. Sanfilippo, «Socialismus radicem fixit in dioecesi»: i socialisti e le associazioni operaie nei rapporti dei vescovi canadesi e statunitensi alla Santa Sede (1914-1922), «Estudios migratorios latinoamericanos», 44, 2000, pp. 165-186.

40 APF, Acta, vol. 257 (1887), ff. 507-517: Rapporto sull’emigrazione italiana con Sommario.

41 M. Francesconi, Giovanni Battista Scalabrini vescovo di Piacenza e degli emigrati, Roma 1985; APF, Congressi, Collegi Vari, vol. 43, fasc. 5.

42 Chiesa e mobilità umana. Documenti della Santa Sede dal 1883 al 1983, a cura di G. Tassello, L. Favero, Roma 1983.

43 La società italiana di fronte alle prime emigrazioni di massa. Il contributo di Mons. Scalabrini e dei suoi primi collaboratori alla tutela degli emigranti, a cura di A. Perotti, Brescia 1968; Id., Scalabrini e le migrazioni, I-II, Roma 2004; E.C. Stibili, What Can Be Done to Help Them? The Italian Saint Raphael Society, 1887-1923, New York 2003; L. Prencipe, Giovanni Battista Scalabrini, profeta dei migranti. Il senso di un centenario, «Studi emigrazione», 159, 2005, pp. 467-478.

44 Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, a cura di G. Rosoli, Roma 1989.

45 Memorie autobiografiche di san Giovanni Bosco, XI (1875), Torino 1930, p. 385.

46 L’Opera di Don Bosco all’estero, «Bollettino salesiano», 30, 9, settembre 1906, pp. 257-263.

47 Per le strade del mondo. Laiche e religiose fra Otto e Novecento, a cura di S. Bartoloni, Bologna 2007; Sorelle d’oltreoceano. Religiose italiane ed emigrazione negli Stati Uniti: una storia da scoprire, a cura di M.S. Garroni, Roma 2008; G. Buffono, M.A. Pozzobon, Un altro francescanesimo. Francescane missionarie da Gemona a New York tra immigrazione e servizio sociale, Milano 2009.

48 Oltre quanto alla nota precedente: A. De Farias, Clelia Merloni. Madre e maestra, Roma 1988; L. Barbieri, La congregazione delle suore missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane, «People on the Move», 75, 1997, pp. 61-70; R. Scavino, Santa Francesca Cabrini e l’emigrazione italiana in America, Savigliano 2005; G. Loparco, Missionarie tra gli emigranti, «Consacrazione e servizio», 58, 7, 2009, pp. 20-26.

49 Oltre quanto già citato, M.S. Garroni, C. Mattiello, C. Ricciardi, et al., Identità femminili e americanizzazione: l’esperienze delle suore italiane negli Stati Uniti, in Donne sante sante donne. Esperienza religiosa e storia di genere, Torino 1996, pp. 309-344.

50 S.M. Tomasi, Piety and Power. The Role of Italian Parishes in the New York Metropolitan Area, New York 1975.

51 M. Sanfilippo, L’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti negli anni 1889-1900: una prospettiva vaticana, «Giornale di storia contemporanea», 11, 2008, 2, pp. 54-68; G. Pizzorusso, M. Sanfilippo, Dagli indiani agli emigranti, cit., parte III.

52 A migrant missionary story. The autobiography of Giacomo Gambera, a cura di M. Brown, New York 1994.

53 P. D’Agostino, The Scalabrini Fathers, the Italian Emigrant Church, and Ethnic Nationalism in America, «Religion and american culture», 7, 1, 1997, pp. 121-159, e «Vi autorizzo a prendere severi provvedimenti contro di loro»: lo scioglimento dell’ordine delle Suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù a Boston, 1894-1911, in Sorelle d’oltreoceano, cit., pp. 83-109.

54 Francesconi, Giovanni Battista Scalabrini, cit.; Scalabrini e le migrazioni moderne. Scritti e carteggi, a cura di S.M. Tomasi, G. Rosoli, Torino 1997; L’ecclesiologia di Scalabrini, a cura di G. Parolin, A. Lovatin, Roma-Città del Vaticano 2007.

55 G. Pizzorusso, Religione cattolica, nazionalità, emigrazione italiana verso gli Stati Uniti in una lettera a Giovanni Battista Scalabrini del 1891, «Archivio storico dell’emigrazione italiana», 5, 1, 2009, pp. 211-215 e Tre lettere di Giovanni Battista Scalabrini sull’assistenza spirituale agli italiani negli Stati Uniti nel fondo ‘Udienze’ dell’Archivio storico della Congregazione ‘de Propaganda Fide’, ibidem, 6, 1, 2010, pp. 151-157.

56 G. Terragni, Un progetto per l’assistenza agli emigrati cattolici di ogni nazionalità. memoriale di Giovanni Battista Scalabrini alla Santa Sede, «Studi emigrazione», 159, 2005, pp. 479-503.

57 C. Bellò, La fondazione dell’Opera di assistenza agli operai italiani emigrati in Europa e nel Levante (1900), «Bollettino dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», 1, 1966, pp. 60-68; Carteggio Scalabrini-Bonomelli (1868-1905), a cura di C. Marcora, Roma 1983.

58 O. Confessore, Origini e motivazioni dell’Associazione Nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, «Bollettino dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», 11, 2, 1976, pp. 239-267; L’Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, tra spinte ‘civilizzatrici’ e interesse migratorio (1887-1908), in Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, cit., pp. 519-536; F. Lampertico, Carteggi e diari 1842-1906, I-III, a cura di E. Franzina, R. Camurri, G.L. Fontana, Venezia 1996-2004; Geremia Bonomelli e il suo tempo, a cura di G. Rosoli, Brescia 1999.

59 P. Corti, L’emigrazione temporanea in Europa, in Africa e nel Levante, in Storia dell’emigrazione italiana, I, Partenze, a cura di P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina, Roma 2001, pp. 211-233.

60 L. Trincia, Emigrazione e diaspora. Chiesa e lavoratori italiani in Svizzera e in Germania fino alla prima guerra mondiale, Roma 1997; A. Perotti, La situation des immigrés italiens dans le bassin sidérurgique du Luxembourg et de Lorrain avant 1914, «Studi emigrazione», 138, 2000, pp. 377-404.

61 Emigrazione europee e popolo brasiliano, a cura di G. Rosoli, Roma 1987; F. Baggio, La Chiesa argentina di fronte all’immigrazione italiana tra il 1870 e il 1915, Roma 2000; P.R. D’Agostino, Rome in America. Transnational Catholic Ideology from the Risorgimento to Fascism, Chapel Hill-London 2004.

62 Il cappuccino Ignazio Persico, vescovo di Savannah, annota già nel 1872 che i colleghi americani non amano gli italiani: Archivio Generale dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, H 10, cartella: America sept. Usa (saec. XIX).

63 AFF, Acta, vol. 252 (1883, pt. II), ff. 1081-1255, e vol. 254 (1885), ff. 319-414.

64 Per le due tipologie dei vescovi: Scalabrini e le migrazioni moderne, cit.

65 Si vedano i rapporti del 1914 in ASV, Congregazione Concistoriale, Relationes.

66 J. Hennessey, Italian Immigration and the Church in the United States, in Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, cit., pp. 431-442.

67 F. Baggio, La Chiesa argentina di fronte all’immigrazione italiana, cit.; R. Di Stefano, L. Zanatta, Historia de la Iglesia Argentina, Buenos Aires 2000.

68 L. Favero, Le Scuole delle Società Italiane di Mutuo Soccorso in Argentina, 1866-1914, «Studi emigrazione», 75, 1984, pp. 343-380.

69 ASV, Nunz. Argentina, 9; L. Favero, Gli scalabriniani e gli emigrati italiani nel Sud America, in Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, cit., pp. 389-410; G. Rosoli, Chiesa ed emigranti italiani in Brasile, 1880-1940, «Studi emigrazione», 66, 1982, pp. 225-252; R. Azzi, A Igreja e os migrantes, I, São Paulo 1987.

70 G. Rosoli, Le organizzazioni cattoliche degli italiani in Argentina e l’assistenza agli emigrati italiani (1875-1915), «Studi emigrazione», 75, 1984, pp. 381-408.

71 Geremia Bonomelli e il suo tempo, cit.; M. Sanfilippo, Chiesa, ordini religiosi ed emigrazione, in Storia dell’emigrazione italiana, I, Partenze, cit., pp. 127-142.

72 L. Trincia, Emigrazione e diaspora, cit., e Per la fede, per la patria. I Salesiani e l’emigrazione italiana in Svizzera fino alla prima guerra mondiale, Roma 2002.

73 G. Rosoli, L’«Italica Gens» per l’assistenza all’emigrazione italiana d’oltreoceano, 1909-1920, «Il Veltro», 1-2, 1990, pp. 87-100; S.M. Tomasi, Fede e patria: the ‘Italica Gens’ in the United States and Canada, 1908-1936. Notes for the history of an emigration association, «Studi emigrazione», 103, 1991, pp. 319-340.

74 Il materiale confluisce in un ampio dossier: ASV, Segreteria di Stato, età contemporanea, 1914, rubr. 18, fascc. 3-11.

75 AAS, 3, 1911, 13, pp. 513-515.

76 M. Sanfilippo, «Socialismus radicem fixit in dioecesi», cit., e Documents d’intérêt canadien dans les Archives Secrètes du Vatican. Le fonds ‘Sacrée Congrégation Consistoriale. Relationes’ (1900-1922), «Annali accademici canadesi», 10-11, 1994-1995, pp. 77-134.

77 AAS, 4, 1912, 15, pp. 526-527.

78 M. Francesconi, Un progetto di mons. Scalabrini per l’assistenza religiosa agli emigranti di tutte le nazionalità, «Studi emigrazione», 25-26, 1972, pp. 185-203.

79 A. Perotti, Il Pontificio Collegio per l’Emigrazione Italiana 1920-1970, Roma 1970.

80 S.M. Tomasi, L’assistenza religiosa agli italiani in USA e il Prelato per l’Emigrazione Italiana 1920-1949, «Studi emigrazione», 66, 1982, pp. 167-189.

81 P. Borruso, Missioni cattoliche ed emigrazione italiana in Europa (1922-1958), Roma 1994.

82 A. Perotti, Storia della presenza progressiva dei missionari scalabriniani in Europa, in Sulle sponde del Reno. Missione Cattolica Italiana Basilea 1903-2003, a cura di S. Guglielmi, L. Scremin, Basilea 2003, pp. 139-164; G. Rossi, Emigrazione e diffusione della lingua italiana. L’opera dei Salesiani dall’espansionismo crispino al nazionalismo fascista, in La lingua italiana nel mondo attraverso l’opera delle Congregazioni religiose, a cura di D. Saresella, Soveria Mannelli 2001, pp. 45-67.

83 Cfr. L. Peruzzi, Le mie memorie e Diario di Berlino 1944-1945, a cura di M.L. Caldognetto, Pesaro 2008.

84 Ph.V. Cannistraro, G. Rosoli, Emigrazione chiesa e fascismo. Lo scioglimento dell’Opera Bonomelli (1922-1928), Roma 1979.

85 Il fascismo e gli emigrati. La parabola dei fasci italiani all’estero (1920-1943), a cura di E. Franzina, M. Sanfilippo, Roma-Bari 2003.

86 G. Rosoli, Chiesa e propaganda fascista all’estero tra gli emigrati italiani: il card. Raffaello C. Rossi e Costantino Babini, in Id., Insieme oltre le frontiere. Momenti e figure dell’azione della Chiesa tra gli emirati italiani nei secoli XIX e XX, Caltanissetta-Roma 1996, pp. 587-624.

87 G. Sartori, I missionari degli emigrati italiani in Francia di fronte al fascismo, nel decennio 1924-1934, «Studi emigrazione», 5, 1966, pp. 164-176; R. Morozzo Della Rocca, L’emigrazione contesa: un aspetto della politica ecclesiastica del fascismo, «Storia e politica», 20, 3, 1981, pp. 556-565; G. Rosoli, Santa Sede e propaganda fascista all’estero tra i figli degli emigranti italiani, «Storia contemporanea», 18, 2, 1986, pp. 293-315; Migrazioni in Europa. La presenza pastorale e missionaria della chiesa italiana. Studi e ricerche in memoria di Mons. Costantino Babini, a cura di S. Ridolfi, E. Minardi, Faenza 1988.

88 M. Sanfilippo, Scalabriniani veneti nella Germania nazista, in Emigranti a passo romano. Operai dell’Alto Veneto e Friuli nella Germania hitleriana, a cura di M. Fincardi, Verona 2002, pp. 237-249; D. Licata, Emigrazione e fede. I cappellani dei lavoratori in Germania 1938-1945, Roma 2003.

89 P. D’Agostino, The Triad of Roman Authority: Fascism, the Vatican and Italian Religious Clergy in the Italian Emigrant Church, «Journal of American Ethnic History», 17, 3, 1998, pp. 3-37; L.G. Pennacchio, The Torrid Trinity: Toronto’s Fascists, Italian Priests and Archbishops During the Fascist Era, 1929-1930, in Catholics at the «Gathering Place»: Historical Essays on the Archdiocese of Toronto, 1841-1991, a cura di M.G. McGowan, B.P. Clark, Toronto 1993, pp. 233-253; J.F. Bertonha, Entre a cruz e o fascio littorio. A Igreja Católica Brasileira, os missionários italianos e a questão do fascismo, 1922-1943, «História e perspectiva», 16-17, 1997, pp. 29-45.

90 Archivio Salesiano Centrale (Roma), F 731, fascicolo su Toronto, camicia relativa al 1933-1934.

91 G. Rosoli, Chiesa e comunità italiane negli Stati Uniti (1880-1940), «Studium», 1, 1979, pp. 25-47, e Insieme oltre le frontiere, cit.

92 Enemy Within. Italian and Other Internees in Canada and Abroad, a cura di F. Iacovetta, R. Perin, A. Principe, Toronto 2000.

93 S. Ridolfi, L’assistenza pastorale agli italiani nel Dopoguerra, in Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2009, Roma 2009, pp. 187-202. Per aree specifiche: P. Borruso, Le organizzazioni per l’assistenza sociale e religiosa agli emigrati italiani in Germania negli anni cinquanta e sessanta, in L’emigrazione tra Italia e Germania, a cura di J. Petersen, Manduria-Bari-Roma 1993, pp. 169-184, e Missioni cattoliche ed emigrazione italiana in Francia nel secondo dopoguerra (1946-1953), «Studi emigrazione», 155, 2004, pp. 655-676; A. Negrini, Una questione di chiesa. Problemi religiosi e pastorali dell’emigrazione italiana in Germania, Roma 2001; B. Gallo, R. Chimenti, Centenario dell’opera cristiana e sociale tra i migranti in Lussemburgo 1903-2003, Bastogne 2003.

94 Per il primo caso: Naufraghi della pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d’Europa, a cura di G. Crainz, R. Pupo, S. Salvatici, Roma 2008, e S. Salvatici, Senza casa e senza paese. Profughi europei nel secondo dopoguerra, Bologna 2008. Per il secondo: F. Bertagna, M. Sanfilippo, Per una prospettiva comparata dell’emigrazione nazifascista dopo la seconda guerra mondiale, «Studi emigrazione», 155, 2004, pp. 527-553; G. Steinacher, Nazis auf der Flucht. Wie Kriegsverbrecher über Italien nach Übersee entkamen, Innsbruck-Wien-Bozen, 2008 (tred. it. La via segreta dei nazisti. Come l’Italia e il Vaticano salvarono i criminali di guerra, Milano 2010).

95 Archivio Centrale dello Stato (Roma). Ministero degli Interni, Gabinetto, Permanenti, Enti ed Associazioni, busta 265 bis, fasc. 419-E “Italica Gens. Associazione nazionale per soccorrere i missionari italiani” (documentazione relativa agli anni 1944-1951).

96 G. Pizzorusso, M. Sanfilippo, Dagli indiani agli emigranti, cit., parte III, cap. 5.

97 G. Tassello, Missioni cattoliche italiane: 1946-1986. Annotazioni storico-pastorali, «Dossier Europa Migrazioni», 11-12, 1986; Diversità nella comunione. Spunti per la storia delle Missioni Cattoliche Italiane in Svizzera (1896-2004), a cura di Id., Roma-Basel 2005. Esempi di impegno sociale sono offerti dalle opere sul Belgio di A. Seghetto, Sopravvissuti per raccontare, Roma 1995, e Le pietre della speranza, Roma 1996, dall’impegno londinese di Carmelo Di Giovanni (Un prete sul Tamigi, www.radioemiliaromagna.it/protagonisti/prete_tamigi.aspx, 2 settembre 2010) e infine dall’esperienza scalabriniana in Argentina (A. Bernasconi, A. Mercedes, De Pergamino a la Boca en veinte años: los scalabrinianos y la asistencia a inmigrantes italianos, 1940-1961, 2005, www.monografias.com/trabajos31/scalabrinianos-asistencia-inmigrantes-italianos/scalabrinianos-asistencia-inmigrantes-italianos.shtml, 2 settembre 2010).

98 Per il nuovo clima: 33a Settimana Sociale dei Cattolici, Le migrazioni interne ed internazionali nel mondo contemporaneo, Roma 1961. Si veda inoltre il nuovo impegno scalabriniano, anche per l’approfondimento culturale, testimoniato dal Centro studi emigrazione di Roma, fondato nel 1963.

99 S.M. Tomasi, Pastoral and Canonical Innovations of Pastoralis Migratorum Cura, «The Jurist», 31, 2, 1971, pp. 332-341; Per una pastorale dei migranti. Contributi in occasione del 75° della morte di mons. G.B. Scalabrini, Roma 1980.

100 A. Seghetto, Paolo VI e la migrazione, Casalvelino Scalo 1990.

101 V. Perozeni, Stampa cattolica per emigranti dopo la seconda guerra mondiale, «Archivio storico dell’emigrazione italiana», 1, 2005, pp. 57-74.

102 G. Tassello, La stampa cattolica di emigrazione in Europa, «Studi emigrazione», 175, 2009, pp. 623-642. Questo fascicolo della rivista, curato da L. Prencipe, è dedicato a La stampa di emigrazione italiana e può essere letto in parallelo a P. Sergi, Stampa migrante, Soveria Mannelli 2010.

103 G. Sartori, La Lanterna magica di Astarotte, a cura di A. Seghetto, Piacenza 2001.

105 www.insieme-gemeinsam.de/ (2 settembre 2010).

106 www.messaggerosantantonio.it/messaggero_emi/ (2 settembre 2010).

107 A. Paganoni, Valiant Struggles and Benign Neglect. Italians, Church and Religious Societies in Diaspora. The Australian Experience from 1950 to 2000, New York, 2003, e Pratica religiosa in Australia: mutamenti e implicazioni, «Studi emigrazione», 178, 2010, pp. 471 segg.

108 A. Mensa, Le ripercussioni dell’emigrazione europea sul piano religioso e morale, in L’emigrazione italiana in Europa negli anni Sessanta, a cura G. Bonicelli, Roma [1969?], pp. 201-216.

109 G. Tassello, Missioni cattoliche italiane in Europa, 1946-1986: passato e futuro. Annotazioni storico pastorali, in Continuità e novità della missione in Europa, Roma 1988, pp. 37-67.

110 Emigrazione italiana in Germania. Missioni cattoliche italiane e chiesa locale, Roma-Basilea [1970], ed Emigrazione italiana in Svizzera. Missioni cattoliche italiane e chiesa locale, Roma-Basilea [1970].

111 Migrazioni e teologia. Sviluppi recenti, a cura di G. Tassello, «Studi emigrazione», 178, 2010, nr. monografico.

112 Storia della Congregazione scalabriniana, a cura di M. Francesconi, VI, Dal 1941 al 1978, Roma 1982.

113 L. Petris, Italiani all’estero e missioni cattoliche italiane, «Servizio migranti», maggio-giugno 1996, pp. 161-164.

114 D. Locatelli, P.P. Polo, Le missioni cattoliche italiane nel mondo, in Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2006, Roma 2006, pp. 160-180; R. Iadanza, Le religiose all’estero e la cura per gli emigrati italiani, in Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2008, Roma 2008, pp. 430-438.

115 A. Pennacchi, Canale Mussolini, Milano 2010, e Fascio e martello. Viaggio per le città del duce, Roma-Bari 2008.

116 S.M. Tomasi, Piety and Power, cit.; M.E. Brown, From Italian Villages to Greenwich Village: Our Lady of Pompei, 1892-1992, New York 1992; L. Taravella, La pratique religieuse comme facteur d’intégration, in L’intégration italienne en France, a cura di A. Bechelloni, M. Dreyfus, P. Milza, Bruxelles 1995, pp. 71-84; L. Prencipe, Identità religiose e migrazioni, in Migrazioni, cit., pp. 691-708.

117 In genere si è studiato soprattutto il caso statunitense: dove la religiosità ‘italiana’ risulta sovente sgradita ai vescovi locali: R. Vecoli, Prelates and Peasants: Italian Immigrants and the Catholic Church, «Journal of Social History», 2, 1969, pp. 217-269, e Cult and Occult in Italian-American Culture. The Persistence of a Religious Heritage, in Immigrants and Religion in Urban America, a cura di R.M. Miller, Th.D. Marzik, Philadelphia 1977, pp. 25-47.

118 Archivio Generale della Società per l’Apostolato Cattolico (Pallottini), armadio 18, cassetto 2, raccoglitore New York, fasc. 3.

119 Sono stati in particolare analizzati gli esempi di Londra e New York: G. Parolin, La processione della Madonna del Carmine e la Sagra italiana di Londra, «Studi emigrazione», 129, 1998, pp. 99-125; R.A. Orsi, The Madonna of the 115th Street. Faith and Community in Italian Harlem, 1880-1950, New Haven 1985; The Saints in the Lives of Italian-Americans. An Interdisciplinary Investigation, a cura di J.A. Varacalli, S. Primeggia, S.J. LaGumina, et al., New York, 1999. Per l’Argentina vedi A. Bernasconi, Cofradías religiosas e identidad en la inmigración italiana en Argentina, «Estudios migratorios latinoamericanos», 14, 1990, pp. 211-224, e per l’Australia A. Paganoni, D. O’Connor, Se la processione va bene… Religiosità popolare italiana nel Sud Australia, Roma 1999.

120 Per la prima posizione: G. Rosoli, Fede e pietà popolare dei migranti nella Chiesa, in AA.VV., Orizzonti pastorali oggi, Padova, 1987, pp. 76-90; N. Criniti, La religiosità popolare: confraternite in emigrazione, «Vivarium», 4, 3, 1996, pp. 455-472. Per la seconda: G. Trani, Ai confini tra religiosità popolare e superstizione, in Rapporto italiani nel mondo 2009, cit., pp. 203-214.

121 T. Matovina, Guadalupe and Her Faithful. Latino Catholics in San Antonio from Colonial Origins to the Present, Baltimore 2005; S. Ortiz Echaniz, L.E. Corona de la Peña, L. Vega Flores, Devociones y significados que migran. El Señor de la Expiración de Coquimatlán, Colima, «Signa. Revista de la Asociación española de semiótica», 19, 2010, pp. 307-320.

122 R.A. Orsi, Thank You, St. Jude: Women`s Devotion to the Patron Saint of Hopeless Causes, New Haven 1996, e Between Heaven and Earth: The Religious Worlds People Make and the Scholars Who Study Them, Princeton 2006.

123 M. Sanfilippo, Parrocchie ed immigrazione negli Stati Uniti, «Studi emigrazione», 168, 2007, pp. 993-1005.

124 The Pastoral Care of Italians in Australia: Memory and Prophecy, a cura di A. Paganoni, Ballan 2007.

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