Caccia d'Asciano

Enciclopedia Dantesca (1970)

Caccia d'Asciano

Giorgio Varanini

Caccia o Caccianemico di Trovato degli Scialenghi, del ramo dei Cacciaconti (pieno sec. XIII), è detto da D. d'Ascian (If XXIX 131) perché d'Asciano in Val d'Ombrone i suoi antenati erano stati signori. Nel contado d'Asciano, d'altronde, dovevano essere i campi e i vigneti dilapidati da C. con la brigata di dodici giovani raccoltasi a Siena nella seconda metà del sec. XIII allo scopo di vivere spensieratamente e allegramente, godendo di tutte le gioie che la vita può offrire. Sappiamo da Benvenuto che la vita godereccia della brigata durò venti mesi e che i soci di essa, dilapidati ben 216.000 fiorini, " cito devenerunt ad inopiam, et facti sunt fabula gentium ". Come non può essere accolta l'identificazione della brigata cui D. accenna con la " brigata nobile e cortese " di Niccolò di Nisi cantata da Folgore da San Gimignano (se non altro per ragioni cronologiche, essendosi questa radunata solo nei primi decenni del Trecento), così sembra da escludere che il C. dantesco, detto in un documento del 1293 " Caccia quondam domini Trovati de Sciano ", sia il Caccia da Siena rimatore (l'identificazione, proposta dal Torraca e dal Casini, fu confutata dal Massera con buoni argomenti).

Per quanto attiene al v. 131, la lezione promossa dal Petrocchi (Caccia d'Ascian la vigna e la gran fonda), coincidente con quella accolta nelle vecchie edizioni, fra cui quella della Crusca, e attestata da manoscritti assai autorevoli, consente di attribuire al passo un senso diverso da quello corrente, e più persuasivo. Se difatti fronda (preferita dal Vandelli e dal Casella e riprodotta in tutte le edizioni moderne) può alludere ai boschi che forse facevano parte della proprietà terriera di Caccia, la ‛ difficilior ' fonda (fundus) ammette un riferimento ai terreni arativi della tenuta, distinti dai vigneti, che certo il Senese possedeva. Vero è, per altro, che alla determinazione della natura dei beni alienati da C. poco giovano i documenti di cui disponiamo, citati dal Massera; il primo di essi, difatti, del 24 gennaio 1251, dice solo che il Senese, e con lui il padre messer Trovato, dà il suo assenso alla vendita di certi appezzamenti di terreno con vigna presso Asciano da parte di Zaccone di Martinuccio e Ranuccio suo figlio a Ranieri d'Ildibrandino (l'alienazione è quindi estranea, e probabilmente anteriore, allo sperpero dei beni aviti con la brigata spendereccia); il secondo e il terzo (21 agosto 1293) testimoniano solo l'acquisto, da parte di C., di un terreno presso le Serre di Rapolano e l'immediata vendita del medesimo a messer Bernardino d'Alamanno Piccolomini (e anche tale negozio non sembra aver riferimento con la dispersione del patrimonio immobiliare del Cacciaconti). Ma ‛ fonda ', come testimoniano Bono Giamboni e Matteo Villani, può anche assumere il valore di " borsa per denari "; in tal caso nell'espressione dantesca si avrebbe precisa allusione alla dissipazione, da parte del Senese, del suo patrimonio immobiliare (i vigneti) e mobiliare (il denaro liquido). L'attendibilità di tale seconda interpretazione è d'altronde avvalorata dal Buti, che a fonda chiosa: " et allora s'intenderebbe di denari ".

Bibl. - A.F. Massera, C. d'A., in " Giorn. stor. " LXXV (1920) 211-213; C. Mazzi, Documenti senesi intorno a persone o ad avvenimenti ricordati da D. A., in D. e Siena, Siena 1921; Petrocchi, Introduzione 185-186. Fra le più informate letture: L. RoccA, Il c. XXIX dell'Inferno, Firenze 1907, e B. Bruni, Il c. XXIX dell'Inferno, Torino 1959. Sull'inattendibilità della proposta identificazione della ‛ brigata spendereccia ' con la " brigata nobile e cortese " di Folgore da San Gimignano, vedi F. Neri, I sonetti di Folgore da San Gimignano, città di Castello 1914, 17 ss.

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