BUCCHERO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi BUCCHERO dell'anno: 1959 - 1994

BUCCHERO (v. vol. II, p. 203)

M. Martelli

La tradizionale suddivisione del b. in «sottile» (675-625 a.C.), «transizionale» (625-575 a.C.) e «pesante» (575-inizî del V sec. a.C.), basata sul progressivo ispessimento delle pareti, è ormai applicabile solo alle serie di fabbricazione etrusco- meridionale, mentre nell'area settentrionale la prima fase di produzione annovera fondamentalmente vasi d'impasto buccheroide, meno depurato e con pareti spesse, ai quali subentrano, nell'arcaismo, i buccheri «pesanti».

Dal VI sec., in specie dalla seconda metà avanzata di esso, al b. nero si affianca quello grigio, che, con un limitato repertorio di forme destinate alla mensa, perdura fin verso la metà del secolo successivo.

I progressi della ricerca conseguiti nell'ultimo ventennio se, per quanto attiene alla tecnologia, registrano un sostanziale orientamento a considerare la caratteristica colorazione del b. effetto di una cottura riducente, consentono d'altra parte di fissare l'inizio della produzione attorno al 675 a.C. e di localizzarlo con certezza a Cerveteri (sulla scorta di complessi quali la camera destra della tomba 2 del Tumulo della Nave e della tomba 2 del Tumulo I della Banditacela, la tomba 2 di Casaletti di Ceri, la tomba 2 del Tumulo di Montetosto), con lieve anteriorità rispetto a Veio (camera di fondo della tomba 5 di Monte Michele) e Tarquinia (Tumulo di Poggio Gallinaro).

Le forme vascolari (anfore a spirali e affini; oinochòai di varie fogge, incluso il tipo c.d. fenicio-cipriota; òlpai, kotylai, skyphoi, kylikes e aryballoi basati su modelli protocorinzî e corinzî; attingitoi; calici a vasca carenata, spesso smontabili, o emisferica; kàntharoi; kyathoi, con ansa anche crestata; piatti; coperchi) sono in parte comuni a quelle degli impasti, con cui condividono pure tecniche (impressione, incisione, stampigliatura, costolature e aggiunte plastiche; rara l'excisione: kyathoi dal tumulo di Monte- tosto e dalla Tomba Calabresi) e motivi decorativi, fra i quali dominano comunque i ventaglietti punteggiati, aperti o chiusi, e le dentellature «a punta di diamante», che sottolineano le carene dei bacini. Il panorama morfologico attinge inoltre sia a prototipi metallici ed eburnei (calici a sostegni figurati) sia alla ceramica d'importazione greco-orientale (coppe «a uccelli» e «ioniche» di vario tipo).

Intorno alla metà del VII sec. a.C. un'officina di Caere produce pissidi, situle, kàntharoi, kyathoi, kotylai e piatti ornati a rilievo, a imitazione dello sbalzo dei manufatti metallici, con figurazioni umane e animalistiche improntate al codice iconografico di ispirazione siro-fenicia, che pervengono fino a Chiusi e, come dono cerimoniale corredato di iscrizione, a Vetulonia (Tomba del Duce). Nell'Orientalizzante Medio-Recente la fabbricazione dei b. a rilievo si estende a Vulci e forse all'Etruria settentrionale (Roselle, Populonia).

Sempre a Cerveteri, le suggestioni della metallotecnica incentivano fin dall'inizio la decorazione graffita a fregio continuo, che, dall'ultimo trentennio del VII al primo venticinquennio del VI sec., viene realizzata anche da botteghe di Veio, Tarquinia e Vulci, con soggetti (bestiario orientalizzante e figure di cavalieri, cacciatori, pugilatori, aurighi su carro, guerrieri) e soluzioni stilistiche che continuativamente riflettono dapprima la corrente fenicizzante e poi quella corinzieggiante. Degno di nota è il fatto che b. graffiti di manifattura ceretana o veiente raggiungono già nella seconda metà del VII sec. a.C. la Sicilia (frammenti di kàntharoi dall'area sacra di Naxos e dall'abitato di Megara Hyblaea).

Per il ceto aristocratico dell'età orientalizzante vengono creati pezzi unici o di segnalata rarità, quali, a Cerveteri, il «calamaio» dal Tumulo Regolini-Galassi, l'ampolla con due protomi equine sovrastate da auriga della Tomba Calabresi, le phiàlai con teste umane (rispettivamente dalla Tomba dei Leoni Dipinti e nella Archäologische Sammlung dell'Università di Zurigo), che replicano pregiati archetipi della toreutica nord- siriana, e, a Tarquinia, le statuette femminili e le bipenni miniaturistiche, cariche di valenze simboliche, dal tumulo di Poggio Gallinaro.

Il b. «transizionale» tende a una progressiva standardizzazione delle forme, tra cui prevalgono anfore, oinochòai, òlpai, attingitoi, calici anche su basso piede, kỳlikes, kàntharoi, kyathoi, tazze e ciotole, piattelli su piede, e mentre, in generale, risulta crescente la produttività di Vulci e del distretto centrale interno (Orvieto) ne sorgono imitazioni locali in Campania, nonché probabilmente nel Lazio.

Alcune delle forme sopraindicate (anforette, oinochòai, attingitoi, kỳlikes, calici, kyathoi), e soprattutto il kàntharos, divengono genere da esportazione, imbarcate su navi onerarie che trasportavano al contempo ceramica etrusco- corinzia (relitto di Cap d'Antibes) o greca (relitto dell'Isola del Giglio) e anfore vinarie (relitto 3 dell'Esteû dou Mieú, oltre ai due testé citati). Se infatti l'area di diffusione organica del b. si estende dall'Arno al Sele - includendo Sabina, agro falisco, Lazio e Campania, mentre esigue sono le presenze nell'Etruria padana e nell'Italia settentrionale in genere, in Umbria e nel Piceno - è fra l'ultimo trentennio del VII e la metà c.a del VI sec. a.C. che il vasellame in b. etrusco- meridionale registra una vastissima circolazione nel bacino del Mediterraneo: nella Penisola Iberica, nella Francia meridionale, ad Aleria, in Sardegna, a Cipro (Kition, Amatunte), Utica, Cartagine, Mozia, Lipari, in molte colonie elleniche e siti indigeni ellenizzati della Sicilia e dell'Italia meridionale del versante sia tirrenico che ionico, in isole greche dello Ionio (Corfù, Itaca) e dell'Egeo (Naxos, Delos, Chios, Samos, Rodi), nella Grecia continentale (Atene, Corinto, Perachora, Amyklai, Olimpia), in Asia Minore (Smirnè, Pitane, Mileto), in una colonia milesia del Ponto Eusino (Istros), in un'isola dell'Adriatico (Issa), in Siria (Ra's el-Bassit), Libia (Tocra) e nel delta del Nilo (Naukratis). Tale fenomeno di estesa distribuzione, pur se corrispondente alla fase apogea della talassocrazia etrusca, non va tuttavia imputato esclusivamente al dinamismo commerciale degli Etruschi, bensì anche all'attività empórica di vettori sia greci che fenicio-punici.

Verso la fine del VII sec. si afferma a Tarquinia, ove vive una breve stagione fino ai decenni iniziali del VI, e soprattutto a Orvieto e Chiusi, ove invece si protrae fino alla seconda metà di esso, la tecnica di decorazione a stampo ottenuta mediante cilindretti ruotanti, recanti a incavo i motivi da imprimere: applicato principalmente su calici, oltre che su un limitato novero di forme locali, questo procedimento comporta fregi a bassissimo rilievo, alti qualche centimetro, nei quali si susseguono baccellature, semplici ornati lineari oppure teorie, di norma unidirezionali, di figurette zoo-, terio- o antropomorfe (in corsa, su carro, sedute, danzanti, cacciatori, guerrieri, ecc.) che agli esiti finali della più convenzionale imagerie orientalizzante affiancano schematiche formulazioni di quella arcaica.

Nel corso dell'arcaismo i vasi in b. ancora di più assumono la funzione di ceramica d'uso corrente, non cessando comunque di recepire nuove forme dalle importazioni greche: crateri, alàbastra, balsaman configurati, esemplati rispettivamente su quelli laconici, greco-orientali o corinzî e sugli originali in bucchero «ionico». Eccetto che in qualche santuario, dove le offerte annoverano talvolta oggetti simbolici del culto (come l'arca, accompagnata da un'iscrizione dedicatoria a Menerva, dal tempio di Portonaccio a Veio), la gamma morfologica include soprattutto oinochòai (anche a becco, imitanti le «Plumpekannen» bronzee), attingitoi, kàntharoi, kyathoi e calici, per lo più su basso piede.

D'altro canto, le mai sopite influenze metallotecniche riemergono con forza dal secondo venticinquennio del VI sec., promuovendo dapprima a Vulci e poi a Tarquinia, Orvieto e, specialmente, a Chiusi, durante la seconda metà del secolo, la produzione di servizi da mensa in b. «pesante», composti da crateri, anfore ad anse orizzontali, hydrìai, oinochòai, kyathoi, calici, patere su alto piede, con decorazioni plastiche applicate à la barbotine e a rilievo ottenute a stampo, chiaramente riproducenti fogge, partizioni tettoniche, motivi a sbalzo o a fusione della bronzistica coeva.

Di fronte alla molteplicità di forme vascolari del b. dipendenti da quelle greche, non manca, per converso, l'assunzione di talune forme tipiche della ceramica attica a figure nere e, in misura più limitata, a figure rosse, le quali vengono poi smistate prevalentemente sul mercato etrusco. Tra gli esempi più emblematici si pongono le anfore dell’atelier di Nikosthenes e Pamphaios, del 530-510 a.C. (che riproducono un tipo ceretano in voga nel secondo venticinquennio del VI sec., munito di anse a nastro ricurvo decorate a stampo o a traforo), che vengono esportate quasi esclusivamente a Cerveteri, o i kyathoi su alto o basso piede, i quali replicano fogge proprie del b. vulcente, compresi gli specifici ornati a rilievo sull'ansa e la «ghiandina» plastica alla sua sommità.

Mentre fra le forme meno comuni si segnalano fiaschette lenticolari, askòi ad anello o a barilotto, pissidi, ollette stamnoidi, tazze androprosope (di fabbrica ceretana), phiàlai ombelicate, nonché alcune adibite a funzioni particolari (come i vasi da filtro o uno speciale tipo di coppa per libagioni, di bottega ceretana, con doppio canalicolo entro le pareti collegato a due tubetti esterni dai quali si suggevano altrettanti liquidi contenuti nella vasca, bipartita da un diaframma), fra le tecniche ornamentali più di rado impiegate vanno ricordati il rivestimento con lamina d'argento o d'oro (cariatidi di calice da Vulci a Monaco, Antikensammlungen, invv. 2364-65, dell'ultimo ventennio del VII sec. a.C.) e la pittura policroma aggiunta successivamente alla cottura, che interessa in particolare le anfore «nicosteniche» (fra le quali: Louvre C 617-618, un esemplare già nell'Antikenmuseum di Lipsia e uno, inedito, rinvenuto in anni recenti nel grande tumulo ceretano in loc. Monte dell'Oro).

Dai decenni centrali del VI sec. a.C. il ventaglio morfologico va subendo una graduale contrazione, che continua poi nel b. grigio, e la maggiore frequenza spetta ora, nei corredi tombali come nei livelli di abitato, a coppette, tazze e ciotole con vasca carenata o a calotta, kỳlikes imitanti quelle attiche, piattelli, inornati e di crescente uniformità.

Rispetto a quello etrusco-meridionale, nel complesso assai più modesto e meno vario è il quadro del b. settentrionale. Nel comprensorio marittimo la fase più antica dell'impasto buccheroide, a superficie polita e di colore bruno scuro, affianca a forme sue proprie, quali olle, pissidi su piede (Marsiiiana d'Albegna, Roselle, Volterra), kàntharoi e kyathoi, anche di grandi dimensioni e spesso baccellati (Vetulonia e agro massetano), un ristretto novero di vasi potorî (calici a vasca carenata o emisferica, coppe su basso piede, attingitoi, ecc.), di scadente qualità e di circolazione strettamente locale. In un repertorio decorativo dominato da motivi geometrici e lineari di tradizione villanoviana s'impongono come elemento caratteristico le numerose stampiglie (rosette, croci gammate, animali, più di rado figure umane).

Nel distretto interno botteghe chiusine e dell'agro fiorentino-fiesolano in età tardo-orientalizzante e alto-arcaica producono, oltre a calici, kàntharoi, kyathoi, ollette, ecc., flaconi per unguenti (alàbastra, askòi anulari) o pregevoli pissidi-kotỳlai con anse a giorno, fornite di iscrizioni di dono (una delle quali è stata rinvenuta a Cerveteri), od oggetti speciali, come il c.d. incensiere - ma più verosimilmente lucerna - da Artimino, composto da parti smontabili poi assemblate, pure suggellato da un testo iscritto con verbum faciundi e il nome del destinatario o dell'artefice. Contemporaneamente, a Chiusi vengono realizzate imitazioni del b. «sottile» meridionale in fogge locali ornate da ventaglietti (kàntharoi con anse attorte, kyathoi) o a stampo (skyphoi con anse a placchetta con motivi fitomorfi o figurazioni: Pòtnia theròn, Gorgone, esseri alati, sfingi, ecc.).

Ma è soprattutto fra la metà del VI e gli inizî del V sec. a.C., con l'affermarsi del b. «pesante», che questo stesso centro segna un sensibile incremento fabbricando, con tipologie prettamente locali che manifestano solo sporadiche tangenze con quelle etrusco-meridionali o greche, e pletoriche decorazioni plastiche aggiunte (testine umane), a tutto tondo (volatili), a stampo, un foltissimo contingente di crateri, anfore, hydrìai, oinochòai, vassoi ansati, foculi rettangolari o circolari, sostegni cilindrici o semiellittici su piede (che, eccezionalmente, vengono imitati nella ceramica attica a f. n.: coppia di esemplari del Pittore di Euergides nella Collezione Schimmel), kàntharoi, kyathoi, calici (sovente a pareti ondulate), coppe e patere su alto piede, simpula, infundibula, palette, rhytà a gamba flessa, askòi foggiati a pesce, ecc.). Gli ornati a stampo, vegetali e figurati (animali reali e fantastici, Pòtnia, Gorgone, figure umane, scene mitologiche, ecc.), si rivelano fortemente tributari degli schemi iconografici della ceramica greca della prima metà del VI sec. a.C., associandosi sotto il profilo stilistico anche alle prime influenze «ioniche», che d'altronde incisivamente intervengono nella toreutica dell'Etruria interna nel corso della seconda metà del secolo.

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Sull'esportazione di buccheri in aree anetrusche la rassegna più recente, con bibl. prec., è di M. Gras, Trafics tyrrhéniens archaïques, Roma 1985, passim; per il mondo greco essa va integrata con documenti da Mileto e Ialiso, pubblicati rispettivamente da V. von Graeve, Grabung auf dem Kalabaktepe, in IstMitt, XXXVII, 1987, p. 28, nn. 71-72, tav. XVII e da M. Martelli, La stipe votiva dett'Athenaion di Jalysos: un primo bilancio, in Archaeology in the Dodecanese, Copenaghen 1988, pp. 114-115, fig. 14; AA.VV., Stiftung Kora- di/Berger, Zurigo 1989, nn. 77-79; E. Pellegrini, La necropoli di Poggio Buco, Firenze 1989, pp. 79-100, nn. 258-321, tavv. LIII-LXVIII; E. Simon (ed.), Die Sammlung Kiseleff im Martin-von-Wagner-Museum der Universität Würzburg, II, Magonza 1989, pp. 49 s., η. 103, tav. xxxv; C. Morselli, E. Tortorici (ed.), Curia, Forum Iulium, Forum Transitorium, Roma 1989 (1990), pp. 270, 273, 287, 290, 328, figg. 249, nn. 16-17, 261, n. 181; Gens antiquissima Italiae. Antichità dall'Umbria a Budapest e Cracovia (cat.), Milano 1989, pp. 55-61, nn. 1.8-25, 67, n. 1-50, 200-204, nn.9.12-16; Il patrimonio disperso. Reperti archeologici sequestrati dalla Guardia di Finanza (cat.), Roma 1989, pp. 82-86, nn. 92-102; Rubiera. «Principi» etruschi in Val di Secchia (cat.), Reggio Emilia 1989, passim, e in par. tav. 1; M. A. Rizzo, Le anfore da trasporto e il commercio etrusco arcaico, I, Complessi tombali dell'Etruria meridionale, Roma 1990, passim; Archeologia a Piano di Sorrento (cat.), Napoli 1990, p. .125, tav. XL, C 1-2; Archeologia a Mirandola e nella bassa Modenese dall'età del bronzo al Medioevo (cat.), Mirandola 1990, pp. 74 s., fig. 10, 1-3; E. Paribeni (ed.), Etruscorum ante quam Ligurum. La Versilia tra VII e III secolo a.C. (cat.), Pontedera 1990, passim; M. Cristofani (ed.), La grande Roma dei Tarquini (cat.), Roma 1990, passim; Vestigia Crustunei. Insediamenti etruschi lungo il corso del Crostolo (cat.), Reggio Emilia 1990, passim; A. Coen, Complessi tombali di Cerveteri con urne cinerarie tardo-orientalizzanti, Firenze 1991, pp. 80-98; M. Martelli, in Dictionary of Art, Londra (in corso di stampa), s.v. Etruscan Pottery. Vedi inoltre la Rassegna bibliografica in StEtr dal 1973.

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