Breve storia dell'unionismo e dell'ecumenismo

Cristiani d'Italia (2011)

Breve storia dell'unionismo e dell'ecumenismo

Riccardo Burigana

Introduzione

Le vicende storiche dell’ecumenismo in Italia sono poco note1 mentre, paradossalmente, sono più conosciuti i progetti di unionismo2, che segnano i primi cento anni della storia dell’Italia unita, quando i cristiani sembrano preferire la strada dello scontro, talvolta non solo verbale, per costringere gli altri cristiani a entrare a far parte di quella Chiesa che ogni confessione ritiene essere l’unica vera. Quelli che cercano delle strade per conoscere l’altro, per dialogare con l’altro, costituiscono una minoranza almeno fino alla celebrazione del concilio Vaticano II, una minoranza della quale sembra essersi persa anche la memoria storica. Il Vaticano II apre, anche in Italia, una nuova stagione nel dialogo ecumenico dal momento che, al di là della promulgazione del decreto Unitatis redintegratio, è la stessa celebrazione del concilio a testimoniare la volontà della Chiesa cattolica di percorrere nuove strade per favorire un dialogo sempre più fraterno con gli altri cristiani che non possono essere più chiamati eretici e scismatici. La svolta del Vaticano II influenza anche la vita delle altre Chiese, anche quelle già coinvolte nel dialogo ecumenico. Dopo un secolo di scontri rumorosi e di silenziosi incontri, i cristiani sono chiamati a confrontarsi con una nuova realtà, quella dell’ecumenismo, che impone una riflessione anche sui rapporti dei cristiani con il popolo ebraico, in modo da rimuovere qualunque forma di antisemitismo e da promuovere una sempre migliore conoscenza delle tradizioni ebraiche.

In Italia il dialogo ecumenico non si sviluppa in modo lineare, dal momento che permangono perplessità e pregiudizi, soprattutto negli anni della prima ricezione del Vaticano II, nonostante l’entusiasmo che circonda le prime iniziative ecumeniche, quando il concilio deve ancora concludersi. La situazione tende a migliorare con il tempo, pur mantenendosi sempre viva la polemica tra evangelici, soprattutto i valdesi, e cattolici, mentre gli ortodossi, anche per le ridotte dimensioni della loro presenza in quegli anni, sembrano assecondare le spinte al dialogo più che farsi loro stessi promotori di una testimonianza comune dell’evangelo. Negli ultimi anni del secolo XX l’ecumenismo subisce un’ulteriore trasformazione: cresce infatti il numero delle Chiese e comunità coinvolte nell’ecumenismo con l’arrivo di tanti migranti, soprattutto dall’Europa orientale, e le nuove posizioni, favorevoli al dialogo, assunte dalla Chiesa avventista e da alcune comunità pentecostali. Negli stessi anni giungono a maturazione dei testi, come i due documenti sui matrimoni interconfessionali, e delle decisioni, come quella relativa all’istituzione della Giornata per l’approfondimento della conoscenza del popolo ebraico, che sono il risultato delle fatiche e delle speranze del dialogo ecumenico post-conciliare, aprendo di fatto una nuova stagione contraddistinta anche dalla celebrazione di quattro incontri ecumenici nazionali.

Il tempo delle polemiche (1861-1959)

Per quasi un secolo i cristiani italiani vivono l’esperienza quotidiana della divisione e della contrapposizione come una prassi che appare necessaria per la costruzione dell’unità della Chiesa: si tratta infatti di posizioni, che si ricollegano a una comune radice sia che si voglia evangelizzare l’Italia, liberandola dalle catene del papa, come sostengono i missionari protestanti che arrivano proprio dopo l’Unità, sia che si voglia difendere l’Italia dall’errore e dal disordine come proclama la Chiesa cattolica di fronte a questa ondata di missionari e alle politiche del regno unitario. In Italia niente sembra filtrare dei primi passi del movimento ecumenico, che nasce nell’alveo del protestantesimo anglosassone e che cerca di coinvolgere la Chiesa di Roma e le Chiese ortodosse, come dimostrano i ripetuti appelli a prendere parte al progetto per la creazione di un Consiglio ecumenico delle Chiese. Rari sono i casi nei quali si sviluppa una qualche forma di dialogo tra cristiani, spesso alla ricerca solo di una conoscenza diretta dell’altro cristiano, con il quale si scopre di condividere molto di più di quanto sostenga la dottrina ufficiale delle singole Chiese. In alcuni momenti, soprattutto durante la Seconda guerra mondiale, gli eventi determinano sofferenze e collaborazioni che sembrano aprire una nuova stagione dei rapporti tra cristiani, come avviene in altri paesi, ma si tratta di speranze destinate a tramontare rapidamente. Pur in presenza di queste tensioni, si manifestano esperienze personali e iniziative locali che mostrano un interesse per il dialogo ecumenico, con delle forme peculiari, talvolta in sintonia con il movimento ecumenico internazionale; si tratta di elementi che contribuiscono a creare le premesse per lo sviluppo del dialogo ecumenico in Italia grazie alla celebrazione del Vaticano II.

Dispute e duelli

L’unità d’Italia determina una nuova situazione nei rapporti tra i cristiani; si apre infatti una stagione nella quale la Chiesa cattolica è costretta a confrontarsi con altre Chiese e comunità cristiane che si affacciano in modo non più semiclandestino per il rischio di provvedimenti restrittivi da parte dell’autorità politica, come era avvenuto, con qualche eccezione, per i secoli precedenti3. Si tratta di cristiani di tradizione evangelica che considerano l’Italia una terra di missione proprio per la presenza della Chiesa cattolica, tanto da proporsi di liberarla dalle catene spirituali con le quali il papa ha impedito la conoscenza dell’evangelo. Si ha così un’azione missionaria per l’evangelizzazione, che assume forme e contenuti molto vari, poiché è alimentata da predicatori stranieri, in particolare anglosassoni, dai valdesi che rivendicano dopo secoli di persecuzioni, il ruolo di chiesa protestante nazionale, e dalle Chiese libere italiane, che avevano partecipato attivamente al Risorgimento in chiave anti-cattolica; non mancano le dispute pubbliche che, talvolta, finiscono in veri e propri duelli. Con queste premesse – l’Italia una terra di missione e la Chiesa cattolica un nemico da combattere – non si ha nessuna prospettiva di dialogo tra i cristiani, tanto più che la Chiesa cattolica non perde occasione di riaffermare la propria ecclesiologia, pur nelle nuove condizioni nelle quali si trova a vivere. Si tratta di un’ecclesiologia dove non c’è posto per il dialogo con gli altri cristiani se non per favorire il loro ‘ritorno’ alla vera e unica Chiesa, cioè alla Chiesa cattolica, con percorsi diversi a seconda che si tratti di scismatici (ortodossi) o di eretici (protestanti). Si ha una vasta attività editoriale, spesso di carattere libellistico, che contribuisce a creare un clima di diffidenza tra i cristiani; si rafforzano i pregiudizi, fondati su interpretazioni parziali e tendenziose delle tradizioni cristiane, che non favoriscono la conoscenza reciproca, alimentando uno sterile dibattito sul ruolo della Chiesa nelle vicende storiche italiane fino all’epoca risorgimentale. Mentre altrove i cristiani, soprattutto di tradizione riformata, compiono i primi passi per la costruzione di un movimento ecumenico con il quale cercare l’unità della Chiesa in una forma nuova rispetto al passato, l’Italia resta fuori da questo percorso, immersa in un clima controversistico che non aiuta la nascita di un dialogo ecumenico, ma rafforza solo le spinte verso l’unionismo da parte di tutte le Chiese e comunità cristiane, pur con accenti diversi.

Per decenni si assiste così a un’intensa attività missionaria da parte di protestanti che appartengono a una pluralità di tradizioni che, spesso, sono in forte contrapposizione l’una con l’altra; questa attività che certamente favorisce la creazione di un clima che rende difficile il dialogo ecumenico. Si hanno delle missioni di battisti, metodisti4, anglicani, che si trovano a predicare l’evangelo negli stessi luoghi in cui i valdesi si propongono di costruire una Chiesa valdese nazionale e non più circoscritta nelle valli valdesi5; la rete dei colportori contribuisce in modo significativo a questa opera missionaria, con la vendita porta a porta della Bibbia, spesso accompagnata da materiale di propaganda religiosa anti-cattolica6. Vi sono anche colportori appartenenti all’universo delle Chiese libere, come è il caso di coloro che nel 1878 predicano a Mottola con un certo successo, tanto da convertire un personaggio di primo piano della comunità cattolica locale, Francesco Paolo Barulli (1846-1928), che diventa la guida di questa nuova Chiesa che entra a far parte della Chiesa cristiana libera, che dal 1890 prende il nome di Chiesa evangelica italiana7. Nascono così comunità evangeliche ovunque, non solo nelle grandi città, come Roma e Milano, dove si moltiplicano le chiese, talvolta di nuova costruzione, inaugurate con grande solennità proprio per sottolineare l’inizio di una nuova stagione per il cristianesimo in Italia.

La situazione non migliora all’inizio del secolo XX quando le divisioni si accentuano con il presentarsi di nuovi progetti di unione. Il frastagliato mondo evangelico, che comincia dopo tanti sforzi a interrogarsi sulle ragioni della sua esigua crescita numerica in Italia, viene investito dall’arrivo dei primi predicatori del movimento pentecostale. Fin dal 1908 nascono in Italia delle comunità che si richiamano direttamente all’esperienza del grande risveglio evangelico di Los Angeles del 1906, dal momento che proprio dagli Stati Uniti giungono dei predicatori, spesso italoamericani, con il chiaro intento di annunciare il Vangelo all’Italia. Si tratta di un’azione che è rivolta non solo contro la Chiesa cattolica, ma anche contro le Chiese protestanti storiche che sono state protagoniste dell’azione missionaria nei primi decenni del Regno d’Italia8. I predicatori del grande risveglio propongono un modello di Chiesa fondato sulla sola lettura della Bibbia, che vive l’unità nell’ascolto dello Spirito, nella fedeltà alle Scritture e nel rifiuto di tutto ciò che si è venuto affermando nel corso dei secoli da parte delle Chiese. Nascono così numerose comunità, in cui si vive quotidianamente l’esperienza della divisione tra cristiani, come nel caso di Campiglia di Berici nel vicentino9. Anche l’arrivo di missionari avventisti determina nuove tensioni nel mondo evangelico tanto più dopo la fondazione nel 1908 del periodico avventista, «L’Ultimo messaggio», che diventa uno strumento per la crescita della Chiesa Avventista in Italia, che tiene il suo primo congresso a Gravina di Puglia nel settembre 191210.

Nel 1920 si svolge il primo Congresso evangelico italiano a Roma, con l’obiettivo di trovare una qualche forma di collaborazione missionaria tra gli evangelici, invocata ormai da molti alla luce delle difficoltà incontrate e dei risultati raggiunti, per rilanciare l’evangelizzazione dell’Italia in uno spirito nuovo che risente, inevitabilmente, delle vicende storiche dei primi passi del dialogo ecumenico dopo la Conferenza missionaria di Edimburgo del 1910. Il Congresso di Roma non ha conseguenze concrete immediate; gli evangelici proseguono nella loro azione missionaria, finché il lento avvicinarsi del fascismo alla Chiesa cattolica e la firma dei Patti Lateranensi determinano una situazione nuova per gli evangelici.

I primi anni del XX secolo sono anche segnati dall’ulteriore irrigidimento della Chiesa cattolica nei confronti di qualunque passo in favore di un ripensamento della riflessione ecclesiologia sull’unità della Chiesa. La stagione dell’antimodernismo soffoca i timidi tentativi di procedere a una qualche conoscenza diretta delle tradizioni evangeliche, soprattutto da un punto di vista storico e esegetico, in modo da comprendere le ragioni delle divisioni dei cristiani, andando oltre le cristallizzate interpretazioni apologetiche. La Chiesa cattolica insiste quindi per il ritorno degli scismatici e gli eretici, mobilitandosi in questa direzione; Pio X valuta positivamente l’istituzione della Settimana di preghiera per l’unità della Chiesa, voluta dal padre Paul Wattson (1863-1940) nel 1908, proprio perché essa appare uno strumento efficace per la conversione degli acattolici, ai quali vanno illustrati i loro errori attraverso un’opera capillare. A questa logica sembra rispondere anche il crescente interesse verso l’Oriente, che caratterizza alcuni ambienti della Chiesa cattolica in Italia, in linea con le indicazioni del magistero pontificio di Leone XIII e di Pio X per favorire l’unione delle Chiese ortodosse, cioè il loro ritorno nella Chiesa cattolica. Tra le iniziative in questo senso particolarmente significative vi è la pubblicazione della rivista «Bessarione», edita dal 1896 al 1923, e della rivista «Roma e l’Oriente», edita dalla Badia di Grottaferrata dal 1910 al 1921; si tratta di due riviste che pongono la questione dell’unione con l’ortodossia sullo sfondo di una più ampia riflessione che vuole promuovere una conoscenza dell’Oriente cristiano, sottolineando sempre gli elementi di continuità con la Chiesa di Roma, cioè gli errori nei quali sono incorsi tutti coloro che hanno voluto negare o sottovalutare questi elementi. Con la conoscenza dell’Oriente cristiano si vuole porre anche la questione della presenza plurisecolare delle comunità cattoliche di rito greco in Italia; le comunità sono sopravvissute per secoli nella fedeltà alle loro tradizioni, nonostante i ripetuti tentativi di una loro latinizzazione. Non estranea a questo processo è la creazione dell’eparchia di Lungro, il 13 febbraio 1919, per i greco-cattolici della Calabria e dell’Italia continentale da parte di Benedetto XV con la bolla Catholici fideles, dopo che fin dal 1888 si era aperta una petizione con la quale si chiedeva proprio la creazione di una diocesi per le comunità greco-cattoliche. Il 26 ottobre 1937 Pio XI istituisce l’eparchia di Piana degli Albanesi per i greco-cattolici della Sicilia e eleva il cenobio di Grottaferrata a monastero esarchico. Le due eparchie e il monastero svolgeranno un ruolo particolarmente significativo nella promozione del dialogo ecumenico, soprattutto negli anni del post-concilio.

Nonostante la posizione della Chiesa cattolica così avversa a qualunque forma di ecumenismo che non si fondi sulla teologia del ritorno, c’è chi spera in un evento che possa portare alla partecipazione della Chiesa cattolica al dialogo ecumenico, tanto più della Chiesa cattolica in Italia. L’episcopaliano newyorchese Silas McBee (1853-1924) è tra coloro che pensano alla Conferenza di Edimburgo come a una straordinaria occasione per promuovere l’unità della Chiesa, tanto più che questo tema compare tra quelli all’ordine del giorno, anche se la Conferenza è stata convocata per riflettere sull’attività missionaria. McBee riesce a incontrare monsignor Geremia Bonomelli (1831-1914), vescovo di Cremona, e ottiene da lui un messaggio per la Conferenza. Per monsignor Bonomelli è particolarmente significativo il fatto che tanti cristiani si siano riuniti per condividere un comune impegno, al di là delle loro appartenenze confessionali; in questo modo testimoniano di vivere la gioia della Chiesa secondo le parole di Cristo, con la reale possibilità di compiere ulteriori passi sulla strada dell’unione dei cristiani. Il messaggio di monsignor Bonomelli, letto dallo stesso McBee, suscita molto interesse tra i partecipanti alla Conferenza di Edimburgo; da questo episodio nasce un’amicizia spirituale tra il vescovo di Cremona e il missionario newyorchese, ma niente muta nei rapporti tra cristiani in Italia11.

«La vera unità della Chiesa»

Le prospettive per un dialogo ecumenico tra i cristiani in Italia diventano ancora più remote dopo la pubblicazione della lettera enciclica Mortalium animos di Pio XI il 6 gennaio 1928, con la quale papa Ratti si propone di intervenire sul dibattito in corso sull’ecumenismo12. Il pontefice esprime infatti una condanna degli incontri degli anni precedenti delle commissioni ecumeniche «Vita e Azione» (Stoccolma, 1925) e di «Fede e Costituzione» (Losanna, 1927), mentre ribadisce al tempo stesso gli elementi fondamentali e irrinunciabili dell’ecclesiologia cattolica senza la quale non si può pensare di vivere l’unità della Chiesa. Non si tratta quindi semplicemente di una presa di posizione contro il movimento ecumenico, poiché l’enciclica è un forte richiamo ai cattolici a non confondere l’aspirazione della Chiesa cattolica all’unità, fondata e alimentata dalla fedeltà alla tradizione, con i tentativi affidati a incerte concezioni che niente hanno a che fare con la dottrina cattolica; queste iniziative, secondo la Mortalium animos, sono pericolose per la vita della Chiesa poiché rischiano di dar origine a una sorta di pancristianesimo. Solo nel riconoscimento dell’unicità della Chiesa di Roma si può avere l’unità della Chiesa, della quale il papa è garante. Naturalmente l’enciclica non è stata scritta per l’Italia ma per tutta la Chiesa, pensando soprattutto a quei paesi dove anche i cattolici avevano cominciato a prendere parte, seppure in modo non-ufficiale, agli incontri ecumenici promossi dai protestanti. Seppure in Italia la questione del dialogo ecumenico fosse del tutto marginale, proprio per la situazione conflittuale tra cristiani che si era venuta accentuando con l’Unità, non era pensabile che l’enciclica passasse sotto silenzio, tanto più che essa appariva uno strumento formidabile per riaffermare il legame tra la Chiesa cattolica e l’Italia, con un invito perentorio ai cristiani non cattolici a tornare nella Chiesa di Roma. In questa prospettiva si colloca l’iniziativa promossa dalla ‘neonata’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che organizza la XV Settimana sociale proprio sull’enciclica Mortalium animos; non c’è alternativa all’ecclesiologia della Chiesa cattolica e quindi non è possibile aprire nessun dialogo su questo punto, come aveva reso evidente Pio XI. Il convegno dell’Università Cattolica di Milano si inserisce in una serie iniziative con cui si vuole riaffermare la natura e gli scopi del vero ecumenismo, cioè la teologia del ritorno nella Chiesa cattolica degli ‘eretici’ e degli ‘scismatici’. Proprio per questo l’anno precedente Pio XI aveva approvato il progetto per lo studio del tema della «riunione della cristianità» da parte della Fuci, che aveva così organizzato una serie di conferenze sulle Chiese cristiane in modo da presentare la loro storia, la loro dottrina, la distanza che le separava dalla Chiesa cattolica; l’ultima conferenza venne dedicata all’unicità della Chiesa cattolica e all’importanza della teologia del ritorno quale unica strada per l’unione dei cristiani13.

La vasta circolazione degli atti del convegno della Università Cattolica alimenta la ricezione di Mortalium animos. Seppure appaia difficile ricostruire la ricezione dell’enciclica, nonostante qualche pionieristico studio, pare interessante notare che l’anno seguente il giovane Giovan Battista Montini (1897-1978) tiene una conferenza proprio sul tema L’unità della Chiesa e le Chiese separate all’interno di un ciclo di conferenze sulle questioni ecclesiali di attualità promosse dall’Azione cattolica di Roma. Dagli appunti di Montini emerge chiaramente l’intenzione di sottolineare il ruolo avuto dal contesto politico nella storia della divisione dei cristiani; al tempo stesso appare evidente il suo giudizio negativo sui recenti passi del dialogo ecumenico di matrice protestante, dal momento che essi non si fondavano su un’ecclesiologia che poteva essere ritenuta valida. In questo suo giudizio è evidente la dipendenza da Mortalium animos, anche se il giovane monsignore bresciano mette in guardia «contro il pericolo di un ingiustificato orgoglio cattolico» nell’affrontare la questione dell’unità della Chiesa14.

A un ulteriore deterioramento dei rapporti tra cristiani contribuiscono i Patti Lateranensi, che mettono fine alla questione romana assegnando alla Chiesa cattolica uno spazio pubblico destinato a ridurre la capacità di movimento delle altre confessioni cristiane. Negli stessi anni le comunità evangeliche soffrono il progressivo allentamento dei rapporti con le comunità estere con le quali vi erano forti legami, talvolta anche di carattere puramente economico. Sono gli anni in cui la stessa attività dei colportori subisce delle forti restrizioni, mentre alcuni esponenti delle comunità avventiste e pentecostali finiscono addirittura in carcere. In questo contesto si collocano anche le disposizioni contro la traduzione italiana della Bibbia, compiuta da Giovanni Luzzi (1856-1948)15 secondo criteri scientifici e pastorali, con un’opera di profonda revisione della traduzione del lucchese Giovanni Diodati (1576-1649)16. Privatamente, in ambito cattolico, Luzzi aveva ricevuto incoraggiamenti e complimenti per questa traduzione che avrebbe potuto mettere a disposizione dei cristiani un testo con cui favorire un dialogo ecumenico; un testo fondato sulla conoscenza delle fonti del cristianesimo, che molti evocavano come un imprescindibile punto di partenza per qualunque riflessione dottrinale. La traduzione dell’intera Bibbia, pubblicata nel 1924, dopo quella del Nuovo Testamento nel 1915, è soggetta a numerose critiche fino a quando nel 1935 il Sant’Uffizio proibisce il ricorso alle traduzioni della Scrittura fatte da non-cattolici, che sono accusate di stravolgere il significato della Scrittura per fini puramente apologetici e propagandistici. Lo stesso governo fascista pone delle norme per la pubblicazione della Bibbia in modo che fosse immediatamente chiara la sua origine non-cattolica; pose inoltre una serie di vincoli alla sua distribuzione da parte della Società biblica britannica e Forestiera in Italia, alla quale, nel 1936, venne vietata ogni forma di attività, dopo che era stata bloccata l’importazione di Bibbie dall’estero17.

La Seconda guerra mondiale apre drammaticamente anche in Italia delle nuove prospettive per i rapporti tra cristiani, dal momento che la condivisione delle sofferenze in nome della fede e delle scelte per la libertà porta a una conoscenza diretta tra cristiani, provocando il superamento di tanti pregiudizi e favorendo lo sviluppo e, in alcuni casi, la nascita di un dialogo ecumenico. I sacerdoti cattolici e i pastori evangelici italiani che finiscono nei campi di concentramento insieme a tanti altri religiosi europei scoprono la dimensione della comunione cristiana nella quotidiana testimonianza dell’evangelo; il «vangelo del lager»18 diviene così una scuola di ecumenismo che avrebbe dato frutti nel corso degli anni, anche per i rapporti personali che si creano in quelle drammatiche circostanze. Al tempo stesso cristiani di diversa confessione, che erano soliti ignorarsi, si trovano a combattere insieme per la libertà e ad aprire la loro casa agli ebrei perseguitati.

La conclusione della Seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica sembrano aprire una nuova stagione del dialogo ecumenico in Italia. Si tratta però di un’illusione, destinata a tramontare rapidamente, anche perché, di fronte all’istituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese ad Amsterdam nel 1948, la Chiesa cattolica mantiene un atteggiamento di sostanziale rifiuto a partecipare a questi incontri ecumenici. La Chiesa cattolica, alla quale i promotori dell’incontro di Amsterdam avevano rivolto più di un invito sperando in una sua partecipazione, rilancia l’idea della necessità di un sano ecumenismo con il quale sconfiggere le iniziative che generavano solo confusione tra i cristiani. Nella molteplicità di azioni messe in campo da Pio XII per definire i rigidi limiti di partecipazione dei cattolici agli incontri ecumenici si deve ricordare in particolare la pubblicazione del Monitum del 1947 e del De motione oecumenica del 1949. Per quanto riguarda l’Italia particolarmente significativa è la fondazione dell’associazione Unitas nel 1946, che si propone di promuovere la conoscenza della dottrina della Chiesa cattolica sull’unità della Chiesa per un duplice scopo: da una parte rendere sempre più coscienti i cattolici dell’importanza della loro azione per difendere l’unità della Chiesa messa a rischio da una pluralità di fattori, tra cui il falso ecumenismo, e dall’altra mostrare ai cristiani non-cattolici la verità della Chiesa cattolica per favorire il loro ritorno nell’unica vera Chiesa. L’impegno di Unitas si concentra particolarmente nell’Ottava di preghiera per l’unità dei cristiani, dal 18 al 25 gennaio di ogni anno, quando le diocesi sono invitate a pregare per la conversione dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani per il loro ritorno nella Chiesa di Roma19.

Con la nascita di Unitas, che si dota subito di una rivista con una diffusione capillare in Italia, la Chiesa cattolica rafforza il suo impegno per l’unità della Chiesa in una forma che di fatto nega un dialogo con gli altri cristiani che si erano venuti riorganizzando dopo la conclusione della guerra, pur tra qualche difficoltà. Infatti, mentre la Chiesa valdese riprende la sua piena attività e la Chiesa avventista consolida la Scuola per la Bibbia di Firenze come centro di formazione dei pastori, le comunità pentecostali subiscono nuove forme di intolleranza, che coinvolgono anche dei missionari statunitensi, ai quali viene negato il rinnovo del visto di soggiorno causando un conflitto diplomatico tra Roma e Washington20.

Figure profetiche?

Dall’orizzonte del cristianesimo in Italia sembra assente qualunque attenzione al dialogo ecumenico così come si stava configurando in molti paesi a partire dalla Conferenza missionaria di Edimburgo. In realtà la situazione è più articolata di come spesso è stata descritta nei pochi studi che si sono occupati dell’ecumenismo in Italia prima del Vaticano II. Non mancano infatti le figure e i luoghi nei quali, con forme assai diverse, si prova a uscire dalla logica della semplice contrapposizione e della necessaria conversione dell’altro come un’unica strada per vivere l’unità della Chiesa. In campo evangelico una figura particolarmente significativa per la promozione di un dialogo ecumenico è il pastore Ugo Janni (1865-1938), che dedica la sua vita «alla nobile lotta per l’unità della Chiesa»; la sua azione è in sintonia con le istanze del movimento ecumenico internazionale, accentuando quegli elementi che erano necessari a superare le divisioni all’interno del mondo evangelico, che costituisce il contesto entro il quale egli desidera costruire l’unità della Chiesa. Infatti per il pastore Janni, la Chiesa cattolica non può prendere parte a questo processo per l’unità dei cristiani nella riscoperta della Chiesa una di Cristo, secondo un modello evangelico che i cristiani sembrano aver dimenticato. I suoi interventi, che sono anche il risultato di un percorso spirituale personale, erano destinati a cadere nel vuoto, osservati con un certo sospetto da molti evangelici: Ugo Janni resta una voce isolata, riscoperta dalla Chiesa Valdese solo negli anni Settanta21. Sempre nel mondo evangelico l’esperienza della Seconda guerra mondiale segna profondamente il pastore valdese Tullio Vinay (1909-1996)22, che si adopera per mettere in salvo degli ebrei perseguitati e prende parte insieme a dei cattolici nella lotta contro l’occupazione nazifascista. Proprio dall’esperienza della guerra matura in lui l’idea della necessità di costruire un luogo nel quale l’incontro tra uomini e donne di confessioni cristiane e di paesi e diversi favorisca la riconciliazione come primo passo per l’unità: il centro di Agape nasce da questa intuizione del pastore Vinay, che dedica anni della sua vita alla presentazione del progetto, alla raccolta dei fondi e all’attivazione di quei canali ecumenici che portano migliaia di giovani a costruire insieme Agape.

In ambito cattolico il panorama è molto più complesso tanto che non è facile orientarsi per la pluralità di espressioni che assume il desiderio dell’unità della Chiesa a partire dagli anni Trenta. Nel monachesimo esiste una spiritualità ecumenica che ha in Maria Gabriella Sagheddu (1914-1939)23 la personalità più celebrata; questa giovane monaca di clausura offre la sua vita per l’unità della Chiesa, fino alla sua morte il 23 aprile 1939. La scelta della Sagheddu è maturata nella comunità di Grottaferrata, nella quale l’unità è un tema quotidiano per la presenza della badessa Maria Pia Gullini (1892-1953) che è in contatto con il sacerdote francese Paul Couturier (1881-1953), che aveva riformulato l’Ottavario di preghiera per l’unità della Chiesa in termini spirituali. Maria Gabriella Sagheddu diventa rapidamente un modello per coloro che affidano alla preghiera quotidiana il mistero dell’unità della Chiesa, anche dopo il trasferimento della comunità da Grottaferrata a Vitorchiano; il 25 gennaio 1983 verrà beatificata da Giovanni Paolo II. All’esperienza di Maria Gabriella Sagheddu è strettamente legata la vicenda di Maria Giovanna Dore (1900-1982) e della comunità monastica, Mater Unitatis, da lei fondata nel 1945 nella natia Sardegna, a Olzai, dove la comunità rimane fino al 1995, quando si trasferisce a Lodine. Per la Dore la vita monastica consiste nella preghiera quotidiana per l’unità cristiana e per l’annuncio del Vangelo a tutti coloro che non l’hanno ancora ricevuto. Unità e missione sono così strettamente legate tanto che nel 1952 la comunità Mater Unitatis, associata alla Confederazione benedettina solo nel 1970, inizia un’attività missionaria con la fondazione di nuove case in Sri Lanka, Argentina e in Nigeria24. Su un altro piano, pur richiamandosi a un ecumenismo spirituale, si colloca l’esperienza di monsignor Giulio Maria Penitenti (1912-1978), che nel 1944 istituisce la comunità religiosa della Casa dei Piccoli Operai, una ‘famiglia ecumenica’ che, dopo una serie di vicissitudini, si stabilisce a Taddeide nel 1951 grazie all’accoglienza accordata dal cardinale Eugène Tisserant (1884-1972) nella sua diocesi di Porto Santa Rufina25. Con la famiglia ecumenica di monsignor Penitenti ci troviamo nei ‘tempi di guerra’, che rappresentano una svolta nella vita della giovane Chiara Lubich (1920-2008) che viene maturando la sua esperienza di vita comunitaria, laica, fino alla fondazione del movimento dei focolari. Per Chiara Lubich la preghiera per l’unità della Chiesa, così come la ricerca dell’unità del genere umano nell’amore di Dio, rappresentano degli elementi peculiari del proprio carisma. Essi saranno presenti in tutta la sua vita, assumendo una valenza che va ben al di là della dimensione nazionale della sua opera. Chiara Lubich è un’instancabile pellegrina del dialogo ecumenico e interreligioso: compie visite e provoca incontri che alimentano una stagione, che vede i suoi primi passi proprio nel primo dopo-guerra26.

Negli anni che precedono l’indizione del concilio Vaticano II non sono poche le esperienze personali che mostrano la complessità di una riflessione sull’unità della Chiesa in termini nuovi rispetto alla tradizionale posizione della Chiesa cattolica; tra queste esperienze si devono ricordare in particolare le figure di don Romano Scalfi (1923-)27 e di don Divo Barsotti (1914-2006)28, che, con prospettive molto diverse tra di loro, si pongono la questione della conoscenza dell’Oriente cristiano come elemento fondamentale per la costruzione dell’unità della Chiesa29. Sono gli anni nei quali un giovane sacerdote della diocesi di Ventimiglia-Sanremo, don Alberto Ablondi (1924-2010)30, convince il proprio vescovo a lasciarlo tentare un dialogo con i pastori protestanti di Sanremo, partendo dalla lettura della Scrittura. Negli stessi anni una giovane laica che vive a Venezia, Maria Vingiani, impegnata in prima persona nella vita politica della città lagunare, arricchisce il proprio percorso di conoscenza delle tradizioni cristiane, iniziato con la redazione della tesi di laurea, discussa nel 1947, con una serie di incontri con i responsabili delle comunità cristiane a Venezia. Non è possibile ripercorrere l’elenco delle figure e dei luoghi, che manifestano una qualche attenzione all’unità della Chiesa in termini diversi dalla posizione ufficiale negli anni che precedono il Vaticano II31; si tratta di un universo di spiritualità, di riflessioni e di azioni che testimoniano delle esperienze, significative, ma minoritarie nella Chiesa cattolica. Nella maggioranza dei casi, quando si parla di unità della Chiesa, si deve pregare «affinché il Signore conceda al popolo cristiano la grazia dell’unione: così che allontanate le funeste divisioni e riuniti tutti sotto la guida del Pastore supremo della Chiesa gli renda servizio nobile e degno»32.

Il tempo della scoperta (1959-1985)

L’indizione del concilio Vaticano II apre una nuova stagione nel dialogo ecumenico anche in Italia33, dove comincia a manifestarsi un crescente interesse che esplode durante la celebrazione del Vaticano II, quando si moltiplicano iniziative di vario livello, tra le quali spicca la fondazione del Segretariato attività ecumeniche (Sae) da parte di Maria Vingiani, con il sostegno del cardinale gesuita Agostino Bea (1881-1968)34. Sono gli anni nei quali, grazie principalmente al Sae, nascono dei gruppi locali, spesso interconfessionali, che si propongono di far conoscere l’ecumenismo alla Chiesa e alla società. Di fronte a queste numerose iniziative la Conferenza episcopale italiana, con la quale il Sae, fin dalla sua fondazione, cerca di stabilire un rapporto di collaborazione, decide di nominare prima un referente per le attività ecumeniche e poi istituisce una Commissione per il dialogo ecumenico e interreligioso, incaricata di promuovere l’ecumenismo secondo quanto indicato dal Vaticano II.

La nascita del Segretariato Attività Ecumeniche

Fin dall’annuncio del concilio Vaticano II, il 25 gennaio 1959, il pontificato di Giovanni XXIII segna una svolta nel dialogo ecumenico; infatti le parole del papa e soprattutto i suoi gesti indicano la volontà di percorrere una strada diversa nei rapporti con gli altri cristiani rispetto al passato, suscitando grandi speranze per il futuro e molte preoccupazioni per il presente. Anche l’Italia, dove il dialogo ecumenico è praticamente assente a livello ufficiale, viene investita dal vento ecumenico di papa Giovanni XXIII fin dalla fase antepreparatoria del Vaticano II come emerge dalla lettura dei vota dei vescovi italiani per il futuro concilio35. Alcuni vescovi italiani inseriscono la questione dell’unità della Chiesa tra i temi da discutere in concilio, anche se con accenti molti diversi tra di loro; c’è chi sostiene infatti la necessità di riaffermare con forza la dottrina tradizionale della teologia del ritorno tanto più in un momento in cui sembrano essere in atto delle iniziative che di fatto la ignorano, con il rischio di protestantizzare la Chiesa cattolica. Con queste parole si definisce una posizione, contraria a uno sviluppo del dialogo ecumenico auspicato da Giovanni XXIII, che è presente nei lavori del Vaticano II, quando una minoranza di padri conciliari, tra i quali sono ben rappresentati gli italiani, cerca di opporsi alla valenza ecumenica del concilio. Tra i vota dei vescovi italiani si nota anche una certa confusione riguardo all’ecumenismo, poiché si include in questa categoria anche la richiesta di invitare i capi musulmani al concilio. Alcuni vescovi mostrano di essere a conoscenza dello status quaestionis del dialogo ecumenico tanto da porre delle questioni che potevano apparire lontane dalla realtà, ma che, proprio perché già ampiamente discusse nel movimento ecumenico, diventano di grande attualità durante la celebrazione del concilio. Questa pluralità di posizioni, che manifesta un interesse, per certi versi inaspettato, nei confronti dell’ecumenismo, si può ritrovare anche tra i teologi italiani che fanno parte del Segretariato per l’unità dei cristiani, istituito il 5 giugno 1960, con il motu proprio Superno Dei nutu da Giovanni XXIII come uno degli organismi chiamati a preparare il concilio Vaticano II. Del Segretariato facevano parte monsignor Michele Maccarrone (1910-1993), in qualità di membro, e don Alberto Bellini come consultore: il primo era un esperto di storia della Chiesa medievale, molto vicino alle posizioni espresse dall’associazione Unitas; era cauto nella valutazione dei gesti del papa come dimostrano i suoi interventi ai lavori del Segretariato. Il secondo era professore al Seminario di Bergamo, la diocesi di Giovanni XXIII, dopo aver studiato a Milano, dove aveva approfondito il pensiero di Lutero entrando in contatto con la riflessione contemporanea sul dialogo ecumenico, da cui aveva trattato chiaramente molte idee come indicano i suoi interventi in quegli anni36.

Nell’avvicinarsi all’apertura del concilio permane la pluralità di posizioni all’interno della Chiesa italiana sull’ecumenismo, anche se sembra prevalere l’idea di ripensare i termini del dialogo ecumenico, non più condotto per la conversione dell’altro ma per la conoscenza dell’altro. Si tratta di un processo non semplice da ricostruire per il carattere e per l’accessibilità delle fonti, con qualche eccezione. Una di queste è rappresentata dalla diocesi di Pinerolo, istituita nel 23 dicembre 1748, per controllare le Valli Valdesi e per recuperare gli ‘eretici’ alla vera fede37. Nella lettera pastorale del 1960 monsignor Gaudenzio Binaschi (1883-1968), vescovo di Pinerolo, indica tra i temi in discussione in concilio il ritorno dei fratelli separati, specificando che questo non significava che cattolici, ortodossi e protestanti si sarebbero trovati a discutere in concilio, dal momento che esso era una cosa interna alla Chiesa cattolica; probabilmente sarebbero stati però presenti degli osservatori delle comunità cristiane non-cattoliche, come segno di un’attenzione alle questioni che dividono i cristiani, da affidare per il vescovo di Pinerolo, soprattutto alla preghiera. Mentre da una parte il vescovo si preoccupa così di spiegare la dimensione ecumenica del futuro concilio, dall’altra promuove una consultazione semi-ufficiale con la Chiesa Valdese locale per individuare un percorso in grado di far partire un dialogo ecumenico in grado di affrontare una serie di questioni da sottoporre al futuro concilio. Altri vescovi, come monsignor Antonio Santin (1895-1981), vescovo di Trieste, e monsignor Ermegildo Florit (1901-1985), arcivescovo di Firenze, si soffermano sulla dimensione ecumenica del futuro concilio, ponendo l’accento sulle responsabilità dei cattolici nella promozione del dialogo ecumenico come servizio alla verità, accompagnato dal ricorso quotidiano alla preghiera. In queste riflessioni è evidente l’influenza ancora esercitata dalla tradizionale dottrina della Chiesa cattolica sull’ecumenismo, pur mitigata dal clima che si era creato per i tanti gesti compiuti da Giovanni XXIII in favore di un radicale ripensamento dell’atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti di coloro che sono chiamati ‘i fratelli separati’. L’apertura del Vaticano II, la prima sessione, la scomparsa di Giovanni XXIII e l’elezione di Paolo VI, infine la ripresa dei lavori nella seconda sessione in cui si discutono gli schemi sulla Chiesa e sull’ecumenismo, contribuiscono a far crescere l’attenzione nei confronti dell’ecumenismo; ma sarà soprattutto il pellegrinaggio di Paolo VI a Gerusalemme, con l’incontro con il Patriarca Atenagora, a illuminare la nuova frontiera dei rapporti tra i cristiani per l’unità della Chiesa, come mostra chiaramente la lettera pastorale di monsignor Florit del 1964 interamente dedicata all’unità38. La lettera pastorale, pur tra molte cautele, mostra la volontà di informare i fedeli sull’ecumenismo, in un momento nel quale non si sa ancora quale sarà la sorte dello schema De oecumenismo presentato e discusso nella seconda sessione del Vaticano II, mentre è così recente l’immagine dell’abbraccio del papa e del patriarca ecumenico in Terra Santa. L’immagine di quell’abbraccio rafforza anche la decisione di Maria Marchetta (1939-1966) di offrire tutte le sue sofferenze fisiche per l’unità della Chiesa, come lei stessa scrive a Paolo VI.

Proprio in un contesto in cui sono evidenti i segni di un crescente e significativo interesse per l’ecumenismo, si colloca la fondazione del Segretariato attività ecumeniche (Sae) nell’estate del 1964, quando ancora non sono stati promulgati il decreto Unitatis redintegratio e la costituzione Lumen gentium. Il Sae è una creatura di Maria Vingiani, sostenuta dal cardinale Bea39. Maria Vingiani è una laica, che ha avuto un interesse particolare per la conoscenza degli altri cristiani fin dai tempi dell’università di Padova; questa particolare attenzione si è sviluppata negli anni del suo impegno politico a Venezia e poi è diventata prioritaria al momento dell’indizione del concilio; infatti Maria Vingiani lascia Venezia e si trasferisce a Roma per poter seguire meglio il Vaticano II, mettendosi a servizio della causa ecumenica, informando di questa sua scelta monsignor Loris Capovilla (1915-), a cui Maria Vingiani è profondamente legata. Nel mondo romano la figura di Maria Vingiani non passa inosservata per la sua straordinaria passione per il dialogo ecumenico, tanto che il card. Bea comincia a interessarsi a questa giovane laica, che pensa a un’associazione di laici, interconfessionale, che si impegni per la promozione dell’unità della Chiesa con lo studio, la preghiera e la condivisione. Dal 31 luglio al 5 agosto 1964, a La Mendola, si tiene la prima sessione di formazione estiva su Ecumenismo. Vocazione della Chiesa, con la quale ci si propone di affrontare ‘l’età ecumenica’ che si è aperta con il Vaticano II, alla quale tutti i cristiani sono chiamati a prendere parte attivamente. La sessione di formazione estiva alterna momenti comunitari con relatori di diverse confessioni cristiane a incontri di gruppo di studio su temi specifici, coordinati da esperti, talvolta dagli stessi relatori; prevede una presenza residenziale per l’intera settimana in modo che i partecipanti possono conoscersi condividendo la quotidianità; ci sono delle celebrazioni liturgiche, mentre uno spazio particolare è riservato al mondo ebraico, che apre sempre la sessione proprio per sottolineare il rapporto esistente tra la tradizione ebraica e il dialogo ecumenico. La struttura della sessione rimane pressoché inalterata nel corso degli anni, con le sole eccezioni di una maggiore attenzione al dialogo interreligioso e la creazione di un momento specifico per i giovani. Il successo del Sae è immediato, tanto che l’anno seguente si tengono due sessioni di formazione estiva, sempre a La Mendola, sull’ecclesiologia delVaticano II, sessioni che contribuiscono alla diffusione del Sae e al suo radicamento nel territorio con la nascita di tanti gruppi locali, con il compito di creare momenti di preghiera e occasioni di conoscenza tra cristiani secondo lo spirito del Vaticano II. Al tempo stesso il Sae nazionale, sotto la guida di Maria Vingiani, diventa un luogo di riflessione teologica che programma un cammino ecumenico di formazione attraverso le sessioni estive che diventano così tappe di approfondimento ecumenico nello sviluppo dello spirito e della lettera del concilio. Nell’elaborazione del programma delle sessioni Maria Vingiani è presto affiancata da un gruppo interconfessionale di esperti che diventano rapidamente un gruppo teologico che interviene nel dibattito ecumenico nazionale, mostrando come il Sae si proponga di affrontare delle questioni e di tracciare delle piste di ricerca per il dialogo ecumenico. Maria Vingiani desidera che il Sae abbia una sua autonomia, che sia un’associazione laica e interconfessionale, come emerge dallo Statuto che riesce a far approvare, non senza difficoltà, dopo averlo sottoposto anche al cardinale Giovanni Urbani (1900-1969), patriarca di Venezia, che prende parte alle prime sessioni del Sae. Il rapporto con la Chiesa italiana, in particolare con la Cei, costituisce un altro punto fondamentale dell’opera del Sae, che ricerca forme di collaborazione, come dimostra anche l’epistolario di Maria Vingiani con l’episcopato italiano, nella convinzione che l’ecumenismo debba crescere a partire dall’esperienza quotidiana della dimensione della comunione all’interno della Chiesa; al tempo stesso il Sae rinnova il suo impegno per realizzare la propria missione di annuncio e di testimonianza per l’ecumenismo come dimensione centrale della Chiesa. La fedeltà alla propria autonomia provoca talvolta delle tensioni con alcuni settori della gerarchia ecclesiastica, tanto più che il Sae non rinuncia a far sentire una voce ecumenica in alcuni momenti, come in occasione della vicenda dell’Isolotto a Firenze, quando indirizza una lettera aperta all’arcivescovo di Firenze per favorire una soluzione allo scontro in atto; questo spiega, in parte, il nomadismo del Sae nella celebrazione delle sessioni di formazione estive, da La Mendola, a Camaldoli, a Napoli e ancora a La Mendola.

La nascita e i primi passi del Sae si collocano in un quadro particolarmente vivace per il dialogo ecumenico in Italia; infatti in molte città, proprio grazie al Vaticano II, sorgono gruppi di preghiera e di riflessione sull’ecumenismo, come a Messina dove dal 1963 è attivo il centro Ut Unum sint. Nel 1964 nasce il Centro universitario ed ecumenico San Martino di Perugia, diretto da monsignor Elio Bromuri (1929-), che si rivolge ai giovani, soprattutto agli stranieri, che studiano a Perugia per affrontare insieme un cammino di conoscenza e di spiritualità in campo ecumenico. Simile per l’attenzione nei confronti degli studenti è l’esperienza di monsignor Luigi Mori (1913-1997), delegato per l’Oriente cristiano dell’arcidiocesi di Siena fin dal 1944; negli anni del concilio si fa promotore delle istanze di rinnovamento ecclesiologico presso gli studenti, anche come delegato della Fuci, ponendo l’accento sulle nuove prospettive del dialogo ecumenico40. Talvolta si tratta di iniziative che esistevano in modo semiclandestino già in anni precedenti al concilio, come è il caso del gruppo di sacerdoti, pastori, laici cattolici e valdesi della Lombardia e del Piemonte, che si riuniscono a Milano a casa dell’avvocato Franco Falchi. Molte di queste esperienze nascono anche sulla scia dei modelli di ecumenismo che diventano noti durante il Vaticano II, come è il caso della comunità di Taizé, che diventa familiare per molti cristiani italiani proprio grazie alla presenza di Roger Schutz (1915-2005) e Max Thurian (1921-1996) a Roma per il concilio. I loro incontri con i padri conciliari, le loro conferenze in Italia non solo fanno conoscere la testimonianza ecumenica di Taizé, ma suscitano interesse tanto da creare i primi gruppi di preghiera locali e i primi ‘pellegrinaggi ecumenici’ a Taizé secondo una felice espressione di monsignor Alessandro Gottardi (1912-2001), arcivescovo di Trento41. Le notizie degli incontri ecumenici cominciano a diffondersi sui periodici più interessati all’ecumenismo, come la rivista «Ut unum sint», ma anche per altre vie: nella lettera pastorale del 1963 monsignor Binaschi parla della celebrazione del Vaticano II, soffermandosi sull’opera del Segretariato per l’unità dei cristiani, con delle parole che mostrano come egli sia ancora radicato nella prospettiva della teologia del ritorno, tanto che alla fine rinnova l’esortazione alla preghiera per i valdesi. Il vescovo esprime anche un certo apprezzamento per il fatto che i sacerdoti e i pastori abbiano iniziato a incontrarsi per momenti di riflessione teologica e di condivisione spirituale.

Mentre il concilio volge alla sua conclusione si hanno nuove iniziative in campo ecumenico in Italia, che mostrano come il tema stia prepotentemente entrando nell’universo cristiano italiano in forme completamente nuove e, per certi versi, impensabili fino a pochi anni prima. Nel marzo 1965 si tiene a Assisi un convegno, promosso dalla Pro Civitate Christiana, con oltre duecento partecipanti, su Religiosità e religione nel clima del Concilio Ecumenico Vaticano II: una delle relazioni fondamentali è tenuta dal canonico Gustave Thils (1909-2000), uno dei massimi esperti dell’ecumenismo a livello mondiale, che parla del rapporto tra dialogo ecumenico, al quale tutti i cristiani sono chiamati a partecipare attivamente, e il sincretismo religioso che va conosciuto, ma che si pone su un altro piano rispetto alla vocazione ecumenica dei cristiani su cui tanto si è discusso al Vaticano II. Nel giugno dello stesso anno il Centro Mariapoli di Rocca di Papa del movimento dei Focolari, dove esiste una consolidata tradizione di ospitalità ecumenica, organizza un incontro ecumenico internazionale, che vede la partecipazione, tra gli altri, di un gruppo di tedeschi luterani, che vogliono testimoniare, con la loro presenza, il legame tra il dialogo ecumenico e la riconciliazione dei popoli per la creazione dell’unità fondata sull’amore. Per certi aspetti diverso è il caso di Villa Cagnola, a Gazzada, dove apparentemente si offre solo l’ospitalità a incontri ecumenici internazionali; in realtà questi incontri, fin dalla fase preparatoria del Vaticano II, rappresentano straordinarie occasioni di arricchimento per la riflessione ecumenica in Italia perché favoriscono la conoscenza diretta del dibattito in corso, creando dei rapporti interpersonali di collaborazione e di amicizia tra teologi italiani e stranieri42.

In questo quadro, che ancora attende una ricostruzione puntuale, spicca il ruolo dell’arcidiocesi di Trento che riceve un mandato particolare da Paolo VI in occasione della celebrazione del V anniversario della chiusura del concilio di Trento; il papa rivolge alla diocesi l’invito a scoprire la propria vocazione per essere costruttrice di dialogo con l’Oriente cristiano. L’invito raccolto da monsignor Gottardi dà origine a una serie di iniziative, alcune delle quali dal forte valore simbolico come l’intervento sul caso del ‘cosiddetto beato Simonino’ nell’ottobre 1965, mentre altre sono destinate a incidere nell’arcidiocesi come la fondazione del Centro Bernardo Clesio, inaugurato l’8 dicembre 1965, che si afferma rapidamente come un luogo di riflessione e di dialogo tra le Chiese e tra le religioni. La vocazione a essere ponte verso l’Oriente, anche in nome della devozione verso i martiri dell’Anaunia, si realizza anche con un programma di interventi a sostegno di comunità ortodosse che nel corso degli anni trova in monsignor Silvio Franch (1932-2001) un instancabile animatore43.

Anche nel mondo evangelico italiano si pone in termini nuovi la questione dell’ecumenismo, in conseguenza non solo delle proposte dei cattolici italiani nate dalla celebrazione del concilio Vaticano II ma anche dei passi compiuti dal movimento ecumenico, soprattutto dopo la fondazione del Consiglio delle Chiese europee (1959) e della III Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese a New Delhi (1961). Per questo nel maggio del 1965, a Roma, si celebra il secondo Congresso evangelico italiano, Uniti per l’Evangelo. Il protestantesimo e il messaggio nell’ora presente, al quale prendono parte delegati della Chiesa valdese, della Chiesa metodista d’Italia, dell’Unione cristiana evangelica delle Chiese battiste d’Italia (Ucebi), dell’Associazione missionaria evangelica italiana, dell’Esercito della Salvezza, delle Assemblee di Dio, dell’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste e delle Chiese apostoliche in Italia. Il Congresso affronta la questione della possibilità di creare una Federazione di Chiese evangeliche in Italia (Fcei), come segno concreto di una rinnovata unità nell’annuncio del Vangelo. Molte erano le speranze per la realizzazione di questo progetto, tanto più che la stessa celebrazione del Congresso sembra andare nella direzione della creazione di una Federazione. Fin dai documenti preparatori molti si dichiararono a favore della nascita della Federazione come strumento per vivere una fase transitoria nel cammino dalla divisione presente all’unità futura dei cristiani. Nel Documento finale i delegati auspicano la realizzazione «nel tempo più breve possibile una Federazione evangelica» in modo da avere un luogo deputato a un regolare incontro tra le comunità evangeliche in Italia, mantenendo ognuno le proprie tradizioni e la propria totale autonomia44. Nonostante questa dichiarazione di intenti tanto chiara e condivisa, si deve attendere il 5 novembre 1967 per la nascita, a Milano, della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, alla quale aderiscono battisti, luterani, metodisti, valdesi e la comunità ecumenica di Ispra-Varese, che successivamente confluisce nella Chiesa luterana. Negli anni seguenti si aggiungono l’Esercito della Salvezza, la Comunione di chiese libere, la Chiesa apostolica d’Italia, la Chiesa pentecostale ‘Fiumi di Vita’ di Napoli, la Comunità elvetica di Trieste e la St. Andrew’s Church of Scotland di Roma.

Nel giugno 1965, sempre a Roma, poche settimane dopo il Secondo Congresso Evangelico si tiene l’annuale incontro dei metodisti italiani nel quale si discute dell’unità della Chiesa in relazione alla nuova situazione che si è venuta creando in Italia; infatti, di fronte alle tante iniziative della Chiesa cattolica, a vario livello, per un fraterno dialogo ecumenico, ci si rende conto della necessità di trovare delle nuove forme per una maggiore collaborazione tra i protestanti che operano in Italia, al di là della costituzione di una Federazione di Chiese evangeliche. Per i metodisti italiani una maggiore collaborazione può aiutare i protestanti a uscire dalla situazione ‘pre-ecumenica’ nella quale vivono in Italia. Anche in seguito a questa presa di posizione l’annuale Sinodo della Chiesa valdese del 1965 sembra orientarsi verso una maggiore attenzione al dialogo con i cattolici, pur rimanendo vive tutte le perplessità, dopo anni di silenzi e di ostilità; questo orientamento del Sinodo si rafforza l’anno seguente nella prospettiva di sviluppare il dialogo ecumenico all’interno del mondo protestante italiano e tra cattolici e protestanti45.

Nonostante questa evidente vivacità ecumenica, che è il frutto del Vaticano II, il padre Charles Boyer (1884-1980), segretario dell’associazione Unitas, continua a essere considerato il referente del movimento ecumenico in Italia; infatti a lui si rivolge il Segretariato per l’unità dei cristiani nel 1965 per chiedergli delle proposte, confidando proprio nella sua conoscenza e della sua esperienza della situazione italiana, per la redazione del Direttorio ecumenico, con il quale il segretariato si propone di promuovere il dialogo ecumenico nella Chiesa cattolica offrendo delle indicazioni teoriche e pratiche alle Chiese locali in modo da favorire la ricezione ecumenica del Vaticano II.

La ricezione ecumenica del Vaticano II in Italia

La ricezione del Vaticano II inizia ben prima della sua conclusione, in particolare la ricezione di quei temi, come l’ecumenismo, che avevano profondamente segnato la celebrazione del concilio. La fondazione del Sae mostra chiaramente che anche in Italia la ricezione ecumenica era cominciata prima della promulgazione del decreto Unitatis redintegratio sui principi cattolici dell’ecumenismo. La conclusione del concilio, con la cerimonia della contemporanea rimozione delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli, alimenta ulteriormente il dialogo ecumenico tanto che una pur sommaria analisi della celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 1966 aiuta a comprendere quanto diffusa fosse l’attenzione nei confronti dell’ecumenismo, considerato da molti una nuova frontiera della testimonianza cristiana. Inoltre è evidente il profondo legame tra l’ecumenismo e il Vaticano II, come se la ricezione del concilio passasse dalla promozione del dialogo ecumenico, dal momento che l’ecumenismo era ritenuto una delle più significative novità introdotte dall’assise conciliare.

Di fronte alle tante forme assunte dal dialogo ecumenico in Italia46 ai vescovi italiani pare opportuno intervenire per una promozione dell’ecumenismo ma anche per un suo disciplinamento. Per questo, nella prima assemblea plenaria della Conferenza episcopale italiana dopo il Vaticano II il cardinale Urbani parla della questione ecumenica nella sua prolusione; per il cardinale la Chiesa italiana deve affrontare l’ecumenismo con «una adesione che sia libera da effimeri entusiasmi, come da inconsulti pregiudizi», lavorando soprattutto sulla formazione ecumenica, come indicato dal decreto Unitatis redintegratio. Urbani comunica la decisione di nominare un vescovo che possa seguire quanto viene fatto a livello universale dal Segretariato per l’unità dei cristiani per la promozione del dialogo ecumenico in modo da coinvolgere anche l’Italia in questa nuova stagione della vita della Chiesa47. La scelta cade su monsignor Giuseppe Marafini (1917-1973)48, vescovo di Frosinone-Veroli, che inizia subito la sua opera, prendendo contatto con le realtà già attive in campo ecumenico, come il Sae, facilitato in questo suo contatto dal fatto che il cardinale Urbani aveva informato direttamente Maria Vingiani della nomina di monsignor Marafini. L’opera di monsignor Marafini comincia a dare i suoi frutti: il 18 aprile 1967 a Roma si tiene la prima giornata di studio sull’ecumenismo, promossa dalla Cei; vi prendono parte i rappresentanti di 22 associazioni, centri, circoli e gruppi locali impegnati nel dialogo ecumenico. Si tratta di un incontro che vuole fare il punto della situazione italiana in modo da individuare le urgenze e le priorità sulle quali monsignor Marafini si ripromette di intervenire in modo da definire un programma di lavoro in campo ecumenico. In questa riunione grande interesse suscita la notizia che, per la prima volta, il Segretariato per l’unità dei cristiani e il Consiglio ecumenico delle Chiese stanno preparando insieme i testi per la Settimana di preghiera del 1968. A questa giornata di studio segue nel luglio dell’anno seguente il I Convegno ecumenico nazionale, ad Ariccia, L’ecumenismo oggi nella Chiesa cattolica. Aspetti teologici e pastorali, che si apre con una relazione di monsignor Marafini che delinea l’azione della Cei per la promozione del dialogo ecumenico secondo quanto suggerito dal Vaticano II49. Al convegno prendono la parola monsignor Luigi Sartori (1924-2007)50, papàs Eleuterio Fortino (1938-2010), don Germano Pattaro (1925-1986)51, monsignor Enrico Galbiati (1914-2004)52 e monsignor Brunero Gherardini (1925-), cioè i teologi tra i più impegnati nella riflessione ecumenica in Italia, pur con orientamenti diversi, alcuni dei quali già coinvolti nel Sae. A questo convegno ne seguono altri con cadenza annuale, con temi e con articolazioni che cercano di radicare sempre più il dialogo ecumenico nella realtà locale alla luce delle questioni ecumeniche tanto quelle generali tanto quelle della pastorale quotidiana; al tempo stesso la Cei procede nella definizione dei compiti e della struttura del soggetto istituzionale che deve sovraintendere al dialogo ecumenico in Italia. Infatti nel 1969 viene istituita una Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, presieduta sempre da monsignor Marafini, secondo le indicazioni del Direttorio ecumenico del 1967; a questa Commissione viene affidato il compito di promuovere il dialogo ecumenico, il dialogo interreligioso e i rapporti con i non-credenti. Alla neonata Commissione vengono quindi attribuite le competenze che spettavano ai tre Segretariati romani (per l’unità dei cristiani, per il dialogo interreligioso e per il dialogo con i non-credenti), che erano emersi dal concilio Vaticano II grazie a Giovanni XXIII e a Paolo VI proprio per testimoniare l’importanza del dialogo per la Chiesa cattolica53. La prematura scomparsa di monsignor Marafini, che muore il 10 agosto 1973, non rallenta l’azione della Commissione, soprattutto per il ruolo assunto da monsignor Ablondi che, presente nella Commissione fin dal 1972, viene nominato presidente nel 197554.

Negli anni della presidenza di Marafini e di Ablondi sono molti i segni che mostrano la partecipazione della Chiesa cattolica al dialogo ecumenico, in forme minoritarie ma significative per il contesto italiano; tra questi va ricordata la crescente presenza dei vescovi italiani agli incontri ecumenici durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) che diventa il momento centrale, talvolta l’unico, per la promozione del dialogo ecumenico a livello locale, mentre alcuni documenti della Cei manifestano anche l’attenzione alla dimensione ecumenica nella formazione. Al tempo stesso il dialogo ecumenico si arricchisce, anche per il sostanziale contributo delle Chiese evangeliche, d’incontri e di riflessioni sulle questioni che animano il movimento ecumenico, come quella relativa alla possibilità dell’ingresso della Chiesa cattolica nel Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra55; si tratta di una questione sulla quale si ha un ampio dibattito, in gran parte oggi noto, che si conclude con il congelamento della questione sine die, dopo che per un certo tempo in molti hanno pensato che fosse realmente possibile l’ingresso della Chiesa cattolica nel Consiglio ecumenico in qualità di membro effettivo e non semplicemente di osservatore.

Monsignor Giuliano Agresti (1921-1990)56, arcivescovo di Lucca, succede a monsignor Ablondi alla guida della Commissione episcopale per l’ecumenismo, tenendo la presidenza per sei anni (1979-1985), con una forte continuità con il vescovo di Livorno nella linea della promozione di un dialogo ecumenico che sia occasione per favorire la ricezione del Vaticano II in senso lato. Proprio per sottolineare la forte continuità dell’azione, pur nella diversità di carismi, Agresti ottiene che Ablondi venga cooptato nella nuova Commissione, che comprende Antonio Zama (1917-1988), vescovo di Sorrento, che funge da segretario, e Antonio Angioni (1910-1991), vescovo di Pavia, monsignor Carlo Cavalla (1919-1999), vescovo di Casale Monferrato e monsignor Giovanni Stamati (1912-1987), eparca di Lungro. Insieme a monsignor Ablondi viene cooptato anche monsignor Pietro Giachetti (1922-2006)57, eletto vescovo di Pinerolo nel 1976: fin dai suoi primi gesti monsignor Giachetti mostra il desiderio di porre al centro del proprio magistero episcopale la testimonianza ecumenica nella Chiesa locale che gli è stata affidata e nel rapporto con le comunità valdesi che si trovano nella diocesi di Pinerolo. Questa scelta di monsignor Giacchetti contribuisce a far diventare sempre più Pinerolo un caso nazionale. Pinerolo offre un contributo significativo alla comprensione delle dinamiche ecumeniche tra la Chiesa cattolica e la Chiesa valdese a partire da un contesto locale nel quale il rapporto numerico tra cattolici e valdesi e le radici storiche dei tumultuosi rapporti consentono di verificare quotidianamente i progressi e le difficoltà del cammino ecumenico post-conciliare. Per monsignor Agresti si deve pensare a una formazione all’ecumenismo nella Chiesa come premessa fondamentale per la crescita del dialogo ecumenico in una fase nella quale si è passati dall’ecumenismo della carità all’ecumenismo teologico; in questo prospettiva si scelgono i temi per convegni nazionali per i delegati diocesani per l’ecumenismo, che diventano così occasione di confronto e di approfondimento sullo stato del dialogo ecumenico in Italia58. Monsignor Agresti si muove anche per cercare un rapporto sempre più collaborativo con il Sae, che in tante realtà locali nonostante la nomina del delegato diocesano, rimane ancora il soggetto di riferimento dell’attività ecumenica a livello locale. Lo stesso Sae vive una stagione di grande vivacità, come dimostrano i documenti di quegli anni del Gruppo misto di lavoro teologico, dalla riflessione su La presidenza nell’eucaristia (1976) alle reazioni al documento Battesimo-eucaristia-ministero (Bem), approvato a Lima nel 1982, con la redazione di una mozione, approvata nella Sessione estiva di formazione del Sae nel luglio 1983 e un memorandum per favorire la ricezione di questo documento, considerato il punto di partenza di una nuova ecclesiologia ecumenica a livello universale59. Sempre in questi anni nel Sae si costituisce un gruppo per riflettere sui contenuti e sulla forma di una catechesi ecumenica; l’anima di questo gruppo è don Emilio Zanetti (1924-1999), prete della diocesi di Belluno-Feltre, nel quale convivono una profonda cultura teologica e una quotidiana sensibilità pastorale60.

L’azione della Commissione episcopale, così attenta al radicamento dell’ecumenismo nella Chiesa locale, e le iniziative dei gruppi del Sae determinano un ulteriore salto qualitativo del dialogo ecumenico, poiché, proprio all’inizio degli anni Ottanta, si assiste a nuove forme di incontro a livello regionale, come è il caso della Toscana dove i delegati diocesani, i membri dei gruppi Sae e di alcuni pastori evangelici tengono una prima riunione nel marzo 1982, a Siena, organizzata dal gruppo Sae regionale e dal gruppo ecumenico diocesano, con il sostegno di monsignor Agresti, che prende parte all’incontro. La Commissione ecumenica interreligionale del Piemonte e della Valle d’Aosta si propone di essere un luogo di formazione al dialogo ecumenico con un percorso che si viene definendo al suo interno, cioè per i delegati e per i membri delle commissioni diocesane là dove esistono, e all’esterno cioè pensato per tutti coloro che possono essere interessati a una riflessione storico-teologica sull’ecumenismo, con particolare attenzione al mondo della scuola.

In questo periodo alcuni documenti ecumenici delle Chiese locali sono di particolare rilievo. Il 14 gennaio 1968 l’arcidiocesi di Trento pubblica una Nota pastorale circa l’apostolato ecumenico con la quale proporre un commento al Direttorio ecumenico alla luce della realtà locale e della vocazione particolare al dialogo con il mondo orientale, che contraddistingue l’arcidiocesi di Trento. Nella Nota si offre una definizione di ecumenismo secondo quanto affermato dal concilio Vaticano II e sviluppato dal Direttorio ecumenico del Segretariato per l’unità dei cristiani, si parla dei doveri delle Chiese e dei cristiani per la promozione dell’unità della Chiesa e infine si indicano le priorità dell’azione ecumenica nell’arcidiocesi di Trento. L’8 dicembre 1970 la diocesi di Pinerolo pubblica un Direttorio ecumenico con il quale delinea le forme e i contenuti del dialogo con la Chiesa valdese, secondo le indicazioni del Direttorio del Segretariato, applicate a una realtà locale tanto particolare come quella della diocesi di Pinerolo che deve confrontarsi con numerose comunità valdesi, radicate nel territorio da secoli, intorno a Torre Pellice, la Ginevra italiana61. Nel 1983, la Commissione per l’ecumenismo di Roma pubblica un testo, Verso l’unità dei Cristiani, che vuole essere un sussidio per la pastorale ecumenica nella diocesi di Roma, riaffermando, in modo organico, le disposizione della Santa Sede e della Cei in materia ecumenica. Si è giunti alla pubblicazione di questo testo dopo un lungo e travagliato percorso redazionale, nel quale, dalle fonti e dalle testimonianze finora note, si intuisce siano confluite una pluralità di posizioni sulla promozione del dialogo come mezzo per la ricezione del Vaticano II. Il testo si apre con la presentazione delle ragioni profonde per le quali la Chiesa cattolica deve operare per l’unità della Chiesa, richiamando i dialoghi ecumenici in corso e il peculiare ruolo della Chiesa di Roma nell’ecumenismo. L’ecumenismo è una dimensione della testimonianza cristiana che deve permeare tutta l’attività pastorale. Si deve favorire la formazione ecumenica per mezzo della predicazione, della catechesi e della liturgia, coinvolgendo in questa formazione la parrocchia, la famiglia e la scuola. Si deve promuovere una collaborazione ecumenica sul piano biblico, teologico, pastorale, caritativo, cercando di trovare delle forme di preghiera comune. Infine si parla della peculiarità e dell’importanza delle relazioni con gli ebrei e della necessità di conoscere i nuovi culti e le sette.

Proprio l’aspetto della formazione ecumenica è centrale nella ricezione ecumenica del Vaticano II in Italia, un aspetto sul quale la Cei torna più volte in alcuni documenti di carattere generale, accanto alle molte indicazioni che provengono dalla Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Su questo aspetto i vescovi della Puglia rivendicano per la propria regione, in particolare per Bari, un ruolo privilegiato nelle relazioni con il mondo ortodosso, una sorta di ponte tra Occidente e Oriente, così come era stato per secoli, anche se nel corso della prima metà del secolo XX questo ruolo era stato interpretato nella prospettiva di un ‘ritorno’ alla Chiesa di Roma. Il 1° ottobre 1968 la Conferenza episcopale della Puglia approva la fondazione dell’Istituto di studi ecumenici, che inizia i corsi dall’anno accademico 1969-1970 nel seminario di Molfetta. Solo nell’anno accademico 1971-1972 l’Istituto si trasferisce a Bari, per volontà di monsignor Enrico Nicodemo (1906-1973), arcivescovo di Bari-Bitonto, con il coinvolgimento dei padri domenicani nella gestione diretta dell’Istituto. Fin dal maggio 1971 la Congregazione per l’educazione cattolica approva ad tempus l’Istituto di teologia ecumenico-patristica greco-bizantina San Nicola, come sezione della Facoltà di Teologia della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma, autorizzando i corsi per la licenza e per il dottorato; questa situazione si protrae fino al 9 luglio 1991, quando la Congregazione approva definitivamente l’Istituto. Nel corso degli anni l’Istituto, che pubblica una rivista «Nicolaus» dal 1978, arricchisce l’offerta formativa con convegni internazionali e con viaggi in Oriente, nella prospettiva di favorire la conoscenza diretta del mondo ortodosso, con una particolare attenzione al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, con il quale vengono perfezionati vari accordi per una collaborazione accademica e pastorale62. Agli anni Ottanta risale la fondazione dell’Istituto di studi ecumenici San Bernardino, che ha sede prima a Verona e poi a Venezia, per la promozione di una formazione ecumenica accademica, con particolare attenzione al mondo della Riforma. All’Istituto, che è sostenuto dalla Provincia Veneta dei francescani minori e fa parte della Pontificia Università Antonianum di Roma, nel 1989 viene riconosciuta dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica la possibilità di tenere dei corsi per la licenza in teologia con specializzazione in studi ecumenici. Nel corso degli anni l’Istituto definisce il proprio programma formativo, la costruzione di una biblioteca specializzata, la pubblicazione di una rivista scientifica «Studi Ecumenici», affiancata da due collane di studi, l’organizzazione di convegni nazionali e internazionali, la partecipazione a progetti di ricerca in campo ecumenico con istituzioni accademiche europee e sudamericane e l’ospitalità a studenti e docenti, soprattutto dall’Europa orientale e dall’Africa. L’Istituto diventa un luogo di formazione ecumenica dove lo studio e la ricerca vanno di pari passo con la preghiera e in cui l’esperienza quotidiana della pluralità delle tradizioni cristiane63.

Nel corso degli anni si assiste a una lenta diffusione dell’insegnamento dell’ecumenismo nelle Facoltà di Teologia, negli Studi teologici interdiocesani e negli Istituti superiori di scienze religiose; in molti casi ci si limita a enunciare il principio che l’insegnamento teologico debba essere ecumenico, cioè conforme ai principi dell’ecumenismo secondo la dottrina della Chiesa cattolica. Alla formazione ecumenica contribuiscono, in forme diverse a seconda della partecipazione al movimento ecumenico, anche gli istituti accademici protestanti, dalla Facoltà Valdese di Teologia a Roma, all’Istituto di cultura biblica avventista a Firenze, alla più recente Facoltà di Scienze religiose delle comunità pentecostali a Aversa. La formazione ecumenica non è circoscritta all’ambito accademico; tra coloro che promuovono dei percorsi formativi va ricordata la Fondazione Russia Cristiana di Seriate, nata grazie al padre Scalfi. Fin dal progetto iniziale, che attraverso una serie di passaggi giuridico-istituzionali giunge alla creazione della Fondazione, appare evidente la volontà di padre Scalfi di favorire la conoscenza dell’Oriente cristiano, in particolare della Russia, attraverso uno studio scientificamente fondato del pensiero teologico, delle tradizioni liturgiche e della letteratura cristiana, senza però rinunciare all’esperienza diretta di un mondo in cui i cristiani testimoniano la fede nella sofferenza e dove, dopo la caduta del muro di Berlino, sono chiamati a recuperare e a coltivare la memoria storica del martirio.

Si può ricondurre al campo della formazione all’ecumenismo anche molte delle attività della comunità di Bose, fondata da Enzo Bianchi (1943-), anche se essa assume caratteristiche e dimensioni così peculiari da renderla un unicum nel panorama religioso non solo. La comunità vive nella profonda fedeltà alla lettera e allo spirito del Vaticano II, radicata sulla scelta di Enzo Bianchi che decide di vivere a Bose l’8 dicembre 1965, il giorno della conclusione del concilio. La crescita esponenziale della comunità monastica va di pari passo con la realizzazione di una serie di iniziative ecumeniche, dalle traduzioni in italiano di testi dell’ecumene cristiana, all’organizzazione di convegni internazionali, all’ospitalità di cristiani di altre confessioni cristiane, alla celebrazione di una liturgia ecumenica nel contenuto e nella forma. Bose diventa rapidamente un crocevia di incontri ecumenici a livello internazionale, senza perdere di vista la volontà di essere un luogo in cui molti cristiani italiani si formano all’ecumenismo portando poi nelle proprie comunità locali le intuizioni di Enzo Bianchi per una Chiesa che sappia vivere e testimoniare l’unità nella quotidiana fedeltà al Vangelo.

La Società Biblica, palestra di ecumenismo

In questa stagione, così intensa per il dialogo ecumenico, un altro elemento fondamentale è rappresentato dalla traduzione interconfessionale della Bibbia in italiano; si tratta di un lavoro del tutto nuovo in Italia, rispetto ad altri paesi, dove da decenni, pur in modo semiclandestino, si erano già attivate delle collaborazioni tra cattolici e protestanti, talvolta con qualche partecipazione ortodossa, per la traduzione interconfessionale della Scrittura in lingua corrente. Le parole della costituzione Dei Verbum del Vaticano II a favore di traduzioni interconfessionali della Bibbia avevano aperto delle prospettive completamente nuove per il dialogo ecumenico; in Italia sembra auspicabile una collaborazione tra la Cei e la sezione italiana dell’Alleanza Biblica Universale per giungere quanto prima a una traduzione italiana della Scrittura, che sarebbe potuta essere utilizzata nella liturgia. Per questo, proprio all’indomani della conclusione del concilio Vaticano II iniziano i contatti tra la Commissione, nominata dalla Cei per la traduzione della Scrittura e presieduta dal cardinale Florit, e la delegazione italiana dell’Alleanza Biblica Universale, guidata dal pastore Renzo Bertalot (1929-)64, per valutare se e come fosse possibile promuovere una collaborazione per giungere a una traduzione italiana interconfessionale del testo biblico.

La collaborazione non giunge ad alcun risultato concreto, perché la traduzione si arena di fronte a alcuni passi, dei quali l’esegesi confessionale impedisce una traduzione condivisa, come è il caso dei primi capitoli del Vangelo di Luca. Nonostante questo insuccesso si è aperta la strada di un confronto tra cristiani sulla Scrittura, che è una fonte irrinunciabile per il dialogo ecumenico, pur in presenza di una pluralità di interpretazioni che non devono frenare il dialogo quanto alimentarlo poiché dalle ricchezze della Scrittura si può sviluppare un dialogo ecumenico che tenga conto di quanto giù unisce i cristiani, secondo una chiara indicazione emersa dal concilio Vaticano II. La sfortunata conclusione di questa prima esperienza viene superata dal successivo tentativo, voluto da monsignor Alberto Ablondi, vescovo di Livorno. Per monsignor Ablondi la traduzione ecumenica della Bibbia risponde anche alla necessità di promuovere la ricezione del Vaticano II attraverso una lettura tematica trasversale che mostri gli elementi essenziali del concilio; da questo punto di vista la Bibbia rappresenta un caso esemplare, poiché il capitolo sesto della Dei Verbum rende esplicita l’idea della centralità della Scrittura nella riflessione e nella vita della Chiesa, idea che sottende la redazione dei documenti conciliari.

In fase di progettazione della traduzione, tenendo conto delle difficoltà strutturali e dell’esigenza di giungere quanto prima a un qualche risultato concreto, si decide di iniziare con la traduzione del Nuovo Testamento, alla quale provvedono un gruppo di biblisti di confessioni diverse, coordinati dal pastore Bertalot e da monsignor Ablondi. Nel 1975, in concomitanza con il Giubileo della Chiesa cattolica, esce il primo testo in traduzione interconfessionale, la lettera di Giacomo, che viene gratuitamente distribuito sotto il porticato di San Pietro a tutti coloro che sono in coda per la visita alla basilica: la distribuzione è fatta da volontari, tra cui monsignor Ablondi, molti dei quali sono membri del Sae che ritiene il progetto della traduzione interconfessionale una delle priorità dell’ecumenismo in Italia. L’anno seguente viene pubblicato il Nuovo Testamento che il 27 novembre 1976 viene consegnato a Paolo VI da parte di una delegazione di cattolici, protestanti e di ortodossi, guidata da monsignor Ablondi. Successivamente la stessa delegazione è ricevuta dal presidente della Repubblica, Giovanni Leone (1908-2001); con questo secondo incontro si vuole confermare il valore non solo religioso ma anche civile di questa traduzione che costituisce un passo concreto dello sviluppo dell’ecumenismo e della promozione della conoscenza della Scrittura65. Solo nel 1985 esce la traduzione completa della Sacra Scrittura in lingua interconfessionale, nella quale compare già una versione rivista dell’edizione del Nuovo Testamento del 197666; seppur non venga adottata dalle Chiese per le celebrazioni liturgiche, essa diventa un punto di riferimento negli incontri ecumenici tanto da essere «occasione di incontri e di scambi fraterni assai fecondi in campo ecumenico», come riconosce lo stesso Consiglio permanente della Cei. Il lungo lavoro redazionale, che ha condotto alla traduzione interconfessionale, è stato una palestra di ecumenismo per i tanti biblisti che vi hanno preso parte con modalità diverse; alcuni di questi, come il salesiano Carlo Buzzetti (1942-), entrano a far parte a tempo pieno del mondo delle Società bibliche. Anche grazie al clima ecumenico che si è creato, nel 1983 nasce la Società Biblica Italiana, della quale Renzo Bertalot diventa il primo segretario; mentre la presidenza è riservata al mondo evangelico, la vice-presidenza è affidata a monsignor Ablondi, che apre così una stagione di collaborazione sempre più attiva tra la Società Biblica Italiana e la Cei, che si rafforza con i successori di monsignor Ablondi in questa carica, prima monsignor Vincenzo Savio sdb (1944-2004)67 e poi monsignor Vincenzo Paglia (1945-). Da questa collaborazione nascono numerose iniziative ecumeniche; dalla mostra itinerante sulla Bibbia, a nuove traduzioni interconfessionali di libri biblici, alla pubblicazione dei sussidi per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, alla distribuzione delle edizioni plurilingue del Nuovo Testamento in occasione del Giubileo, alla lettura continuativa della Scrittura. Tra queste, particolarmente significativa per un complessivo ripensamento della Scrittura da un punto di vista ecumenico nelle singole chiese e comunità cristiane è il progetto della nuova traduzione interconfessionale in lingua corrente di alcuni libri della Scrittura in collaborazione con le chiese locali in nome di una tradizione che leghi il libro biblico scelto per la traduzione con le comunità, come nel caso del Vangelo di Matteo nella Chiesa di Salerno68.

Il tempo del dialogo (1986-2009)

Dopo una stagione così feconda per l’ecumenismo, soprattutto grazie al concilio Vaticano II e alla sua prima ricezione, si apre un periodo in cui sembrano prevalere le difficoltà per un ulteriore sviluppo del dialogo ecumenico, tanto che progressivamente la situazione muta, al punto che si parla, soprattutto in occasione del Giubileo del 2000, di un «inverno ecumenico», che coinvolgerebbe anche l’Italia con un progressivo irrigidimento delle modalità di dialogo tra cristiani e il ritorno a prospettive puramente identitarie69. In realtà l’ecumenismo in Italia vive una stagione di passaggio per una serie di fattori, tra i quali il più significativo è sicuramente il mutamento della composizione del cristianesimo, e di conseguenza, dei soggetti coinvolti nel dialogo ecumenico. Negli anni Novanta si assiste infatti all’arrivo di decine di migliaia di migranti, soprattutto dall’Europa orientale e dall’Africa, che determinano la nascita di nuove comunità cristiane, alcune delle quali interessate al dialogo ecumenico, come quelle di tradizione ortodossa, mentre altre si avvicinano invece con maggiori cautele, come la Chiesa avventista e le comunità pentecostali. L’ecumenismo si arricchisce di nuovi documenti, come quelli sui matrimoni interconfessionali, e di un nuovo calendario, con l’istituzione della giornata per l’approfondimento della conoscenza del popolo ebraico e della giornata per la salvaguardia del creato; nasce la tradizione degli incontri ecumenici nazionali, promossi congiuntamente dalla Cei, dalla Fcei e dalla Chiesa ortodossa, e si moltiplicano le iniziative condivise per l’accoglienza di coloro che arrivano in Italia in fuga dai loro paesi. Di questa molteplicità di iniziative, che si trovano spesso a convivere con preoccupazioni e polemiche, che tendono a limitare e talvolta a frenare il dialogo ecumenico, particolarmente rilevante è il contributo offerto dall’ecumenismo italiano alla riflessione sul rapporto tra cristiani ed ebrei in un’Europa in cui ricompaiono fenomeni di antisemitismo.

Matrimoni interconfessionali

Il 14 gennaio 1986 il Consiglio permanente della Cei approva il Regolamento per il Segretariato per l’ecumenismo e il dialogo, che era stato costituito nell’Assemblea generale della Cei del maggio 198570. A presiedere il Segretariato viene chiamato monsignor Ablondi, mentre monsignor Clemente Riva (1922-1999)71, vescovo ausiliare di Roma, ne diviene il segretario. Il Segretariato può contare anche sulla partecipazione di un gruppo di esperti, in grado con la loro presenza di rendere veramente il Segretariato lo strumento più adatto per promuovere un ulteriore sviluppo del dialogo ecumenico in Italia. Tra le proposte del Segretariato c’è quella di creare una Commissione mista tra la Cei e la Chiesa valdese-metodista per una riflessione comune su un tema particolarmente significativo per il passato e per il presente del dialogo ecumenico. La scelta cade, quasi inevitabilmente, sui matrimoni interconfessionali, cioè su un aspetto della pastorale quotidiana, così a lungo discusso negli ambienti ecumenici, anche in Italia, tanto che a Milano esisteva un gruppo informale di riflessione interconfessionale fin dagli anni Sessanta72. Il tema viene trattato anche nel Vaticano II e nel 1970 Paolo VI pubblica un motu proprio che lascia intravedere qualche novità rispetto alla posizione tradizionale della Chiesa cattolica. Sul tema si esprime anche la Commissione per l’ecumenismo della Cei nel 1970 e nel 1972, così come la Chiesa valdese nel 1971, mentre il Sae istituisce un gruppo misto di studio e di servizio per i matrimoni interconfessionali, che nel 1978 pubblica un suo documento Proposta alle chiese italiane per un documento comune sui matrimoni interconfessionali73. Oltre a questi documenti, numerose erano state le pubblicazioni, gli incontri e le iniziative su questo tema.

Nel 1988 la Chiesa valdo-metodista accetta la proposta del Segretariato e così il 3 marzo 1989 la Commissione mista inizia i propri lavori che portano alla pubblicazione di un primo documento, Testo comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti in Italia (1997), al termine di un lungo processo redazionale nel corso del quale si scopre l’importanza di questo tema non solo per il dialogo ecumenico cattolico-valdese ma da una parte per la riflessione ecumenica in senso lato e dall’altro per la vita delle stesse Chiese. Il documento, approvato dall’Assemblea generale della Cei e dal Sinodo, presenta quello che i cristiani possono dire insieme sul matrimonio nella prima parte, dal racconto della creazione, all’amore coniugale, alla fedeltà, alla famiglia e ai figli, al rapporto fra famiglia, Chiesa e società e, infine, alla natura del matrimonio interconfessionale; nella seconda parte parla delle differenze e divergenze tra cristiani su alcuni aspetti del matrimonio: la sacramentalità, l’indissolubilità, la fecondità e la procreazione, l’educazione religiosa dei figli; si presentano infine le conseguenze pratiche dalla diversità pastorale e disciplinare tra cattolici e valdesi. La terza parte del documento offre delle indicazioni e degli orientamenti sulla pastorale, riconoscendo l’impegno delle chiese e descrivendo la preparazione al matrimonio, la sua celebrazione, secondo la forma canonica, l’ordinamento valdese, le norme presso le autorità civili e i matrimoni senza effetti civili, per concludere con alcune considerazioni pastorali sulle coppie interconfessionali. Alla fine si auspica che «il presente testo comune circa i matrimoni misti contribuisca a incrementare la mutua comprensione e a rinnovare il nostro impegno per un progressivo cammino ecumenico»74. La Commissione mista non conclude i suoi lavori con la redazione di questo testo; viene infatti nuovamente convocata, pur con qualche modifica significativa nella sua composizione, per procedere alla redazione di un secondo schema di carattere più prettamente pastorale. Questo documento, Testo applicativo del testo comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti, ha un iter redazionale meno accidentato del precedente e quindi nel 2000 si giunse alla sua approvazione75. I due documenti sui matrimoni misti aprono una strada che conduce anche la Cei e la Ucebi a interrogarsi sul significato del matrimonio interconfessionale per le loro comunità e in relazione al dialogo ecumenico; dopo una lunga gestazione questa nuova Commissione mista inizia i propri lavori il 12 maggio 2006, seguendo le modalità che avevano ispirato i lavori della Commissione mista cattolica-valdese. Il documento, approvato dall’Assemblea dell’Ucebi nel maggio 2008 e dall’Assemblea generale della Cei nel maggio 2009, dopo qualche difficoltà, si articola in una premessa, quattro parti, sui punti condivisi sul matrimonio, le più significative differenze dottrinali, l’azione pastorale e gli aspetti pratici per la celebrazione dei matrimoni interconfessionali, e una conclusione76.

Nonostante i mutamenti nella composizione del cristianesimo in Italia, le conseguenti, nuove dinamiche ecumeniche e le persistenti tensioni su alcuni temi (in particolare sull’etica, sull’uso dell’otto per mille, sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole), i tre documenti sui matrimoni misti costituiscono una tappa fondamentale poiché rappresentano un ulteriore passaggio nella comprensione delle diverse tradizioni cristiane su un tema che aveva determinato profonde ferite tra i cristiani. Soprattutto i due documenti cattolico-valdesi si collocano in un periodo nel quale non mancano i gesti per favorire una purificazione della memoria che aiuti a rafforzare il dialogo ecumenico, come quando la Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, presieduta da monsignor Giuseppe Chiaretti (1933-), arcivescovo di Perugia succeduto a monsignor Sergio Goretti (1929-), rivolge un messaggio fraterno per il 150° delle libertà civili dei valdesi. Nello stesso anno il Sinodo valdese approva un documento sull’ecumenismo e sul dialogo interreligioso, nel quale si conferma la vocazione dei valdesi al dialogo, tracciando un quadro dettagliato del passato e del presente delle relazioni con le altre Chiese evangeliche, con le Chiese ortodosse e con la Chiesa cattolica, osservando quanti passi siano stati compiuti, senza però tralasciare le questioni aperte nel dibattito teologico e le responsabilità nella fatica quotidiana dell’ecumenismo.

Negli anni Novanta sembra decollare una collaborazione ecumenica più strutturata a livello territoriale, che affianca esperienze ormai radicate nel tempo, come quelle del Gruppo interconfessionale per le attività ecumeniche di Napoli (Giaen). Mentre fallisce il progetto di costituire un forum ecumenico nazionale, sostenuto da monsignor Ablondi, dal 1995 vice-presidente della Cei, nel 1996 viene istituito il Consiglio delle Chiese Cristiane a Venezia e, nel 1998, a Milano, dove assume un ruolo straordinario anche per la costante attenzione del cardinale Carlo Maria Martini (1927-) alla promozione del dialogo ecumenico, non solo a livello locale e nazionale, dal momento che l’arcivescovo di Milano è uno dei promotori della I Assemblea ecumenica europea a Basilea (1989). A Milano il Consiglio può valersi anche della consulenza di monsignor Francesco Coccopalmerio (1938-), vescovo ausiliare di Milano, esperto di diritto canonico, che si occupa di ecumenismo fin dagli anni Settanta. A questi due Consigli di Chiese cristiane seguono quelli di Salerno, di Parma, di Modena, di Reggio Calabria e di Verona. Si deve attendere il 25 gennaio 2010 per la fondazione di un Consiglio regionale: a Napoli viene ufficialmente istituito il Consiglio delle Chiese cristiane della Campania77. Gli incontri delle commissioni regionali sono diventati frequenti, soprattutto in Calabria, Marche, Puglia, Piemonte, Sicilia, Triveneto, Toscana e Umbria; più rari sono invece i casi di una collaborazione ecumenica continuativa, a livello regionale. In Sicilia nel novembre 2006 si tiene una giornata ecumenica regionale, promossa dalla Commissione mista cattolica-evangelica sul tema della giustificazione e dell’impegno ecumenico delle Chiese.

I numerosi incontri ecumenici, a vario livello, mostrano la lenta crescita dell’ecumenismo in Italia, anche dopo la celebrazione del Grande Giubileo del 2000, verso il quale i valdesi rivolgono così tante critiche da auspicare un anno di digiuno ecumenico; proprio dal Giubileo nasce però un’attenzione ecumenica per la memoria dei martiri cristiani, soprattutto quelli del secolo XX, come elemento di comunione tra le Chiese. Su questo aspetto particolarmente attiva è la Comunità di Sant’Egidio, che riceve la Chiesa di San Bartolomeo all’Isola Tiberina proprio per celebrare ecumenicamente la memoria dei martiri cristiani, ai quali si comincia a riservare una preghiera ecumenica in un giorno della Settimana santa.

Alla vigilia del Giubileo, nel 1999 si tiene il primo convegno ecumenico nazionale, promosso dalla Cei, dalla Fcei e dalla Sacra Arcidiocesi Ortodossa, sul Padre Nostro a Perugia; a questo seguono i convegni nazionali a Viterbo (2003) sulle Beatitudini, a Terni (2007) in preparazione dell’Assemblea Ecumenica Europea di Sibiu e a Siracusa (2010) sulla figura di Paolo78, sempre organizzati congiuntamente da cattolici, protestanti e ortodossi, con una crescente partecipazione di confessioni cristiane. Nella Cei la trasformazione del Segretariato per l’ecumenismo in Commissione episcopale per l’ecumenismo, riservata ai soli vescovi, con l’esclusione di esperti ordinati e laici, non rallenta le attività, anche perché nel 2008 viene istituito l’ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso che dipende direttamente dalla Segreteria generale della Cei. Le esperienze locali, tra le quali vanno ricordati anche i gemellaggi ecumenici, sembrano radicare l’ecumenismo in una dimensione nuova che favorisce un dialogo nella Chiesa e tra le Chiese, soprattutto in relazione a un rinnovato impegno missionario nella società italiana. Il convergere su alcuni temi determina anche la definizione di un calendario ecumenico nel quale la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani non rimane un momento isolato, come è avvenuto per anni; accanto alla Settimana compaiono così altre date, segno di un’attenzione crescente per un dialogo, fondato sull’accoglienza, sull’amicizia e sulla conoscenza, come mostra chiaramente l’istituzione della giornata per l’approfondimento della conoscenza del popolo ebraico (1990) e successivamente della giornata per la salvaguardia del creato (2006) da parte della Cei, mentre le chiese protestanti promuovono la giornata per la libertà religiosa e la giornata di preghiera ecumenica per le donne.

L''amicizia' con gli ebrei

Nel dialogo ecumenico in Italia un elemento peculiare è il rapporto dei cristiani con le comunità ebraiche e il valore che essi vi attribuiscono nella prospettiva della costruzione dell’unità della Chiesa. Si tratta di un rapporto che si manifesta in tutta la sua ricchezza negli anni del post-concilio, quando si moltiplicano gli incontri, favorendo così percorsi di conoscenza delle tradizioni del popolo ebraico, che consentono la rimozione di tanti pregiudizi. All’esplosione numerica di queste occasioni di incontro e di dialogo contribuiscono numerosi fattori. Innanzittutto le vicende storiche dell’Amicizia ebraico-cristiana che apre il suo primo gruppo italiano a Firenze, nel 1949, con la partecipazione di uomini di primo piano del mondo cattolico, come Giorgio La Pira (1904-1977) convinto sostenitore del dialogo come elemento fondamentale per la costruzione della pace79. La nascita di altre Amicizie, a Napoli, a Torino, a Forlì, con la costituzione nel 1988 dell’Associazione delle Amicizie ebraico-cristiane in Italia80, contribuisce in modo significativo a moltiplicare le occasioni di approfondimento non solo del patrimonio storico-spirituale del popolo ebraico ma anche delle possibilità di fattiva collaborazione tra cristiani e ebrei. Nella costruzione del rapporto peculiare tra cristiani e ebrei un ruolo fondamentale è giocato dal Sae che, fin dalla sua fondazione, considera il dialogo ebraico-cristiano una premessa imprescindibile per lo sviluppo del dialogo ecumenico; tutti i cristiani devono condividere il dialogo con gli ebrei a partire dalla lettura della parte comune della Scrittura. Dall’esperienza del Sae nascono molte altre iniziative per la promozione del dialogo ebraico-cristiano, tra cui particolarmente significativi sono i Colloqui ebraico-cristiani, nati nel 1980, che si svolgono presso il monastero di Camaldoli riunendo esperti ebrei e cristiani, prevalentemente dall’Italia. Il dialogo ebraico-cristiano in Italia può contare anche su figure straordinarie di appassionati cultori, tra cui Renzo Fabris (1929-1991)81, che appartiene a quel mondo milanese particolarmente attento al dialogo ebraico-cristiano, come indica anche la fondazione nel 1978 del gruppo Studi Fatti Ricerche per diffondere la conoscenza dell’ebraismo e promuovere un approccio alle Scritture giudaico-cristiano.

La peculiarità italiana del dialogo ebraico-cristiano si manifesta soprattutto nell’istituzione di una giornata annuale per l’approfondimento della conoscenza del popolo ebraico da parte della Cei nel 1990. Già nel maggio 1988 è all’ordine del giorno del Segretariato per l’ecumenismo della Cei un intervento ufficiale sui rapporti con i cittadini di fede ebraica e sui ricorrenti pregiudizi antisemiti; si tratta di un intervento solo apparentemente sollecitato dalle parole del rabbino Elio Toaff (1915-) che aveva notato, con rammarico, il silenzio della Chiesa cattolica di fronte al sorgere di nuovi gesti di antisemitismo. Questo intervento è il risultato degli «ottimi rapporti» tra ebrei e cattolici, secondo una definizione di monsignor Ablondi in quei giorni82; proprio un incontro tra il rabbino Toaff e monsignor Ablondi, allora presidente del Segretariato, fa nascere l’idea di rendere permanente un momento di riflessione nei confronti del popolo ebraico da parte della Chiesa cattolica in Italia come segno di un rapporto che i cattolici considerano fondamentale, anche alla luce del Vaticano II. L’idea di monsignor Ablondi è perfettamente in sintonia con altre richieste, come quelle di Maria Vingiani, che domanda, non solo come presidente del Sae ma anche come membro del Segretariato della Cei, di trovare un modo per rendere ancora più esplicito il rilievo della radice ebraica nel dialogo ecumenico. La convergenza di una molteplicità di istanze conduce il Segretariato a formulare la proposta dell’istituzione di una giornata per l’approfondimento della conoscenza del popolo ebraico; questa proposta viene discussa nel Consiglio permanente della Cei, che l’approva, anche grazie alla sapiente azione diplomatica di monsignor Riva, da anni impegnato in prima fila nel dialogo ebraico-cristiano. La data scelta per la giornata è significativa; infatti, dopo non poche discussioni, si stabilisce che si svolgerà il 17 gennaio di ogni anno, cioè il giorno che precede l’apertura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Fin dalla sua prima edizione la giornata si configura come un momento ecumenico, cioè condiviso da tutti i cristiani, nonostante sia un’iniziativa prettamente cattolica; i cristiani prendono parte all’organizzazione della giornata e alla sua celebrazione, tanto che, talvolta, essa viene pensata congiuntamente dalla comunità ebraica e dal gruppo ecumenico locale. Il sussidio che viene messo a disposizione ogni anno, suggerisce un tema per l’approfondimento della conoscenza delle tradizioni spirituali e teologiche del popolo ebraico e al tempo stesso della recente storia del dialogo ebraico-cristiano, ponendo l’accento ssoprattutto sul concilio Vaticano II e su alcune figure che hanno reso possibile questo dialogo come l’ebreo Jules Isaac (1877-1963)83.

Il 17 gennaio diventa quindi un’occasione per la promozione della conoscenza non solo dell’ebraismo ma anche del dialogo ebraico-cristiano in rapporto con il dialogo ecumenico; per questo, fin dall’indomani, dell’istituzione della giornata matura l’idea di condividere queste istanze a livello europeo e questo avviene nella II Assemblea ecumenica europea, a Graz (1997), dove i cristiani italiani si adoperano per far entrare il tema del dialogo ebraico-cristiano nell’agenda dell’ecumenismo europeo, soprattutto in quei paesi dove l’ecumenismo sta cominciando a muovere i suoi primi passi in libertà, dopo il crollo del comunismo. La giornata del 17 gennaio diventa uno straordinario strumento per sconfiggere l’antisemitismo e per promuovere il recupero della memoria storica. Su questi temi costante è l’attenzione dell’ecumenismo italiano, anche se spesso si manifesta in iniziative delle singole chiese, come il messaggio del Segretariato per l’ecumenismo della Cei per il sessantesimo anniversario delle leggi razziali contro gli ebrei il 1° aprile 199884.

Un salto qualitativo nella celebrazione della giornata del 17 gennaio si realizza a partire dal 2005 quando cristiani e ebrei decidono di definire un programma pluriennale di lettura e commento della Scrittura, cioè di sottoporre alla riflessione ai tanti che prendono parte stabilmente alla giornata e alle iniziative che si animano il dibattito ecumenico, le Dieci parole di Mosè con una duplice presentazione (cattolica e ebraica).

Presenze ortodosse

Gli ultimi anni del secolo XX vedono l’esplosione numerica delle comunità ortodosse in Italia, che nel giro di pochi anni passano da poche unità, un numero rimasto stabile per decenni, a circa duecento all’inizio del 201085. Queste nuove comunità si vengono costituendo in conseguenza dei flussi migratori dall’Europa orientale che provocano l’arrivo di diverse centinaia di migliaia di uomini e donne che cercano lavoro e/o rifugio in Italia. Le nuove comunità si affiancano alle presenze storiche delle Chiese ortodosse in Italia, dove esiste una diocesi del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, con sede a Venezia, che rivendica una presenza storica in Italia di oltre cinquecento anni, anche se si è costituita in arcidiocesi nel 1991, ottenendo il riconoscimento giuridico da parte del governo italiano nel 1998. La comunità ortodossa in Italia vive una stagione di una certa vivacità a partire dalla metà degli anni Sessanta, quando l’Italia diventa una delle mete preferite degli studenti greci, tanto che si creano delle comunità legate a queste presenze in alcune città universitarie, come a Pisa. Alla fine degli anni Ottanta le comunità ortodosse si trovano in varie città, partecipano al dialogo ecumenico, hanno storie molto diverse tra di loro, dal momento che si va dalle comunità russe della diaspora sorte all’inizio del secolo XX alle comunità ortodosse romene costituitesi a partire dagli anni Settanta. L’arrivo dei migranti determina una nuova situazione, con la nascita di numerose comunità, soprattutto romene; queste portano con sé le tensioni e le frammentazioni che sono emerse dopo cinquant’anni di dominazione sovietica, non solo all’interno del mondo ortodosso ma anche tra i cittadini di uno stesso paese proprio per questioni religiose, come nel caso degli ucraini. Inizialmente si pensa che i nuovi fedeli ortodossi possano essere integrati nelle comunità già esistenti, ma ben presto questo si dimostra un piano irrealizzabile; l’integrazione non funziona per motivi pastorali, teologici e politici e così cominciano a nascere delle nuove comunità a seconda della nazione di origine. Di fronte a questa nuova situazione le diocesi italiane si mobilitano, rafforzando e, in alcuni casi attivando, le relazioni con le Chiesa ortodosse canonicamente riconosciute, che chiedono soprattutto che sia consentito alle nuove comunità di celebrare la propria liturgia per mantenere viva la tradizione alla quale appartengono. Si pone quindi la questione dell’ospitalità di queste comunità: questione che viene risolta, talvolta con qualche difficoltà, con la concessione da parte delle diocesi dell’uso di una Chiesa per la celebrazione delle liturgie ortodosse e la Chiesa diventa il punto di riferimento per una comunità nazionale a livello locale. In molti casi la concessione di un luogo di culto si realizza grazie al clima ecumenico che le comunità ortodosse italiane hanno contribuito a creare con la loro partecipazione agli incontri ecumenici. Questo clima è anche il risultato di quello che si è costruito negli anni, anche grazie ai rapporti personali che hanno avvicinato l’Oriente cristiano all’Italia, attraverso una pluralità di iniziative, tra le quali va ricordata la creazione di una rete di gemellaggi ecumenici, che sono stati pensati e sostenuti da monsignor Vincenzo Sollazzi (1947-) della diocesi di Fano86.

La presenza di così tante comunità ortodosse apre un dibattito sui rapporti tra le stesse comunità ortodosse e tra loro e la Chiesa cattolica in Italia; infatti nel mondo ortodosso si avverte sempre più la necessità di un nuovo assetto delle comunità ortodosse che formalmente dipendono da Venezia, che rivendica per sé questo ruolo di guida, mentre anche l’Italia è investita dal dibattito sulla natura giuridica di alcune chiese, come quella di Macedonia, proprio perché i flussi migratori determinano la nascita di queste comunità. Alla fine di un percorso non facile, segnato da qualche incomprensione, nel quale motivi contingenti si scontrano con tensioni plurisecolari, nel maggio 2008 si giunge alla creazione di una diocesi per i romeni ortodossi residenti di Italia, affidata al padre Siluan Span (1970-) già da qualche anno vicario per gli ortodossi romeni in Italia all’interno della diocesi per l’Europa occidentale, con sede a Parigi. Pochi mesi dopo è la volta della Chiesa ortodossa russa, la cui presenza è venuta crescendo anche grazie al recupero di alcuni luoghi storici. Le spinte per una qualche forma di dialogo, talvolta favorita anche dalla Chiesa cattolica, sembrano prevalere, anche perché la ricerca di una maggiore collaborazione a livello nazionale è l’orientamento che emerge nel dialogo tra le Chiese ortodosse a livello universale. Nel 2009 si giunge infatti alla costituzione della Conferenza episcopale ortodossa di Italia e Malta (Ceoim), alla quale prendono parte i rappresentanti del Patriarcato di Costantinopoli, Romania, Serbia, Bulgaria e Mosca.

Le comunità ortodosse partecipano al dialogo ecumenico, arricchendolo con la loro tradizione liturgica, la loro spiritualità, la loro iconografia, compiendo dei gesti che nel loro paese sarebbero praticamente impossibili per le limitazioni imposte nei rapporti con gli altri cristiani. Si trovano particolarmente in sintonia ecumenica con la Chiesa cattolica su alcuni temi, tra i quali la salvaguardia del creato, tanto più che nel 2006 la Cei istituisce la giornata nazionale della salvaguardia del creato, da celebrare a partire dal 1° settembre, su un tema presentato congiuntamente dalle Commissioni episcopali per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e per l’ecumenismo. Fin dalla sua prima edizione, la giornata diventa un momento ecumenico per la partecipazione di cattolici, protestanti e ortodossi nei luoghi in cui viene celebrata con una molteplicità di forme, che vanno dalla preghiera ecumenica alla giornata di riflessione comunitaria, a un programma di più settimane, con il coinvolgimento delle istituzioni civili, fino a una passeggiata ecumenica promossa da più diocesi. L’istituzione della giornata è un tappa di una riflessione ecumenica sulla salvaguardia della creazione che porta i delegati italiani alla III Assemblea ecumenica europea, a Sibiu, nel settembre 2007; qui essi contribuiscono in modo significativo all’approvazione della proposta di celebrare una giornata europea della Salvaguardia del creato dal 1° settembre al 4 ottobre.

Nel consolidarsi delle presenze ortodosse in Italia rimane centrale il tema dell’accoglienza, soprattutto a livello locale, tanto che ci sono dei tentativi per offrire delle indicazioni su come vivere ecumenicamente questa nuova stagione del cristianesimo in Italia, segnata dalla ricerca di un equilibrio tra integrazione sociale e rispetto delle tradizioni cristiane. In questa situazione è esemplare l’azione dell’arcidiocesi di Lucca, che pubblica nel 2003 un agile sussidio proprio sull’accoglienza degli ortodossi da un punto di vista pastorale, cercando di dare delle indicazioni alle domande poste dalla presenza degli ortodossi, soprattutto nella celebrazione dei sacramenti e nella partecipazione dei fanciulli alla catechesi per l’iniziazione cristiana87. Su questo tema seminari, incontri, pubblicazioni alimentano un animato dibattito che coinvolge soprattutto la Chiesa cattolica; di fronte al moltiplicarsi delle questioni ecumeniche in relazione alla presenza delle comunità ortodosse nella pastorale quotidiana la Commissione episcopale per l’ecumenismo pensa a uno strumento in grado di offrire un quadro giuridico-teologico dello stato dei rapporti tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Per questo l’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e l’Ufficio giuridico della Cei vengono incaricati di redigere un Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici88. Il Vademecum viene presentato nel marzo 2010 ad Ancona durante il convegno nazionale dei delegati diocesani per l’ecumenismo, suscitando un grande interesse dal momento che nella sua essenziale semplicità indica la strada per un fraterno dialogo che tenga conto delle norme e delle tradizioni della Chiesa cattolica e delle Chiese Ortodosse in modo da rafforzare il cammino ecumenico; infatti nella prima parte si presenta sinteticamente la dottrina delle Chiese ortodosse, mentre nella seconda si offrono delle indicazioni sulla condivisione del culto liturgico sacramentale.

Conclusioni

I primi centocinquanta anni dell’Unità di Italia vedono per un secolo (1861-1959) i cristiani contrapporsi nella ricerca non tanto del dialogo quanto della conversione dell’altro per costruire l’unità della Chiesa. In questa logica non meraviglia quanto sia forte un atteggiamento di insofferenza nei confronti delle tradizioni ebraiche che possono essere anche conosciute, ma devono essere comunque ricondotte nell’alveo del cristianesimo. In un quadro dominato da queste istanze, di cui sono vittime anche le Chiese evangeliche che pure in Europa muovono i primi incerti passi del movimento ecumenico, esistono dei luoghi e delle figure che si pongono la questione dell’unità della Chiesa in termini diversi; si tratta di presenze minoritarie, spesso emarginate e marginali, che alimentano però una riflessione che esplode con l’indizione del concilio Vaticano II nel 1959.

Il Vaticano II rappresenta l’elemento che porta alla luce da una parte e fa sorgere dall’altra una molteplicità di iniziative a favore dell’ecumenismo, cioè di una collaborazione fraterna dei cristiani per una testimonianza sempre più condivisa dell’evangelo nella prospettiva di vivere l’unità visibile della Chiesa. Si tratta di una stagione estremamente feconda, nella quale permangono elementi nelle singole Chiese contrari all’ecumenismo. Il dialogo ecumenico sembra tuttavia raggiungere un qualche equilibro, anche per alcuni risultati inimmaginabili prima del Vaticano II, come la prima traduzione interconfessionale della Bibbia, pubblicata nel 1985, e la creazione di una Commissione mista tra la Chiesa cattolica e la Chiesa valdo-metodista per la discussione del tema dei matrimoni interconfessionali nel 1988. In Italia l’ecumenismo sembra essere cristallizzato nei suoi attori, nei suoi temi, nelle sue polemiche agli inizi degli anni Novanta, quando la situazione muta radicalmente; nascono infatti nuove comunità cristiane, soprattutto ortodosse, come conseguenza dei flussi migratori, e si ha il coinvolgimento di comunità e Chiese, come quella avventista, che fino a quel momento erano rimaste ai margini. Si apre quindi una nuova stagione dell’ecumenismo in Italia per la pluralità di soggetti coinvolti, che affrontano temi, come la salvaguardia del creato e l’accoglienza dell’altro, su cui sembra possibile una testimonianza cristiana condivisa.

Note

1 Alcune sintetiche considerazioni sulla storia dell’ecumenismo in Italia, G. Cereti, Italia e movimento ecumenico in Dizionario del movimento ecumenico, trad. it. cura di G. Cereti, A. Filippi, L. Sartori, Bologna 1994, pp. 634-639 [d’ora in avanti Dizionario del movimento ecumenico]; lo stesso autore di recente ha ripreso lo stesso tema con qualche modifica, G. Cereti, Il movimento ecumenico in Italia, in J. Ernesti, Breve storia dell’ecumenismo: dal cristianesimo diviso alle chiese in dialogo, Bologna 2010, pp. 127-138.

2 Tra gli studi sui progetti di unionismo in Italia ricordo il documentato e molto dettagliato, G.M. Croce, La Badia greca di Grottaferrata e la rivista “Roma e l’Oriente”, 2 voll., Città del Vaticano 1990.

3 Nella vasta bibliografia su questo tema, con particolare attenzione alla partecipazione evangelica al Risorgimento, segnalo il saggio P. Cozzo, Protestantesimo e stampa cattolica nel Risorgimento. L’«Armonia» e la polemica antiprotestante nel decennio preunitario, «Rivista di storia e letteratura religiosa», 2000, 36, pp. 77-113, oltre che al classico G. Spini, Risorgimento e protestanti, Torino 1956, 19982.

4 Per una storia delle comunità battiste nei primi decenni dell’Italia unita, D. Maselli, Storia dei battisti italiani (1873-1923), Torino 2003; sui metodisti si può vedere la miscellanea, Storia delle Chiese Metodiste in Italia 1859-1915, a cura di F. Chiarini, Torino 1999.

5 Per le vicende storiche delle comunità valdesi per il periodo preso in esame in questo saggio, V. Vinay, Storia dei valdesi, III, Dal movimento evangelico italiano al movimento ecumenico (1848-1978), Torino 1982; i nuovi rapporti ecumenica con la Chiesa cattolica vengono trattati alle pp. 151-168. Per le prospettive culturali della Chiesa valdese può essere utile la ricostruzione biografica di uno dei suoi personaggi più rilevanti, S. Biagetti, Emilio Comba (1839-1904). Storico della Riforma italiana e del movimento valdese medievale, Torino 1989; per l’attività della Casa editrice Claudiana, come promotrice della teologia e della cultura valdese, anche in polemica con la Chiesa cattolica soprattutto nei primi decenni dell’Unità d’Italia, C. Papini, G. Tourn, Claudiana 1855-2005. 150 anni di presenza evangelica nella cultura italiana, Torino 2005. Qui rimando anche a un quadro d’insieme delle istanze culturali evangeliche con particolare riferimento alla produzione periodica, L. Demofonti, La Riforma nell’Italia del primo novecento, Roma 2003.

6 Sull’attività dei colportori e della società biblica in Italia, D. Maselli, Duecento anni di storia in Italia, in D. Maselli, C. Ghidelli, La Società biblica britannica e forestiera: 200 anni di storia in Italia, Roma 2004, pp. 9-112.

7 G. Spini, L’evangelo e il berretto frigio. Storia della Chiesta Cristiana Libera in Italia 1870-1904, Torino 1971.

8 Per una sintetica presentazione storica, E. Stretti, Il Movimento pentecostale. Le Assemblee di Dio in Italia, Torino 1998; alcune considerazioni, C. Napolitano, Il pensiero di Giuseppe Petrelli. Per una storia del movimento pentecostale in Italia, in Movimenti popolari evangelici nei secoli XIX e XX, a cura di D. Maselli, Firenze 1999, pp. 94-153.

9 Sulla singolare storia di questa piccola comunità, L. Quaglio, La Chiesa Cristiana Evangelica di Campiglia dei Berici, Campiglia dei Berici 1997.

10 Per una storia della Chiesa avventista, G. De Meo, “Granel di sale”, un secolo di storia della Chiesa Avventista in Italia (1864-1964), Torino 1980; per una presentazione degli avventisti al mondo italiano, T. Rimoldi, Con ordine e dignità. Origini e sviluppo della struttura della Chiesa Avventista del 7. Giorno, Impruneta 2006.

11 Su questo episodio, M. Gnocchi, La dimensione ecumenica, in Un’eredità feconda e impegnativa. Il vescovo Geremia Bonomelli ottant’anni dopo, a cura della Diocesi di Cremona, Cremona 1995, pp. 91-101; M. Gnocchi, La dimensione ecumenica in Bonomelli, in Geremia Bonomelli e il suo tempo, a cura di G. Rosoli, Brescia 1999, pp. 169-201; J. Delaney, Mons Bonomelli e la World Missionary Conference di Edimburgo, «Ad Gentes», 2000, 4, pp. 283-293; J. Delaney, From Cremona to Edinburgh: Bishop Bonomelli and the World Missionary Conference of 1910, «The Ecumenical Review», 2000, 52, pp. 418-431. Sulla storia della Conferenza Missionaria Mondiale di Edimburgo, B. Stanley, The World Missionary, Edimburgh 1910, Grand Rapids (Mi) 2009.

12 L’apertura degli archivi vaticani su papa Ratti ha consentito anche di comprendere meglio la genesi dell’enciclica, J. Ickx, L’encilica «Mortalium animos» (1928): sfide storiografiche in base al nuovo materiale archivistico della Santa Sede, in La sollicitudine ecclesiale di Pio XI. Alla luce delle nuove frontiere archivistiche. Atti del Convegno internazionale di studio (Città del Vaticano 2009), a cura di C. Semeraro, Città del Vaticano 2010, pp. 313-331.

13 Gli atti del convegno all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, La vera unità religiosa. Studiata alla luce della enciclica «Mortalium animos», Settimane sociali d’Italia, Milano 1928; alcune considerazioni sul convegno, R. Moro, Antiprotestantesimo cattolico alla settimana sociale del 1928, in Democrazia e cultura religiosa. Studi in onore di Pietro Scoppola, a cura di C. Brezzi, C.F. Casula, A. Giovagnoli, et al., Bologna 2002, pp. 231-270; T. Bertola, L’enciclica «Mortalium animos» di Pio XI, «Les Trois Anneaux», 2007, 13, pp. 67-109.

14 A. Maffeis, Giovanni Battista Montini e il problema ecumenico. Dagli anni giovanili all’episcopato milanese, in Paolo VI e l’ecumenismo, Brescia 2001, pp. 39-96.

15 Per una biografia di Luzzi, H.-P. Dür-Gademann, Giovanni Luzzi traduttore della Bibbia e teologo ecumenico, Torino 1996.

16 Sulla traduzione della Bibbia di Diodati, E. Fiume, Giovanni Diodati. Un italiano nella Ginevra della Riforma. Traduttore della Bibbia e teologo europeo, Roma 2007.

17 Sulle difficoltà della Società Biblica durante il fascismo, oltre al saggio di Maselli già citato, C. Barducci, I rapporti conflittuali dell’Avventismo e delle chiese evangeliche con la chiesa cattolica durante il fascismo, in Movimenti popolari evangelici nei secoli XIX e XX, a cura di D. Maselli, Firenze 1999, pp. 79-93.

18 Riprendo l’espressione il «vangelo del lager» dal titolo di un fortunato saggio di don Roberto Angeli (1913-1978), prete della diocesi di Livorno, che racconta questa sua esperienza, R. Angeli, Vangelo nei Lager. Un prete nella resistenza, Livorno 2007; la prima edizione, con questo titolo, è del 1964, riedita varie volte e nel 2007 accresciuta e rivista. Tra i numerosi religiosi deportati mi pare opportuno ricordare l’esperienza di monsignor Carlo Manziana (1902-1997), futuro vescovo di Crema, collaboratore di Paolo VI, che fu particolarmente vicino al papa nel post-concilio riguardo alla promozione del dialogo ecumenico, anche in virtù dei rapporti che aveva mantenuto con alcuni compagni di prigionia di diversa confessione cristiana; il più recente contributo su monsignor Manziana, Per un ricordo di Carlo Manziana (1902-1997) nel decennale della morte, a cura di G. Camadini, R. Papetti, Brescia 2007.

19 Su «Unitas» si possono vedere alcune informazioni, pur parziali, sulla sua attività e sulla sua origine, Ch. Boyer, Notizie sull’Associazione Internazionale «Unitas», «Unitas», 1968, 23, pp. 87-92; L. Lozza, Alle origini di «Unitas». Prima di Amsterdam, «Unitas», 1978, 33, pp. 163-165; L. Lozza, Mons. Giovanni Battista Montini e le origini di «Unitas», «Unitas», 1993, 48, pp. 54-55.

20 Sulla presenza di comunità evangeliche di origine americana e sulle tensioni con la Chiesa cattolica locale è interessante, per valutare il clima «ecumenico» dell’epoca, leggere due contributi, C. Crivelli, La «Chiesa di Cristo» e una sua recente propaggine a Frascati, «La Civiltà cattolica», 1950, 101/3, pp. 162-171; P.F. Provenzano, La sette protestante «Chiesa di Cristo» nel territorio di Frascati, «Fiet Unum Ovile», 1950, 7/2, pp. 6-8. Presso l’archivio del Centro per l’Ecumenismo in Italia (Archivio CEcIt) di Venezia è posseduto, in copia, un dossier relativo alle proteste dei predicatori americani per il trattamento da loro riservato dalle comunità cattoliche in quegli stessi anni.

21 Per una ricostruzione complessiva della figura e dell’opera di Ugo Janni, C. Milaneschi, Ugo Janni, pionere dell’ecumenismo, Torino 1979; per una presentazione estremamente sintetica, P. Ricca, Janni, Ugo, in Dizionario del movimento ecumenico, p. 641.

22 Di recente la figlia Paola ha scritto un’appassionata quanto lucida biografia del padre, Tullio, P. Vinay, Testimone d’amore, Torino 2009. Alcune sintetiche note biografiche, P. Ricca, Vinay, Tullio, in Dizionario del movimento ecumenico, cit., p. 1163.

23 Per una voce biografica, L. Sartori, Sagheddu Maria Gabriella, in Dizionario del movimento ecumenico, cit., p. 953; per una biografia più ampia anche se simpatetica, M. G. Dore, Suor Maria Gabriella per l’unità della Chiesa, Brescia 1940. Per una raccolta di scritti, Gabriella dell’Unità, Lettere dalla Trappa, a cura di M. Carpino, Cinisello Balsamo 2006. Negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni interessanti contributi sulla spiritualità ecumenica di Maria Gabriella Sagheddu, E. M. Sironi, Preghiera e conversione all’unità. Il messaggio e la testimonianza di Paul Couturier e Maria Gabriella Sagheddu, «Nicolaus», 2000, 27, pp. 293-317; D. Spanu, Il mistero eucaristico nell’itinerario spirituale della Beata Maria Gabriella Sagheddu, «Theologica & Historica», 2001, 10, pp. 275-304; Id., I doni straordinari nella vita di Maria Gabriella Sagheddu, «Rivista di Ascetica e Mistica», 2005, 3, pp. 497-538; Id., La gioia cristiana nella vita di Maria Gabriella Sagheddu, «Theologica & Historica», 2005, 14, pp. 111-143; Id., Poesie in lingua sarda in onore della beata Maria Gabriella Sagheddu. Un messaggio biblio-spirituale, «Theologica & Historica», 2008, 17, pp. 169-198. Per un interessante confronto di due spiritualità ecumeniche L. Sartori, San Leopoldo Mandić e la beata Gabriella Sagheddu due testimoni della vocazione ecumenica, in Il Mio Oriente: l’ecumenismo spirituale di san Leopoldo Mandic, a cura di A. Fregona, Padova 2002, pp. 193-205.

24 Su Maria Giovanna Dore e sull’esperienza monastica di Mater Untatis, D. Spanu, Benedettine Mater Unitatis, in Congregazioni religiose e istituti secolari sorti in Sardegna negli ultimi cento anni, a cura di F. Atzeni, T. Cabizzosu, Cagliari, 2000, pp. 203-232; M.E. Manca, Ricordo di Maria Giovanna Dore nel centenario della nascita, in Miscellanea ieri e oggi. Nel X Anniversario di pubblicazione del Notiziario Diocesano, a cura di G. Zuncheddu, I, Quartu S. Elena 2000, pp. 387-392. Presso l’Archivio CEcIt di Venezia sono posseduti decine di documenti, in copia, sull’attività di Maria Giovanna Dore e della vita della comunità monastica Mater Unitatis.

25 Per una presentazione dell’esperienza di Taddeide, L. Sartori, Cittadella Ecumenica Taddeide, in Dizionario del movimento ecumenico, cit., p. 191.

26 In questa sede non è possibile tracciare neanche in modo sommario l’attività in favore del dialogo ecumenico e interreligioso da parte di Chiara Lubich e del movimento dei Focolari; per la centralità della vocazione al dialogo nell’esperienza del movimento fin dalle sue origini e il profondo legame con le vicende belliche di questa origine, rimando a C. Lubich, I. Giordani, ”Erano i tempi di guerra”, agli albori dell’ideale dell’unità, Roma 2007.

27 Alcune considerazioni preliminari sull’opera di don Romano Scalfi sotto forma di biografia, P. Colognesi, Russia Cristiana. Una biografia di padre Romano Scalfi, Cinisello Balsamo 2007.

28 Nella vasta bibliografia su don Divo Barsotti rinvio a alcune recenti considerazioni sulla sua azione a favore della conoscenza dell’Oriente cristiano, M. Ientile, Don Divo Barsotti, un precursore, «La Nuova Europa», 2008, 3, pp. 20-33.

29 Sugli studi sul mondo ortodosso in Italia dopo il 1945, A. Cazzago, ll cristianesimo orientale e noi, Milano 2008.

30 Sulla figura di monsignor Alberto Ablondi, R. Burigana, Dall’amicizia al dialogo. Appunti per una biografia di mons. Alberto Ablondi, in Dall’amicizia al dialogo. Saggi in onore di mons. Alberto Ablondi, a cura di R. Burigana, V. Bertalot, G. Bof, et al., Roma 2004, pp. 489-503. Lo stesso monsignor Ablondi lo ha raccontato, in vari interventi, le sue esperienze ecumeniche; per questi interventi rimando ai suoi due ultimi lavori, A. Ablondi, Mai latitante né invadente… una Chiesa. Saggi di esperienze pastorali, Leumann 2005; A passo d'uomo verso il divino, Brescia 2010.

31 Pur nell’impossibilità, per motivi di spazio, pare opportuno evocare i rapporti ‘ecumenici’ di don Primo Mazzolari (1890-1959) e di don Giovanni Calabria (1873-1954); sul primo si possono vedere gli atti di un convegno dedicati a questo tema, L’ecumenismo di don Mazzolari, a cura di M. Maraviglia, M. Margotti, Milano 2009, mentre sul secondo rimando a G. Calabria, C.S. Lewis, Una gioia insolita. Lettere tra un prete cattolica e un laico anglicano, a cura di L. Squizzato, Milano 1995.

32 A.G. Roncalli, L’Ottava di preghiere per l’Unità della Chiesa, «Bollettino Diocesano del Patriarcato di Venezia», 1956, 47/1, p. 9; R. Bertalot, L’ecumenismo veneziano degli anni Sessanta, in Tra fede e storia, a cura di N. Benatelli, Venezia 2000, pp. 77-81; R. Bertalot, L’eco della laguna, in Dall’amicizia al dialogo, a cura di R. Burigana, V. Bertalot, G. Bof, et al., cit., pp. 131-142; G. Vian, Dal conflitto al dialogo. I rapporti tra le Chiese cristiane a Venezia nell’età contemporanea, in Storia della vita religiosa a Venezia. Ricerche e documenti sull’età contemporanea, a cura di G. Luzzato Voghera, G. Vian, Brescia 2008, pp. 151-188.

33 Sulla situazione del dialogo ecumenico alla vigilia del concilio Vaticano II in Italia, secondo una lettera unionista, si può leggere, F. Provenzano, L’ecumenismo in Italia, in Il problema ecumenico oggi, a cura di Ch. Boyer, Brescia 1960, pp. 435-460.

34 Sulla vicinanza del cardinale Bea a questo progetto, M. Vingiani, A 20 anni dalla morte di Agostino Bea il cardinale dell’unità, «Lettera di collegamento», 1988, 16, pp. 25-26. Presso l’ArchivioCEcIt di Venezia è posseduto il carteggio tra Maria Vingiani e il cardinale Agostino Bea e il segretario del cardinale e suo biografo, il padre Stephan Schmidt.

35 Sul contributo dei vescovi italiani al dibattito sull’ecumenismo al concilio Vaticano II, R. Burigana, El primer día de escuela. Primeras reflexiones sobre los obispos italianos y el ecumenismo en el Concilio Vaticano II, «Diálogo Ecuménico», 2004, 39, pp. 475-506.

36 Tra i molti scritti del sacerdote bergamasco in campo ecumenico, ne indico due degli anni della preparazione del concilio, che mostrano chiaramente la sua posizione, A. Bellini, Il Movimento ecumenico, Padova 1960; A. Bellini, Speranze e difficoltà nel mondo protestante alla vigilia del Vaticano II, «Vita e Pensiero», 1962, 45, pp. 90-108.

37 Un’erudita ricostruzione dei rapporti cattolico-valdesi a Pinerolo, G. Mercol, Nel Pinerolese un cammino di otto secoli verso traguardi ecumenici, Pinerolo 2002; sul vescovo Binaschi, F.V. Betteto, Il Concilio Vaticano II nelle lettere pastorali di Mons. Gaudenzio Binaschi, in I Vescovi di Pinerolo ai concili ecumenici Vaticano I e II, Pinerolo 2000, pp. 27-34. Per una dettagliata presentazione delle vicende storiche delle dinamiche cattolico-valdesi nelle valli del Pinerolese nell’epoca della Controriforma, C. Povero, Missioni in terra di frontiera, Roma 2006.

38 E. Florit, L’unità cristiana, problema di comune interesse, Firenze 1965. Per l’azione di monsignor Florit negli anni del Vaticano II, R. Burigana, Il magistero episcopale tra Roma e Firenze, «Vivens Homo», 2000, 11, pp. 263-300.

39 Per la storia del Sae appare ancora fondamentale la «memoria» redatta da Maria Vingiani, pubblicata negli atti della Sessione estiva di formazione del Sae del 1987 (Laici, laicità, popolo di Dio. L’ecumenismo in questione, Napoli 1988, pp. 99-126) e poi separatamente, con alcune modifiche; l’ultima versione, M. Vingiani, Una esperienza di ecumenismo laicale. Memoria storica, in Dall’amicizia al dialogo, a cura di R. Burigana, V. Bertalot, G. Bof, et al., cit., pp. 355-387. Sulla nascita e il ruolo del Sae Maria Vingiani è tornata in altre occasioni, M. Vingiani, Peculiarità dell’impegno ecumenico del SAE, «Protestantesimo», 2001, 56, pp. 205-212; M. Vingiani, Il SAE: una esperienza di ecumenismo laicale, in San Luca Evangelista. Testimone della Fede che unisce, III, Ecumenismo, tradizioni storico-liturgiche, iconografia e spiritualità, a cura di F. G.B. Trolese, Padova 2004, pp. 27-38. Sul Sae anche F. Piccoli Sfredda, Il SAE e la sua originalità, «Fedeltà», 2001, 26, pp. 221-223; L. Sartori, Segretariato Attività Ecumeniche, in Dizionario del Movimento Ecumenico, cit., pp. 986-987. Su Maria Vingiani alcune considerazioni preliminari, R. Burigana, Maria Vingiani e il movimento ecumenico italiano, «Les Trois Anneaux», 2003, 5, pp. 9-17.

40 Di monsignor Luigi Mori si può leggere una raccolta di scritti L. Mori, Tu es Petrus, Siena 1996; a lui è stata dedicata una giornata di studio a Siena nel 2007, durante la quale è stato presentato un volume che raccoglie dei testi di lui e su di lui, Mons. Luigi Mori, a cura di R. Rossi, Siena 2007.

41 Sull’attività ecumenica di monsignor Gottardi nell’arcidiocesi di Trento, A. Sebastiani, La pastorale ecumenica dell’arcivescovo Alessandro Maria Gottardi, «Annali di studi religiosi», 2002, 3, pp. 87-140. Per una prima ricostruzione del dialogo ecumenico a Trento, dopo il concilio Vaticano II, con particolare attenzione alle iniziative della Commissione diocesana, S. Jellici Formillan, Chiesa in cammino. Ecumenismo e dialogo interreligioso nella Diocesi di Trento, Lavis 2002.

42 Per gli incontri ecumenici a Villa Cagnola, a Gazzada, L. Vaccaro, Chronicon delle attività di Villa Cagnola (1947-1996), in Le due culture: un incontro mancato?, a cura di F. Citterio, L. Vaccaro, Brescia, pp. 153-264.

43 P. Ghezzi, Il fuoco del dialogo. Silvio Franch, profeta dell’ecumenismo, Milano 2002.

44 Sul congresso, Secondo Congresso Evangelico Italiano. Documenti preparatori da sottoporre all’esame e alla discussione delle chiese partecipanti al congresso, Roma 1964.

45 Sulle reazioni e commenti degli evangelici italiani al Concilio Vaticano II durante il suo svolgimento, si possono vedere, tra gli altri, V. Vinay, Il Concilio Vaticano II in una visuale protestante italiana, Torino 1964; R. Bertalot, Il decreto «De oecumenismo» visto da un protestante, «Mulino», 1965, 14, pp. 535-543 e Note di un protestante ad alcuni capitoli della Costituzione «De Ecclesia», «Mulino», 1966, 15, pp. 459-469. Per una valutazione complessiva del concilio negli anni immediatamente seguenti alla sua conclusione da parte di chi aveva preso parte al Vaticano II come osservatore, mantenendo tutte le sue perplessità sulla svolta ecumenica della Chiesa cattolica, V. Subilia, La nuova cattolicità del Cattolicesimo. Una valutazione protestante del Concilio Vaticano Secondo, Torino 1967. Alcune recenti considerazioni su un tema tanto interessante per lo sviluppo del dialogo ecumenico in Italia, D. Garrone, Il mondo evangelico italiano e il Concilio Vaticano II, in Dall’amicizia al dialogo, pp. 181-199.

46 Pare opportuno segnalare che, alla conclusione del Vaticano II, c’era chi sosteneva la necessità di proporre delle figure esemplari di «ritorno» alla Chiesa cattolica come modelli per l’unità della Chiesa, P. Tocanel, Ritorno alla Chiesa Cattolica del Metropolita Calinis Miclescu primate di Romania (1886), «Divinitas», 1965, 9, pp. 573-587.

47 L’intervento del cardinale Giovanni Urbani all’Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana del 21 giugno 1966, in ECEI, 1, 1954-1972, a cura di A. Arrighini, E. Lora, Bologna 1985, pp. 255-249, nn. 662-743.

48 Per alcuni interventi di monsignor Marafini in quegli anni, L’ecumenismo nell’insegnamento superiore, «Ut Unum Sint», 1970, 10, pp. 60-72; Discorso di introduzione al convegno nazionale, «Ut Unum Sint», 1970, 10, pp. 7-10; Ecumenismo ed evangelizzazione della pace, «Humanitas», 1970, 25/1-2, pp. 8-15. Nell’ArchivioCEcIt di Venezia sono conservate alcune lettere di monsignor Marafini negli anni della sua presidenza della Commissione per l’ecumenismo che mostrano i suoi propositi di promuovere una reale collaborazione tra tutti i soggetti impegnati nel dialogo ecumenico.

49 Per una presentazione della situazione del dialogo ecumenico in Italia nei primi anni del post-concilio. M. Vingiani, Situazioni ed esperienze ecumeniche in Italia, «Concilium», 1969, 5, pp. 841-847; Maria Vingiani venne chiamata spesso, soprattutto fino alla metà degli anni Ottanta, a offrire dei contributi sullo stato dell’ecumenismo in Italia.

50 Sull’opera di monsignor Luigi Sartori, con particolare attenzione al suo contributo alla riflessione ecumenica, I. Asimakis, Oltre le forme. Il contributo di Luigi Sartori per una ecclesiologia ecumenica, Vicenza 2005; R. Burigana, La pazienza del dialogo: prime riflessioni sull’opera di mons. Luigi Sartori in campo ecumenico, in Per una metafisica dell’amore, a cura di L. Sartori, S. Nash-Marshall, Venezia 2005, pp. 337-367; E. Berti, Luigi Sartori e ’Studia Patavina’, «Studia Patavina», 2008, 55, pp. 359-361; P. Coda, Sartori e l’ontologia della carità. Un’introduzione metodologica, «Studia Patavina», 2008, 55, pp. 333-345; S. Panizzolo, La visione ecclesiologica-ecumenica: Luigi Sartori, «Servitium», 2008, 42, pp. 655-667; S. Panizzolo, L’ecclesiologia di Luigi Sartori, «Studia Patavina», 2008, 55, pp. 347-357; T. Vetrali, Luigi Sartori: cuore e guida per la vita dell’Istituto Studi Ecumenici, «Studia Patavina», 2008, 55, pp. 367-371.

51 Su Germano Pattaro, L. Sartori, Pattaro, Germano, in Dizionario del movimento ecumenico, cit., pp. 844-845; Per una bibliografia degli scritti di mons. Germano Pattaro: un primo censimento, a cura di G. Benzoni, Venezia 1989. Di Pattaro è stata pubblicata una raccolta di scritti, Sul confine. Gli ultimi anni di don Germano Pattaro, a cura di S. Canzi Cappellari, F. Ciccolò Fabris, Bologna 2001. A Venezia è stato istituito un Centro dedicato a Germano Pattaro per la promozione del dialogo ecumenico.

52 Su monsignor Galbiati alcune considerazioni in occasione della sua morte, G. Borgonovo, A. Passoni Dell’Acqua, Mons. Rodolfo Enrico Galbiati (1914-2004). In memoriam, «La Scuola cattolica», 2004, 132, pp. 637-700; G. Borgonovo, G. Ghiberti, Mons. Enrico Rodolfo Galbiati (1914-2004). In memoriam, «Teologia», 2004, 29, pp. 115-126.

53 A questa Commissione si deve la redazione del promo documento di studio sull’ecumenismo della Cei, L’ecumenismo e la testimonianza cristiana, Roma, 15 febbraio 1970, in ECEI, I, pp. 835-838.

54 Per comprendere i passaggi, non solo istituzionali, del dialogo ecumenico in Italia in quegli anni, richiamo alcuni interventi di monsignor Ablondi, A. Ablondi Tappe e mete dell’Ecumenismo in Italia, «La Settimana», 1975, 10/3, pp. 1-2; Itinerari dell’ecumenismo in Italia, «La Settimana», 1978, 13/6, pp. 1,4; Un costante impegno ecumenico, «La Settimana», 1979, 14/1, pp. 1-2; Non è fermo l’ecumenismo in Italia, «La Settimana», 1979, 14/2, pp. 1-2; La comunione ecumenica in Italia: tappe di un cammino, in Regno come comunione, Torino 1980, pp. 13-26.

55 Su questo aspetto rinvio J. Grootaers, Rome et Genève à la croise des chemins (1968-1972). Un ordre du jour inachevé, Paris 2005.

56 Per un profilo di monsignor Giuliano Agresti, P. Ciardella, Introduzione a G, Agresti, Elogio della gratuità, Lucca 2010, pp. 9-26; alcuni suoi scritti ecumenici, La tensione escatologica dell’ecumenismo, in Morte e risurrezione in prospettiva del Regno, Torino 1981, pp. 15-21; Il valore ecumenico dell’impegno per la pace, in La pace sfida del Regno, Leumann 1983, pp. 23-30. Interessanti sono i suoi messaggi ai delegati diocesani per l’ecumenismo, pubblicati sulla «Lettera di collegamento» negli anni 1983-1985.

57 Sulla figura di monsignor Giachetti, R. Burigana, Un vescovo in dialogo. La testimonianza ecumenica di mons. Pietro Giachetti, vescovo di Pinerolo (1976-1999), «Les Trois Anneaux», 2005, 9, pp. 69-76, R. Burigana, Un dono per il domani. Prime riflessioni su mons. Pietro Giachetti, vescovo di Pinerolo (1976-1999) nell’oggi del dialogo ecumenico in Italia, in Omaggio a Pietro Giachetti, vescovo di Pinerolo, nel 40° del decreto conciliare Unitatis redintegratio, Pinerolo 2005, pp. 32-41; P. G. Debernardi, Mons. Pietro Giachetti, vescovo da 25 anni, «Rivista diocesana Pinerolese», 2001, 69/3, pp. 18-20. Sul suo impegno in campo ecumenico si può vedere anche il racconto che egli stesso ne faceva, quando veniva chiamato a parlare di questa sua peculiare esperienza, P. Giachetti, L’esperienza ecumenica di un vescovo, «Oecumenica Civitas - Quaderno», 2001, 1, pp. 67-75.

58 All’azione di Agresti risale l’idea di nota pastorale della Cei sulla formazione ecumenica che vedrà la luce solo pochi mesi prima della scomparsa dell’arcivescovo di Lucca, Segretariato per l’ecumenismo, La formazione ecumenica nella Chiesa particolare, Roma, 2 febbraio 1990, in ECEI, IV, 1986-1990, a cura P. Cabri, E. Lora, B. Testacci, Bologna 1991, pp. 1098-1121.

59 I documenti del Gruppo misto di lavoro teologico del Sae, La presidenza nell’eucaristia (1976), Matrimoni interconfessionali. Proposta (1978) e La recezione del BEM (1984), in EO, II, Dialoghi locali (1965-1987) a cura di G. Cereti, S. J. Voicu, Bologna 1988, pp. 831-860.

60 Sulla figura di Emilio Zanetti alcune interessanti considerazioni a partire da un’attenta lettura dei suoi scritti, G. Bratti, Tessitore di relazioni. Per un primo bilancio della figura di don Emilio Zanetti, «Oecumenica Civitas», 2003, 3, pp. 67-92; per una valutazione più ampia, G. Battaglia, La catechesi ecumenica tra gli impegni pastorali della Chiesa Cattolica italiana, «Itinerarium», 2009, 17, pp. 43-53.

61 Diocesi di Pinerolo, Direttorio Ecumenico, Pinerolo 1970.

62 Sull’Istituto San Nicola S. Manna, G. Locatelli, L’Istituto ecumenico «San Nicola», «O’ Odigos», 2002, 21/1, pp. 9-10; sull’attività ecumenica dei domenicani a Bari, G. Cioffari, I domenicani e l’ortodossia greca nella storia, «O’ Odigos», 2008, 27/3, pp. 12-17; G. Cioffari San Nicola e la sua basilica nel movimento ecumenico attuale, «Nicolaus», 2008, 35, pp. 23-37; D. Bova, L’ecumenismo dei domenicani a Bari, «O’ Odigos», 2002, 21/1, pp. 3-8; M. Driga, I Domenicani di Bari: ponte tra Oriente e Occidente, «O’ Odigos», 2002, 21/1, pp. 15-16.

63 Sulle vicende relative alla nascita dell’Istituto, T. Vetrali, La scuola teologica ecumenica. La fondazione dell’Istituto di Studi Ecumenici S. Bernardino, «Studi Ecumenici», 2008, 26, pp. 553-568.

64 Per una «amicale» presentazione della vita ecumenica di Bertalot, B. Costabel, Momenti importanti di un’amicizia di sessant’anni, in Al servizio della Parola.Tradurre la Bibbia in dialogo con le Chiese, a cura della Società Biblica in Italia, Roma, 2006, pp. 43-53. Sulle radici valdesi di Renzo Bertalot, L. Bertalot, Memorie dai Bertalot. La vita di una famiglia nella storia di un popolo-chiesa, «Oecumenica Civitas», 2002, 2, pp. 55-71.

65 R. Bertalot, «Una» Bibbia per tutti, in Eucaristia e unità, Roma 1974, pp. 363-378; R. Bertalot, Il Nuovo Testamento Interconfessionale in «Non siete più stranieri» (Efesini 2,19). Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio 1978), Riano 1978, pp. 90-92.

66 Anche in questo caso, A. Ablondi, Presentazione della Bibbia interconfessionale al Presidente della Repubblica, «Lettera di collegamento», 1985, 8, pp. 13-14. Sull’esperienza della traduzione interconfessionale in lingua corrente (TILC) della Bibbia R. Bertalot, Bibbia interconfessionale e impegno ecumenico, in Riconciliazione cristiana e formazione ecumenica in Italia oggi, Riano (Roma) 1986, pp. 40-44; C. Ghidelli, La traduzione della Bibbia importante momento di collaborazione ecumenica, «Lettera di collegamento», 1985, 8, pp. 11-12; C. Ghidelli, Una esperienza ecumenica eccezionale: la traduzione della bibbia in lingua corrente, in La formazione ecumenica della chiesa particolare, Riano 1988, pp. 53-57; R. Bertalot, La Bibbia interconfessionale in lingua corrente (TILC): un'esperienza ecumenica in Italia, in La Bibbia lacerata. L'interpretazione delle Scritture cammino di unione dei cristiani, a cura di E. Bianchi, Milano, 2002, pp. 97-104; C. Buzzetti, C. Ghidelli, Una traduzione biblica italiana nell’ecumenismo, «Salesianum», 2004, 66, pp. 51-69. Le carte relative alla TILC e all’attività della Società Biblica in Italia sono state depositate presso l’Archivio CEcIt di Venezia.

67 Per una ricostruzione biografica, che comprende anche molte testimonianze orali, A. Miscio,Vincenzo Savio. La meravigliosa avventura di un vescovo sorridente, Leumann 2008. Sull’impegno ecumenico di monsignor Savio, R. Burigana «Volare alto», in Mons. Vincenzo Savio. Sono contento di Dio. Testimonianze, a cura degli Amici di mons. Savio, Osio Sotto, Zingonia 2009, pp. 103-108. Per una raccolta di scritti di monsignor Savio, V. Savio, Abbiamo bisogno di tutti, a cura di R. Burigana, Livorno 2007.

68 Per la traduzione interconfessionale in lingua corrente del vangelo di Matteo e la sua presentazione ecumenica a Salerno, Vangelo secondo Matteo, Roma 2002 e Matteo, Salerno e l’Europa, a cura della Società Biblica Italiana, Roma 2002.

69 Per le tensioni ecumeniche per il Giubileo 2000, P. Ricca, Il giubileo del 2000 e il cammino ecumenico, «Quaderni di Diritto Ecclesiale», 1998, 11, pp. 207-212; G. Chiaretti, Luci ed ombre nel cammino ecumenico. Qualche idea per tenere aperto il dialogo, «Lettera di collegamento», 1999, 35, pp. 10-13. Di carattere chiaramente polemico, Giubileo ed ecumenismo. Occasione o inciampo, a cura di F. Giampiccoli, Torino 1999.

70 Su questo passaggio A. Ablondi, Il cammino in Italia: dalla «Commissione» al «Segretariato», in Ecumenismo e catechesi, Napoli 1987, pp. 23-30; A. Ablondi, Siamo «Segretariato»... e delegati diocesani anche per il... «dialogo»!, «Lettera di collegamento», 1988, 15, pp. 3-6.

71 Per una sintetica ricostruzione biografica di monsignor Riva, con un’ampia appendice di testimonianze di coloro che hanno collaborato con lui, G. Maritati, F. Condò, Clemente Riva, vescovo del dialogo, Stresa 2000; per la presentazione di un progetto di ricerca sulla sua opera in campo ecumenico, E. Rosalen, Clemente Riva, vescovo del dialogo, «Studi Ecumenici», 2009, 27, pp. 519-538.

72 Il gruppo lombardo-piemontese, che si riuniva a casa dell’avvocato Franco Falchi, rappresenta un caso particolarmente interessante per i tempi degli incontri, che iniziano prima del concilio Vaticano II, e per i temi affrontati e per le persone coinvolte; da questo punto di vista ancora più grave la difficoltà del reperimento della documentazione relativa a questo gruppo, del quale si conosce molto attraverso qualche testimonianza orale; nell’Archivio CeEcIt è presente il verbale di una riunione del 1966. Tra le persone coinvolte vorrei ricordare Gianni Marcheselli, così coinvolto nella riflessione sui matrimoni interconfessionali; della sua esperienza, P. Stefani, Chiamati alla comunione. Il dialogo della vita del matrimonio. interconfessionale (Gianni Marcheselli 1 agosto 1932 - 18 maggio 2006), «Il Regno», 2006, 51, pp. 427-429.

73 Commissione Episcopale per l’ecumenismo, Matrimoni misti. Indicazioni pastorali della Commissione episcopale per l’ecumenismo, Roma, 20 giugno 1972, in ECEI, I, pp. 1254-1260. Per la posizione della Chiesa valdese espressa nel rapporto della Commissione (Domenico Cappella, Franco Giampiccoli, Giorgio Peyrot, Paolo Ricca e Alfredo Sonelli), nominata dal Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste del 1980, I matrimoni interconfessionali tra cattolici ed evangelici in Italia, Torino 1982.

74 M. Sodi, Matrimoni tra cattolici, valdesi e metodisti. Un dialogo che parte dal matrimonio per una pastorale d’insieme, «Rivista Liturgica», 1997, 84, pp. 415-425; sui matrimoni interconfessionali è interessante leggere due autorevoli interventi dei vescovi tra i più impegnati nella redazione del documento della Commissione all’inizio dell’iter redazionale, P. Giachetti, Matrimoni interconfessionali e «Dialogo» cattolico valdese a Roma, in Per una “nuova” pastorale ecumenica, Roma 1990, pp. 114-117; C. Riva, Commissione «Matrimoni misti», «Lettera di collegamento», 1990, 21, pp. 9-10. Per una presentazione della situazione, M. Polastro, Matrimoni misti, in Diocesi La di Pinerolo e l’ecumenismo. Cattolici e Valdesi: dalla intolleranza al dialogo, Pinerolo 1996, pp. 51-60 e il successivo, Matrimoni misti interconfessionali. Documenti delle Chiese 1970-2000, a cura di M. Polastro, I. Vicentini, Pinerolo 2005.

75 M. Polastro, Una pastorale della «libertà» e della «responsabilità», in I matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti in Italia, Bologna 2001, pp. 42-52; F. Coccopalmerio, Il testo comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti, «Rivista Diocesana Pinerolese», 2001, 69/2, pp. 40-47; L. Lorusso, I matrimoni misti tra cattolici e valdesi. Testo comune e Testo applicativo, «O’Odigos», 2002, 21/3, pp. 3-9. Le carte relative alla partecipazione di monsignor Francesco Coccopalmerio e di don Mario Polastro alla redazione del secondo documento sui matrimoni interconfessionali della Commissione cattolico-valdese sono state depositate presso l’Archivio CEcIt di Venezia.

76 Il documento, Conferenza Episcopale Italiana - Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia, Documento comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e battisti, Bologna 2009.

77 I documenti relativi all’istituzione del Consiglio Regionale delle Chiese Cristiane della Campania (Atto costitutivo, Statuto, Regolamento) sono stati pubblicati in un unico volume, dove compare anche un’introduzione/presentazione del Consiglio, firmata da monsignor Michele De Rosa, dal padre Georgios Antonopoulos e dal pastore Antonio Squitieri, L’Ecumenismo in Campania. Consiglio Regionale delle Chiese Cristiane della Campania, Napoli 2010.

78 I convegni ecumenici nazionali sono stati sul Padre Nostro (Perugia 1999), sulle Beatitudini (Viterbo 2003), sulla Charta Oecumenica (Terni 2006) e sulla figura di Paolo (Siracusa 2009). Del Convegno di Perugia sono stati pubblicati anche gli atti, Il Padre Nostro. Preghiera di tutti, a cura del Segretariato per l’ecumenismo e il dialogo Cei, Bologna 2000; per un breve commento al convegno di Perugia, P. Stefani, Il Padre Nostro, «Il Regno», 1999, 44, pp. 319-320.

79 S. Baldi., Il dialogo ebraico-cristiano e la nascita dell’“amicizia ebraico-cristiana” di Firenze, in Movimenti popolari evangelici nei secoli XIX e XX, a cura di D. Maselli, Firenze 1999, pp. 28-51.

80 Sull’attività dell’amicizia ebraico-cristiana di Torino nei suoi primi vent’anni, con l’elenco completo delle iniziative pubbliche e delle pubblicazioni e qualche sintetica considerazioni sui rapporti tra ebrei e cristiani a Torino, Amicizia Ebraico-Cristiana di Torino, Vent’anni di presenza in città, Torino 2009.

81 Su questa straordinaria figura si può leggere, B. Salvarani, Renzo Fabris: una vita per il dialogo cristiano-ebraico, Bologna 2009. Dello stesso autore, che ha dedicato la sua tesi di dottorato all’opera di Fabris, qualche breve nota, B. Salvarani, Renzo Fabris. Una vita per il dialogo cristiano-ebraico, «Ad gentes», 2009, 13, pp. 91-94.

82 Sul clima A. Ablondi, Il dialogo tra ebrei e cristiani, in Venite ritorniamo al Signore (Os. 6,1) Un colloquio ebraico-cristiano, Camaldoli 1988, pp. 5-7.

83 Il 28 settembre 1989 il Consiglio permanente della Cei istituisce la giornata, come comunica monsignor Ablondi in una lettera a tutti i vescovi italiani nella quale ricorda che «[la scelta del 17 gennaio] sottolinea la distinzione che il “dialogo” con gli ebrei deve avere dall’ecumenismo. Nello stesso tempo la vicinanza delle due celebrazioni suggerisce l’attenzione ai valori comuni, soprattutto fondati nella Bibbia che ebrei e cristiani condividono. Perché si tratta di muovere i primi passi di una nuova esperienza, a nome del Segretariato mi premuro di sottolineare: Lo spirito della “Giornata” è: l’approfondimento del dialogo religioso ebraico-cristiano attraverso una maggiore conoscenza reciproca; il superamento dei pregiudizi; la riscoperta dei comuni valori biblici; iniziative comuni per la “giustizia, la pace e la salvaguardia del creato”; e, dove possibile, scambi di visite in forme diverse. L’opportunità di rendere nota l’iniziativa ed il suo spirito nelle diverse comunità parrocchiali, religiose ed associative della diocesi.»; copia della lettera nell’Archivio CEcIt di Venezia. Sul ruolo del Sae nella definizione di questa giornata, alla luce dell’attenzione sempre mostrata per il rapporto tra dialogo ebraico-cristiano e dialogo ecumenico, rinvio a alcuni interventi di M. Vingiani, Jules Isaac, in Ecumenismo anni 80, Verona 1984, pp. 323-338; Jules Isaac e il dialogo ebraico-cristiano, in Il dialogo ebraico-cristiano oggi. VI colloquio ebraico-cristiano, Camaldoli 1986, pp. 93-112; Il ruolo del SAE nel dialogo ebraico-cristiano, in Parola e silenzio di Dio, Roma 1991, pp. 411-423; Solo «urgenza» sui ritardi della storia nei rapporti del SAE con l’Ebraismo. A trent’anni dalla Nostra Aetate: un bilancio, in Urgenze della storia e profezia ecumenica, Roma 1996, pp. 182-188.

84 G. Chiaretti, Incontro di amicizia tra cattolici ed ebrei. Messaggio del Segretariato della CEI per l’ecumenismo e il dialogo, Roma, 1 aprile 1998, in ECEI, VI, 1996-2000, a cura di E. Lora, Bologna 2002, pp. 605-608.

85 Il numero delle comunità cristiane non-cattoliche non è facile da determinare per una serie di fattori; una fotografia della situazione, diocesi per diocesi, al giugno 2010, si può avere consultando l’Annuario dell’Ecumenismo in Italia a cura del Centro per l’Ecumenismo in Italia (www.centroecumenismo.it). L’Annuario è sottoposto a periodico aggiornamento.

86 Su questa esperienza, V. Sollazzi, I gemellaggi tra comunità parrocchiali, «Lettera di collegamento», 2002, 38, pp. 106-116; K. Amadei, Gemellaggio ecumenico tra parrocchie, «Orientamenti Pastorali» 2005, 53, pp. 61-65.

87 Ufficio per l’ecumenismo dell’arcidiocesi di Lucca, L’accoglienza degli ortodossi nella nostra Chiesa. Orientamenti pastorali, Lucca 2003.

88 Conferenza Episcopale Italiana, Vademecum per la pastorale verso gli orientali acattolici, «Il Regno», 2010, 55, pp. 211-224.

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