Capacità

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Diritto

C. giuridica e c. di agire

C. giuridica

È l’idoneità di una persona a essere titolare di diritti e di obblighi. È un concetto di carattere statico e di scarsa utilità, che però ha un notevole valore etico-politico, in quanto nessun essere umano può essere privato della c. giuridica generale (art. 22, Cost.). In alcuni casi, tassativamente previsti dalla legge, sono ammesse limitazioni alla c. giuridica. Si ritiene, per es., che non abbiano la c. giuridica di contrarre matrimonio i minori di età (salvo quanto è disposto dal co. 2 dell’art. 84 c.c.); parimenti non è giuridicamente capace a ricoprire l’ufficio tutelare il fallito (che non è stato cancellato dal registro dei falliti; art. 350, 5, c.c.). Nel diritto pubblico varie sono le ipotesi di incapacità giuridica; la più rilevante concerne l’esclusione dei diritti elettorali per gli stranieri. La c. non va confusa con la legittimazione negoziale; infatti la mancanza di c. determina la nullità dell’atto mentre la mancanza di legittimazione la sua inefficacia o al massimo l’inutilità dell’atto.

La c. giuridica si acquista al momento della nascita (art. 1 c.c.); la legge prende in considerazione anche il concepito, ammettendo che possa ricevere per donazione o successione a causa di morte, ma l’acquisto di tali diritti è subordinato all’evento della nascita (art. 1, 2° co., art. 320, 1° co., art. 462 e 784, c.c.). Durante il periodo della gestazione il concepito è titolare di un’aspettativa (➔) tutelata nei modi previsti dagli art. 643 e 784 c.c. Anche al nascituro non concepito possono essere lasciati beni, purché figlio di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore (art. 462, 3° co., c.c.).

C. di agire

È l’idoneità del soggetto a porre in essere da solo atti e negozi giuridici concernenti la propria sfera giuridica. In base alla l. 39/1975, presuppone di regola il compimento del diciottesimo anno di età, salvo leggi speciali, che stabiliscono un’età inferiore in materia di c. a prestare il proprio lavoro, nel quale caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro.

Varie cause possono influire sulla c. di agire; anzitutto l’infermità mentale, che può portare a due provvedimenti diversi a seconda della sua gravità: l’interdizione, che presuppone una condizione di abituale infermità, tale da rendere il soggetto incapace di provvedere ai propri interessi; e l’inabilitazione, che presuppone un’infermità meno grave, ma sempre tale da esporre il soggetto o la sua famiglia a pesanti pregiudizi economici. In conseguenza della prima, la c. di agire si perde totalmente e il soggetto viene sottoposto a tutela; per effetto della seconda, essa subisce una limitazione in quanto l’inabilitato può compiere direttamente i soli atti di ordinaria amministrazione, dovendo essere assistito nel commento degli altri da un curatore. Sulla c. di agire può incidere la nomina di un amministratore di sostegno (➔ amministrazione). Altre cause modificatrici della c. di agire sono la condanna penale all’ergastolo o alla reclusione non inferiore a 5 anni che importa automaticamente l’interdizione (legale) del condannato, limitatamente, però, agli atti di contenuto patrimoniale.

Indipendentemente dal compimento del diciottesimo anno e a prescindere dalle ipotesi in cui la legge stabilisce un’età inferiore, uno stato di semicapacità può ottenersi, con l’emancipazione, attraverso il matrimonio per cui il minore emancipato viene a trovarsi nella stessa condizione del maggiore inabilitato, con la possibilità di ottenere una quasi piena c. di agire attraverso l’autorizzazione all’esercizio di un’impresa commerciale (art. 390-397 c.c.; ma si veda anche l’art. 774). La mancanza di c. di agire si riflette sulla rilevanza dell’eventuale negozio giuridico compiuto dall’incapace, rendendolo annullabile.

Diritto internazionale

In passato la c. giuridica delle persone e i diversi aspetti del diritto di famiglia trovavano la loro base in un’unica disposizione (disposizioni preliminari al codice civile, art. 17): «lo stato e la capacità delle persone sono regolati dalla legge dello Stato cui essi appartengono». La l. 218/1995 (art. 20-24) ha introdotto invece la distinzione tra c. giuridica (art. 20) e c. di agire (art. 23). La c. giuridica delle persone fisiche è regolata dalla loro legge nazionale, che disciplina anche le condizioni speciali prescritte dalla legge regolatrice di un rapporto. Anche la c. di agire delle persone fisiche è regolata dalla loro legge nazionale, Tuttavia, quando la legge regolatrice di un atto prescrive condizioni speciali di c. di agire, queste sono regolate dalla stessa legge (art. 23, 1° co.).

Quanto ai contratti tra persone che si trovano nello stesso Stato, la persona considerata capace dalla legge dello Stato in cui il contratto è concluso può invocare l’incapacità derivante dalla propria legge nazionale solo se l’altra parte contraente, al momento della conclusione del contratto, era a conoscenza di tale incapacità o la ignorava per sua colpa (art. 23, 2° co.). Il principio è volto a tutelare il contraente che abbia agito in buona fede e ricalca il contenuto dell’art. 11 della Convenzione di Roma sulla legge regolatrice delle obbligazioni contrattuali (1980).

Per gli atti unilaterali, la persona considerata capace dalla legge dello Stato in cui l’atto è compiuto può invocare l’incapacità derivante dalla propria legge nazionale soltanto se ciò non rechi pregiudizio a soggetti che senza loro colpa abbiano fatto affidamento sulla c. dell’autore dell’atto (art. 23, 3° co.). Le limitazioni concernenti i contratti e agli atti unilaterali (co. 2 e 3) non si applicano agli atti relativi a rapporti di famiglia e di successione per causa di morte, né agli atti relativi a diritti reali su immobili situati in uno Stato diverso da quello in cui l’atto è compiuto. La legge nazionale è richiamata anche con riferimento alla c. del genitore di effettuare il riconoscimento del figlio naturale, alla c. di disporre per testamento, di modificarlo o di revocarlo. Anche la scomparsa, l’assenza, o la morte presunta, è regolata dall’ultima legge della nazione di cui l’interessato aveva la cittadinanza (art. 22). Infine, i provvedimenti stranieri relativi alla c. delle persone hanno effetto in Italia quando sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della legge italiana o producono effetto nell’ordinamento di quello Stato anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa (art. 65).

C. processuale

Il codice di procedura civile, all’art. 75, stabilisce che «sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere». La c. processuale (denominata anche legittimazione processuale o c. di stare in giudizio) consiste nell’idoneità a proporre e a ricevere validamente la domanda e a compiere gli atti del processo. È il riflesso della c. di agire di diritto sostanziale (art. 2 c.c.) e si acquista con il raggiungimento della maggiore età, tranne nei casi in cui al minore sia concessa una speciale capacità. Al contrario, la c. di essere parte, ossia l’idoneità alla titolarità di posizioni giuridiche processuali, spetta a ogni persona fisica e giuridica, venendo a coincidere con la c. giuridica di diritto sostanziale. Le persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti possono stare in giudizio solo se «rappresentate, assistite o autorizzate, secondo le norme che regolano la loro c.» (art. 75, co. 2, c.p.c.), giacché la legge individua nei rappresentanti legali – secondo le regole di diritto sostanziale – i soggetti che hanno il potere di stare in giudizio in rappresentanza di chi è privo della c. di agire. Le persone giuridiche, rispetto alle quali si pone la questione dell’individuazione del rappresentante organico, devono stare in giudizio «per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge» o del proprio statuto (art. 75, co. 3, c.p.c.). La c. processuale è un presupposto del processo, la cui mancanza impedisce al giudice di decidere la causa nel merito. Il giudice deve verificare il rispetto delle disposizioni in materia di c. processuale e se ricorre un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione, assegna alle parti un termine per la sanatoria del vizio (art. 182 c.p.c.). La sentenza emanata in violazione delle regole sulla c. processuale è nulla.

C. contributiva

È la c. dei singoli cittadini (o degli stranieri aventi interessi economici nel paese) di contribuire con i tributi alle spese pubbliche. Va desunta dagli indici o manifestazioni della c. contributiva medesima. Si considerano indici di tale c. elementi obiettivi, quali il reddito e il patrimonio, o anche indici indiretti, quali il consumo, l’acquisto e la vendita di beni e gli affari, che il contribuente effettivamente compie. La stima della c. contributiva regola il prelievo fiscale, secondo il principio che mira a proporzionare l’imposta alle effettive risorse del contribuente, salvaguardando la disponibilità di mezzi economici di chi paga.

Il principio in base al quale deve essere realizzato il concorso alle spese pubbliche, secondo quanto sancito dalla Costituzione (art. 53: «tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro c. contributiva»), è frutto dell’evoluzione storica del sistema fiscale italiano e delle elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza costituzionale. Dal punto di vista storico, l’adozione di tale principio rappresentò il passaggio da una visione del prelievo fiscale basata sulla ‘corrispettività’ (il tributo quale corrispettivo dei servizi pubblici forniti al contribuente: cosiddetto. principio del beneficio) a un’impostazione di stampo solidaristico (tutti gli appartenenti a una comunità devono concorrere alle spese, a prescindere dai servizi che ricevono). La c. contributiva è quindi, in primo luogo, una espressione del principio di solidarietà, in quanto garantisce la generalità del dovere tributario nonché l’irrilevanza (nella commisurazione dell’imposta) dei servizi pubblici goduti dal contribuente. Da qui il collegamento, operato dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale, dell’art. 53 con l’art. 2 della Costituzione e l’inclusione del dovere tributario tra i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Oltre a una funzione solidaristica, la c. contributiva ha anche una funzione garantista. L’art. 53 Cost. (in quanto disposizione collocata in una Costituzione rigida) pone un limite sostanziale al potere legislativo ordinario. Infatti, tale principio esclude la legittimità di un prelievo fondato su fatti (costituenti il «presupposto d’imposta») che non siano espressivi della suddetta capacità. La riflessione sul profilo contenutistico dell’art. 53 ha valorizzato il legame tra c. contributiva e ‘forza economica’, ritenendo che solo fatti economicamente rilevanti potessero assurgere a indici di tale c. e, a contrario, che fosse inibita, nell’ordinamento italiano, l’introduzione di tributi non collegati a una forza economica del soggetto: in questi termini, la c. contributiva funge da limite al potere discrezionale del legislatore. Da tale impostazione non ci si è mai sostanzialmente allontanati, e la dottrina e la giurisprudenza si sono concentrate sulla delimitazione dell’ambito di applicazione di tale principio e sull’identificazione dei requisiti allo stesso riferibili.

Quanto all’ambito di applicazione del principio, si ritiene che sia riferito a tutte le spese pubbliche, intese da un punto di vista soggettivo (spese sostenute dallo Stato e dagli enti pubblici, territoriali e non territoriali) e oggettivo (spese che rispondono a interessi o bisogni generali della collettività). I requisiti riferibili alla c. contributiva sono invece stati ravvisati, soprattutto dalla giurisprudenza costituzionale, nella personalità, effettività, certezza e attualità. In primo luogo la c. contributiva deve essere riferita al soggetto (e non al bene economico), in quanto è una qualità soggettiva, consistente nell’idoneità di ciascuno all’obbligazione tributaria. Si è quindi distinta una nozione di c. contributiva oggettiva, intesa come potenzialità economica dei fatti presupposto del tributo, da una nozione di c. contributiva soggettiva, che considera tutte le situazioni personali e familiari del contribuente. Con il riconoscimento dell’effettività si è affermata la non imponibilità dei mezzi economici necessari alla sopravvivenza, escludendo da imposizione il cosiddetto minimo vitale. Il requisito della certezza della c. contributiva ha poi imposto una riflessione sull’utilizzo delle presunzioni all’interno del sistema tributario. In presenza di numerose presunzioni legali nella determinazione del reddito o dei presupposti impositivi, si è affermata la necessità che la c. contributiva sia, quanto più possibile, certa, e non meramente fittizia: si è quindi ammessa la legittimità delle presunzioni solo nel caso in cui risultino razionalmente giustificate e fondate sulla comune esperienza. Sono state così dichiarate contrarie al principio di c. contributiva le presunzioni assolute (vale a dire quelle che non ammettono la prova contraria), sancendo, in via generale, l’esistenza del diritto del contribuente alla prova del presupposto effettivamente realizzato. La c. contributiva deve essere altresì attuale, nel senso che il tributo deve colpire una ricchezza attualmente presente nella sfera patrimoniale del soggetto passivo. Da qui un limite alla retroattività della legge impositiva, ammessa solo ove il lasso di tempo tra imposizione e (preesistente) presupposto d’imposta sia tale da far ragionevolmente ritenere ancora sussistente la ricchezza da esso espressa (sussistenza da valutare anche alla luce della prevedibilità dell’intervento legislativo retroattivo). Infine, la legittimità delle esenzioni o delle agevolazioni fiscali si scontra necessariamente con il principio di c. contributiva. Le agevolazioni sanciscono una deroga al principio cui è collegato il presupposto e determinano un trattamento differente di eguali situazioni contributive. La legittimità delle norme di agevolazione può quindi discendere esclusivamente dall’esigenza di garantire altri valori presenti nel nostro ordinamento, complessivamente inteso, e dalla natura costituzionale degli interessi in nome dei quali, di volta in volta, si deroga alla c. contributiva (per es., la salute, l’istruzione, la famiglia).

Ecologia

In ecologia di popolazioni, si definisce c. portante (o c. biologica specifica; ingl. carrying capacity) il numero massimo di individui di una certa popolazione che possono vivere in una determinata area (indicato con K). Dipende dalla disponibilità di risorse nell’area occupata ed è rappresentato dall’asintoto o plateau della curva logistica o di altre curve sigmoidi di accrescimento (➔) delle popolazioni. Raggiunta la c. portante, la popolazione ha un tasso di accrescimento nullo. È possibile che il valore di K si modifichi nel tempo, in relazione a variazioni ambientali cicliche (come quelle stagionali) o casuali.

Economia

C. organizzativa

L’apporto dell’imprenditore alla produzione, consistente nel coordinamento delle energie lavorative, delle risorse naturali e del capitale. Fu considerata da A. Marshall il quarto fattore di produzione, accanto al lavoro, alla terra e al capitale.

C. produttiva

La quantità massima di beni o di servizi che un’impresa, un settore o l’intero sistema economico possono arrivare a produrre utilizzando le risorse disponibili con la tecnologia nota, gli impianti istallati e le forze di lavoro disponibili, nel rispetto dei vincoli tecnici o istituzionali.

C. utilizzata

La quota della capacità produttiva potenziale effettivamente utilizzata, in un’unità produttiva, un settore o un intero sistema economico.

Fisica

C. elettrica Grandezza che lega il potenziale elettrico di un conduttore alla carica elettrica posseduta dal conduttore in questione e dai conduttori eventualmente circostanti. Precisamente, riferendosi al caso di un solo conduttore, immerso in un dielettrico omogeneo e isotropo, non in presenza di altri conduttori, cioè al caso di un conduttore ‘isolato’, si definisce come c. elettrica del conduttore il rapporto C, costante, tra la carica Q comunicata al conduttore e il potenziale V al quale esso conseguentemente si porta: C=Q/V. Tanto maggiore è la c. elettrica C di un conduttore, tanto minore è la variazione del potenziale V per una data variazione della carica Q. La c. dipende soltanto dalla forma e dalle dimensioni del conduttore e dalla natura del mezzo in cui esso è immerso. Se il conduttore non è isolato, vale a dire è in presenza di altri, vi è induzione elettrica reciproca, per cui una variazione di carica sul conduttore dà luogo a variazioni della carica degli altri conduttori, e viceversa, con conseguenti variazioni dei potenziali. Non è possibile, in tal caso, definire direttamente la c.; si può soltanto dire che vi è relazione tra le cariche Q1, Q2,..., Qn e i potenziali V1, V2, ..., Vn degli n conduttori, e tale relazione è del tipo:

formula
fig.

dove i coefficienti C, detti coefficienti di c., sono grandezze dipendenti dalla forma e dalla posizione reciproca dei conduttori ma non dalle loro cariche. Il coefficiente a indici uguali, Cii, ha il nome di c. propria del conduttore i-mo del sistema, e dà la carica che il conduttore avrebbe se esso si trovasse a potenziale unitario e gli altri si trovassero a potenziale nullo; il coefficiente con indici diversi, Cdm, ha invece il nome di c. mutua del conduttore d-mo rispetto al conduttore m-mo. Se i conduttori sono soltanto due e tra essi l’induzione è completa, si ha Q1=−Q2=Q, risulta allora C=Q/(V1−V2), cioè la c. di un conduttore rispetto all’altro è pari al rapporto tra la carica di uno dei conduttori e la differenza di potenziale tra essi: è l’importante caso dei condensatori elettrici (v. fig.). Unità di misura della c. nel SI è il farad.

Si dice c. concentrata la c. elettrica di un bipolo capacitivo, cioè un condensatore, in quanto essa si può considerare fisicamente concentrata nel bipolo stesso.

La c. distribuita è invece quella non concentrata in un bipolo capacitivo: così, per esempio, è distribuita la c. che va associata a un bipolo induttivo, cioè a una bobina d’induttanza o, genericamente, a un conduttore o a un tratto di circuito.

La c. parassita in un circuito elettrico è la c. mutua di determinati componenti od organi rispetto alla terra o rispetto ad altri conduttori il cui potenziale viene assunto nullo (per es., una eventuale custodia metallica): si parla così di c. parassita di fili di collegamento, di spine, prese.

Lo strumento per la misurazione della c. elettrica è il capacimetro. Quelli a lettura diretta, di limitata precisione, utilizzano metodi voltamperometrici in corrente alternata: la corrente indicata dall’amperometro risulta proporzionale alla capacità. Per misurazioni precise di capacità si ricorre a capacimetri a ponte, costituiti da un circuito a ponte di impedenze (➔ ponte). Per la misurazione di piccole capacità si può anche usare un Q-metro.

C. meccanica

Nell’analogia formale che può stabilirsi tra il comportamento di un sistema elastico e quello di un circuito elettrico (➔ elettromeccanica, analogia) è la grandezza, corrispondente alla c. elettrica, definita come il rapporto C tra l’entità s della deformazione e il modulo F della sollecitazione che l’ha provocata: C=s/F. A parità di sollecitazione, la deformazione è tanto maggiore quanto maggiore è C (di qui l’altro nome di cedevolezza dato a C): ciò equivale a dire che a parità di sollecitazione l’energia elastica immagazzinata nel sistema è tanto maggiore quanto maggiore è la c. del sistema. Nel caso, importante nell’acustica, che il sistema sia un fluido comprimibile, la c. viene definita come il rapporto tra la variazione di volume e la variazione di pressione che l’ha determinata, inversamente proporzionale alla compressibilità.

C. termica

Per un dato corpo (omogeneo) è la quantità di calore necessaria per elevare di un Kelvin la sua temperatura. Se m è la massa del corpo, c il suo calore specifico, la sua c. termica C vale cm.

Tecnica

Nell’ingegneria informatica e nelle telecomunicazioni, misura della possibilità di un sistema di far fronte in modo efficace a una serie di attività programmate, sulla base delle risorse di memoria, elaborazione e comunicazione di cui il sistema stesso dispone. Nella gestione dell’infrastruttura tecnologica di un’organizzazione, svolge un ruolo centrale la predisposizione del piano delle c. (dall’inglese capacity planning), mediante il quale, in funzione dei piani operativi predisposti dai ruoli di governo dell’organizzazione, sono programmate in modo razionale e organico le attività da svolgere per garantire l’adeguamento delle infrastrutture alle necessità di governo dei sistemi. Con lo sviluppo dei sistemi informativi e delle moderne tecnologie di comunicazione, sono infatti richieste alle infrastrutture tecnologiche delle organizzazioni c. crescenti, che devono essere fornite in modo pianificato, evitando risposte che potrebbero minare o addirittura impedire lo svolgimento delle attività necessarie alla sopravvivenza e allo sviluppo dell’organizzazione. C. di memoria In un elaboratore elettronico, la quantità dei dati che possono essere contemporaneamente contenuti nella memoria.

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