CAMBRAY DIGNY, Luigi Guglielmo de

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CAMBRAY DIGNY, Luigi Guglielmo de

Raffaele Romanelli

Nato a Roye in Piccardia nel 1723 da famiglia di antica nobiltà del luogo, a sette anni seguì i genitori a Parigi, dove studiò presso i gesuiti, dedicandosi poi alle scienze fisico-matematiche. Intorno al 1745 giunse in Toscana al seguito della compagnia francese alla quale Francesco di Lorena aveva concesso l'appalto generale delle entrate e si stabilì a Firenze, dove nel 1746 sposò la figlia di un ufficiale di anticamera del granduca, Marie Catherine Denonville, dalla quale ebbe sei figli. Rimasto in Toscana anche dopo lo scioglimento della compagnia, e inseritosi rapidamente nell'ambiente italiano, tanto da collaborare alle Novelle letterarie e al Giornale dei letterati, continuò a servire nelle amministrazioni finanziarie ed acquistò fama per alcune invenzioni tecniche, tra le quali, oltre a un nuovo torchio per il conio delle grosse monete d'argento della Zecca fiorentina, va segnalata una macchina a vapore - la prima costruita in Italia - per il pompaggio delle acque nelle saline di Castiglione in Maremma.

Per alimentare le saline, che nel 1759 erano state costruite al di sopra del livello del mare, il C. studiò di adattarvi una pompa a vapore derivata da quelle a lui note di Saveri e di Papin.

Le macchine di Papin e di Saveri si basavano su un identico principio: il vapore, proveniente dalla caldaia, era introdotto nel cilindro; una successiva iniezione d'acqua fredda condensava il vapore determinando l'abbassamento della pressione interna del cilindro. Nella macchina di Papin l'abbassamento della pressione determinava l'aspirazione dell'acqua all'interno del cilindro, da cui veniva espulsa per effetto di una successiva introduzione di vapore. Nella macchina di Saveri, invece, all'interno del cilindro vi era uno stantuffo che azionava un meccanismo a bilanciere. Quando veniva introdotto vapore nel cilindro, il pistone si innalzava determinando l'abbassamento di un estremo del bilanciere e quindi la discesa dei pistoni di una o più pompe in parallelo; quando l'iniezione d'acqua fredda produceva la condensazione all'interno del cilindro motore, lo stantuffo discendeva determinando l'innalzamento dei pistoni delle pompe.

La macchina che il C. realizzò nel 1761 rappresentava un notevole perfezionamento di quella di Papin avendo il vantaggio, rispetto a questa, di non richiedere la manovra manuale delle valvole, né l'azione del vapore per lo svuotamento dell'acqua dei cilindri motore-pompa, e di fornire una portata molto maggiore (11.250 piedi cubi all'ora) con regime più costante.

La manovra delle valvole veniva infatti realizzata da una ruota a palette, del diametro di circa due metri, azionata dall'acqua uscente dai due cilindri motore-pompa della macchina, prima che l'acqua stessa fosse convogliata al serbatoio. In particolare, la ruota originava il moto alternativo di due leve destinate all'apertura ed alla chiusura dell'introduzione del vapore, la rotazione di due valvole cilindriche per l'introduzione dell'acqua fredda per la condensazione, e la rotazione di una piccola manovella, coassiale con la ruota, che azionava una piccola pompa di alimentazione dell'acqua dolce per la caldaia.

Per evitare la necessità di vuotare i cilindri motore-pompa mediante vapore sotto pressione, il C. praticò, sul fianco stesso dei cilindri, un'apertura con una valvola che si apriva quando il cilindro era riempito di acqua, determinando lo svuotamento dello stesso per gravità.

Il C. presentò l'opera al granduca in un volume ampiamente corredato di calcoli e tavole, pubblicato a Parma nel 1766presso Filippo Carmignani: Description d'une machine à feu construite pour les salines de Castiglione, avec des détails sur les machines de cette espèce les plus connues, et sur quelques autres machines hydrauliques. Le invenzioni del C. furono segnalate in Francia dal Journal des savants e nel 1767l'autore della machine à feu ricevette un plauso dell'Accademia di Parigi.

Concepita ed attuata come consapevole tributo al progresso tecnico-scientifico dell'epoca, la sua opera rimase tuttavia un esempio isolato nell'ambiente toscano del tempo e la sua utilità fu presto messa in discussione. Nel 1774L. Ximenes, al quale era stata commissionata una perizia, ne propose l'eliminazione sostenendo che i costi d'impianto e di manutenzione erano eccessivi e il sale ottenuto troppo sporco a causa dell'azione delle pompe che smuovevano terreno fangoso. Il C. difese la macchina confutando le tesi dello Ximenes in due contromemorie, ma non poté evitare che poco dopo essa fosse smantellata (una ricca documentazione sulla costruzione della macchina è oggi conservata presso la Bibl. Marucelliana di Firenze, Carte C. D.;nel vol. 7sono le perizie e memorie manoscritte scambiate tra il C. e lo Ximenes).

La competenza finanziaria e lo spirito innovatore favorirono nel frattempo l'ascesa del C. nell'amministrazione delle finanze proprio negli anni di maggior dinamismo riformatore. Dopo la nomina di Tavanti alle Finanze il C., come computista della Depositeria reale, studiò assieme a G. D. Baldigiani una nuova scrittura di bilancio, poi nel 1777 redasse un progetto di utilizzazione dei dati raccolti presso tutti gli uffici e aziende regie secondo il motu proprio dell'anno precedente, e infine nel '79, divenuto primo computista, presentò a Pietro Leopoldo uno stato attivo e passivo per gli anni 1776, '77 e '78. Ulteriori studi, affidati al Gianni, portarono a stesure più perfezionate dei bilanci; il C., che nel 1789 fu chiamato anche ad eseguire assieme al Gianni, allo Schmidweiller e al Bartolini la divisione dei beni della Corona da quelli delle finanze statali, vi dette sempre un importante contributo, esponendo in alcune memorie, o nelle "dimostrazioni" che accompagnavano le sue relazioni ai bilanci, le proprie vedute - non sempre concordanti con quelle del Gianni - perché i bilanci assumessero forma più completa e articolata. I dati numerici del famoso rendiconto leopoldino sul Governo della Toscana del 1790 sono opera sua, e anche i successivi bilanci annuali portano la sua firma fino a quello del 1796, l'ultimo che egli poté completare, poiché morì il 18 ott. 1798 a Firenze.

Dei quattro figli maschi del C., il penultimo, Luigi Antonio (Louis Antoine, 1751-marzo 1822), andò giovanissimo in Francia per entrare nella scuola reale militare di Strasburgo, fu con La Fayette in America, divenne colonnello del genio dell'esercito americano, diresse i lavori della difesa di Charleston nel 1780 e si occupò per il resto della vita delle terre di famiglia nei dintorni di Amiens, delle quali era rientrato in possesso; mentre l'ultimo, Cesare (1755-11 dic. 1840?), prese gli ordini e morì canonico della cattedrale di Pistoia.

I primi due figli avevano invece seguito il padre nell'amministrazione granducale. Il primogenito, Giuseppe Luigi (1746-1814), fu funzionario delle dogane a Livorno e a Pisa e raggiunse nel 1793 il suo massimo grado come ministro principale delle RR. Aziende del tabacco a Firenze.

Il secondogenito, Francesco Ignazio (17 ag. 1749-maggio 1817?), lavorò fin dal 1767 sotto la direzione del padre nell'amministrazione finanziaria. Entratovi come apprendista nello Scrittoio dei conti dell'appalto generale, percorse l'intera carriera fino ad esercitare le funzioni del padre alla di lui morte e fu ufficialmente confermato nell'incarico di direttore dei conti della Depositeria da Ludovico I re d'Etruria nel 1801. Nel frattempo però l'amministrazione finanziaria dello Stato, trascurata fin dalla partenza di Pietro Leopoldo, andò sempre più sfaldandosi sotto i successivi regimi, e Francesco, che del padre non aveva l'iniziativa riformatrice, ne seguì la parabola discendente.

Nel 1802, un anno dopo la sua nomina a direttore dei conti, fu nominato e "consigliere di finanze", dapprima a titolo onorifico e senza reale impiego, poi con una assegnazione, ma solo nel 1803 presentò i bilanci del 1797 e '98, privi delle "dimostrazioni"; l'anno successivo il grave disordine in cui la speciale deputazione incaricata del riordinamento delle finanze trovò i conti di Depositeria gli costò il posto.

In più di un'occasione F. M. Gianni si rivolse a lui dall'esilio con parole di stima, sperando di stabilire contatti a corte, dalla quale i Cambray Digny non erano stati allontanati; nel 1803 Francesco ottenne anzi per sé e i fratelli l'iscrizione al patriziato fiorentino. Ciò non lo aiutò tuttavia a superare le difficoltà finanziarie della famiglia; nel 1814 si rivolse a Ferdinando III per essere remtegrato nella carica di direttore della Depositeria od ottenere un impiego "egualmente decoroso", e ricevette una pensione.

Anch'egli, come già il padre, aveva fatto entrare i suoi due figli maschi nell'amministrazione finanziaria. Luigi (14 febbr. 1778-22 febbr. 1843) vi fu ammesso come apprendista nel 1794, a sedici anni, ma si dedicò poi agli studi ed alla carriera di architetto. Giuseppe (1784-Innsbruck 1813) fu assunto nel 1802 come secondo aiuto della Depositeria; passato poi nella carriera delle armi, divenne ufficiale napoleonico del 137º reggimento di fanteria.

Fonti e Bibl.: Mancando studi specifici, le notizie essenziali sono state attinte direttamente dai ricchi fondi di carte familiari esistenti a Firenze presso la Biblioteca nazionale e la Biblioteca Marucelliana. Ma si veda anche, per Luigi Guglielmo: Nouvelle biographie générale, VIII, Paris 1155, ad vocem; J. J. de La Lande, Voyage en Italie, Paris 1786, III, pp. 340-42; H. Bédarida, Toscana e Francia nel Settecento. Relazioni diplomatiche, relazioni culturali, in Il Sei-Settecento, Firenze 1956, p. 238; G. Morì, L'estrazione dei minerali nel granducato di Toscana durante il periodo di riforme (1737-1790), in Studi di storia dell'industria, Roma 1967, p. 123; L. Dal Pane, La finanza toscana dagli inizi del sec. XVIII alla caduta del granducato, Milano 1965, ad Indicem. Ungiudizio sull'opera di Luigi Guglielmo come computista sitrova in Pietro Leopoldo, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, I, Firenze 1969, p. 77. Cenni anche sull'opera di Francesco Ignazio si trovano in P. Rigobon, La contabilità di stato nella repubblica di Firenze e nel granducato di Toscana, Girgenti 1892, pp. 741-62; G. Drei, Il regno d'Etruria (1801-1807), Modena 1935, p. 141; F. Diaz, F. M. Gianni. Dalla burocrazia alla politica sotto Pietro Leopoldo di Toscana, Milano-Napoli 1966, ad Indicem. Di "Ricordi" mss. di Cesare dà notizia G. Turi, "Viva Maria". La reazione alle riforme leopoldine (1790-1799), Firenze 1969, p. 159.

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