Vittorino, Caio Mario

Enciclopedia Dantesca (1970)

Vittorino, Caio Mario

Giorgio Brugnoli

Scrittore latino d'Africa (nato agl'inizi del sec. IV d.C., morto dopo il 362). Maestro di retorica a Roma sotto Costanzo (337-361), fu dapprima seguace del neoplatonismo e poi (dal 355) cristiano, sì che nel 362 dovette abbandonare l'insegnamento a seguito dell'editto di Giuliano l'Apostata (Agost. Conf. VIII IV 9). D. non conobbe le opere dottrinarie (Adversus Arium, Commentarii in Epistulas Pauli, De Generatione Divini verbi, De ὁμοουσίω recipiendo, Ad lustinum Manichaeum) di Vittorino. Gli fu nota invece assai probabilmente l'Ars grammatica nella sua redazione aucta e interpolata, se si accetta con il Nardi che in Pd XXVI 17 Alfa ed O è di quanta scrittura la O vada letta come suggerisce l'interpolatore medievale di V. (Gramm. VI 33,5-7, ediz. Keil): " productis labiis, rictu tereti, lingua antro oris pendula ", sì da dare quel " sonum tragicum " che richiede la solenne citazione dell'Apocalisse.

È probabilmente questa fama di grammatico che ha spinto D. a nascondere V. sotto l'avvocato de' tempi cristiani di Pd X 119.

Premesso che l'indicazione dantesca, deliberatamente segreta, allude certamente a un personaggio vicino ad Agostino che se ne servì (si provide), sarà bene accertare una volta per tutte i limiti della discussione sulla sua identità, tenendo presenti da una parte gli elementi della perifrasi e dall'altra il significato del canone che comprende l'avvocato.

La perifrasi è stata finora sempre intesa nel senso che D. alluda a un apologeta (avvocato) del cristianesimo (tempi cristiani) della cui opera (latino) si servì (si provide) Agostino. Sono quindi affiorate le conseguenti candidature: di Ambrogio, " propter cuius latinum idest epistolas et praedicationes, Augustinus, haereticus Manichaeus, effectus est tantus Christianus ut fuit " (Pietro) e che " sottilissimamente parlò della fede cristiana per cui S. Agostino ricevette battesimo * (Ottimo), sostenuta anche da Benvenuto e, fra i moderni, da Cimmino, ma con intenti parenetici; di Orosio, " che fece libro nel quale raccolse tutti li mali che erano stati nel mondo dal diluvio infino ai suoi tempi, dimostrando che minori sono stati li mali nel mondo nel tempo dei cristiani e tra i cristiani che nel tempo dei pagani e tra i pagani; e questo libro scrisse a santo Agostino che ne l'aveva pregato, perché li fusse ad aiuto al libro che santo Agostino voleva fare De civitate Dei. E però dice che Orosio fu avvocato dei tempi cristiani, cioè difenditore " (Buti), che, sostenuta in seconda istanza anche da Benvenuto, ebbe il maggior successo fra i moderni (Zama, Toynbee, Mancini [1910], Scartazzini-Vandelli e in genere i commentatori moderni), specialmente per il riscontro fatto dal Toynbee della ricorrenza in Orosio della giuntura " Christiana tempora " (tempi cristiani: che è peraltro giuntura frequente in molti altri scrittori cristiani, ad es. in Agostino); di V., di cui Agostino (Conf. VII IX 13, 20, 26; VIII II 3-5; Beat. vit. 4) dichiara di aver letto la traduzione di Platone " in Latinam linguam ", sostenuta da Busnelli, Maggini e Sapegno; di Lattanzio, proposta da Fea, Mancini (1894) e altri; di Tertulliano, proposta dallo Iaconizzi; e infine di Paolino di cui Agostino, suo corrispondente epistolare, riconosce il magistero (Epist. 31 " Adversus paganos te scribere didici) e l'importanza (Civ. I 10; cfr. pure Epist. 42 e 45), sostenuta dal Filomusi-Guelfi, ma sull'inaccettabile osservazione che Paolino - diminutivo di Paolo - corrisponde per la ‛ deminutio ' del nome alla ‛ deminutio ' della piccioletta luce.

Gioverà osservare che: piccioletta attribuito a luce non può non significare " piccola " (If VIII 15 nave piccioletta), ma anche " più piccola ", in senso limitativo (Pd II 1 piccioletta barca), e quindi, in struttura con luce, " meno splendente delle altre luci " (Cv III I 1 di picciolo in grande fiamma s'accese): Salomone al v. 109 è la quinta luce, ch'è tra noi più bella, " la più splendente di tutte " (Sapegno). Il piccioletta non può convenire né ad Ambrogio che fa parte dei quattro padri regulati (Ambrogio, Girolamo, Agostino, Gregorio Magno: D. ne accetta almeno tre, in Ep XI 16 iacet Gregorius tuus in telis aranearum; iacet Ambrosius in neglectis clericorum latibulis; iacet Augustinus abiectus: la terna è completata da Dionigi l'Aeropagita, Giovanni Damasceno e Beda), né a Orosio che fa parte dei quattro prosatori regulati (VE II VI 7 qui usi sunt altissimas prosas, ut Titum Livium, Plinium, Frontinum, Paulum Orosium) e forse neppure a Lattanzio o a Tertulliano, in definitiva troppo noti per meritare la ‛ deminutio ' di una piccioletta luce. Poi, avvocato de' tempi cristiani dovrebbe significare " defensor, difenditore, della Cristianità ". D. usa questo termine nella forma latina " advocatus " soltanto in Mn III XI 2 advocati Ecclesiae, dove va inteso come " protettore ", " fiduciario", " chiamato a difesa della Chiesa ". Se nel contesto di Pd X avvocato significa " apologeta, chi scrive contro i pagani e in difesa del Cristianesimo", il termine può convenire solo a Tertulliano (" primus " degli apologeti latini in Girolamo De Viris inlustribus LIII) o, tutt'al più, a Lattanzio (De Ira dei e con grande difficoltà, data la sua scarsa diffusione, il De Mortibus persecutorum) e non certo ad Ambrogio, la cui opera apologetica è nulla, né a Orosio le cui Historiae adversus paganos sono ben note a D. come un trattato di storia e come tali portate a esempio di altissima prosa, né naturalmente a V. e a Paolino. Infine l'espressione del cui latino Augustin si provide delimiterebbe la scelta a un personaggio che ebbe rapporti con Agostino che si servì del suo latino e, come è ovvio, latino potrà significare sia l'opera scritta da quel personaggio sia la sua azione. Esclusi, per la loro non pertinenza nei riguardi di Agostino, sia Tertulliano sia Lattanzio, i quali non influirono in nessun modo su di lui e non furono suoi contemporanei, rimarrebbero le candidature di Ambrogio e Orosio nei termini espressi dai commentatori antichi e quelle moderne di V. e Paolino: tutti e quattro questi personaggi risultano legati ad Agostino che li conobbe direttamente (Ambrogio per la conversione, Paolino come suo corrispondente epistolare, Orosio come suo alunno) o indirettamente (V. per la traduzione latina di Platone), ma si può osservare che, mentre Agostino si provide in qualche modo dell'opera di Ambrogio, Paolino e V., per quel che riguarda Orosio fu piuttosto questi a servirsi dell'opera di Agostino, se è vero che le Historiae di Orosio (come anche del resto il Commonitorium) furono dedicate ad Agostino " pater " e maestro di Orosio e dichiarate scritte allo scopo di sopperire " levi opuscolo " a quella parte della trattazione che Agostino non aveva ritenuto opportuno d'introdurre nel De Civitate Dei.

A conclusione di quest'analisi indicherei in V. e Paolino i favoriti con maggior margine di probabilità.

L'esame del canone che contiene l'avvocato sembra confermare questo pronostico e dà in definitiva una certezza di scelta. La struttura delle due corone di spiriti sapienti del cielo del Sole suggerisce l'idea che i due canoni dodicimali di Pd X e XII siano in qualche corrispondenza reciproca. Nella prima corona la serie di dodici dottori (Tommaso d'Aquino, Alberto Magno, Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi l'Aeropagita, l'avvocato, Boezio, Isidoro, Beda, Riccardo di San Vittore, Sigieri di Brabante) è accentrata sulla figura di Salomone, la quinta luce ch'è tra noi più bella (XII 109): " on imaginerait volontiers que, dans le premier choeur, dussent apparaître les esprits les mieux accordés avec la direction intellectualiste du Thomisme " (Renaudet); le anime della seconda corona (Bonaventura, Illuminato, Agostino, Ugo di San Vittore, Pietro Mangiatore, Pietro Ispano, Natan, Giovanni Crisostomo, Anselmo, Donato, Rabano, Gioacchino da Fiore), senza un centro apparente su cui articolarsi, potrebbero rappresentare " les philosophes et les théologiens portés, comme Bonaventure, à prolonger par une mystique la connaissance rationelle " (Renaudet). Tuttavia ambedue le serie, pur nella loro indipendente strutturazione, accusano alcuni precisi punti di contatto reciproco. Anzitutto in ambedue le serie sono presenti sapienti prima di Cristo venuto, Salomone nella prima, Natan nella seconda: Salomone re e saggio, prima e dopo il quale " nullus... similis... fuerit nec... surrecturus sit " (III Reg. 3, 12), viene contrapposto a Natan, il profeta che, come Francesco ispiratore della seconda serie e come Crisostomo con cui è nominato, disse " verità amare ai grandi della terra " (Scartazzini-Vandelli). Poi in ambedue le serie e sempre alla fine, in pendant con la citazione all'inizio dei grandi pensatori rispettivamente domenicano (Tommaso) e francescano (Bonaventura), sono presenti anime dotate di spirito profetico, Sigieri averroista nella prima serie e Gioacchino da Fiore nella seconda.

Se sono indubitabili almeno questi due punti di contatto, sarà lecito postularne altri sotto il velame. Per la ricerca dell'avvocato, sicuramente crittografico e quindi da supporre risolvibile soltanto in accostamenti-chiave o simili tipi di rispondenze, proporrei l'accostamento-chiave al personaggio di Donato nella seconda corona.

La collocazione di Donato fra i sapienti della seconda corona è dovuta, com'è ovvio, soltanto alla sua fama di grammatico e di maestro di un dottore come Girolamo. Ebbene non è un caso che Girolamo citi Donato insieme con Mario V. come suoi maestri (Gir. Chron. Ol. 283, 2 " Victorinus rhetor et Donatus grammaticus praeceptor meus Romae insignes habentur. E quibus Victorinus etiam statuam in foro Traiani meruit ", che è ripreso in Agost. Conf. VIII II 3 " ille doctissimus senex... ob insigne praeclari magisterii... statuam Romano foro meruerat " e riprodotto nei Chronica derivati di Cassiodoro, Isidoro, Mariano Scotto: in ogni caso D. legge il Chronicon di Girolamo (v. LATINO: La lingua latina); Girolamo parla ancora di V. unendo il suo nome a quello di Donato suo " praeceptor " in Adv. Rufin. I 16 " Puto quod puer legeris... commentarios... Victorini in dialogos eius [scil. Ciceronis] et in Terentii comoedias praeceptoris mei Donati ") dandoli praticamente come ‛ coppia fissa ' ed esemplare rappresentativa degli esponenti dell'arte del Trivio.

Ne concluderei che V. debba in qualche modo essere presente nella prima corona, come pendant inevitabile di Donato: a questo proposito l'espressione prima arte usata per Donato si qualificherebbe come un segnale (= grammatica) per identificare V. che degnò porre mano alla terz'arte (= retorica). È chiaro che si dovrà di conseguenza dare altro significato alla perifrasi: piccioletta luce attribuito a V. significherà " più piccola " perché V., di cui l'importanza come teologo doveva apparire a D. del tutto secondaria per la svalutazione che ne aveva fatta Girolamo (Gir. De Viris inl. CI; In Gal. lib. 3, praef.), è da D. considerato come " praeceptor " di Agostino, che per la traduzione latina di Platone fatta da lui (latino) si provide (Agost. Conf. VII IX 13 " procurasti mihi ") di un testo che poté evitargli gravi errori (ibid. VIII II 3 " Ubi autem commemoravi legisse me quosdam libros Platonicorum quos Victorinus quondam, rhetor urbis Romae, quem Christianum defunctum esse audieram in Latinam linguam transtulisset, gratulatus est mihi, quod non in aliorum philosophorum scripta incidissem plena fallaciarum et deceptionum ") nei quali sarebbe caduto se si fosse servito di un'altra traduzione. Al Busnelli che intende giustamente si provide come allusivo di " procurasti mihi " e avvocato come allusivo di " rhetor ", aggiungerei: per si provide il conforto dell'uso analogo di Pd XXVIII 85-86 così fec'ïo, poi che mi provide / la donna mia del suo risponder chiaro, che è del resto l'unico altro luogo in D. dove ‛ provedere ' è usato in forma riflessiva; per avvocato il confronto con Boezio (In Porph. comm. I proe. 1), dove V. è detto " orator sui temporis ferme doctissimus ", donde si può agevolmente ricavare anche i tempi cristiani.

Cade così ogni dubbio sulla scelta fra Paolino e V. e anche la riserva su V. (v. BEDA; ma cfr. DONATO).

Bibl. - C. Fea, Nuove osservazioni sopra la D.C., Roma 1830, 71-78; E. Zama, Orosio e D., in " La Cultura " II (1892) 429-435; A. Mancini, Chi è l'avvocato de' tempi cristiani, in " Giorn. d. " II (1894) 338-342; E. Moore, Studies in D., I, 279; A. Cimmino, S. Ambrogio e D.: conferenza, Napoli 1896; P. Toynbee, in " Romania " XXVI (1897) 332-333; ID., Dante Studies and Researches, Londra 1902, 121-136; A. Mancini, in " Bull. " XVII (1910) 245; A. Cimmino, S. Ambrogio e D., in " Giorn. d. " XIX (1911) 131-134; G. Iaconizzi, La protasi di D. di Giov. Bovio, Udine 1912; [G. Busnelli], L'avvocato dei tempi cristiani, in " La civiltà Cattolica " LXV (1914) 513-530; L. Filomusi Guelfi, Paralipomeni danteschi, città di Castello 1914, 141 ss.; F. Maggini, in " Bull. " XXII (1915) 33-34; B. Nardi, Perché " Alfa ed O " e non " Alfa ed Omega ", in " L'Alighieri " V 2 (1964) 53-54.

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