CAMPIDOGLIO

Enciclopedia Italiana (1930)

CAMPIDOGLIO

Giuseppe LUGLI
Emilio LAVAGNINO

. Uno dei sette colli di Roma, suddiviso in due sommità, rappresentate oggi dalla chiesa dell'Aracoeli e dal Museo Mussolini. Sulla prima fu stabilita l'acropoli della città, detta arx Capitolina, sull'altra sorgeva il tempio di Giove Ottimo Massimo adorato in unione con Giunone e Minerva. La valletta intermedia, l'odierna piazza del Campidoglio, era chiamata asylum per la leggenda che Romolo avesse aperto questo luogo, prima recinto e riservato, alla plebe che ricercava più ampio spazio per abitazione. Essa si trova all'altezza di m. 36 s. m.: tutto il colle ha natura rocciosa, di composizione tufacea abbastanza consistente, tanto che sui fianchi sono aperte lunghe cave in galleria per l'estrazione di materiale da costruzione. Nell'età primitiva scendeva a picco su tre lati, verso il Foro, verso il Velabro e verso il Foro Boario, mentre dal lato verso il Campo Marzio il pendio era più dolce e facilmente accessibile; da questa parte infatti il Campidoglio era unito per mezzo di una breve sella col Quirinale, col quale fece sempre gruppo, considerandosi il primo come la vetta massima di un unico sistema. Traiano soltanto li separò, tagliando nettamente le pendici di ambedue per costruire il suo ampio foro. Sembra che nel periodo di formazione della primitiva città settimonziale, il Campidoglio, o per meglio dire la sommità settentrionale ove era l'arx, fosse abitata, insieme col Quirinale, da una colonia sabina, mentre sul Palatino erano i Latini, che occupavano forse anche l'altura meridionale detta allora mons Tarpeius.

Il nome di Capitolium si riferiva in origine piuttosto alla prima delle due colline, e soltanto verso la fine dell'età regia si estese anche alla seconda: esso si deve considerare quindi probabilmente di derivazione sabina. Nessuna consistenza ha l'etimologia che gli attribuisce Fabio Pittore (Varrone, De lingua lat., V, 42) secondo la quale il Campidoglio si sarebbe chiamato così perché, mentre si gettavano le fondazioni del tempio di Giove, sarebbe stata trovata nello scavo una testa umana (caput); sta di fatto che l'origine vera del nome non è conosciuta. È probabile che fin dal sec. VI a. C. il Campidoglio avesse una fortificazione propria: gli avanzi, però, che si vedono in Via dell'Arco di Settimio Severo e nella salita delle Tre Pile appartengono alla cinta del sec. IV; molta parte della fortificazione era fatta con la stessa roccia naturale del monte. La parte di questo che scendeva a picco sul lato meridionale aveva il nome di Rupe Tarpea, perché là, secondo un'antica tradizione, Tarpeo sarebbe stato precipitato insieme con la figlia, sotto l'accusa di aver voluto consegnare ai Sabini il Campidoglio assediato. Al colle si saliva in antico per quattro vie: una, carrozzabile, dalla parte del Foro, il clivus Capitolinus, che girava a zig-zag sulle pendici orientali, giungendo fino dinnanzi al tempio di Giove; sulle pendici meridionali era addossata una scala di centum gradus che raccorciava il percorso con la stessa meta. Un'altra scalinata detta gradus monetae, raggiungeva il tempio di Giunone dalla parte del Campo Marzio, mentre una terza, le scalae gemoniae, vi saliva dal Foro, da presso il Carcere. Una quarta scala, ricavata dal costruttore del tabularium entro il monumento stesso per mettere in comunicazione il Foro con l'asilo, fu ostruita durante l'impero dal tempio di Vespasiano.

La storia del Campidoglio nei tempi antichi è ricca di vicende. Nel 509 a. C. viene dedicato per opera dei primi consoli il tempio di Giove iniziato dai Tarquinî e decorato con sculture di terracotta eseguite a Veio; nel 460 fu occupato dal sabino Erdonio con un esercito di 400 uomini, e quindi ripreso a viva forza dai Romani guidati dal console Valerio Poblicola; nel 390 si registra la famosa invasione dei Galli, i quali, entrati a Roma vittoriosi dopo la battaglia dell'Allia, assediarono sul Campidoglio gli ultimi nuclei dell'esercito romano colà asserragliatisi (si ricordi il leggendario episodio delle oche), e riuscirono a conquistarlo solo per fame. La plebe vi si rifugiò spesso per tenere i suoi consigli durante le lotte contro il patriziato, e là fu ucciso il tribuno Tiberio Gracco nel 133. Il Campidoglio fu ancora teatro di aspre contese nelle guerre civili. Né ebbe pace con l'avvento dell'Impero, poiché nel 69, morto Nerone e succedutisi sul trono Galba e Ottone, i partigiani di Vespasiano vi si rinchiusero incalzati dalle truppe di Vitellio: il colle fu incendiato e i monumenti interamente distrutti, di modo che Vespasiano, assunto il potere, dové ricostruire il tempio di Giove, che fu di nuovo inaugurato nel 75 d. C. Non passarono 5 anni che, per cause sconosciute, il Campidoglio fu di nuovo distrutto da un incendio. Domiziano provvide ad una nuova ricostruzione.

Adriano e Marco Aurelio portarono nuovi abbellimenti al colle, ormai divenuto solo un luogo religioso, meta delle processioni sacre e delle pompe trionfali, che terminavano con un gran sacrificio dinanzi al tempio di Giove.

Come è noto il tempio era a 3 celle, la centrale più grande, destinata al culto di Giove, e le due laterali più piccole, per Giunone e Minerva. Era esastilo, periptero, di ordine corinzio, con ricco fastigio su ambedue i lati. Del grande monumento resta oggi solo una parte del podio, che è ancora quella originale della costruzione primitiva, e qualche frammento sparso della decorazione marmorea.

L'ultimo tempio, domizianeo, è effigiato in tre bassorilievi e su alcune monete di quell'imperatore. Il rilievo più importante è quello proveniente da un arco di M. Aurelio, già esistente forse nei pressi di S. Martina, e conservato ora sullo scalone del Palazzo dei Conservatori; rappresenta M. Aurelio che sacrifica dinnanzi al Tempio, il quale, per una semplificazione comune nell'arte romana, è rappresentato con 4 colonne solamente sul fronte anziché con 6; manca cioè l'indicazione delle colonne delle ali, ma in compenso sono bene distinte le tre celle con le porte e nell'interno del frontone è scolpita la triade capitolina: Giove, seduto, al centro, Minerva e Giunone, in piedi, ai lati; agli estremi si osservano le due quadrighe del Sole e della Luna e altre figure accessorie. Sul vertice del frontone troneggia la quadriga di Giove, mentre le bighe delle altre due divinità fanno da acroterî laterali, con le statue di Marte e Minerva.

Il secondo rilievo è al museo del Louvre, ma è meno accurato nei particolari e vi manca il frontone; il tempo è oggi scomparso e lo conosciamo soltanto attraverso alcuni disegnî del sec. XVI. Per la costruzione del tempio fu prima eseguito un grande spianamento della sommità del colle, rivestendo la platea con uno spesso strato di blocchi di tufo. La platea, rettangolare, aveva una superficie di circa 15.000 mq.; nella demolizione del palazzo Caffarelli e nella sistemazione dell'area circostante venne in luce quasi per intero: larghi tratti, fra cui 3 angoli, sono stati lasciati scoperti; essa era orientata da E. a O. come il tempio sovrapposto, e poiché vi poggia sopra proprio il podio del tempio primitivo, è da ritenersi che essa sia contemporanea alla fondazione originale dell'edificio.

Oltre il tempio di Giove esistevano sull'area capitolina altri santuarî minori: tre dedicati allo stesso Giove sotto gli attributi di Feretrio, Tonante e Custode; uno a Marte Ultore; uno a Venere Ericina e altri alle personificazioni della Fides, della Mens, e dell'Ops. Numerosi erano poi gli altari, le basi dedicatorie, le statue, tra cui un gruppo in bronzo raffigurante la lupa coi gemelli.

Le pendici verso il Velabro e il Campo Marzio erano occupate da case private, erette dopo la vendita delle aree demaniali nell'88 a. C.; di queste case sono venuti in luce, nei recenti lavori di liberazione del colle, numerosi avanzi i quali dimostrano una notevole successione di epoche e, nel corso dell'impero, un innalzamento di varî metri del piano circostante. Sul fianco settentrionale fu scoperta una stipe arcaica di una divinità sconosciuta, contenente focacce, vasetti, idoli e altri oggetti di terracotta.

Sull'ara, data l'esiguità dello spazio e l'aspetto più scosceso, sorgevano soltanto tre templi: quello di Giunone Moneta, votato nel 344 a. C. dal dittatore L. Furio Camillo durante la guerra contro gli Aurunci, che fu detto così, secondo la leggenda, per un consiglio (monitus) dato da Giunone ai Romani nel 272, mentre erano in armi contro Taranto; in realtà il nome va messo in relazione con la prima monetazione romana d'argento, battuta nel 269 nei sotterranei del tempio; fu ricostruito nel 115 a. C. in seguito ad un incendio, e non se ne ha più notizia durante l'impero. Ancora più incerte sono le notizie sui due tempietti della Concordia e di Veiovis, e sull'Auguraculum, una capanna situata dinanzi a un ampio orizzonte verso il Foro, il Paladino, l'Esquilino e il Celio, necessario perché gli auguri potessero esaminare il volo sacro degli uccelli.

Lo spazio intermedio fra le due sommità era in antico soltanto recinto e quasi privo di costruzioni: M. Emilio Lepido e Q. Lutazio Catulo nel 78 a. C. v'innalzarono quel maestoso edificio che ancora oggi si conserva in gran parte al di sotto del Palazzo senatorio, detto il tabularium perché vi si conservava l'archivio dello stato (tabulae), con le deliberazioni del Senato, i plebisciti, i trattati di pace, gli elenchi dei magistrati, ecc. Per completare la topografia del colle nell'antichità occorre ricordare una facciata di casa romana di età imperiale, venuta in luce nella demolizione della chiesa di S. Rita fra la scala dell'Aracoeli e il monumento a V. Emanuele, e che fu poi nel Medioevo adibita al culto con l'erezione di una chiesa e di un campaniletto di stile romanico.

La decadenza di Roma segnò anche quella del Campidoglio. Dopo che Costantino ebbe abbandonato nel 330 la città, il colle conservò per altri due secoli quasi intatto lo splendore dei suoi monumenti. Ma già la distruzione del tempio di Giove era cominciata, allorché Ausonio cantava ... aurea capitoli culmina, ché Stilicone, alla fine del sec. IV, aveva trasportato a Costantinopoli le porte di bronzo dorato, meraviglia e vanto del tempio elevato sul colle al padre degli dei. Avanzando gli anni, le spoliazioni, le demolizioni, i crolli si moltiplicarono incessantemente, e il solo Tabularium, protetto dalla sua enorme massa, rimase a testimonianza dell'antica grandezza. Ma per tutto il Medioevo, benché fosse decaduto lo splendore degli antichi edifici, il Campidoglio rimase il centro, quasi il simbolo della vita politica di Roma: e il senato della città ebbe sul Campidoglio, anche nei secoli di più misero squallore, la sua sede, glorificata dalla memoria dell'antica grandezza.

Nel Campidoglio medievale, così come nell'odierna sistemazione, dobbiamo distinguere tre zone: la chiesa dell'Aracoeli, il Palazzo senatorio e le fortificazioni della famiglia dei Corsi, tra i ruderi del tempio di Giove, dove poi sorse il palazzo Caffarelli. Già nel sec. VI un rozzo cronista bizantino accenna alla leggenda, più tardi diffusamente narrata nei Mirabilia Urbis Romae, secondo la quale Augusto avrebbe avuto sul Campidoglio la visione della Vergine con il piccolo Gesù tra le braccia, discesa, in un raggio di luce abbagliante, su di un'ara mentre una voce misteriosa prorompendo dall'alto avrebbe ammonito: Haec est ara filii Dei. Augusto, prostratosi, avrebbe decretato un altare sul Campidoglio dedicato al Figlio primogenito di Dio. Attorno a quest'altare venne poi costruita una piccola chiesa (di cui è ricordo in varî testi), forse orientata in senso perfettamente perpendicolare a quella attuale; questa nella pianta, nel prospetto e in qualche tratto della decorazione risale al sec. XIII. La scalea d'accesso è del 1348, e fu costruita, in onore della Vergine che aveva salvato Roma dalla peste, con marmi creduti del tempio di Quirino. Varie sono le opinioni circa l'origine del titolo di Aracoeli dato alla chiesa: fino al sec. XIV essa era detta S. Maria de Capitolio, dal sec. XIV cominciano ad apparire le designazioni Aurocielo, Laurocielo, Aracielo e Aracoeli, la cui etimologia é ancora controversa. Il chiostro e parte del convento furono distrutti al principio del nostro secolo, per l'erezione del monumento a Vittorio Emanuele II.

Si è già accennato che durante tutto il Medioevo le riunioni del Senato romano e dei caporioni della citta ebbero luogo ancora sul Campidoglio, qualche volta nella chiesa, qualche volta nel Palazzo senatorio sorto sui ruderi del Tabularium. Fu qui che nel 1155 si tenne consiglio in occasione della venuta a Roma del Barbarossa, e nel 1191 si discusse l'annessione di Tivoli al territorio romano. Varie e continue sono state le trasformazioni subite dal palazzo; un'alta torre lo dominava e da essa si spandeva per l'urbe il suono della campana tolta ai Viterbesi, che si disse patarina appunto perché a Viterbo era l'asilo degli eretici patarini; al suono di quella campana i Romani venivano convocati sul colle. Nel 1290 il Palazzo senatorio venne completato con un portico, sotto il quale i cittadini si riunivano a discutere i loro interessi. Il palazzo del'300 aveva torri, mura merlate e ponte levatoio, era insomma una fortezza vera e propria. Enrico VII nel 1320 fece distruggere questi apparati di difesa, ma Cola di Rienzo, stabilito il suo governo in Campidoglio (20 maggio 1347), vi fece nuove fortificazioni; altre ne fece Bonifacio IX (1389-1404); ma nell'atto di riconciliazione tra Innocenzo VII e i Romani (27 ottobre 1407) è detto che il Campidoglio dev'essere ridotto ad formam palatii et loci comunis iudicii, non più dunque fortezza. Altri restauri vi fecero Martino V, Eugenio IV e Nicola V, che ricostruì il torrione più prossimo all'arco di Settimio Severo, e restaurò le altre due torri del prospetto ch'erano dette di Bonifacio IX; decorazioni e restauri vennero eseguiti nel palazzo al tempo di Pio II e di Paolo II; Sisto IV rifece la porta d'accesso al Tabularium e iniziò le raccolte dei musei capitolini. Nel Tabularium dal tempo di Cola di Rienzo al tempo di Urbano VIII, e precisamente al 1623 si tenne il deposito del sale; e la corrosione da esso provocata costrinse varie volte a lavori di restauro. Ma fu nel'500 che il Campidoglio perdette il suo aspetto di fortilizio medievale; vecchi disegni, incisioni e dipinti ce lo mostrano quale doveva apparire al principio di quel secolo, quando tra la chiesa dell'Aracoeli e le basse fortificazioni del Piano di Monte Caprino, nell'avvallamento, sorgeva il Palazzo senatorio, fiancheggiato da quattro ineguali torri merlate, preceduto da un porticato e da una scalinata e dominato dall'alto campanile. Questo palazzo nel nuovo rifiorire della coscienza classica e nel desiderio di rivivere, imitandole, le grandezze del passato, sembrò ai Romani troppo misera cosa; la loro casa comune non degna del suo nome illustre. Dopo l'annuncio dell'arrivo a Roma di Carlo V (1536), che diede lo spunto a tante demolizioni e restauri e costruzioni nuove, fu affidato a Michelangelo l'incarico di sistemare il Campidoglio. Michelangelo studiò un progetto per il quale, rispettando e avvalendosi dell'ossatura delle vecchie costruzionì, ma facendo sparire quell'accostamento di torri, logge, ridotti, scale, finestre ineguali e pinnacoli, che erano il risultato confuso e pittoresco di secoli e secoli di trasformazioni, dava al Campidoglio, arricchito d'una nobile scalea d'accesso, e dominato nel cent10 della piazza dalla statua di Marco Aurelio, il volto sereno e solenne della nuova età. Il progetto di Michelangelo fu subito accolto, ma in più di venticinque anni, dal 1536 al 1563, non si fece che sistemare la piazza, trasportandovi dal Laterano la statua di Marco Aurelio (1538) e costruire la rampa d'accesso, eseguita da Giacomo della Porta. Paolo III (1534-1550) fece edificare dal Vignola il portico che dava accesso al fianco della chiesa e del convento dell'Aracoeli; Giulio III (1550-1555) dispose l'edificazione dell'alto portico che immette al Piano di Monte Caprino (divenuto proprietà dei Caffarelli nel 1538 per donazione di Carlo V, che intese emì compensare il suo paggio Ascanio Caffarelli per l'ospitalità avuta dalla famiglia nel palazzo della Valle). Nel 1560 si mise mano all'esecuzione del piano michelangiolesco per quanto riguarda il Palazzo senatorio e quello dei Conservatori; Giacomo della Porta e Martino Longhi s'interessavano dei lavori; ad essi nel 1577 si aggiunse Annibale Lippi. Negli anni seguenti si pensò al campanile o torre centrale, che Michelangelo aveva concepita non molto elevata; nel 1578 quella, a tre piani, progettata da Martino Longhi, parve migliore. Nel 1582 era finita la scalea a doppia rampa d'accesso al Palazzo senatorio, nel 1588 era fatta anche la vasca della fontana, ch'è nel mezzo, decorata da una piccola statua di Minerva proveniente dal tempio di Cori, e dalle due grandi statue del Tevere (originariamente il Tigri) e del Nilo, opere del sec. I dell'impero, qui trasportate dal Quirinale. Ma già dal 1583 erano stati collocati alla sommità della rampa d'accesso alla piazza le statue dei Dioscuri; trovate in Ghetto al tempo di Pio IV, che all'inizio della stessa rampa aveva collocato due leoni o sfingi di basalto, trovati presso la Minerva (più tardi sostituitì con copie). La trasformazione del palazzo senatorio fu completata sotto Clemente VIII (1592-1603) per opera di Girolamo Rainaldi, coi piani di Giacomo Della Porta. Furono contemporaneamente portati a fine i palazzi laterali detti, quello di destra dei Conservatori, l'altro dei Musei, anche con la collaborazione di Giacomo Del Duca, che per ragioni di carattere pratico dovette ingrandire le finestre mediane dei due edifici. Nel 1653 furono collocate sulla balaustrata della piazza le due statue di Costantino; al tempo di Innocenzo X fu tracciata la via delle Tre Pile per l'accesso alla piazza.

Nel Palazzo senatorio hanno oggi sede gli uffici del Governatorato di Roma; altri uffici sono nel palazzo Caffarelli, dove per qualche tempo fino all'ultima guerra ebbe sede l'ambasciata dell'Impero germanico e che poi fu in parte demolito. Nel palazzo dei musei, in quello dei Conservatori, in parte del palazzo Caffarelli e in altri edifici annessi hanno sede i Musei Capitolini, la cui origine risale alle raccolte d'arte riunite sul Campidoglio da Sisto IV.

Bibl.: R. Casimiro, Chiesa e convento dell'Aracoeli, Roma 1736; L. Borsari, Topografia di Roma antica, Milano 1897; Jordan e Ch. Hülsen, Topographie der Stadt Rom im Altertum, Berlino 1907; R. Lanciani, Ruins and excavations, Londra 1897; id., Storia degli scavi di Roma, II, Roma 1902; E. Rodocanachi, Le Capitole Romain, antique et moderne, Parigi 1912; C. Cecchelli, Il Campidoglio, Roma-Milano 1925; Platner e Th. Ashby, A topogr. dict. of ancient Rome, Oxford 1929; A. Colasanti, S. Maria in Aracoeli, Roma s. a.

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