Campi di concentramento

Dizionario di Storia (2010)

campi di concentramento


Luoghi di internamento e di restrizione della libertà personale per soldati nemici catturati e civili considerati pericolosi per l’ordine interno. La prima applicazione su vasta scala dell’internamento di civili si ebbe nel corso della guerra anglo-boera (1900-02), quando gli inglesi trasferirono in c. di c. le famiglie dei guerriglieri per piegarne la resistenza. Durante la Prima guerra mondiale vi fecero ricorso le nazioni belligeranti; tra le due guerre, i regimi totalitari li adottarono come strumento di sopraffazione politica e di sfruttamento della mano d’opera a sostegno dell’economia. I c. di c. nazisti (Konzentrationlager, o semplicemente Lager) sorsero in Germania dopo l’avvento al potere di A. Hitler (1933); il loro scopo, in origine, era quello di spezzare con il terrore le opposizioni al regime. Per evitare ogni solidarietà interna, i prigionieri erano distinti in categorie, segnalate da un triangolo di colore diverso applicato alla casacca: rosso per i politici, nero per gli «asociali» o renitenti al lavoro, viola per i testimoni di Geova, rosa per gli omosessuali, verde per i delinquenti comuni. Gli ebrei esibivano una stella di David, formata da due triangoli sovrapposti. Durante la Seconda guerra mondiale, il sistema dei c. di c. si diffuse in tutta Europa, seguendo l’avanzata delle armate naziste. Da luoghi di punizione per prigionieri politici, si trasformarono in luoghi di sterminio dei «nemici del popolo tedesco», in partic. ebrei e rom. Oltre ai campi di lavoro coatto per l’industria di guerra, sorsero dunque veri e propri campi di sterminio, tra cui quello di Treblinka e quello simbolo di Auschwitz-Birkenau, dove fu programmata e sistematicamente attuata l’eliminazione dei prigionieri nelle camere a gas. Il numero dei morti nei c. di c. nazisti viene calcolato intorno ai 10 milioni, di cui oltre la metà ebrei; circa 3 milioni sono invece i prigionieri di guerra sovietici. Per eliminare i cadaveri, gettati in gran parte dentro fosse comuni, furono costruiti appositi forni crematori. Anche l’Italia fascista realizzò i suoi c. di c., sia nella Libia colonizzata, sia soprattutto dopo l’aggressione alla Iugoslavia, nella Venezia Giulia e nei territori iugoslavi occupati o annessi (Arbe, Gonars ecc.). La Repubblica sociale italiana istituì poi un c. di c. a Fossoli (Modena) e organizzò rastrellamenti e deportazioni. Pure la Risiera di San Sabba (Trieste) fu utilizzata come c. di c. dai tedeschi. I c. di c. ebbero larga diffusione anche in Unione Sovietica, dove furono istituiti dal 1922 per i controrivoluzionari e i «criminali politici». Con l’avvento dello stalinismo, numerosi campi di lavoro coatto furono impiantati nel Nord del Paese, in partic. in Siberia. Il sistema dei gulag, che aveva anche obiettivi di carattere economico, vide una fase di notevole ampliamento a seguito delle epurazioni e degli arresti di massa del 1937-38. Dal 1929 al 1952 si calcola che abbia colpito circa 18 milioni di persone. La morte di Stalin (1953) e il processo di destalinizzazione consentirono la riduzione e il graduale smantellamento dei c. di c. e la liberazione di molti prigionieri. Il c. di c. è stato spesso usato come misura «preventiva» durante periodi di guerra (per es. da parte dei sovietici contro migliaia di polacchi nel 1939, ma anche da parte degli USA nel 1942 a danno di cittadini di origine giapponese), oltre che come mezzo per reprimere il dissenso: la Francia vi fece ricorso in Algeria, gli USA in Vietnam; un sistema di campi fu impiantato in Cina durante la Rivoluzione culturale e in Cambogia dai Khmer rossi. Alcuni regimi dell’America Latina di tipo para-fascista (Argentina, Cile ecc.) li hanno usati contro oppositori e dissidenti politici. Negli anni Novanta, i c. di c. sono ricomparsi in Europa durante le guerre nella ex Iugoslavia.

Figura

Si veda anche I campi di concentramento

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