SUEZ, Canale di

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

SUEZ, Canale di (XXXII, p. 958; App. II, 11, p. 929)

Ettore ANCHIERI
Mario TORSIELLO
Carlo DELLA VALLE

Il traffico nel canale, dopo la flessione del periodo della seconda guerra mondiale, è risalito a 32,7 milioni di t di stazza nel 1946 e ha continuato ad aumentare, e molto rapidamente. Nel 1948 si era arrivati a 55 milioni di t, nel 1950 a 81,7, nel 1953 a 92,9 e nel 1955 si erano raggiunti 115,8 milioni di t, quando il sopraggiungere (ottobre 1956) del conflitto fra egiziani e franco-anglo-israeliani (v. oltre), con la conseguente inutilizzazione del canale fino all'aprile 1958, provocò una retrocessione nei valori degli anni 1956 e 1957, che segnarono rispettivamente 107 e 89,9 milioni di t di stazza in transito. Nel 1959 il tonnellaggio è di nuovo risalito a 163,4 milioni di t e il peso delle merci a 148,2 milioni di tonnellate. Nel 1955 era stato messo a punto un piano di ammodernamento generale, da attuarsi in cinque o sei anni, a integrazione dei lavori fatti fino ad allora e per i quali la profondità del canale è di 11-12 m (massimo pescaggio ammesso in transito, m 10,35), la larghezza in superficie arriva anche a 125 m e quella sul fondo va da 45 a 100 metri. Toccherà adesso all'Egitto attuare quanto indispensabile per consentire un transito più veloce e il passaggio a natanti che abbiano fino a 70.000 t di stazza. Si tenga presente che nel gennaio 1958 hanno percorso il canale, in media, 51 navi al giorno. Il movimento delle merci si svolge prevalentemente in direzione sud-nord. Nel 1955, per es., transitarono merci per oltre 107 milioni di t, delle quali più di 4/5, cioè 87,5 milioni, verso il Mediterraneo; e di questo tonnellaggio ben 67 milioni furono di prodotti petroliferi. Sia per numero delle navi sia per tonnellaggio la bandiera britannica è sempre al primo posto; la seguono, più o meno nell'ordine, con qualche spostamento da anno ad anno, quelle norvegese, liberiana, francese e italiana. Nel 1958, per es., la bandiera italiana ebbe il 5° posto (con 1621 navi e 12.801.000 t), dopo quelle della Gran Bretagna (3993 e 33.010.000), della Norvegia (2946 e 24.479.000), della Liberia (1685 e 23.369.000) e della Francia (1458 e 15.335.000).

La questione di Suez (1947-1959). - Nel secondo dopoguerra la questione di S. si pose in relazione alle richieste egiziane di sgombero delle forze militari britanniche dall'Egitto e dalla Zona del Canale, nonché di una maggiore partecipazione all'amministrazione ed agli utili della Compagnia universale di Suez.

Una soluzione di compromesso venne, in un primo tempo, raggiunta dal governo del Cairo con la Compagnia. In base alla legge del 1947 sulla regolarizzazione delle società operanti in Egitto, furono intavolate, nel dicembre 1948, trattative che portarono alla firma dell'accordo del 7 marzo 1949, in virtù del quale la Compagnia, dopo essersi dichiarata sottoposta alle leggi del paese, attribuiva all'Egitto il 7% dei suoi benefici lordi, si obbligava a immettere nel Consiglio d'amministrazione 5 nuovi rappresentanti egiziani, oltre ai 2 già esistenti, ed a "egizianizzare" il 90% dell'apparato amministrativo. L'accordo doveva ritenersi valido sino al 19 novembre 1968, cioè sino allo spirare della concessione per il Canale, che il Governo del Cairo non era più disposto a rinnovare.

Il problema dell'evacuazione militare, invece, si trascinò a lungo a causa della resistenza britannica ad abbandonare delle posizioni strategiche di primaria importanza. Infine, dopo molti anni di negoziati spesso interrotti, venne siglato il 27 luglio 1954 un accordo preliminare, cui seguì il 19 ottobre la firma del trattato anglo-egiziano. Questo strumento, oltre a prevedere l'evacuazione delle forze militari entro 20 mesi (fu portata effettivamente a termine nel giugno 1956), dava alla Gran Bretagna il diritto di mantenere impianti aerei ad opera di una società commerciale e, in caso di aggressione ad uno stato aderente alla Lega Araba o alla Turchia, di creare basi d'appoggio e di difesa nella Zona del Canale. Con questo trattato, alla conclusione del quale non furono estranei i buoni uffici del governo statunitense, e con l'accordo con la Compagnia, si poteva ritenere che l'Egitto avesse risolto a suo vantaggio la questione del Canale. Questa si riaprì invece improvvisamente nell'estate del 1956 con la nazionalizzazione della Compagnia del Canale e il conseguente conflitto fra egiziani e anglo-franco-israeliani che portò il mondo sull'orlo di una nuova guerra mondiale.

I precedenti della crisi sono da ricercarsi nel piano egiziano di costruzione della diga di Aswān e nelle richieste di armi alle potenze occidentali, legate dall'accordo tripartito del 25 maggio 1950 inteso a mantenere l'equilibrio nelle forniture di materiale bellico ai paesi arabi ed a Israele e a stabilizzare la situazione armistiziale. Poiché le tre maggiori potenze occidentali, per non turbare l'equilibrio stabilito, negarono le armi all'Egitto, questo si rivolse al blocco orientale, che accedette alle richieste. A causa della questione delle armi e delle precarie condizioni economiche dell'Egitto, gli S. U. A. e, dopo di essi, la Gran Bretagna e la Banca Internazionale, rifiutarono il 19 luglio 1956 i prestiti per il finanziamento della diga.

La reazione egiziana fu immediata. Il 23 luglio venne firmato dal presidente egiziano ‛Abdān-Nāsir ed entrò immediatamente in vigore un decreto che nazionalizzava la Compagnia Universale del Canale Marittimo di Suez, i cui beni passavano ad un ente autonomo egiziano. Il decreto disponeva l'indennizzo degli azionisti in base al corso di chiusura alla Borsa di Parigi, nel giorno precedente la nazionalizzazione. ‛Abdān-Nāsir dichiarò che i proventi del Canale sarebbero serviti alla costruzione della diga di Aswān.

I governi di Londra, Parigi e Washington, dopo una prima protesta separata, si consultarono collettivamente ed emisero il 2 agosto, a Londra, un comunicato comune, nel quale, mentre non si contestavano all'Egitto i diritti sovrani sul suo territorio, gli si negava la facoltà di nazionalizzare una compagnia che, per il suo carattere e le sue funzioni, doveva venir considerata internazionale. Il comunicato si richiamava anche alla necessità di prendere le debite misure per assicurare il rispetto della convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre 1888 ed il funzionamento del Canale sotto regime internazionale. A questo scopo si proponeva una conferenza degli utenti del Canale.

Tale conferenza si tenne a Londra, dal 16 al 23 agosto 1956; vi presero parte 22 dei 24 paesi invitati (assenti l'Egitto e la Grecia). Una maggioranza di 18 paesi approvò una risoluzione che riconosceva i diritti sovrani dell'Egitto e proponeva, in considerazione del carattere internazionale del Canale, l'istituzione di un regime definitivo da negoziarsi col governo del Cairo. Una commissione, formata dai rappresentanti di 5 paesi e presieduta dal premier australiano R. G. Menzies, fu incaricata di sottoporre le proposte della Conferenza all'Egitto. Le trattative svoltesi al Cairo dal 3 al 9 settembre si conclusero con un nulla di fatto.

La tesi dei 18 si basava sull'asserzione che la Compagnia era uno degli elementi essenziali del sistema di libertà e di sicurezza stabilito dalla convenzione di Costantinopoli del 1888, ritenuto indispensabile al mantenimento del regime internazionale del Canale, mentre il decreto di nazionalizzazione violava la convenzione in quanto nazionalizzava un ente che, pur dipendendo, per certi aspetti, dalle leggi egiziane, per altri era sottoposto alle leggi francesi e ad atti internazionali che non potevano venire ignorati. Inoltre la nazionalizzazione era stata decisa come rappresaglia per il mancato finanziamento della diga di Aswān. I 18 ritenevano, realisticamente, che, essendo la nazionalizzazione già intervenuta, non potesse più discutersi, e perciò proponevano un regime che assicurasse il libero uso del Canale, impedendo ogni interferenza politica. In questo spirito, si doveva creare un organismo internazionale, dei cui utili avrebbe usufruito esclusivamente l'Egitto, in veste di locatario. Tale organismo sarebbe stato collegato alle N. U., e i carichi finanziarî non sarebbero ricaduti sul paese proprietario del Canale.

La tesi dell'Egitto, invece, si fondava sugli atti di concessione del 1854 e del 1866, in cui si riconosceva esplicitamente il diritto di proprietà dell'Egitto sul Canale e l'assoggettamento della Compagnia alle leggi e agli usi egiziani. La convenzione di Costantinopoli, secondo l'Egitto, non limitava la sovranità egiziana, ma concerneva solo il libero uso della via marittima ed il suo carattere internazionale. Perciò, il regime proposto dai 18 era un attentato alla sovranità di un paese libero ed un tentativo di perpetuare per altra via l'amministrazione straniera sul Canale. Nella tesi egiziana si poneva l'accento sul fatto che la nazionalizzazione della Compagnia era una questione interna e non aveva nulla in comune con le clausole della convenzione del 1888 sul libero transito attraverso il Canale. L'Egitto garantiva che l'Ente autonomo egiziano sarebbe stato in grado di assolvere il suo compito di direzione del traffico e di apportare al Canale le migliorie necessarie, mentre d'altra parte assicurava che si sarebbe fedelmente attenuto alle disposizioni del 1888.

Dopo il fallimento della missione Menzies, si tenne dal 19 al 21 settembre, a Londra, una seconda conferenza dei 18 nel corso della quale venne discusso ed approvato il piano americano per la costituzione di un'associazione degli utenti del Canale. L'Associazione, a cui aderirono 15 paesi, aveva lo scopo di ricercare una soluzione provvisoria o definitiva del problema, di organizzare i convogli alle due estremità del Canale, di riscuotere i pedaggi e di studiare ogni possibile soluzione per diminuire la dipendenza degli utenti dai rifornimenti attraverso il Canale.

Su richiesta anglo-francese ed egiziana si riunì il 26 settembre il Consiglio di Sicurezza delle N. U., il quale, dopo varî tentativi di mediazione, votò all'unanimità (9 settembre) una risoluzione, contenente i principî della piena libertà di transito, del rispetto della sovranità egiziana, della sottrazione del funzionamento del Canale a qualsiasi influenza politica, del pagamento dei pedaggi da effettuarsi secondo un accordo tra l'Egitto e gli utenti, dell'accantonamento di parte degli utili per le migliorie, della istituzione di collegi arbitrali per le eventuali controversie. La parte della risoluzione proposta dagli anglo-francesi in base ai principî dei 18 paesi non passò a causa del veto sovietico.

Mentre il 1° ottobre cominciava a funzionare in modo precario la Suez Canal Users Association (SCUA), minata sin dall'inizio dall'atteggiamento americano e di altri paesi che preferivano non imporre ai proprî armatori l'obbligo di rifiutare il pagamento dei pedaggi all'Ente autonomo egiziano, la navigazione attraverso il Canale proseguiva normalmente senza discriminazione di sorta. Al posto dei piloti che col 15 settembre avevano abbandonati i proprî posti di lavoro, vennero ingaggiati nuovi piloti russi, polacchi, greci, americani, italiani.

A questo punto venne ad inserirsi nella controversia il problema del passaggio delle navi israeliane attraverso il Canale. La Gran Bretagna e la Francia non ritenevano sufficienti le garanzie formali offerte dal Cairo sul libero transito, poiché sin dal 1948 le autorità egiziane non permettevano il transito di navi israeliane, tanto che del problema s'era dovuto occupare il Consiglio di Sicurezza. Quest'organo, il 1° settembre 1951, aveva invitato l'Egitto ad attenersi alla convenzione del 1888 e a recedere dalla sua politica discriminatoria.

A causa dell'atteggiamento negativo egiziano nei confronti delle proposte dei 18 paesi, forze militari anglo-francesi erano state concentrate a Cipro, pronte ad entrare in azione nel caso che gli interessi della Gran Bretagna e della Francia fossero stati minacciati.

Il 14 agosto il piano (operazione Telescope) era stato approvato: rapida occupazione di Porto Said, Ismailia e Suez per tempi successivi (distruzione degli aeroporti, lancio di paracadutisti, sbarco del grosso delle forze). L'intervento, previsto per il 15 settembre, era stato successivamente dilazionato, in attesa di una situazione favorevole, al 30 ottobre, a causa delle discussioni politiche che si svolgevano e per la necessità di approntare la base aerea di Akroteri a Cipro. Comandante in capo il gen. inglese sir Charles Keightley, comandante delle forze operanti il gen. inglese sir H. Stockwell; vicecomandanti francesi. Forze terrestri tratte da Inghilterra, Germania, Algeria, Libia e Cipro: inglesi: 3ª divisione fanteria, 10ª divisione corazzata (non impiegata), 16ª brigata paracadutisti, 1 battaglione di marines (25 mila uomini); francesi: 10ª divisione da aviosbarco, 7ª divisione meccanizzata rapida, 3 commandos (25 mila uomini, 9500 automezzi). Forze navali, oltre le ausiliarie: 47 unità inglesi, comprese 3 portaerei; 45 francesi di cui 2 portaerei. Aerei: inglesi 300, francesi 150. Di contro, l'Egitto disponeva (zone Alessandria-Piramidi e Sinai): 5 divisioni, di cui 1 corazzata, con 550 carri e molti semoventi (110 mila uomini, oltre 30 mila della guardia nazionale); stimati a 250 gli aerei; poco naviglio leggero.

L'occasione propizia venne offerta dal fatto che l'esercito israeliano prendendo a pretesto gli attacchi di guerriglieri egiziani alla linea armistiziale, attaccò l'Egitto nella penisola del Sinai. L'azione, ad obiettivi limitali, si iniziò il 29 ottobre 1956: le forze d'israele (gen. Moshe Dayan), partenti dalla regione del Negeb (9 brigate di cui 2 corazzate, 1 motorizzata e 1 paracadustisti), furono fronteggiate da 3 divisioni e 2 brigate corazzate egiziane. Il piano ebbe esecuzione rapida e integrale: attacco a fondo al centro della penisola del Sinai, quindi conversione a nord sull'aeroporto di Bir Gifkafa, tra Port Said e Gaza; concorso di una colonna costiera su Acaba, di paracadutisti sui passi di Mitla, di aviazione e naviglio sottile. Le operazioni si arrestarono il 6 novembre per l'intervento delle N. U., quando le forze egiziane erano già state battute a Rafah e Gaza, che si era arresa. Perdite: Egiziani: 3000 morti, 5800 prigionieri, molto materiale; Israeliani: 865, di cui 174 morti. Intanto, il 30 ottobre, ad operazioni appena iniziate, Inghilterra e Francia avevano inviato ad Egitto e Israele un ultimatum, imponendo la cessazione entro 18 ore delle ostilità e il ritiro delle truppe a 10 miglia dalle posizioni raggiunte, e chiedendo l'occupazione, da parte di una forza di polizia anglo-francese, di Port Said, Ismailia e Suez; Israele non aveva risposto, e l'Egitto aveva ostruito il canale con 21 navi. Il 31 ottobre, ignorando Israele, si erano iniziati i bombardamenti anglo-francesi contro gli aeroporti egiziani: cento apparecchi erano stati distrutti e i rimanenti erano fuggiti in Siria e nell'Arabia Saudita. Il 5 novembre erano seguiti lanci di paracadutisti: 487 francesi sul ponte a sud di Port Said e dell'acquedotto; 500 inglesi sull'aeroporto di Gamil e 504 francesi su Port Fuad, che avevano bloccato Port Said, scarsamente difesa, arresasi alle ore 16,30. Gli Egiziani erano stati completamente sorpresi. Il mattino del 6 si era iniziato lo sbarco del grosso delle forze (con qualche reazione di semoventi egiziani), facilitato dall'assalto verticale che era stato molto efficace. La situazione era stata nel frattempo affrontata dalle N. U.

L'Assemblea generale straordinaria delle N. U. ordinò nelle sue risoluzioni del 1°, 2, 4, 5 e 7 novembre la cessazione del fuoco, il ritiro degli attaccanti e la creazione della "United Nations Emergency Force", la quale doveva sostituire gli anglo-francesi nella Zona del Canale e schierarsi sulla linea armistiziale egizio-israeliana del 1949. Gli anglo-francesi terminarono l'evacuazione delle posizioni occupate il 22 dicembre 1956. Il breve conflitto aveva fatto correre al mondo gravi pericoli. Infatti, l'URSS aveva offerto all'Egitto (5 novembre) il suo appoggio militare, con volontarî, e minacciato ai governi francese e britannico l'uso delle armi nucleari, qualora non avessero desistito dall'aggressione. Le perdite franco-inglesi erano state di 35 morti, 37 feriti, 1 aereo; quelle egiziane, di circa 1400 morti e prigionieri, compresi i civili.

I combattimenti avevano reso inservibile il Canale, che venne riaperto, a cura delle Nazioni Unite, il 10 aprile 1957. Il governo egiziano inviò agli utenti ed alle N. U. i memoranda del 18 e 29 marzo e del 24 aprile 1957. Con essi precisava che nella questione del Canale si sarebbe attenuto alla convenzione del 1888 ed alla Carta delle N. U. e comunicava, inoltre: che i pedaggi dovevano venir pagati all'Ente autonomo, che il 25% delle entrate sarebbe stato adibito alle spese per le migliorie, che nel Canale sarebbe entrato in vigore uno speciale codice e che le controversie per gli indennizzi agli azionisti sarebbero state sottoposte a collegi arbitrali.

Il 9 maggio 1957 la SCUA si dichiarò insoddisfatta dei memoranda egiziani, ma ridiede nello stesso tempo libertà d'azione ai proprî aderenti, cosicché il 13 maggio il governo britannico autorizzò le navi inglesi a passare attraverso il Canale. L'atto finale della nazionalizzazione si ebbe il 29 aprile 1958, quando, a Roma, venne firmato tra il governo egiziano e l'ex-Compagnia un accordo sugli indennizzi.

Durante il 1959 ed i primi mesi del 1960 Israele reiterò le sue proteste contro l'Egitto, che non permette il passaggio di navi e merci israeliane. La questione del Canale, perciò, rimane tuttora nei termini in cui si pose all'atto della nazionalizzazione.

La Banca Internazionale ha concesso il 22 dicembre 1959 un prestito di 56,6 milioni di dollari all'Egitto per i lavori di allargamento ed approfondimento del Canale.

Bibl.: Compagnie universelle du Canal maritime de Suez, The Suez Canal. Nots and statistics, Londra 1952; M. Pinna, Il traffico del Canale di Suez nel dopoguerra fino al 1953, in Bollettino della Società geografica italiana, 1955, pp. 99-101; C. D. V., Il traffico nel Canale di Suez durante il 1955, ibidem, 1956, pp. 42-43; L'aspect juridique de la question de Suez, Modena 1956; M. e S. Bromberger, Les secrets de l'expédition d'Egypte, Parigi 1957; Centro ricerche del Medio Oriente, British and French action in Egypt, Cairo 1957; P. Johnson, Suez war, Londra 1957 (trad. it., Milano 1958); L. B. Pearson, The crisis in the Middle East, Ottawa 1957; B. Avram, The evolution of the Suez Canals tatus from 1869 up to 1956, Parigi 1958; S. L. A. Marshall, Sinai victory, New York 1958; A. B. Mountjoy, The Suez Canal at mid-century, in Economic Geography, 1958, pp. 155-167; P. Pallotta, L'operazione combinata anglo-francese in Egitto e la campagna israeliana del Sinai, Civitavecchia 1958; A. Eden, Full circle (memorie), Londra 1960 (tard. it., Milano 1960).

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