BURGUNDIONE da Pisa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BURGUNDIONE (Burgundio, Burgundi, Burdicensis, Bergonzone, Burgundo, Berguntio) da Pisa

Filippo Liotta

Giurista, traduttore, diplomatico, esperto, probabilmente, nell'arte medica, nato a Pisa intorno al 1110 e morto nella stessa città il 20 ott. 1193 (1194 stile pisano), se va dato credito alla data incisa nell'epitaffio (seconda parte) che si può vedere conservato a Pisa nella chiesa di S. Paolo a Ripa d'Arno dove B. fu sepolto (Buonamici, pp. 39 ss.).

Il nome Giovanni attribuito a B. da alcuni antichi scrittori non è fondato su testimonianze attestate dalle fonti, ed è assai probabile che gli derivi erroneamente, essendo stato confuso con il cardinale Giovanni Burgundio vissuto un secolo prima. Il nome "Leulo" attestato da un manoscritto parigino del 1386gli deriva dall'essere stato scambiato con un suo nipote di questo nome. Senza spiegazione convincente è tuttora il nome "Bernardo cremonensi" che accompagna quello di "Burgundione" nel codice di Bamberga, Iur. 11 [=D.I.6] ad Dig. 9.14.2 che conserva le traduzioni di B. dei passi greci del Digestum Vetus (Savigny, p. 205).Un nipote di B. di nome Leone è ricordato da Odofredo (i passi in Savigny, p. 208 nota c): probabilmente si tratta della stessa persona indicata con il nome "Leulo" nel codice di Parigi. Il Fitting (pp. 815-816), al fine di spiegare il dativo "Bernardo cremonensi" del manoscritto di Bamberga, ritiene che la traduzione dei passi greci del Digesto sia stata fatta da B. per il giurista Bernardo da Cremona che egli avrebbe identificato in un concittadino di B.; il Fitting avrebbe così sciolto l'enigma dell'epiteto in questione.

Sugli anni della giovinezza di B. non si hanno notizie precise. Si crede che egli abbia studiato a Pisa le discipline del Trivio e del Quadrivio e che poi si sia dedicato allo studio della lingua greca e del diritto (Buonamici, p. 13).

B. ebbe modo di perfezionare le sue conoscenze di greco grazie ai viaggi compiuti a Costantinopoli come membro di ambascerie. La sua presenza nella capitale dell'Impero d'Oriente ci è attestata per la prima volta da Anselmo di Havelberg. Egli narra che B. era presente insieme con Iacopo da Venezia e Mosè da Bergamo alla disputa teologica che nel 1136 lo stesso Anselmo sostenne a Costantinopoli con il patriarca Niceta da Nicomedia.

B. tornò a Costantinopoli quale rappresentante della Repubblica di Pisa nel 1169 e vi restò sino al 1171. Vi si era recato in ambasceria insieme con il console Alberto Bulsi e Marco Conti per ottenere dall'imperatore d'Oriente vantaggi commerciali per i mercanti pisani e rinnovare gli antichi trattati di amicizia (Müller, p. XXIX). Questa ambasceria è ricordata dalla Chronica Pisana come conclusa nel 1171 (stile pisano 1172) e dal B. nella prefazione alla sua traduzione delle Omelie di s. Giovanni Crisostomo sul Vangelo di Giovanni (in E. Martène-U. Durand, Veterumscriptorum... amplissima collectio, I, Parisiis 1724, col. 828). Un terzo viaggio di B. a Costantinopoli risale al 1192, come si rileva dal trattato di pace e di rinnovazione del commercio e dei privilegi sottoscritto in quell'anno tra Pisa e l'imperatore di Costantinopoli (il documento è pubblicato dal Müller, pp. 40-49: traduzione latina autentica, pp. 49 ss., e dal Dal Borgo, Raccolta, pp. 147-163). Almeno un'altra missione diplomatica di B. è documentata dalla sua presenza al trattato concluso tra la Repubblica di Pisa e quella di Ragusa nel 1169 (Müller, p. 417). I suoi soggiorni a Messina, Napoli, Gaeta sono da mettere in relazione con i viaggi in Oriente.

Nella Cronica di Roberto dal Monte B. viene ricordato tra le molte persone che nel 1179 si recarono a Roma per il Concilio lateranense III indetto dal papa Alessandro III. In quella occasione egli presentò alla Curia la traduzione delle Omelie di S. Giovanni Crisostomo sul Vangelo di s. Giovanni.

La presenza di B. a Pisa, investito di cariche pubbliche, è testimoniata da fonti documentarie del 1146 (1147 stile pisano), 1152, 1155, 1159, 1160, 1173, 1181 nelle quali egli è designato con gli appellativi di "advocatus", "iudex pisanae reipublicae", "iudex lateranensis palatii", "magister". Quest'ultimo epiteto, insieme col "doctor doctorum" dell'epitaffio, ha fatto pensare che B. avesse tenuto una scuola di greco o di diritto; e da taluno gli è stato attribuito come allievo il grecista Ugo Eteriano. Questa attività di B., però, non è ancora accertata (Buonamici, p. 15). Gli appellativi di "advocatus" e "iudex" mostrano chiaramente che egli ebbe pratica del foro tanto civile che ecclesiastico; dalle sottoscrizioni apposte su due sentenze, una di natura ecclesiastica resa nel 1155 dall'arcivescovo pisano, e l'altra resa da un tribunale cittadino nel 1160, si rileva che B. svolse per l'una e l'altra giurisdizione l'attività di "consiliator" (i passi in Buonamici, pp. 14, 16).

Ebbe quattro figli: il nome di tre di essi ci è noto: Ugolino, Gaetano, e Bandino (Buonamici, p. 13).

La fama di giurista di B. è affidata alla traduzione dei passi greci del Digesto (secondo il Savigny eccezion fatta per i brani del libro XXVII, per i quali, tuttavia, il Mommsen non esclude che si possano attribuire a B.) che, per testimonianza di Odofredo, per le sigle riportate da alcuni manoscritti individuati dal Savigny (p. 208, note c,d,e), per essere stata condotta (Mommsen) sul testo tramandato dalle Pandette fiorentine (al tempo di B. il manoscritto si conservava a Pisa), è sicuramente dovuta alla mano del pisano. Nella traduzione compiuta dal B., questi passi furono conosciuti dalla scuola di Bologna ed entrarono nel testo della Vulgata.

Senza fondamento è la tesi, accampata già dal Grandi (p. 28) e dal Fabbroni (p. 22) e sostenuta dal Buonamici (pp. 20 ss.) con più dettagliate argomentazioni, secondo la quale si dovrebbe a B. l'acquisto a Costantinopoli e il trasferimento a Pisa del manoscritto delle Pandette fiorentine. Gli argomenti del Buonamici non sono suffragati da alcuna prova concreta e vanno considerati come mere supposizioni.

Sembra accertato (Tamassia) che B. abbia conosciuto le Novelle giustinianee e che anzi abbia preso a modello la versione latina κατὰ ποδά di esse quando intraprese le sue traduzioni del Crisostomo e degli altri Padri, caratterizzate, appunto, dall'assoluta fedeltà al testo originale.

Non ci sono, allo stato attuale degli studi, testimonianze di altre attività scientifiche svolte da B. nei domini delle discipline giuridiche; pertanto le affermazioni, che si incontrano nei più antichi scrittori, di una sua produzione esegetica sul Digesto, di suoi rapporti con il glossatore Bulgaro, di un suo insegnamento di diritto a Pisa attendono ancora la necessaria conferma dei documenti.

B. deve la fama soprattutto alla sua opera di traduttore dal greco, per cui deve essere considerato come uno dei più importanti intermediari per la diffusione in Occidente della produzione teologica, filosofica, scientifica del mondo greco.

Il testo, probabilmente il più importante per le influenze che eserciterà sulla scolastica, con cui B. si è cimentato è la terza parte della Πηγὴ γνώσεως, nota col titolo De fide orthodoxa, di s. Giovanni Damasceno. A questa traduzione egli attese per sollecitazione del papa Eugenio III (1145-1153) intorno agli anni 1148-1150 (1146 o 1147, secondo il Grabmann, I, p. 111). Questa data accertata dal de Ghellinck (Le mouvement..., pp. 377, 413-414) può ritenersi come la più verosimile.

Non del tutto chiariti sono i nessi che portarono Pietro Lombardo ad utilizzare l'opera del Damasceno nella traduzione fatta da Burgundione. Nel Liber Sententiarum (1150-1152) Pietro Lombardo ha certamente presente la trattazione del De fide orthodoxa relativa all'Incarnazione e alla Trinità (l. III, cc. 2-8) nella traduzione di B., e da questa ricava gli estratti (che sono stati contati nel numero di ventisette, ma uno è geminato; cfr. de Ghellinck, Le mouvement..., p. 379 nota 1) che mette a frutto nella sua trattazione. Questa utilizzazione parziale di S. Giovanni Damasceno da parte del Lombardo ha sollevato perplessità circa il modo in cui Pietro Lombardo sia venuto a conoscenza della versione di Burgundione. L'opinione più accettabile, allo stato attuale degli studi, sembra essere quella del de Ghellinck (Le mouvement…, pp. 381-385) secondo la quale Pietro Lombardo avrebbe preso visione soltanto di una parte della traduzione del maestro pisano, e precisamente di quella riguardante il tema dell'Incarnazione nel libro III del De fide orthodoxa. Questa ipotesi del de Ghellinck sembra relativamente più verisimile d'ogni altra, se si considera che due manoscritti, uno di Reun (ms. 35 della Biblioteca dell'abbazia cisterciense) e l'altro di Admont (ms. 767 della Biblioteca abbaziale) contengono con il titolo De Incarnatione Verbi, in una traduzione, però, che non è quella di B., la parte del De fide orthodoxa utilizzata dal Lombardo (de Ghellinck, Le mouvement..., pp. 382-383). Questo dato, pur con tutte le cautele e riserve del caso, mancando le testimonianze manoscritte, fa pensare ad una probabile circolazione autonoma della traduzione parziale (forse, i primi otto capitoli del libro III) del De fide orthodoxa che avrebbe coinvolto anche la traduzione di B. man mano che veniva approntata. Tuttavia è stato anche sostenuto (Buytaert) che la traduzione di B. fu utilizzata dal "Magister Sententiarum" nell'ultima redazione delle Sententiae. È certo, comunque, che per il tramite della traduzione di B. quello che può considerarsi il "sommario" della dottrina dei Padri greci sui principali dogmi della fede cristiana, il De fide orthodoxa, entra nel grande circolo delle idee speculative degli autori scolastici: da Pietro Lombardo a Guglielmo d'Auxerre, a Giovanni di Cornovaglia ad Alessandro di Hales, e, ancora, da Alberto Magno a Tommaso d'Aquino, a Vincenzo di Beauvais, a S. Bonaventura, il riferimento all'opera del Damasceno è frequente, anche se meno spesso lo si cita esplicitamente.

La traduzione di B. resta, ad ogni modo, legata a Pietro Lombardo e al suo Liber Sententiarum di seguito al quale sovente è trascritta nei codici che a volte le danno il titolo di Sententiae Damasceni, estendendolo anche all'originale greco (de Ghellinck, Les oeuvres..., p. 160). Questo titolo si trova anche, e soprattutto, negli antichi cataloghi delle biblioteche. A somiglianza del Liber Sententiarum, la traduzione di B. è stata divisa in quattro libri (il primo tratta di Dio; il secondo della creazione e della Provvidenza divina; il terzo di Cristo e il quarto ancora di cristologia, sacramenti [battesimo, eucarestia], culto dei santi e delle immagini, Sacra Scrittura, il problema del male, Novissimi) e la sua diffusione fu grandissima, come attesta il gran numero dei manoscritti rimastoci (de Ghellinck, Le mouvement..., p. 386; Callari). Se ne fecero anche estratti che correvano sotto il titolo di Sermones ex sententiis Damasceni (Callari, p. 199). Una "correzione della versione" (Callari, p. 240) di B. fu fatta dal vescovo di Lincoln, Roberto Grossatesta, prima del 1250 (Translatio Lincolniensis). IlGrossatesta si adoperò, oltre che ad eliminare alcuni difetti della traduzione del maestro pisano, come la letteralità materiale della versione o la rigidità del vocabolario e della fraseologia, di accrescere, migliorandolo, il testo, e perciò tradusse ex novo alcuni brani dall'originale greco. Il rifacimento del Grossatesta ebbe larga diffusione tra gli autori inglesi, come Duns Scoto, Ruggero Bacone, Wycliffe, Ludovico di Prussia, ma scarsissimo fu il suo uso fuori dall'Inghilterra e soltanto nell'ambiente dei francescani (de Ghellinck, Le mouvement..., p. 392-393).

Secondo notizie che risalgono all'Oudin, B. si sarebbe cimentato con la traduzione di altre quattro opere di s. Giovanni Damasceno: Logica; Elementarium; De duabus naturis et una hypostasi; Trisagium. Queste notizie, riprese dagli scrittori più antichi, quali il Mazzuchelli, il Fabbroni, ecc. non sono confermate dagli studiosi più recenti, i quali considerano le traduzioni delle quattro opere appena elencate tra quelle incerte o discusse (Mols). Al 1151 (dal maggio al dicembre) risale, secondo l'attestazione di un manoscritto della Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze (Bandini), la traduzione delle Homiliae in Matheum di S. Giovanni Crisostomo, traduzione alla quale B. si accinse su sollecitazione del papa Eugenio III al quale, poi, egli dedicherà la sua fatica. Per questa traduzione venne utilizzato un manoscritto che era stato inviato al pontefice dal patriarca di Antiochia. Con qualche ritocco, la traduzione di B. è stata usata da s. Tommaso (Mercati) e sembra non abbia avuto la grande fortuna della traduzione del Damasceno, se si considera che ci è rimasto un solo manoscritto (Mols). Il prologo che B. antepose alla sua fatica di traduttore, in mancanza di edizioni moderne, si deve leggere ancora in Martène-Durand, I, coll. 817-819.

Con i testi di s. Giovanni Crisostomo B. si proverà almeno altre due volte: nel 1171 tradurrà le Homiliae in Iohannem e nel 1179 le Homiliae in Genesim. La prima di queste traduzioni è legata a un triste avvenimento nella vita di B., la morte del figlio. Racconta nella prefazione (incompleta in Martène-Durand, I, col. 838): "Cum Costantinopoli pro negotiis publicis... missus... et quemdam filium meum Hugolinum nomine quem mecum adduxi, morbo arreptum amiserim, pro redemptione animae eius explanationem sancti Iohannis Evangelistae evangelii a beato Iohanne Chrysostomo... editam de graeco in latinum statui vertere sermonem". Nell'incunabolo romano del 1470 ("in monasterio sancti Eusebii": Hain, Repertorium bibliographicum, n. *5036) Francesco Accolti d'Arezzo curò la pubblicazione di questa traduzione di B., ed una seconda edizione incunabola ne fu fatta a Colonia nel 1486 (Hain, n. *5037).

La traduzione delle Homiliae in Genesim ci ènota per le affermazioni che lo stesso B. faceva in proposito durante il III Concilio lateranense (1179) e che ci sono riferite dalla Chronica di Roberto dal Monte. L'epitaffio inciso sulla pietra tombale di B. ricorda ancora la traduzione delle Homiliae in Paulum del Crisostomo; e il domenicano Giovanni Colonna (morto circa il 1397) narra di aver veduto dello stesso s. Giovanni Crisostomo il Commentarius in Actus Apostolorum tradotto in latino. Ma della prima opera non si ha altra testimonianza oltre a quella dell'epitaffio; della seconda, che si tratti di una traduzione di B. è solo congettura del Sabbadini.

Nella prefazione alla traduzione delle Homiliae in Iohannem del Crisostomo, B. ricorda di aver tradotto, dedicandolo ad Eugenio III, e quindi prima del 1153, il Commento su Isaia, attribuito a Basilio il Grande (il testo in Haskins, p. 151 nota 36), e il Bandini (col. 437 nota 1) sospetta, sulla base del codice Plut. XIII dext. cod. 9 della Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze, che B. abbia tradotto le Homiliae in Hexameron dello stesso padre greco. Per quanto riguarda la prima di queste opere, non ci sono sino ad ora altre testimonianze a parte quella di B. stesso: e per quanto riguarda la seconda, si tratta soltanto di un'ipotesi sulla base della quale l'opera viene classificata (Mols) tra le traduzioni di B. incerte e discusse.

Oltre che con il pontefice ed il mondo ecclesiastico, B. ebbe rapporti anche con l'imperatore Federico Barbarossa, al quale egli dedicò la traduzione del De natura hominis di Nemesio di Emesa (la prefazione è pubblicata nella Collectio veterum..., I, col. 827 del Martène-Durand). La traduzione dell'opera di Nemesio fu intrapresa a richiesta dello stesso imperatore negli anni 1155 (Grabmann, II, p. 93 nota 1) o 1159 (Burkhard) a seconda che si consideri più attendibile la data riportata nel codice della Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 485 o quella riportata nel codice 160 della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia. Per tutto il Medioevo quest'opera fu attribuita a Gregotio di Nissa e sotto il nome di questo autore la conobbe e utilizzò nella traduzione di B. s. Tommaso d'Aquino. Questa traduzione di B. è stata edita in tempi moderni dal Burkhard (Gregorii Nysseni [Nemesii Emesini] Περί ϕύσεως ἀνϑρώπωυ liber a Burgundione in latinum translatus...); la sola prefazione era stata pubblicata nella Veterum scriptorum..., I, coll. 827 s. del Martène-Durand. In questa prefazione B. promette a Federico Barbarossa di tradurre dal greco un'opera di meteorologia, ma, probabilmente, questa nuova traduzione non è stata mai pubblicata (Mols), posto che sia stata fatta.

B. tradusse ancora gli Aforismi di Ippocrate (Tiraboschi) e Galeno. La lista delle opere di Galeno, la cui traduzione si suole attribuire a B., non è univocamente formulata presso i moderni studiosi. Tutti attribuiscono a B. la traduzione dei seguenti trattati: De sectis medicorum (nel 1185, Sarton, Introduction...) dedicandolo ad un Enrico, forse il futuro Enrico IV, come è indicato in un manoscritto di Montpellier (Haskins, p. 208); De sanitate tuenda; De differentiis pulsuum; Therapeutica (secondo il Thorndike, A History..., p. 879, la traduzione di questa opera fu soltanto iniziata). L'Haskins e il Dausend attribuiscono a B. anche la traduzione del De differentiis febrium e del De compendiositate pulsus. L'Haskins soltanto ascrive a B. la traduzione del De temperamentis, del De virtutibus naturalium, del De locis affectis, del De crisibus. Il Dausend soltanto ritiene che B. abbia tradotto ancora il De diagnosi, il De introductione pulsus et causis ipsius; il De alimentis, il De sanatibus e il De sanitate. In questo elenco di titoli, e per le divergenze che su di esso si riscontrano nei vari autori, va tenuto presente quanto è stato già osservato sin dall'Antonioli (Memorie istoriche...) il quale giustamente rileva che alla stessa opera furono dati nei manoscritti titoli differenti. Ciò stante, deve essere adottata ogni cautela nella compilazione della lista delle opere di Galeno che si ritengono tradotte da Burgundione. Questo punto non è stato ancora risolto con rigorosi criteri filologici e perciò qualsiasi elencazione deve essere accettata con molte riserve, essendo fondata soltanto su antichi e imperfetti cataloghi di biblioteche e su un incompleto censimento di manoscritti.

Comunque, a prescindere da questo problema, resta acquisito che per merito delle traduzioni di B. passarono in Occidente, per la prima volta direttamente, le grandi opere della medicina antica, che prima delle fatiche di B. erano note attraverso l'intermediario delle traduzioni arabe. La fortuna incontrata dalle opere mediche tradotte da B. fu grande. Costantino da Salerno, e ancor più Taddeo degli Alderotti (morto nel 1303) ne fecero largo uso; soprattutto il secondo, il quale, nei suoi scritti, raffronta spesso le opere di Ippocrate con quelle arabe, servendosi delle traduzioni di Boezio e di B. (Barduzzi).

Altra traduzione di B. è quella di un frammento (capp. 8-15) della Geoponica che fu molto usata nel sec. XIV dal bolognese Pietro Crescenzi. Questa traduzione di B. è conservata da due codici manoscritti che sono stati trascritti e pubblicati a fronte dal Buonamici nel 1908.

Tra le traduzioni di incerta attribuzione si elencano ancora l'Apologeticus de fuga di Gregorio di Nazianzo (Dausend, Johannes Damascenus..., p. 176);l'Expositio super Evangelium secundum Marcum di Vittore di Antiochia; il De fide et Spiritu Sancto attribuito ad Atanasio, giusta la supposizione del Bandini (col. 455). Non completamente convincenti sono stati giudicati (Mols) gli argomenti dell'Ueberweg-Geyer e del Bliemetzrieder i quali vorrebbero attribuire a B. la versione latina degli Analitica posteriora di Aristotele.

La rinomanza che B. raggiunse tra i suoi contemporanei fu grandissima. In rapporti con il papa Eugenio III e con l'imperatore Federico Barbarossa, egli ebbe certamente più prestigio per la sua attività pubblica di ambasciatore, esperto soprattutto negli affari con i Bizantini della cui lingua era pienamente padrone, che come traduttore. Ma tra i posteri è proprio questa attività che gli ha conservato un posto di rilievo nella storia della cultura. La sua traduzione del Damasceno esercitò influenze determinanti nel pensiero filosofico-teologico medioevale; e così quella del Crisostomo, che fu presente, come si è detto, a s. Tommaso d'Aquino, il quale se ne servì sia pure con libertà confessate.

Le traduzioni di B. sono caratterizzate dalla preoccupazione di riprodurre in latino ogni parola del testo greco; egli giunge persino a conservare la stessa disposizione di parole dell'originale, e, spesso, per evitare travisamenti - specie nei testi patristici dove un fraintendimento poteva portare all'eresia - latinizza il termine greco, interpretandolo, poi, con un giro di parole introdotte da "id est".

Questo metodo di tradurre - che B. stesso professò esplicitamente nella prefazione della sua traduzione del Crisostomo - è conforme ai criteri in uso nei traduttori dei suoi tempi. Presso i posteri, se questa metodologia da un canto lo espose alle critiche degli umanisti, dall'altro ci ha conservato un prezioso testimone della tradizione indiretta dei testi patristici cui egli si dedicò. Soprattutto per il Crisostomo delle Homiliae in Matheum, sembra (Flecchia) che B. si sia servito del testo tramandato da un codice in molti punti portatore di lezioni migliori di quelle attestate dai manoscritti giunti sino a noi, lezioni che soltanto per merito della sua traduzione "de verbo ad verbum" è possibile ricostituire.

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