Caifas

Enciclopedia Dantesca (1970)

Caifas

Pietro Mazzamuto

Vocabolo aramaico (significa " oppressore "; in greco Καῒάφας), con cui si denominò il sadduceo che fu sommo sacerdote in Gerusalemme dal 18 a.C. al 36 d.C. e che i Vangeli (Matt. 26,3 e 57; Luc. 3, 2; Ioann. 11, 50; 28, 14 e 24) tramandano essere stato il principale responsabile dell'opposizione organizzata dai sacerdoti ebrei e dai farisei contro Cristo. Matteo racconta infatti che, in una riunione tenutasi nella sua corte, fu deciso di catturare con inganno e far morire Cristo e che, quando questi già arrestato gli fu condotto innanzi e dichiarò di essere il Figlio di Dio, fu proprio lui a stracciarsi le vesti e a gridare che quella era una bestemmia.

Anche se poi ne fa uno strumento necessario alla legittimazione della pena sofferta da Cristo per la liberazione dell'uomo dal peccato originale (Mn II XI 6), D. giudica severamente C. e lo pone, insieme col suocero Anna e con gli altri sacerdoti e farisei, fra gl'ipocriti dannati nella sesta bolgia dell'VIII cerchio, immaginandolo crucifisso in terra con tre pali (If XXIII 111) e preso dalla rabbia e dalla vergogna che lo fanno contorcere, soffiare e sospirare alla vista del poeta; al quale è un altro dannato, frate Catalano de' Malavolti, a spiegare chi egli sia, quale sia il suo peccato (consigliò i Farisei che convenia / porre un uom per lo popolo a' martìri) e quale sia la sua pena (Attraversato è, nudo, ne la via, / come tu vedi, ed è mestier ch'el senta / qualunque passa, come pesa, pria, vv. 116-120): tutto uno spettacolo che desta la meraviglia di Virgilio (v. 124).

Le ragioni specifiche della condanna e della pena furono già felicemente intuite dall'Anonimo: " Questo crucifisso fu Caifasso, il quale, quando Cristo fu crucifisso da' Giudei, elli era Pontefice maggiore; e disse in sua diceria, che si convenía che uno morisse per lo popolo, e Cristo fosse esso. E per ciò che ipocritamente consigliò per lo popolo, per la giustizia conviene che ogni gente lo scalpiti e vadali addosso ". Dove è chiaro il riferimento alle parole attribuite a C. da Giovanni (11, 50): " expedit vobis ut unus moriatur homo pro populo et non tota gens pereat ". Ma non è escluso che D. sia stato indotto a dannare C. anche da certa tradizione letterario-religiosa medievale, che l'aveva già relegato nell'Inferno insieme con Giuda, Erode, Pilato, Anna: vedi la Navigatio sancti Brendani, la Visio Alberici, la versione della leggenda La vendetta del Salvatore, nella quale addirittura C. è il protagonista condannato ad essere sepolto vivo, rifiutato dalla terra e infine schiacciato sotto un enorme macigno (Della Giovanna), e soprattutto il De Miraculis, di Pietro Maurizio, un abate cluniacense del sec. XII, nel quale la croce è considerata oggetto non di venerazione ma di esecrazione, perché strumento della morte di Cristo: " Creator ipse qui passus est, impiam crucem se torquentem torquebit: et cum Herode ac Pilato, Iuda vel ‛ Caipha ', eam in gehenna retrudet " (Delfino).

Al riguardo, il modo particolare e distinto dell'atroce pena è stato ampiamente sottolineato dai più antichi ai più recenti commentatori; " sicut Christus propter istius consilium tribus fuit clavis in cruce confossus, ita ipse in Inferno tribus est palis in terra confixus " (Guido da Pisa); " et quia eorum [C. e Anna] hypocrisis preponderavit omnibus aliis hypocrisibus, ideo fingit eos crucifixos ab omnibus illis hypocritis suppeditari " (Pietro). In sostanza, l'ipocrisia di C. " assomma in sé la gravità di tutte le altre forme di ipocrisia, avendo avuto come vittima la persona del Dio-Uomo. Si cita in proposito Isaia 51,25: posuisti ut terram corpus tuum et quasi viam transeuntibus " (Mattalia). Di qui la maggiore gravità della pena e l'ironica tragica condizione di esser nudo e conoscere " il peso delle cappe peggio degli ipocriti stessi, se tutta la lenta processione degli incappati in eterno deve passargli sopra " (Bonora).

Quanto allo sdegno di C. verso D., è stato detto o " che fosse perché vedea D. cristiano salvato per la passione di Cristo, per la quale egli era dannato " (Buti), o perché " l'ypocrito si duole quando vede la sua hypocrisia et fraude scoperta " (Landino), o perché si era accorto di D. vivo e " l'essere da lui calpestato sarebbegli stato d'assai maggior tormento " (Lombardi). Quanto alla meraviglia di Virgilio, è stata attribuita o alla " ragione della grandezza della giustizia di Dio, la quale avanza la possibilità del nostro intelletto " (Buti), o all'errore di C. " che, avendo innanzi Cristo signore del cielo e della terra, com'egli nol conobbe, dolendosi ancora di sé che non era a quel tempo che lo avrebbe conosciuto " (Anonimo), o alla constatazione che " maxima pars malorum quae evenerunt in mundo evenit propter ypocrisim " (Giovanni da Serravalle), o al fatto che egli avesse " profetato quel medesimo che fece Caifas, ove nel secondo dell'Eneida disse: ‛ Unum pro multis dabitur caput ' " (Vellutello), o al " nuovo genere di supplizio e di avvilimento non veduto da lui l'altra fiata che fu all'Inferno... che fu prima della morte del Redentore, non che di Caifas " (Lombardi).

Sul valore artistico del personaggio, è stato sopra tutto valorizzato il " compiacimento sottile " messo dal poeta nella plastica vigorosa descrizione della sua figura (Bonora) e l'allargarsi dei " chiusi confini tematici " dell'ipocrisia municipale al più vasto e grave ambito dell'ipocrisia religiosa (Sanguineti), a una vera e propria " dimensione metastorica e simbolica " (Russo).

Bibl. - E. Masi, Ipocriti e frati godenti nell'Inferno di D., in Nuovi studi e ritratti, Bologna 1894; I. Della Giovanna, Il c. XXIII dell'Inferno, Firenze 1901; F. Delfino, La bolgia degli ipocriti, in " Rivista d'Italia " aprile 1905, 533 ss.; G. Semeria, Il c. XXIII, in Lect. Genovese 468-471; G. Bertoni, Il canto degli ipocriti, in Cinque Lecturae Dantis, Modena 1933, 42-66 (rist. in Lett. dant. 429-445; E. Bonora, Gli ipocriti di Malebolge ed altri saggi di letteratura italiana e francese, Milano-Napoli 1953, 3-29; E. Sanguineti, Interpretazione di Malebolge, Firenze 1961, 169-170; A. Sacchetto, Il c. XXIII, in Lect. Scaligera I 812-813; V. Russo, Il c. XXIII dell'Inferno, in Nuove Lett. II 225-256.

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