BUROCRAZIA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

BUROCRAZIA (VIII, p. 148; App. III,1, p. 272)

Onorato Sepe

Il termine "burocrazia" può essere considerato sotto il profilo semantico come rappresentativo della variazione della sua funzione nel corso del tempo. Sembra che esso sia stato introdotto nella seconda metà del Settecento dal fisiocratico J.-C. de Gournay come derivazione da bureau che già allora era termine che designava la scrivania dei funzionari.

Il dictionnaire dell'Accademia francese (supplemento 1798) definisce il termine b. come "l'influenza dei capi e del personale degli uffici governativi", mentre il Dizionario tecnico-etimologico-filologico del De Marchi (Milano 1828) lo spiega come "neologismo inteso a significare il potere dei funzionari nella pubblica amministrazione". Certo è che già fra il Settecento e l'Ottocento la b. è vista addirittura come una forma di governo (potere nelle mani dei funzionari); o appare come un termine critico nei confronti dell'organizzazione dello stato. Gli Elementi di scienza politica di G. Mosca (1895) pongono in evidenza che dopo lo stato feudale è sopravvenuto quello burocratico, nel quale il corpo dei funzionari stipendiati esercita un'autorità che trova i suoi limiti nei corpi elettivi.

Il maggior teorico dell'organizzazione, M. Weber, considera la b. uno degli elementi di razionalizzazione dello stato contemporaneo, fondato sul concetto dell'autorità legale. Ad essa sono legati, attraverso un sistema di norme astratte da applicare ai casi particolari, tutti i membri dell'organizzazione statale attraverso i principi dell'autorità e dell'obbedienza.

Il piò tipico sistema di autorità legale è quello che si presenta nella forma amministrativo-burocratica e che dà luogo a una gerarchia di uffici e di funzioni, al riconoscimento di diritti e doveri fra cui quello della fedeltà, della professionalità dell'impiego, dello stipendio e della carriera. Al fine di evitare il pericolo che la b. accumuli troppo potere (e possa influenzare e controllare le scelte politiche) Weber indica dei meccanismi correttivi quali la collegialità di alcune decisioni e la separazione dei compiti in sfere funzionali distinte. Tuttavia egli concorda col Mosca nel ritenere che la miglior difesa contro le degenerazioni burocratiche (perniciose soprattutto nelle dittature) è dato dal sistema rappresentativo.

Le teorie di Weber vennero confutate e discusse: in dottrina si accentuò il distacco fra coloro che studiavano il sistema burocratico con mero interesse scientifico (tendenza accademica) e le tendenze critiche intese a polemizzare e a porre in evidenza i difetti del sistema stesso.

Nel secolo ventesimo si è pervenuti a numerose definizioni della b. a seconda che provenissero da storici, economisti, politologi, sociologi, psicologi sociali o tecnici di organizzazione. Si definisce in tal modo la b. come "organizzazione razionale" (Peter Blan, Scott, Leonard) e vi si vede un sistema che assicura la continuità della realizzazione degli obbiettivi di amministrazione e l'efficienza dell'apparato.

Altri sociologi affermano esattamente il contrario fino a identificare nella b. la causa prima dell'inefficienza dell'amministrazione in quanto organizzazione, incapace di correggersi imparando qualcosa dai propri errori e afflitta da cronica staticità e mancanza di flessibilità (Crozier).

La tendenza a considerare la b. come dominio dei funzionari, risalente a de Gournay e a J. Stuart Mill, è sempre viva: da Lask, che nell'Encyclopaedia of social Sciences (1930) scriveva che b. è "il termine che in generale si usa per un sistema di governo, nel quale il controllo è in mano ai funzionari", a Brecht che, nel 1954, definiva la b. come "governo dei funzionari"; a Meynaud (1968) che esamina il potere connesso a particolari capacità tecniche, fino a un comunista eretico come Gilas (1957) che vede la b. come classe intesa a utilizzare lo stato e a disporne e che, coerentemente, identifica il partito, negli stati comunisti, in una burocrazia.

Dalla teoria che i funzionari sono detentori del potere è agevole passare all'identificazione della b. con la stessa pubblica amministrazione: la b. è l'elemento di tutte le strutture organizzative e rappresenta la continuità di fronte alla mutevolezza delle classi politiche che si avvicendano. È evidente che possa costituire un gruppo di pressione, di solito a tendenze conservatrici, che tende a identificarsi con l'amministrazione. In Italia l'espressione più recente sarebbe ravvisabile nel d.l. 30 giugno 1972, n. 748, che, dando responsabilità ai dirigenti statali ai vari livelli, ha sottratto poteri agli organi politici e ha reso i burocrati organi esterni dell'amministrazione con funzioni decisorie.

La più recente pubblicistica riconosce che nell'amministrazione di oggi il ruolo dei pubblici impiegati e dei dirigenti non è più raffigurabile con la tradizionale piramide burocratica e non consiste soltanto nella fedele attuazione della legge. L'amministrazione non limita più il proprio intervento alla garanzia dell'ordinato svolgimento dell'attività dei privati, ma fa fronte ai nuovi compiti resi necessari dall'evoluzione dello stato e dalla trasformazione della società. In tale prospettiva i pubblici funzionari, chiamati a partecipare ad attività d'indirizzo politico, si trovano di fronte a una sorta di crisi d'identità. La responsabilità, che prima era coperta formalmente dal ministro, vertice della piramide gerarchica, oggi è attribuita in proprio ai funzionari dirigenti ai vari livelli. Ciò ha la conseguenza di fornire una maggiore autocoscienza alla b., ma impone anche ai funzionari di non essere solo dei freddi e distaccati esecutori della legge, ma di sentire la funzione dell'amministrazione nella società, di condividere le tendenze favorevoli all'espansione, allo sviluppo, all'efficienza dei servizi, in conformità alle aspirazioni degli amministrati. In tal modo la funzione tradizionalmente affidata alla b. si trasforma: l'amministrazione non deve preoccuparsi solo di stare al passo con la società (attraverso un processo di ammodernamento e di adeguamento), ma deve assumere una funzione trainante e di guida, dev'essere strumento e mezzo per rendere più efficace e veloce il processo di sviluppo sociale; ciò accresce l'importanza del fenomeno amministrativo e dà maggior potere e forza ai burocrati.

In senso contrario non si manca d'imputare alla b. la colpa dei mali dell'amministrazione, con l'accusa di scarsa apertura alle innovazioni. Si osserva, infatti, che negli ordinamenti pubblici i tentativi di modifica delle strutture si verificano solo dall'interno, nei limiti in cui la b. accetta di essere modificata, in quanto essa costituisce un corpo socialmente autonomo che detenendo le leve dell'organizzazione e predisponendo i progetti di riforma e di modifica tende alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed evita che si apportino innovazioni che possano esserle di nocumento. La concezione weberiana, connessa alla visione legale-razionale (reclutamento per concorsi, organizzazione per ruoli e carriere, promozioni e trasferimenti legati a criteri garantistici) resiste nelle accezioni pratiche e ispira ancora la vigente normativa, ma viene considerata superata soprattutto nelle rivendicazioni delle organizzazioni sindacali.

Ciò dovrebbe portare, sia pur lentamente, a un ridimensionamento dei due grandi problemi dei pubblici impiegati, e cioè il reclutamento e la carriera. Il primo è legato alla pretesa di far sì che l'ammissione in servizio avvenga in modo da fornire all'amministrazione la prova della capacità e dell'attitudine degli ammittendi, connessa con la necessità di assicurare l'eguaglianza e di porre tutti alla pari nella possibilità di essere chiamati a prestare servizio: di qui il principio del pubblico concorso al quale possono partecipare tutti i cittadini in possesso dei requisiti richiesti. La tendenza più evidente è quella di eliminare il particolarismo dei concorsi banditi dalle singole amministrazioni per compiti analoghi e d'indirizzarsi, nell'amministrazione dello stato, ai concorsi unici.

Il secondo problema, quello della carriera, dovrebbe anch'esso trovare il proprio ridimensionamento nell'ambito di una ristrutturazione delle qualifiche funzionali dei pubblici dipendenti. Siffatte tendenze trovano già accenni di realizzazione nella normativa di alcune regioni. Ciò ha anche la conseguenza di togliere alla legislazione statale la caratteristica di normativa pilota. Naturalmente l'influenza che hanno le categorie interessate nel rinnovamento della disciplina del pubblico impiego rappresenta un ulteriore stadio di quel secolare processo di evoluzione e di rafforzamento della b., iniziatosi come garanzia d'indipendenza dal sovrano, attraverso il continuo formalizzarsi dei rapporti, e rafforzatosi poi allorché l'amministrazione-apparato ha acquistato un'importanza e una tecnicizzazione sempre maggiore ed è divenuta meno resistente alle influenze delle organizzazioni sindacali.

Bibl.: F. Demarchi, La burocrazia centrale in Italia, Milano 1963; G. Pastori, La burocrazia, Padova 1967; G. Freddi, L'analisi comparata dei sistemi burocratici pubblici, Milano 1968; P. Ammassari, F. Derraresi, F. Garzonio Dell'Orto, Il burocrate di fronte alla burocrazia, ivi 1969; M. Albrow, La burocrazia, Bologna 1970; S. Caruso, Burocrazia e capitale in Italia, Verona 1974; G. Amato, La burocrazia nei processi decisionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1975, p. 488; F. Trimarchi, Poteri dei dirigenti e partecipazione, ibid., 1975, p. 88; S. Cassese, Formazione dei pubblici dipendenti e riforma amministrativa, ibid., 1976, p. 226.

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