CAPITALE

Enciclopedia Italiana (1930)

CAPITALE (dal lat. capitalis "principale", sostantivato; fr. capital; sp. principal; ted. Kapital; ingl. capital)

Augusto Graziani

Concetto del capitale. - Intorno al concetto del capitale sono state sostenute dagli economisti opinioni divergenti e le discussioni sull'argomento non possono ancora considerarsi definitivamente chiuse. Prescindendo da differenze di minore entità, le correnti teoriche possono ridursi a tre: l'una assume a carattere del capitale un criterio di destinazione della ricchezza, un'altra un criterio di valutazione monetaria, la terza un criterio di relazione della ricchezza al tempo. Quest'ultima ha in Irving Fisher l'espositore più cospicuo e trova oggi largo accoglimento. Il capitale, egli dice, non è correlativo a una classificazione della ricchezza, ma a un rapporto della ricchezza col trascorrere del tempo. Contrappone il capitale al reddito; il capitale è un fondo, il reddito un flusso; una ricchezza o un insieme di ricchezze esistenti in un dato istante sono capitale, un flusso di servizî derivanti dalla ricchezza durante un periodo di tempo è reddito. Così una casa di abitazione ora esistente è capitale, il servizio di abitazione, cioè i godimenti che offre a chi l'abita o il canone di affitto che se ne percepisce, costituiscono reddito; le ferrovie di un paese sono capitale, i trasporti che si compiono o i dividendi che si distribuiscono agli azionisti sono reddito.

La parola servizio è dal Fisher adoperata per esprimere così le ricchezze che si ottengono mediante investimenti produttivi, come le soddisfazioni provate dall'uso immediato dei beni; quindi egli accomuna nel reddito elementi totalmente eterogenei, beni materiali ed elementi immateriali, quali sono le utilità psichiche, e questa unificazione verbale nasconde la diversità reale dei fenomeni che comprende nella categoria del reddito. E mentre dichiara che il capitale si distingue dal reddito in funzione del tempo, nemmeno è perfettamente coerente a questo postulato, poiché contrappone al capitale riguardato come fondo esistente in un momento dato, non il reddito considerato come flusso di ricchezza durante un periodo di tempo, sibbene il reddito riguardato come il servizio di un flusso durante un periodo di tempo, attribuendo alla parola servizio un significato comprensivo, come dicemmo, di elementi eterogenei. E questo vizioso concetto di reddito induce il Fisher a un concetto pure vizioso di capitale, nel quale comprende ricchezze di ogni sorta, originarie e derivate, destinate al consumo immediato o a produzione. Se tali ricchezze si considerano isolatamente, astraendo dalla loro origine e dalla loro destinazione, non occorre per qualificarle altro vocabolo che quello di ricchezza; se invece le ricchezze che appartengono a un individuo o a un'azienda economica, sono rilevate nel loro valore complessivo, la parola patrimonio risponde alla terminologia comune. La funzione economica delle ricchezze investite produttivamente è ben diversa da quella delle ricchezze che o sono riservate in attesa di usi futuri, o sono applicate a soddisfazioni immediate di bisogni, e se le une si denominano capitale, è d'uopo collocare le altre in diversa categoria, ad evitare che la equivocità dei vocaboli induca a fallaci conclusioni.

La seconda corrente teorica mette capo al Menger, che modificando la nozione del capitale esposta nei suoi Principî in una monografia pubblicata nel 1889 nei Jahrbücher für Nationalökonomie und Statistik di Jena, sostenne che il capitale è costituito dal valore monetario complessivo delle ricchezze applicate alla produzione. "Non è questa o quella ricchezza impiegata, riguardata nella sua natura propria, che è capitale; ma il valore monetario, l'insieme delle anticipazioni valutate in moneta, in quanto siano dirette a riprodursi accresciute. Sia questo capitale fisicamente rappresentato da utensili o da edifizî, da materie prime o sussidiarie, o da alimenti e vesti della classe lavoratrice è indifferente; basta che si consideri il valore monetario cui si raffronterà il prodotto, pure espresso nella medesima misura".

Ora se è vero che l'imprenditore singolo valuta la totalità delle sue spese e le raffronta al prodotto anche valutato nella medesima misura, questo raffronto nulla chiarisce né intorno alla natura dei profitti, né intorno all'investimento capitalista, cioè alla funzione della ricchezza impiegata nella produzione. La moneta è forma che potrebbe dirsi fuggitiva dell'impiego della ricchezza nella produzione; l'imprenditore ove abbia la propria ricchezza in forma monetaria deve servirsene per acquistare edifizi, strumenti, materie prime, alimenti, che soli valgono ad attuare o a intensificare la produzione. L'efficienza di questi elementi nella produzione non è in correlazione con le variazioni del medio circolante, e dato un deprezzamento di questo, se il valore capitale si accresce in corrispondenza, come se, dato un maggiore appfezzamento, diminuisse, rimane però ceteris paribus costante la sua potenza produttiva.

La dottrina che distingue e caratterizza il capitale come un prodotto dedicato alla produzione di ricchezze ulteriori non solo evita equivoci, ma assume un criterio di fondamentale importanza economica, ed è classica, sia per gli scrittori che la professarono, sia per il suo merito intrinseco. Fu enunciata dallo Smith, precisata da economisti successivi e particolarmente dallo Stuart Mill, difesa dalle principali obiezioni in pregiate monografie del Cossa e del Ricca-Salerno. Non entrano nel capitale le ricchezze non prodotte, che si classificano fra gli agenti naturali; la terra presenta una quantità di forze limitate e ad essa vincolate, anche perciò si distingue dalle ricchezze che furono oggetto di produzione. Esse sono il risultato di un lavoro economico e dell'applicazione costosa di altri beni, cosicché, allorquando si tratta di prodotti applicabili a produzione ulteriore, la produzione complessiva è divisa almeno in due stadî, il differimento fra l'inizio della produzione e il consumo è più grande. Il prodotto perché acquisti indole di capitale, è necessario sia effettivamente investito nella produzione, o costituito a fonte di reddito. Ora vi ha una parte di ricchezza prodotta che può essere momentaneamente oziosa, attendendo o di essere investita produttivamente o di essere consumata. Vi ha un'altra parte della ricchezza prodotta che è applicata immediatamente alla soddisfazione dei bisogni, come mezzo per gli scopi della vita. E ve ne ha una terza, la quale nettamente si distingue dalle altre due, perché consacrata a ulteriore produzione, e questa soltanto costituisce il capitale. Non basta, dunque, che la ricchezza sia stata prodotta; finché essa è tenuta in riserva non può dirsi ancora capitale e potrà non divenirlo se verrà destinata a soddisfazioni immediate di bisogni. Essa deve avere una destinazione produttiva, sia nel senso di diretta applicazione a produzione, sia nel senso più esteso d'impiego, che dà luogo a percezione di un reddito, come affitto di un terreno di coltivazione o d'una casa, noleggio di macchine e strumenti produttivi, prestito a interesse di danaro. Nel riguardo degl'individui singoli o di singoli enti collettivi, vi sono istituti e fatti che dànno origine al conseguimento di prodotti, e dal loro punto di vista l'applicazione è produttiva, benché quella ricchezza possa poi essere o no investita effettivamente in una produzione. Quindi il significato del capitale si estende pure a questi casi, perché la capitalizzazione produttiva non sarebbe possibile nell'entità richiesta dall'industria moderna, senza che anche l'accumulazione semplice potesse ottenere un reddito. Gl'investimenti produttivi non potrebbero ottenere un'applicazione di capitale nella misura ingente richiesta, se non vi fosse un'accumulazione pure per parte di coloro che non vogliono o non possono impiegare la ricchezza nella produzione per proprio conto, e questa accumulazione sarebbe certo minore o inesistente, se il mutuante non conseguisse un interesse anche per il semplice risparmio.

Il capitale è una categoria relativa, e quindi la stessa ricchezza può essere o no capitale, o appartenere al fondo di consumo, o alla ricchezza disponibile, e per gli uni avere carattere di capitale, per gli altri non averlo. Così una casa di abitazione è capitale per il proprietario quando l'affitta, perché gli è, in tale ipotesi, mezzo di acquisto di altre ricchezze, ma se l'abita, appartiene al fondo di consumo, perché destinata alla soddisfazione di bisogni immediati. Che queste soddisfazioni siano ripetute e durevoli non importa; "non è possibile determinare la durata minima occorrente perché un prodotto possa appartenere a quelli che il Hermann e il Say chiamavano capitali produttivi d'utilità e di conforto, e non già agli oggetti di consumo ordinario. La durata maggiore o minore è un accidente tecnico, piuttosto che un elemento economico". (Cossa). Così i salarî pagati agli operai sono un capitale per l'imprenditore che l'impiega, ma per gli operai appartengono al fondo di consumo, salvo per quella parte che sia dagli stessi risparmiata e applicata a nuova produzione, che diviene capitale in virtù di questa applicazione. Le attitudini del lavoratore non possono comprendersi fra i capitali, perché non sono ricchezze; anche quelle acquisite che lo stesso Smith classificava fra i capitali, considerandole quasi il prodotto di capitali anticipati durante il tirocinio, non si possono confondere con i risultati del lavoro di cui sono la condizione, e non presentano né il requisito della materialità, né quello della permutabilità, che sono il presupposto del genere ricchezza e quindi del capitale che ne è una specie. Inoltre si confonderebbe il fattore lavoro col fattore capitale. Quindi anche coloro che parlano di capitali personali, costituiti da queste attitudini, usano un linguaggio metaforico e che adduce a errori, giacché le condizioni del lavoro si debbono ben distinguere dalle ricchezze nelle quali il lavoro si esercita o dalle quali è alimentato durante la produzione.

Distinzioni del capitale. - Una distinzione del capitale dovuta al Rodbertus e accolta dal Wagner, che le diede anche maggiore sviluppo, è quella di capitale, come pura categoria economica e come categoria storico-giuridica. Il capitale quale pura categoria economica sarebbe costituito da quei beni economici naturali, che possono servire come mezzi tecnici per la produzione di nuove ricchezze. Il capitale quale categoria storico-giuridica sarebbe quella parte del patrimonio di una persona che viene applicata al conseguimento di un reddito; la prima categoria avrebbe carattere naturale ed eterno perché dalle economie primitive, alle più sviluppate, si manifesta costante, la seconda, invece, avrebbe carattere contingente, connesso a rapporti storico-giuridici, al sistema di proprietà privata, che consente profitti ricorrenti all'accumulazione. Se come abbiamo detto si debbono distinguere le due significazioni del capitale, non si può però ammettere che l'una sia una categoria economica e l'altra una categoria storico-giuridica. Il nolo, l'affitto, il prestito rappresentano fatti economici, come l'applicazione diretta delle macchine, dei fabbricati, delle materie alla produzione, e l'imprenditore paga quel determinato nolo o affitto o interesse, perché ha la prospettiva di conseguire dalla produzione profitti maggiori, che gli lasceranno un più grande margine netto, detratti i pagamenti che deve fare al capitalista. Anche il mutuo consuntivo è negozio economico; la ricchezza presente e la futura presentano valore diverso, e le relazioni giuridiche inerenti a tali contratti non tolgono punto l'esistenza del rapporto economico, dal quale anzi derivano. Ma si afferma che questi rapporti si connettono all'istituto della proprietà privata. Però questo istituto è base dell'ordinamento economico attuale e le sue forme, le sue limitazioni sono il risultato e l'espressione di condizioni sociali che ne determinano il contenuto. Né può dirsi storica la categoria di capitale concernente le ricchezze non impiegate dall'accumulante nella produzione, in contrapposto alla ricchezza prodotta impiegata nella produzione, poiché in periodi ben remoti dallo sviluppo industriale moderno, compaiono i mutui consuntivi (come attestano anche le leggi proibitive della percezione dell'interesse, i concetti dei filosofi e dei canonisti sull'usura), e prima assai che avvenga una sistematica applicazione di larga quantità di capitale tecnico alla produzione, che è caratteristica dell'età moderna (v. capitalismo). Entrambe quindi sono categorie storiche ed economiche e il contrasto, com'è formulato dagli accennati scrittori non risponde alla realtà: pure supposta un'economia collettivista, certo dovrebbe il capitale potenziare la produzione, ma anche la ricchezza presente non potrebbe scambiarsi che con quantità maggiore di ricchezza futura; solo l'attribuzione di questo lucro potrebbe essere differente.

Il capitale si distingue in fisso e circolante. È fisso il capitale di cui l'utilità è sacrificata parzialmente in ogni singola produzione, come le costruzioni, le bonificazioni agrarie, gli strumenti animati e inanimati (utensili, apparecchi, macchine da lavoro). È circolante il capitale di cui l'utilità è sacrificata totalmente in ogni singola produzione, come le materie prime formanti la sostanza dei nuovi prodotti, le materie sussidiarie usate nella produzione, ma non incorporate nei prodotti, i prodotti messi in vendita, che sono la materia prima del commercio (Cossa). Il capitale fisso è a logoro parziale e il capitale circolante a logoro totale; perciò la reintegrazione del primo deve essere soltanto parziale e quella del secondo completa in ogni atto produttivo. E si noti che per quanto concerne gli strumenti produttivi il logoro economico può essere maggiore del logoro tecnico; per perfezionamenti industriali sopravvenuti, può per una determinata produzione, in relazione alle condizioni del mercato, non essere più conveniente l'uso di una macchina, prima che sia totalmente logorata, cosicché il coefficiente economico può eventualmente accentuare l'entità del logoro tecnico. La ripartizione del capitale totale tra capitale fisso e circolante, dipende dalla natura dell'industria, dai sistemi prescelti di produzione, sicché variazioni di domanda di prodotti possono addurre a mutazione di proporzione tra queste due specie di capitali, o a una trasformazione del capitale di un'impresa in capitale fisso o circolante d'altra impresa. Queste difficoltà di trasferimento o di trasformazione non sono sempre maggiori per il capitale fisso; certo la parte del capitale circolante che è applicata al pagamento dei salarî degli operai può senza modificazione alcuna valere per ogni industria, non così sempre quella costituita da materie prime; il cotone serve per esempio a un numero relativamente ristretto di produzioni, invece altre materie prime o sussidiarie, come il carbone e il ferro, hanno svariatissime applicazioni. Ma taluni capitali fissi, come gli edifizî, i magazzini, compiono la loro funzione, qualunque sia la specie di produzione e talune macchine possono passare da un ramo a un altro d'industria subendo tenui modificazioni; così un'impresa di orologi può convertirsi, senza grandi perdite, in impresa che fabbrichi fucili, o macchine da cucire, e il macchinario, diretto a produzione meccanica, può spesso, con lievi modificazioni, trasformarsi a produzione di macchine diverse da quelle cui era originariamente diretto.

Un'altra distinzione molto ragguardevole è quella tra capitale tecnico e capitale-salarî, cioè tra la porzione impiegata in strumenti, edifizî, materie prime e sussidiarie e quella destinata all'immediata domanda di lavoro. La ripartizione del capitale totale fra questi elementi, dipende da una serie di condizioni, quali la natura dell'industria, il processo produttivo adottato, che a sua volta è correlativo al prezzo degli elementi tecnici, al salario del lavoro, ecc. Per la produzione di oggetti della medesima qualità si possono adoperare varî processi tecnici, che esigono a loro volta un rapporto vario di capitale tecnico e di lavoro. E talora, per la grande quantità disponibile di operai, può essere conveniente un processo industriale che sia meno perfetto nei riguardi della tecnica. Inoltre un medesimo imprenditore, che abbia stabilimenti industriali in diverse sedi, nelle quali tutte si produce la stessa ricchezza, può distribuire diversamente nei varî opifici il capitale tra i mezzi tecnici e i salarî, perché, per esempio, la distanza dal luogo di consumo o condizioni locali differenti rendono nell'uno e nell'altro convenienti diversi sistemi; per la vicinanza di forze idrauliche si possono in uno stabilimento adottare motori elettrici, in altri impiegare motori a vapore. In un ordinamento sociale in cui la produzione con operai salariati ha larga estensione, a questa ripartizione del capitale fra capitale tecnico e capitale-salarî è correlativa la domanda di lavoro. Qui non è il luogo di discutere le relazioni di causa e di effetto tra il saggio dei salari e tale ripartizione: basti notare come uno dei coefficienti, cui si rannoda la posizione degli operai, sia determinato da questa ripartizione.

Formazione del capitale. - Il capitale, essendo ricchezza prodotta impiegata nella produzione, deve la sua origine all'industria e al risparmio. Senza una produzione sistematica mancherebbe la base della capitalizzazione, ma senza il differimento del consumo l'impiego produttivo non si verificherebbe. Dal punto di vista di colui che impiega la ricchezza produttivamente, il risparmio sussegue alla produzione; ma per quel che riguarda gli strumenti tecnici occorre che in un periodo anteriore siano state dirette forze produttive alla formazione di codesti strumenti, e siano perciò state sottratte tali forze produttive alla formazione di beni di consumo più prossimo. Perché il sarto possa investire nel panno le ricchezze risparmiate, bisogna che anteriormente siano state dedicate forze produttive alla tessitura della stoffa e, per un dato tempo anteriore, alla filatura, e che perciò la materia prima sia stata sottratta alla formazione di prodotti consumabili. È caratteristico delle economie più progredite, il numero grande di prodotti intermedî, che attendono da opera industriale successiva la propria maturazione in prodotti compiuti e la quantità complessa del capitale, oltre che all'ampiezza della produzione, si collega all'entità dell'accumulazione. Il desiderio effettivo di accumulazione differisce di grado, oltre che in funzione di circostanze individuali, di circostanze sociali, che influiscono sull'apprezzamento relativo della soddisfazione dei bisogni attuali e futuri, sulla prospettiva dei vantaggi inerenti all'accumulazione. Quanto conferisce alla sicurezza, al rispetto della legge, al mantenimento dell'ordine e della tranquillità comune, tende a rafforzare questo spirito di accumulazione. È noto che tribù primitive, anche diligenti e operose, non si preoccupano dell'avvenire; si sa che i gesuiti riuscirono a modificare il sistema di vita degl'Indiani del Paraguay, ottennero assoluta sottomissione e obbedienza, insegnarono loro molte delle più difficili industrie e arti, superarono gli ostacoli che provenivano dall'avversione al lavoro, ma non poterono vincerne l'imprevidenza, l'inettitudine a pensare al futuro. E analoghe osservazioni possono farsi per gl'indigeni dell'Australia. In condizioni intermedie rispetto alla forza del desiderio di accumulazione tra gl'Indiani e gli Asiatici in generale e la maggior parte delle nazioni europee, sono i Cinesi; ancora oggi infatti la durata della maggior parte delle costruzioni cinesi è assai inferiore a quelle degli europei; se il suolo è stato sfruttato, il sottosuolo non è tuttora abbastanza esplorato: e i saggi d'interesse che si esigono pure per gl'impieghi meno rischiosi sono molto elevati. Nelle nazioni più prospere d'Europa, lo spirito di accumulazione è molto più forte e in Inghilterra è particolarmente intenso per una serie di circostanze. La sicurezza che la proprietà ivi gode da lungo tempo dalle rapine militari e dagli arbitrî governativi, il carattere delle istituzioni politiche, il fatto che l'industria e non la guerra è stata sino da tempi lontani la fonte naturale della potenza e importanza della Gran Bretagna, elevarono ivi in alto grado il desiderio effettivo di accumulazione. S'intende che discorriamo per termini medî e che pure nei paesi più avanzati in cultura lo spirito di accumulazione differisce da classe a classe; ma negli ultimi anni l'elevazione delle condizioni materiali e morali dei lavoratori, è stata in parte effetto e in parte causa d'incremento di risparmî e di opere di previdenza.

Teoremi relativi al capitale. - Nella produzione il capitale potenzia gli effetti degli altri due fattori, natura e lavoro: è più efficace giungere alla meta per gradi intermedî che immediatamente, vincere la resistenza della materia con strumenti e macchine, che non con la forza muscolare. Si sa che non può verificarsi creazione di forza e di materia, ma il capitale permette una coordinazione e un'azione più fruttuose così delle forze interne umane come di quelle del mondo esterno.

Ecco due dei teoremi formulati dallo Stuart-Mill sul capitale.

Il capitale limita l'industria; quando questa ha attraversato uno stadio iniziale, non può proseguire senza capitale. Certo non potrebbe proseguire anche senza lavoro, ma è opportuno insistere sull'importanza del fattore capitale, poiché non sono dissipati pregiudizî ed errori in proposito. I dazî protettivi e i premî possono fare espandere una produzione interna, ma poiché il dazio e il premio non creano il capitale necessario a quest'espansione, esso verrà attratto a quell'industria da questi artificiali eccitamenti, ma sarà per ciò stesso sottratto ad altra produzione. Il capitale che per esempio si destinava alla produzione della seta, la quale si esportava in cambio della lana proveniente dall'estero, è trasferito alla produzione della lana ora protetta da dazî, ma non è stato creato ex novo, quindi non si è accresciuta la produzione né l'impiego del lavoro, ma si è deviata la produzione dalle sue naturali correnti. Se tuttavia il capitale limita l'industria, non è vera la proposizione reciproca che il capitale sia limitato dall'industria, cioè che possa esservi una quantità di capitale, la quale non possa produttivamente applicarsi. Non è mai esuberante la quantità di capitale, poiché infiniti sono i bisogni umani, e quindi mai può esservi eccedenza generale di prodotti. Possono in taluni momenti prodotti particolari non trovare sul mercato una richiesta adeguata a prezzi che rimunerino gli sforzi produttivi; si manifesterà così uno squilibrio parziale fra produzione e consumo, ma non mai potrà dirsi eccessiva l'offerta di tutti i prodotti, né quindi la capitalizzazione. Ove anche la classe capitalistica convertisse tutta la ricchezza prima destinata a consumi di lusso in capitale, una parte di questo sarebbe impiegata a domanda di lavoro e quindi la potenza di acquisto dei capitalisti passerebbe ai lavoratori.

Un altro teorema relativo al capitale è che domanda di prodotti non è domanda di lavoro, ed esso non può essere contestato ove venga inteso nei suoi esatti termini. La domanda di prodotti determina la direzione dell'industria, ma non è il consumo dei ricchi che alimenta la domanda di lavoro e la produzione; bensì la sottrazione al consumo e l'applicazione produttiva. Se si converte la domanda di prodotti in domanda di lavoro, cioè la ricchezza applicata a un consumo per esempio di automobili, in domanda di lavoratori per costruire una casa, vi è un capitale dippiù e quello applicato alla produzione degli automobili si dedicherà alla produzione degli alimenti dei lavoratori e in aggiunta vi sarà la ricchezza dell'acquirente automobili convertita in capitale. Se invece il capitale edilizio verrà convertito in domanda di automobili, il capitale applicato alla produzione delle sussistenze degli operai sarà convertito in produzione di automobili, e cesserà dalla funzione di capitale, per entrare nella categoria del fondo di consumo, il primo capitale. Molte sono le conseguenze, che si deducono da questo principio; ne accenniamo una sola rispetto agli effetti dell'introduzione delle macchine. Quando s'introduce una macchina che rende superflui alcuni operai impiegati, si ha una riduzione d'impiego di lavoratori, la quale si afferma di carattere temporaneo, poiché si dice che la diminuzione del prezzo dei prodotti conseguente all'introduzione delle macchine, aumentando la richiesta del prodotto, accresce anche la domanda di lavoro. Ma ciò non è esatto, poiché la richiesta aumentata del prodotto non importa aumento di domanda di lavoro, ma solo richiamo di lavoratori da altre produzioni a quell'industria. Tuttavia può avvenire che veramente si accresca la domanda di lavoro, ma per altra ragione; se la riduzione di prezzo induce i consumatori del prodotto a risparmî ulteriori, si forma un nuovo capitale che in parte sarà impiegato in domanda di lavoro e potrà determinare il riassorbimento degli operai dapprima esclusi dalla produzione. È quindi conseguenza eventuale e dipendente dalla nuova capitalizzazione, non dall'incremento della domanda di prodotti, che non determinerebbe per se stessa aumento di domanda di lavoro.

Bibl.: L. Cossa, La nozione del capitale, in Saggi di economia politica, Milano 1878; G. Ricca-Salerno, La teoria del capitale, Milano 1876; G. Montemartini, Il capitale, in Enciclopedia giuridica italiana; U. Ricci, Il capitale, Torino 1910; A. Graziani, Capitale ed interesse, in Atti della R. Accademia di scienze morali e politiche, Napoli 1923. Per una disamina di tutta la letteratura scientifica antica e recente sul capitale, vedi il vol. I del Kapital und Kapitalzins di E. Böhm-Bawerk, 3ª ed., Innsbruck 1914, e per discussioni critiche sul concetto e su altri punti della dottrina del capitale, secondo volume della stessa opera. La dottrina del Fisher fu esposta dall'A. nei varî articoli, rifusi nel libro The nature of capital and income, New York 1906. I teoremi del Mill sono esposti nei suoi Principî di economia politica, I, cap. 5°; confronta pure le considerazioni del Marshall, in Principî d'economia, tradotti anche nella Biblioteca dell'economista, 4ª s., IX, specialmente libro I, cap. 4°.

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