di Walt W. Rostow
Capitalismo
sommario: 1. Una definizione. 2. Un approccio. 3. Un quadro statistico dello sviluppo nel mondo contemporaneo. 4. Le condizioni preliminari del decollo. 5. Il decollo. 6. La marcia verso la maturità tecnologica. 7. L'elevato consumo di massa. 8. La ricerca della qualità. 9. Alcuni problemi più generali del capitalismo moderno. 10. Politica dei prezzi e dei salari: patto sociale o anarchia? 11. Relazioni tra le nazioni industriali avanzate: concordia o nuovo mercantilismo? 12. Relazioni tra nazioni a sviluppo avanzato e nazioni meno sviluppate: dallo sviluppo verso l'equilibrio o la catastrofe. □ Bibliografia.
1. Una definizione
Il concetto di capitalismo è stato distorto da due grandi dibattiti: il primo è quello avviato nel Settecento sulla giusta estensione della regolamentazione statale dell'economia, e che allora dette luogo alle intransigenti parole d'ordine del laissez-faire e del libero scambio; il secondo è il dibattito che, radicalizzandosi, si è protratto dalla seconda metà dell'Ottocento al nostro secolo, circa i relativi pregi del socialismo - e del comunismo - rispetto al capitalismo. Il risultato di questa distorsione polemica è che la definizione convenzionale del capitalismo suona pressappoco cosi: ‛un sistema economico caratterizzato dalla proprietà dei mezzi di produzione da parte di privati o di società, da investimenti determinati da decisioni di privati anziché dal controllo statale, e dal fatto che prezzi, produzione e distribuzione dei beni si determinano principalmente in una condizione di libero mercato'.
Malgrado l'ambigua attenuazione introdotta da termini quali ‛caratterizzato' o ‛principalmente', definizioni siffatte sono fuorvianti. Esse si presentano come descrizioni di ‛un sistema economico', ma in realtà di questo sistema descrivono una sola caratteristica, e cioè che al suo interno la proprietà privata del capitale e i mercati di libera concorrenza occupano un posto di sostanziale importanza. Simili definizioni presuppongono il concetto - retaggio di dispute annose - che settore pubblico e settore privato siano congenitamente concorrenziali tra loro e si trovino perciò impegnati, per usare il linguaggio della teoria dei giuochi, in un giuoco a somma zero per cui un settore necessariamente perde ciò che l'altro guadagna. Le seguenti osservazioni di R. J. Shafer, espresse in uno studio sulla pianificazione messicana, sono applicabili sia al passato che all'intero mondo contemporaneo non comunista: ‟Una delle più pericolose ipersemplificazioni presenti nelle concezioni correnti in materia di sviluppo economico è l'idea che le nazioni in via di industrializzazione si trovino di fronte a una qualche forma di dilemma tra politiche probusiness e politiche antibusiness, tra impresa privata e impresa pubblica. La versione più perniciosa di questa idea è il mito per cui l'impresa privata e le istituzioni del mercato possono espandersi soltanto se la responsabilità e l'iniziativa statale vengono rigorosamente contenute. Il caso messicano è palesemente tra quelli in cui l'intervento statale ha contribuito in varie forme a una crescita considerevole delle dimensioni e dell'influenza dell'impresa privata" (v. Shafer, 1966, p. XX).
Naturalmente, fra settore pubblico e settore privato sono sorte controversie circa questioni determinate: ad esempio su chi, in una nazione in via di sviluppo, debba avere in proprietà e gestire nuove acciaierie. Ma, su un piano più generale, definire il capitalismo con formule del tipo ‛iniziativa privata anziché controllo statale', implica una contrapposizione - fra pubblici poteri e determinazione dei prezzi e degli investimenti da parte del settore privato - molto più accentuata di quanto non risulti normalmente dall'analisi sia degli eventi storici sia della realtà contemporanea. Simili formule non colgono il fatto che una buona parte degli investimenti effettuati per ‛decisione privata' ha avuto - e ha tuttora - alla base un'esplicita intesa (che prevede spesso contributi finanziari) con le autorità pubbliche, o è avvenuta in un contesto che risentiva in modo rilevante del controllo statale. Inoltre, queste definizioni non ci dicono nulla sulle ragioni fondamentali che determinano il ruolo dello Stato in un sistema economico con componenti capitalistiche e neppure sui rapporti tra settore pubblico e settore privato.
L'ultimo punto è fondamentale, giacché sia le argomentazioni portate a sostegno dell'impresa privata, sia quelle che vorrebbero limitarla e perfino escluderla, muovono dalla medesima matrice filosofica. Questa matrice è una particolare concezione dell'individuo in rapporto alla società, che possiamo così riassumere: ogni essere umano costituisce un insieme di motivazioni e di aspirazioni, di inclinazioni e di talenti, assolutamente peculiare, e a ognuno spetta un eguale rispetto in campo morale e religioso, eguali opportunità e un'eguale posizione dinanzi alla legge. Una volta assicurata questa eguaglianza di posizioni, le società debbono quindi consentire che ciascun individuo possa esprimere al massimo se stesso per quanto è compatibile con il benessere degli altri individui e con la sicurezza della società.
Da questa concezione di base derivano alcuni enunciati con un valore tecnico in materia economica e politica: a) i mercati di libera concorrenza garantiscono agli individui il massimo di libertà decisionale; essi inoltre generano prezzi cha a loro volta conducono a una ripartizione ottimale delle risorse; il mercato di libera concorrenza dovrebbe pertanto essere preferito come metodo di organizzazione dell'economia (v. mercato); b) ma dove i mercati non sono - o non possono essere - di libera concorrenza e dove i meccanismi del mercato non sono in grado di soddisfare i bisogni di un gran numero di individui, i governi dovrebbero assumersi la responsabilità, diretta e indiretta, di assicurare la produzione desiderata; c) i governi a loro volta dovrebbero agire col consenso dei governati, consenso espresso mediante il sistema ‛un uomo, un voto'.
Da proposizioni di questo tipo (secondo le quali le inclinazioni e i giudizi degli individui modellano sia l'economia, attraverso i meccanismi del mercato, sia la politica governativa, mediante libere elezioni periodiche), deriva un vero e proprio sistema, che comprende anche i criteri della inevitabile funzione dello Stato nell'economia.
In teoria, un sistema di prezzi fondato sulla libera concorrenza e sull'espressione delle preferenze e dei giudizi personali consente agli individui di livellare l'utilità marginale relativa di tutte le merci e servizi di cui con il loro reddito possono disporre, e alle aziende di livellare, in termini di valore marginale, il prodotto netto delle differenti risorse da esse mobilitate nella produzione di beni e servizi. Inoltre, il
Nella pratica i principî e gli enunciati di questo sistema si intrecciano con ogni sorta di complicazioni, di imperfezioni e di ambiguità, che sono state analizzate e discusse per almeno tre secoli (e anzi questo tipo di discussione è ancor oggi al centro del dibattito politico nella maggioranza dei paesi democratici). Nessuna società ha raggiunto né un'economia di mercato perfettamente concorrenziale né una democrazia perfettamente rispondente al principio ‛un uomo, un voto'. E tuttavia, per iniziare un esame del capitalismo questi concetti sono il giusto punto di partenza, giacché il settore privato dell'economia deve essere considerato solo come un elemento del più complesso organismo del sistema economico-politico. Né la storia né
Questa cospicua eccezione alla regola del laissez-faire comprende l'istruzione e tutto il vasto settore degli investimenti per infrastrutture e dell'assistenza sociale. Inoltre va osservato che, sebbene Smith mirasse innanzitutto ad attaccare la politica statale nel suo paese e nel suo tempo, che limitava quella ch'egli giudicava come la sfera propria della concorrenza sia nei singoli mercati sia a livello internazionale, le sue argomentazioni si accordavano pienamente con iniziative pubbliche miranti specificamente a ripristinare condizioni concorrenziali. Egli ammetteva anche la legittimità di iniziative pubbliche tese a incoraggiare nuove attività industriali. Se prendiamo, ad esempio, gli Stati Uniti, ci accorgiamo che l'intera serie di interventi pubblici nell'economia, che dalle iniziative di
Con l'andar del tempo, coloro che accettavano quello che più tardi L. Robbins (v., 1952) avrebbe chiamato il credo ‛individualista-utilitario', hanno assunto ‛posizioni differenti su questa o quella particolare forma di intervento statale nell'economia. Ma va tenuto fermo che da Adam Smith in poi in quel credo non c'era nulla che escludesse automaticamente un ruolo attivo e non marginale dello Stato in questi come in altri campi.
2. Un approccio
Perciò in quelle che vengono chiamate economie capitalistiche il vero problema è stato - ed è tuttora - il seguente: quali sono i ruoli propri rispettivamente del settore pubblico e del settore privato e quali i rapporti tra di essi, considerando anche le strutture giuridiche, politiche e amministrative che dovrebbero disciplinare il settore privato? La nostra tesi centrale è che quelli che chiamiamo sistemi capitalisùci consistono e sono sempre consistiti in una complessa e contrastata collaborazione tra settore pubblico e settore privato, il cui equilibrio e il cui contenuto sono andati costantemente modificandosi a mano a mano che gli stadi di sviluppo si succedevano.
Come mostra il diagramma 1, quelle che normalmente designeremmo come nazioni capitalistiche (non importa se ricche o povere) arrivano a versare nelle casse dell'erario sino al 35% del Prodotto Nazionale Lordo (PNL), e ciò prescindendo interamente dalla capillare influenza esercitata sul settore privato dell'economia da leggi, regolamenti, piani di sviluppo ed enti pubblici finanziari (comprese le banche di Stato).
Grafico
È chiaro che economie siffatte non possono essere analizzate in una sorta di vuoto politico. È anzi appunto da una angolazione politico-economica che il presente articolo passa in rassegna i problemi e i modelli dell'attività economica privata e pubblica nelle società in cui è presente una sostanziale componente capitalistica.
Bisognerà anzitutto ammettere che in ciascuno stadio dello sviluppo le questioni poste dal settore privato e da quello pubblico (nonché dalle loro relazioni) sono state diverse. Dalla storia ben nota dell'
3. Un quadro statistico dello sviluppo nel mondo contemporaneo
Gli ‛stadi dello sviluppo', così come chi scrive li ha definiti, sono sei: a) la società tradizionale; b) le condizioni preliminari del decollo; c) il decollo; d) la marcia verso la maturità tecnologica; e) l'elevato consumo di massa; f) la ricerca della qualità. Essi si riferiscono al grado in cui una nazione ha assimilato in modo produttivo il complesso della tecnologia moderna, e (per l'elevato consumo di massa e la ricerca della qualità) al livello del reddito reale pro capite. Gli stadi sono individuati a seconda dei settori principali dell'economia che in determinati periodi si sviluppano più velocemente (per es., il settore tessile, le ferrovie, la chimica, la metallurgia, l'elettricità, le automobili, l'istruzione, l'assistenza medica, e così via). Questi settori in rapida crescita trascinano nello sviluppo altri settori strettamente collegati. E questi complessi settoriali, che si succedono l'uno all'altro con una certa regolarità, mantengono costante, a mano a mano che i settori più vecchi perdono slancio, il tasso globale di sviluppo.
Il grado di avanzamento tecnologico di un'economia e la fisionomia dei suoi settori guida sono in relazione al grado di opulenza (misurato ad esempio dal PNL); ma negli stadi che precedono l'elevato consumo di massa il rapporto non è costante. Un paese ricco (per es. la
Con questa avvertenza, la tab. I, elaborata da H. Chenery e dai suoi colleghi, può essere considerata come un utile anche se approssimativo quadro d'insieme di ciò che mediamente accade a mano a mano che si procede nello sviluppo economico e il PNL pro capite cresce.
Dalla tab. I risultano in particolare i seguenti elementi: a) la rapida ascesa - tra i 50 e i 200 dollari pro capite - dei tassi di risparmio e di investimento, delle entrate fiscali, delle immatricolazioni scolastiche e dell'alfabetizzazione, mentre in seguito l'aumento si fa più lento; b) il declino ininterrotto della quota del settore primario (essenzialmente l'agricoltura) e nel prodotto globale e nella manodopera totale; c) l'ascesa ininterrotta della quota della popolazione urbana nella popolazione totale, come pure della quota del settore industriale sia in termini di prodotto che in termini di manodopera, sino ai 2.000 dollari pro capite.
Tabella 1
Il decollo (la prima fase sostenuta dello sviluppo industriale) ha luogo solitamente tra i 50 e i 200 dollari pro capite (ma bisogna di nuovo ribadire che le specifiche dotazioni di risorse, e altri fattori, producono un'oscillazione considerevole nel rapporto tra stadi di sviluppo e PNL pro capite). I movimenti percentuali più cospicui negli indici chiave tendono a manifestarsi nella fase in cui una economia marcia verso i 200 dollari pro capite.
Grafico
Gli statistici hanno compiuto scarsi progressi nei loro tentativi di correlare le modificazioni della struttura industriale al processo di sviluppo (si tratta di una rilevazione essenziale, giacché la struttura industriale è estremamente sensibile alla misura in cui la tecnologia moderna è stata assimilata efficacemente da una società). Ciononostante, i calcoli del PNL pro capite, rapportati a tre gruppi di industrie (designate rispettivamente come ‛iniziali', ‛di mezzo' e ‛recenti'), offerti dal diagramma 2, consentono di andare abbastanza avanti nel collegare, per grandi paesi, l'analisi degli stadi ad analisi più globali dello sviluppo.
Come vedremo, grosso modo le industrie ‛iniziali' corrispondono ai settori guida del decollo (ivi comprese quelle tessili e di altri beni di consumo), le industrie ‛di mezzo' ai settori caratteristici della marcia verso la maturità tecnologica (inclusa, ad es., l'industria chimica), e le industrie ‛recenti' all'elevato consumo di massa (segnaliamo particolarmente le automobili e i beni di consumo durevoli).
Sulla base di questa mappa, approssimativa ma utile, dello sviluppo, possiamo incominciare a esaminare i problemi che, nel mondo contemporaneo, devono essere affrontati in ciascuno stadio delle economie caratterizzate da un settore privato di cospicue dimensioni.
4. Le condizioni preliminari del decollo
Consideriamo qui uno stadio che le analisi statistiche condotte tramite diagrammi non individuano con nettezza, ma che è ciononostante fondamentale nel processo di sviluppo: è lo stadio che io ho chiamato ‛delle condizioni preliminari del decollo'. Si tratta di un intenso periodo di modernizzazione, che precede il primo insorgere di un rapido sviluppo industriale, vale a dire il decollo. La fase delle condizioni preliminari registra in generale una crescita del PNL pro capite, ma di solito a un ritmo meno sostenuto di quanto avvenga durante il decollo e negli stadi successivi. L'
I compiti principali di questo stadio sono i seguenti:
1) creare l'infrastruttura necessaria a uno sviluppo industriale sostenuto: una rete di trasporti che consenta la formazione di un efficiente mercato interno, i porti che rendano possibile un commercio estero di più grandi dimensioni, e infine l'energia elettrica necessaria alle moderne attività commerciali, agricole e industriali (si tratta qui delle industrie ‛di partenza');
2) espandere la produzione agricola e, in generale, cominciare a modernizzare il settore agricolo (il che richiede spesso difficili trasformazioni da un lato del regime fondiario e dall'altro della tecnologia e della composizione del prodotto agricolo; ma si tratta di modificazioni indispensabili se si vuole rifornire i centri commerciali urbani in espansione e fare delle zone rurali un mercato per la produzione industriale locale);
3) aumentare la disponibilità di divise (ciò che si ottiene di solito con l'agricoltura o con la valorizzazione delle risorse naturali esportabili) al fine di consentire un incremento nell'importazione di attrezzature produttive e, in molti casi, il pagamento degli interessi sui debiti e degli stessi debiti contratti con l'estero;
4) espandere e modernizzare il sistema educativo, per poter fornire i quadri dirigenti e la manodopera necessari al funzionamento di un'economia in via di modernizzazione;
5) cominciare ad acquisire un'esperienza industriale moderna (il che avviene di solito nei settori dei materiali da costruzione, dei beni di consumo non durevoli, delle lavorazioni alimentari, della birra e delle bibite analcoliche).
Per quanto concerne il settore privato, il punto più debole delle economie che attraversano questo stadio consiste di solito nella mancanza di imprenditori moderni. Sia in passato (si pensi al
Ne segue che, poiché le nazioni cercano di costituire loro propri quadri di uomini d'affari, di dirigenti, di tecnici e di operai specializzati, tra i compiti maggiori della fase delle condizioni preliminari sono l'espansione delle istituzioni scolastiche locali e la preparazione all'estero dei giovani più dotati. Questa richiesta è resa più pressante dalla contemporanea stringente necessità di costituire a tutti i livelli una pubblica amministrazione moderna (v. amministrazione pubblica).
Possono ad esempio rendersi necessarie delle ristrutturazioni del regime della proprietà fondiaria, sia per le esigenze di modernizzazione dell'agricoltura, sia per venire incontro a rivendicazioni sociali profondamente sentite, o per entrambe queste ragioni. La riforma agraria comporta procedure giuridiche e amministrative complesse e delicate, la cui corretta e ordinata attuazione richiede un gran numero di pubblici funzionari ben preparati. Si avrà certamente necessità di nuovi istituti di credito agrario. Amministrare in modo efficiente un movimento di piccoli mutui agrari è a un tempo difficile e dispendioso. Ne segue che di solito il compito viene assunto, anziché da banche private, da banche pubbliche, le quali accettano il principio che tali operazioni abbiano anche un carattere di sovvenzione. Sarà pure necessaria un'opera di assistenza tecnica, e anche qui dovrà intervenire il settore pubblico. In questo ambito è compresa la negoziazione di accordi con governi stranieri e istituzioni internazionali (un compito delicatissimo e spesso frustrante che solo dei pubblici funzionari sono in grado di assolvere). Ci sarà bisogno di nuove strade (altro compito per il settore pubblico) e - almeno sarebbe cosa auspicabile - di una modernizzazione dei meccanismi di distribuzione atta a ridurre la quota elevata del prezzo pagato nelle città per i prodotti agricoli, che va a finire nelle tasche dei vari intermediari. Ma, soprattutto dopo la
Inoltre, nell'Africa Nera, nell'America Latina e in Asia le piccole nazioni hanno cominciato a riconoscere che una piena modernizzazione delle loro economie esigerà un'intensa cooperazione a livello regionale e subregionale. Le divisioni territoriali ereditate dal passato coloniale hanno dato origine a numerosi Stati troppo piccoli per poter offrire una base di mercato sufficiente a insediamenti industriali moderni. Sebbene i progressi compiuti in questa direzione siano rimasti sinora assai limitati, l'esperienza del Mercato comune centroamericano negli anni sessanta suggerisce che questo indispensabile sforzo di raggiungere un ampliamento smithiano del mercato richiede una collaborazione continua e altamente qualificata tra i funzionari pubblici dei paesi interessati.
Lo stadio delle condizioni preliminari del decollo è dunque per sua natura un periodo in cui le esigenze poste dall'avvio della modernizzazione della vita rurale (che interessa la stragrande maggioranza della popolazione), dalla costruzione delle infrastrutture, dalla formazione di una nuova generazione di amministratori pubblici e privati e dalla instaurazione di relazioni nuove e complesse con il mondo esterno in un periodo di aiuti stranieri e di tendenze regionalistiche, fanno pesare sull'amministrazione pubblica un carico enorme di competenze. E ciò rimane vero quando tra i principali scopi istituzionali di tali attività figuri la formazione di un moderno e competitivo settore agricolo privato e di un moderno settore industriale privato (v. agricoltura; v. industria).
Il ruolo statale nello stadio delle condizioni preliminari è sempre stato cospicuo, anche in nazioni che per le precedenti esperienze in materia di commercio, attività bancaria e produttività agricola erano bene preparate al passaggio all'industrializzazione (si pensi al caso degli Stati Uniti, del Canada, del
Sia la storia che l'esperienza contemporanea suggeriscono, in definitiva, una conclusione alquanto paradossale. Per preparare una società tradizionale o semitradizionale allo sviluppo del suo potenziale agricolo e industriale su una base essenzialmente privata è indispensabile uno sforzo pubblico massiccio.
5.Il decollo
Il decollo è un fenomeno limitato a un numero di settori relativamente ristretto e spesso solo ad alcune determinate regioni all'interno di un paese. Durante il decollo ha inizio - e si espande rapidamente - l'industrializzazione moderna. Dai settori chiave del decollo hanno origine effetti di propagazione che provocano un'espansione del mercato sia come dimensioni che come efficienza. Le città crescono in modo sproporzionato. La società subisce una sempre maggiore integrazione nell'economia internazionale ed è sempre più soggetta a cicli, a movimenti congiunturali e ad altre perturbazioni che a loro volta creano contraccolpi sulla sua vita economica e politica. L'operaio si impone come un membro sempre più importante e determinante della società e lo stesso dicasi per l'industriale e per coloro che gli forniscono crediti e servizi per i suoi stabilimenti. Ma una gran parte della società rimane ancora modellata su una più antica matrice e procede sulla strada della modernizzazione a un passo più lento, quando non resti addirittura ferma.
Malgrado la sua angusta base settoriale e regionale, il decollo dimostra a una società ch'essa è capace di entrare con successo nell'ambito dell'industrializzazione moderna. Un senso nuovo di fiducia e una percezione delle possibilità future pervadono il gruppo dirigente e la cerchia sempre più ampia degli uomini e delle donne impegnati nei settori in rapida espansione. In epoca recente abbiamo potuto osservare il fenomeno, già resoci familiare dall'esperienza storica, in paesi per altri versi tra loro così differenti come il Messico della generazione successiva al 1940 e la Corea del Sud dopo il 1963.
Per quanto concerne specificamente il settore privato, il fatto centrale è costituito dall'emergere di un gruppo di imprenditori capaci di assimilare con adeguata capacità alcuni elementi fondamentali della tecnologia moderna e di gestire un processo industriale in costante espansione, basato in parte sul reinvestimento di una elevata percentuale dei loro profitti. I settori guida del decollo sono di solito costituiti da industrie di beni di consumo non durevoli prodotti localmente in sostituzione di importazioni, al riparo delle barriere tariffarie innalzate dallo Stato. Le attrezzature necessarie sono, rispetto agli standard moderni, piuttosto modeste e sono sufficienti unità industriali di dimensioni relativamente ridotte.
Lo stadio del decollo è accompagnato, nel mondo contemporaneo, da alcuni problemi che gli sono peculiari e che derivano tutti dal suo intrinseco squilibrio. Di questi problemi quattro si sono rivelati di particolare importanza nel determinare le relazioni economiche tra settore pubblico e settore privato: i problemi connessi alla produttività dell'agricoltura e alla modernizzazione della vita rurale; i problemi regionali; il controllo dell'inflazione; le relazioni economiche con il mondo esterno.
In linea generale, all'indomani della seconda guerra mondiale, l'industrializzazione è stata considerata come il contrassegno stesso della modernità. Ciò ha pesato in un primo tempo sull'elaborazione dei piani di sviluppo (adottati negli ultimi due decenni da quasi tutti i paesi in via di sviluppo). Ci fu cioè inizialmente una sistematica tendenza ad accordare la priorità all'industria piuttosto che all'agricoltura. Argomentazioni semplicistiche basate sulla più elevata produttività marginale del lavoro nell'industria vennero a rafforzare la considerazione istintiva che l'agricoltura fosse, in un certo senso, un tipo di attività semicoloniale. Le teorie dello sviluppo - sia quelle occidentali che quelle del mondo comunista - mancarono di cogliere adeguatamente gli effetti dinamici che un settore agricolo in vigorosa espansione avrebbe prodotto sulla crescita industriale. Durante gli anni cinquanta e nei primi anni del decennio successivo la disponibilità di eccedenze agricole americane a buon mercato accentuò la tendenza a destinare scarse risorse d'investimento all'industria e a dedicare un'attenzione sproporzionata ai problemi urbani, al fine di attenuare le tensioni presenti nelle città, caratterizzate da una crescita rapida e da continue trasformazioni.
Stante l'elevato tasso di incremento della popolazione nel mondo in via di sviluppo, questa politica cominciò a dar luogo a pericolose penurie di generi alimentari, segnatamente in due tra i maggiori paesi che nello scorso decennio erano in fase di decollo: l'India e il
Nel periodo 1965-1967 due eventi mutarono la situazione, almeno temporaneamente. Lo shock prodotto da una serie di successivi raccolti fallimentari nel subcontinente indiano fece sì che in questa come in altre aree fosse attribuita maggiore importanza allo sviluppo dell'agricoltura; e la disponibilità di nuove varietà di frumento e di riso (frutto di ricerche condotte in Messico e nelle Filippine) consentì un balzo in avanti nel rendimento per acro, paragonabile solo a quello ottenuto nell'Irlanda del Seicento con la coltivazione su larga scala della patata.
La ‛rivoluzione verde' degli anni sessanta pose d'altra parte problemi peculiari circa il modo di strutturare l'agricoltura. Per rendere al massimo, le nuove sementi richiedevano l'uso intensivo di fertilizzanti chimici e di insetticidi e anche appropriate condizioni di umidità, che soltanto l'irrigazione poteva assicurare. Ora, mentre gli agricoltori relativamente benestanti, con disponibilità di capitali, erano in grado di mettere pienamente a frutto queste nuove sementi, ciò non era possibile per i più poveri. Nella società rurale si manifestò così una tendenza verso la radicalizzazione delle tensioni sociali, malgrado gli effetti di segno opposto dell'accresciuta produzione e degli aumentati redditi del settore agricolo nel suo complesso (v. agricoltura).
Del resto, prescindendo dalla ‛rivoluzione verde', in alcuni casi persistevano ancora in pieno periodo di decollo problemi relativi al regime fondiario. Valga l'esempio dell'
D'altro canto, l'evoluzione dell'agricoltura in Messico durante la fase di decollo mise in chiara evidenza il fatto che mutamenti anche drastici del regime fondiario non costituiscono una panacea. La rivoluzione messicana degli anni 1910-1920 era sfociata nella creazione del sistema degli ejidos. La proprietà della terra era concessa senza condizioni al contadino nel quadro di una struttura collettiva. Le limitazioni poste alla facoltà del contadino di vendere o comprare terra, le dimensioni modeste degli appezzamenti individuali e l'inefficienza nella gestione;degli ejidos fecero sì che gli incentivi all'aumento della produttività fossero, nel complesso, inadeguati. Avvenne così che durante il decollo messicano (diciamo negli anni 1940-1960) la produzione industriale aumentasse bensì rapidamente, ma le comunità integrate nel sistema degli ejidos rimanessero povere. Il Messico fu in grado di provvedere alle proprie necessità alimentari soltanto perché le terre sottratte al sistema degli ejidos (particolarmente nello stato di Sonora) conobbero uno sviluppo secondo direttrici di concentrazione di capitale, dando luogo a un'agricoltura su vasta scala, paragonabile all'agricoltura commerciale della California.
La condizione privilegiata, politica e sociale, concessa dalla rivoluzione al fondo contadino entrava in conflitto in modo sempre più grave e drammatico con le esigenze di produttività dell'agricoltura messicana e anzi con le vitali necessità economiche delle stesse comunità rurali (v. agricoltura).
Un secondo problema del decollo deriva dalle difformità regionali che lo caratterizzano agli inizi. Per esempio, durante il decollo brasiliano (diciamo a partire dalla metà degli anni trenta),
In
In linea generale, i paesi che hanno attraversato lo stadio delle condizioni preliminari del decollo sono stati in grado di risolvere i loro problemi economici senza gravi fenomeni inflazionistici. Il grosso della popolazione è, in questa fase, ancora impegnato nell'agricoltura tradizionale, che spesso ha solo deboli legami con i mercati moderni. Ma l'avvento del decollo porta con sé accresciute esigenze per lo Stato di mezzi finanziari, fatto che si riflette in un incremento delle entrate fiscali dal 9,8% del reddito nazionale (con un PNL pro capite pari a 50 dollari del 1964) al 16,7% (PNL pro capite di 200 dollari), come mostra la tab. I. In parte questa pressione nasce da un fatto tecnico: l'accelerazione dell'attività industriale durante il decollo aumenta il ritmo dell'urbanizzazione e aumentano in proporzione le richieste di infrastrutture (energia elettrica, trasporti, ecc.). Il che significa necessità di maggiori investimenti pubblici. Inoltre, il fatto che uno sviluppo rapido (pur se su un fronte limitato) si sia dimostrato una possibilità realistica, stimola le richieste della manodopera urbana in materia e di servizi sociali e di incrementi salariali. E tali pressioni tendono ad assumere forme politiche sempre più efficaci.
In America Latina, ad esempio, il decollo è stato accompagnato da un passaggio del potere politico dalle mani della vecchia classe fondiaria in quelle degli uomini nuovi delle città. È venuta alla ribalta in politica una serie di leaders di stampo peronista (citiamo tra gli altri Perez Jiménez in
Queste nuove costellazioni di potere contribuiscono a spiegare la tendenza a trascurare l'agricoltura durante il decollo. Esse hanno anche provocato il sorgere di richieste che l'economia e l'erario pubblico non erano semplicemente in grado di soddisfare. Sottoposti a pesanti pressioni, gli Stati hanno fatto ricorso, per far quadrare i conti, all'indebitamento tramite le banche centrali e quindi al- l'inflazione.
Anche in Messico, pur con il suo potente partito politico dominante (il Partito Rivoluzionario Istituzionale), per arrivare a domare l'inflazione c'è voluto del tempo. Nell'India ormai esausta, la conciliazione degli interessi realizzata dal Partito del Congresso ha consentito, in un modo che ha del miracoloso, di passare - sia pure faticosamente - attraverso la fase di decollo e di procedere oltre senza eccessive spinte inflazionistiche. Ma in molti paesi latino-americani - e in altri anch'essi impegnati nel decollo - indifferibili richieste di pubblici investimenti e accese rivendicazioni di espansione dei servizi pubblici, che era impossibile soddisfare interamente con le risorse disponibili, hanno prodotto l'inflazione. In ultima analisi, il fallimento è stato non economico, ma politico. A queste società è mancata l'unità politica necessaria per definire una scala di priorità e tenere sotto controllo le opposte fazioni politiche senza ricorrere all'inflazione.
Tutto ciò ha complicato le relazioni con il mondo esterno. Va infatti tenuto presente che dopo la seconda guerra mondiale si è andata costituendo una serie di istituzioni e di accordi internazionali, che hanno influenzato profondamente sia la politica monetaria nel mondo in via di sviluppo, sia la disponibilità di capitali per l'espansione di entrambi i settori, pubblico e privato. Un'inflazione prolungata tende a generare i propri antidoti: con l'aumento dei prezzi interni i tassi di cambio s'indeboliscono e il capitale privato defluisce all'estero, mentre quello che rimane nel paese viene investito in terreni é in altri beni che lo mettano al riparo dall'inflazione. La tensione sociale aumenta poiché i lavoratori lottano senza successo per compensare con salari più elevati l'aumento del costo della vita; chi percepisce redditi fissi è danneggiato e protesta; e infine la posizione della bilancia dei pagamenti peggiora a causa non soltanto della fuga dei capitali, ma anche del fatto che i prezzi delle esportazioni sono fissati in relazione non al mercato interno ma a quello internazionale. Nel mondo moderno arriva un momento in cui
Da questi negoziati, che si svolgono spesso in una situazione che è ormai di crisi politica non meno che economica, nascono programmi di assistenza la cui applicazione viene però condizionata all'accettazione da parte del paese richiedente di una medicina interna piuttosto amara: restrizioni di bilancio, aumenti delle imposte, svalutazione, impegno a evitare aumenti di rilievo dei prezzi e dei salari, che distruggerebbero rapidamente gli effetti salutari della svalutazione.
Così alcuni aspetti, tra i più essenziali e politicamente delicati, della politica economica interna, sia pubblica che privata, vengono a intrecciarsi con la diplomazia, inclusa quella nuova dimensione della diplomazia che è legata a istituzioni internazionali a controllo multilaterale.
Nella situazione dei primi anni settanta la vita di un paese che attraversasse la fase di decollo si trovava a essere strettamente connessa con il mondo esterno anche in circostanze meno drammatiche.
È evidente che questo tipo di accordi internazionali accresce il ruolo dello Stato all'interno dei paesi interessati.
D'altro canto la dottrina dello sviluppo che si è affermata nella comunità mondiale nell'ultimo venticinquennio, ottenendo in un modo o nell'altro il consenso dei gruppi dirigenti sia dei paesi più avanzati che di quelli in via di sviluppo, è, per quanto riguarda la questione dell'iniziativa pubblica o privata, decisamente pragmatica. Alle nazioni in via di sviluppo si riconosce un ampio margine di manovra nel determinare la misura in cui lo Stato avrà in proprietà e gestirà impianti industriali. I prestiti sono concessi indifferentemente per i settori pubblico e privato.
I prestiti internazionali vengono destinati alle banche statali soprattutto al fine di incoraggiare l'iniziativa privata sia nell'industria che nell'agricoltura; ma l'assistenza internazionale viene concessa anche alle imprese possedute e gestite dallo Stato.
Riassumendo: i paesi in fase di decollo hanno oggi settori pubblici importanti, più vasti, nell'insieme, di quanto avvenisse nei paesi che li hanno preceduti sulla via dello sviluppo prima del 1914. L'impegno della comunità internazionale in appoggio allo sviluppo ha agito nel senso di incoraggiare questa tendenza. Ma questo fatto si è dimostrato compatibile con l'emergere durante il decollo di settori privati vitali sia nell'industria che nell'agricoltura.
6. La marcia verso la maturità tecnologica
La marcia verso la maturità tecnologica copre un periodo più lungo rispetto aildecollo. Durante questo stadio le economie oltrepassano l'angusta base tecnica e regionale del decollo e applicano più o meno pienamente tutto ciò che il progredire ininterrotto della scienza e della tecnologia mette loro a disposizione. Storicamente - ma anche nel mondo d'oggi - questo è il momento in cui l'industria siderurgica, l'industria metalmeccanica, l'industria chimica e l'industria elettrica acquistano una funzione di guida; va però rilevato che il flusso sempre crescente delle invenzioni ha modificato il contenuto tecnologico di questi vasti settori industriali. Il processo di modernizzazione, in senso lato di industrializzazione, investe l'agricoltura, le cui forze di lavoro declinano incessantemente. Nella maggior parte dei casi le città conquistano il predominio nella vita politica e sociale, malgrado gli sforzi tenaci dell'agricoltura per conservare le sue antiche prerogative politiche. Il sistema dell'istruzione viene riorganizzato per venire incontro alle richieste perentorie dell'industrializzazione progressiva, anche se il conservatorismo congenito alle istituzioni scolastiche causa ritardi rilevanti e talvolta costosi. La burocrazia si espande, assume nuove funzioni connesse alla modernizzazione economica e sociale e diventa sempre più specializzata.
È inoltre nel corso della marcia verso la maturità tecnologica che un efficiente sistema di comunicazioni arriva a coprire l'intero territorio nazionale, modificando in modo rilevante la quota di popolazione collegata da un lato ai mercati commerciali e dall'altro alla vita politica nazionale. Nelle società rette da principî democratici avviene generalmente che l'elettorato si ampli; nelle società autoritarie il problema di rendere docili, apatiche o soddisfatte popolazioni urbane di vaste dimensioni e meglio istruite richiede metodi nuovi di appagamento, di persuasione e di controllo.
In questo periodo si tende ad accettare l'industrializzazione progressiva come il compito fondamentale della società e coloro che la dirigono, nel settore pubblico come in quello privato, hanno mano libera. Ma a mano a mano che il processo avanza si sviluppa una reazione, in una forma o nell'altra, contro le frizioni e le sperequazioni che questa industrializzazione generalizzata può portare con sé. Si producono spinte a favore di riforme sociali che smussino le punte più aspre, per una distribuzione del reddito più equa e per l'una o per l'altra forma di controllo politico sulle grandi concentrazioni di potere industriale. Si chiede che una parte delle accresciute entrate potenziali dello Stato, fornite dall'industrializzazione, abbia un impiego politico e sia utilizzata per servizi sociali anziché reinvestita o dispersa nel consumo privato.
Il crescere del reddito pro capite e un'amministrazione più efficiente producono un aumento delle entrate fiscali e consentono allo Stato di venire incontro a queste pressioni, destinando alla loro soddisfazione risorse reali sostanzialmente maggiori che per il passato.
Storicamente, il periodo della marcia verso la maturità tecnologica coincide per il mondo occidentale grosso modo con gli anni tra il 1870 e il 1914; per il Giappone e la Russia (poi URSS) più o meno con gli anni dal 1905 sino alla piena ripresa dopo la seconda guerra mondiale, ripresa che si verificò all'inizio degli anni cinquanta.
Nel mondo non comunista, negli anni sessanta e all'inizio degli anni settanta le nazioni impegnate in questo stadio sono soprattutto Formosa, l'Irān, la Turchia e un buon numero di paesi latino-americani. L'India costituisce un importante caso a sé, che sarà discusso brevemente al termine di questo capitolo.
Per quanto concerne le relazioni tra settore privato e settore pubblico, due diverse tendenze sembrano operanti in questo stadio dello sviluppo.
Da un lato abbiamo parecchi fattori che tendono a incoraggiare un ruolo sempre maggiore del settore privato: a) l'esperienza di una generazione che ha vissuto la fase di decollo amplia il numero e la competenza delle persone capaci di dirigere il processo industriale; b) la diversificazione dell'industria nei ben delimitati e specializzati settori della siderurgia, della metallurgia, della chimica e dell'elettronica giustifica l'importanza di una maggiore fiducia nel settore privato, in società che non siano controllate da coloro che sono ostili per principio a questo indirizzo, visto che una pianificazione centrale particolareggiata diviene sempre più difficile a mano a mano che il processo industriale si fa più complesso e diversificato; c) i bisogni alimentari delle città in rapida espansione, la necessità di materie prime nell'industria, anch'essa in rapida espansione, e la diffusione nelle campagne della tecnologia moderna e di metodi di marketing hanno per effetto una diversificazione della produzione agricola e un passaggio a metodi produttivi caratterizzati da una maggiore concentrazione di capitale: processi anche questi gestiti più efficientemente dal settore privato che da quello pubblico.
Nella generalità dei casi, quindi, durante la marcia verso la maturità tecnologica è dato osservare un ampliarsi del raggio d'azione e un miglioramento qualitativo dell'attività imprenditoriale nel settore privato sia industriale che agricolo. Il fenomeno è ad esempio agevolmente osservabile, all'inizio degli anni settanta, in Messico, Brasile, Irān, Formosa e India.
Tabella 2
Nel mondo contemporaneo, nella fase delle condizioni preliminari del decollo, lo Stato è l'artefice principale della modernizzazione; a mano a mano che si procede con il decollo, limitatamente a particolari settori e regioni, emergono dinamiche imprese private; infine, quando la tecnologia moderna si diffonde negli altri settori - e penetra più a fondo nelle campagne - il settore privato comincia ad esprimersi più pienamente.
Ma contemporaneamente operano altre tendenze, i cui effetti vanno nel senso di accrescere il ruolo dello Stato.
1. La pianificazione nazionale diviene più elaborata e la sempre maggiore efficienza della pubblica amministrazione la rende più efficace.
2. I servizi sociali hanno una forte espansione, richiedendo sempre maggiori risorse reali al fine di venire incontro all'enorme aumento della manodopera industriale e della popolazione urbana in generale.
Questa tendenza verso le spese sociali, tipica della marcia verso la maturità tecnologica dal tempo di
Durante i mandati di Camacho, Alemán e Ruiz Cortines (1940-1950, periodo di decollo) predominano le spese pubbliche con finalità economiche (comunicazioni, opere pubbliche, irrigazione, credito agricolo, investimenti in aziende pubbliche, e così via). Il mandato di López Mateos (1959-1964) segna l'inizio del cammino verso la maturità tecnologica, che continua nel decennio successivo e che vede crescere il peso relativo degli stanziamenti statali per l'istruzione, per l'assistenza sanitaria, per la
3. L'accresciuto potenziale dell'economia prodotto dal rapido sviluppo può provocare una domanda di importazioni cui non corrisponde una disponibilità sufficiente di divise estere, e ciò può risolversi a sua volta in un più stretto controllo statale sulle importazioni.
4. Lo sviluppo dell'economia nei nuovi settori tecnologicamente avanzati pone allo Stato importanti problemi politici, particolarmente per quanto concerne il controllo dell'industria da parte del capitale straniero.
Quest'ultimo problema durante la fase della marcia verso la maturità tecnologica tende ad acutizzarsi. E ciò per due distinte ragioni. Innanzitutto, con l'aumento numerico e il miglioramento qualitativo dei quadri locali, degli imprenditori, dirigenti, tecnici, ecc. e con il crescere della fiducia nella capacità della nazione di gestire in proprio il complesso delle attività industriali moderne, cresce anche il risentimento contro la proprietà di risorse e di impianti da parte del capitale straniero, frutto di negoziati stipulati in fasi precedenti dello sviluppo. Nel periodo delle condizioni preliminari del decollo, accettare la proprietà e la gestione straniere di società elettriche e telefoniche era cosa naturale. Ma dopo che una generazione è andata avanti nel processo di modernizzazione, tale situazione appare anomala: i dirigenti e i tecnici locali sono in grado di fare
In secondo luogo abbiamo le nuove industrie, nate nella fase della marcia verso la maturità tecnologica. In questo caso le ragioni per accettare la presenza in misura significativa di società di proprietà straniera sono abbastanza chiare: le aziende straniere forniscono capitale, tecnologia e direzione che non possono esser trovati in loco se non a un costo eccessivo, in termini di altre possibilità di sviluppo. In alcuni casi (per es. il Messico, l'Iran degli anni sessanta e il Brasile dopo
Invece, nei paesi latino-americani più piccoli, già passati attraverso il decollo, come ad esempio in Cile, in Perù e in Venezuela, il problema si è rivelato più arduo. A spiegare la gravità delle difficoltà in questi e in altri analoghi casi dell'America Latina concorrono parecchi fattori: a) la proprietà straniera controllava materie prime di base, con reazioni emotive del tipo ‛il nostro sacro suolo' (è questo il caso del rame cileno e del petrolio venezuelano); b) la questione della proprietà straniera si prestava agevolmente a essere utilizzata per movimentare la politica nazionale, distraendo la popolazione da altre più dure frustrazioni; c) i leaders latino-americani erano incapaci di progredire sulla via dell'integrazione economica.
Quest'ultimo fattore, che ha rafforzato i timori di una dominazione economica straniera, ha le sue radici nelle caratteristiche dello stadio iniziale del processo di industrializzazione nella maggior parte dell'America Latina.
Nei paesi sudamericani più avanzati il decollo può esser fatto risalire alla metà degli anni trenta, anche se sporadiche iniziative industriali moderne erano state introdotte in epoca precedente. La ‛grande depressione' ridusse drasticamente i proventi delle esportazioni e - al riparo di solidissime barriere protezionistiche - furono creati impianti tessili e altre industrie leggere destinate a sostituire le importazioni. Intorno alla fine degli anni cinquanta questi settori persero slancio e cominciarono a muoversi i settori chiave dello stadio successivo: siderurgia e metallurgia, fertilizzanti, cellulosa e carta, l'elettronica più semplice, ecc.
Ma il decollo aveva lasciato in eredità una situazione estremamente difficile.
In assenza di concorrenza all'interno, e dato che le necessità di divise estere continuavano a essere assicurate dalle esportazioni agricole tradizionali, l'industria rimase a un livello di scarsa efficienza economica. Diversamente da quanto è accaduto, per es., nel caso del Giappone, della Corea del Sud e di Formosa, nei nuovi settori manifatturieri non si manifestò alcuna tendenza al controllo della qualità e alle esportazioni. I prezzi venivano fissati, in una situazione di monopolio, sulla base di larghi sovraprofitti e di bassi tassi di utilizzazione degli impianti. L'esistenza di una vasta capacità produttiva inutilizzata era accettata come normale. In qualche caso i mercati erano assai ristretti e si facevano pochi sforzi per espanderli mediante moderni metodi di distribuzione, capaci di raggiungere gli strati più poveri della popolazione. Non appena la classe media (che in genere non assolve i suoi obblighi fiscali) raggiungeva livelli di reddito compatibili con il possesso di un'automobile, venivano introdotti nel paese stabilimenti di montaggio per una pluralità di modelli con conseguenti alti costi di gestione. E la varietà dei modelli limitava la produzione locale di singoli pezzi ai soli pneumatici e alle batterie, e quindi impediva il sorgere di industrie intermedie.
Pressati dal loro elettorato urbano, i governi si sono impegnati in una politica sociale che, a parte le massicce spese amministrative, non poteva tradursi in una ridistribuzione significativa delle risorse reali, dati i livelli delle entrate pubbliche, gli irregolari tassi di sviluppo e uno stato endemico di inflazione. E le imprese possedute e gestite dallo Stato venivano largamente utilizzate a fini politici, con il risultato che spesso funzionavano soltanto a prezzo di pesanti sovvenzioni.
Infine, la modernizzazione della vita rurale fu trascurata in tutti i suoi possibili aspetti: come fonte di cibo, come mezzo per procurarsi divise estere e come mercato per i prodotti industriali.
In questo contesto di inefficienza e di cattivo sfruttamento delle risorse (cui hanno contribuito attivamente sia il settore pubblico che il settore privato) si è dimostrato difficile introdurre su base razionale quelle industrie ad alta concentrazione di capitale che la marcia verso la maturità tecnologica richiede. Giacché una cosa è avere uno stabilimento tessile inefficiente, e una faccenda completamente diversa trovarsi sulle braccia come un elefante bianco una acciaieria o una fabbrica di fertilizzanti chimici.
È dunque sempre più chiaro che l'America Latina potrà avanzare a un ritmo costantemente elevato nei settori chiave della marcia verso la maturità tecnologica solo se compirà radicali passi in avanti quanto a efficienza. L'insieme delle protezioni doganali ereditate dalla fase di industrializzazione, caratterizzata da produzioni sostitutive delle importazioni, insieme alle modeste dimensioni di molti mercati nazionali latino-americani, impediscono agli esponenti e del potere pubblico e di quello privato politiche razionali di investimento, di produzione e di mercato proprio nei confronti delle industrie ad alta concentrazione di capitale. Giacché in molti casi l'introduzione efficace di queste tecnqlogie richiede una fase di importazione di capitali stranieri e almeno di alcuni nuclei di dirigenti e tecnici stranieri, la mancanza di una politica statale chiara e rassicurante verso il ruolo degli investimenti privati stranieri ha costituito un ulteriore ostacolo a un progresso in questi settori.
Molto approssimativamente, possiamo dire che qualche progresso in questa direzione è stato compiuto nel corso degli anni sessanta, particolarmente in Brasile dopo il 1965 e in Argentina, sotto Ongania e i militari che gli sono succeduti. Ma, anche sotto la guida dei regimi militari, il retaggio del passato si cancella solo lentamente e in modo diseguale.
La percezione della necessità urgente di una trasformazione strutturale in direzione dell'industria pesante e dei grandi complessi manifatturieri è alla base dei passi compiuti da numerosi leaders latino-americani a favore dell'integrazione economica, la quale appare appunto come la via comune meno ardua per realizzare efficienza concorrenziale, controllo della qualità e apertura verso le esportazioni nella misura richiesta. Il superamento dei retaggi protezionistici e monopolistici lasciati dalla prima fase del processo di industrializzazione sarà indubbiamente, insieme con l'assimilazione di una tecnologia appropriata, un decisivo banco di prova della politica economica latino-americana degli anni settanta, e saranno questi fattori a determinare, almeno in parte, il ritmo e la regolarità con cui procederà la marcia verso la maturità tecnologica.
Come già durante il decollo, anche nello stadio successivo può persistere il problema dell'inflazione. Le società in fase di marcia verso la maturità tecnologica sono anzi particolarmente soggette all'inflazione. Avendo dimostrato durante il decollo di poter padroneggiare, anche se in una gamma ristretta di attività, la tecnologia e l'industria moderne, si ritiene giustamente che una piena modernizzazione della società sia una possibilità realistica. Si manifesta così il desiderio di godere subito di benefici economici per ottenere i quali occorrono invece ancora una o due generazioni di progresso ininterrotto. Questa impazienza si traduce in potenti pressioni per una dilatazione della spesa pubblica che i governi non hanno la capacità politica di tenere a freno e cui d'altronde le risorse fiscali non consentono di far fronte. Ciò si è verificato particolarmente nell'Argentina, nel Brasile, nel Cile e nell'Uruguay degli anni sessanta, e l'inflazione derivatane è stata assai grave.
L'inflazione distorce l'orientamento degli investimenti. Essa determina tassi di cambio che tendono a restare indietro rispetto ai loro livelli reali, e di conseguenza a rendere le esportazioni difficili, e tende inoltre a far sì che negli affari si cerchi non già di massimizzare la produzione a prezzi bassi, ma piuttosto di individuare quel tipo di produzione e quel livello di prezzi che costituiscano il miglior riparo contro l'inflazione medesima. Ciò crea un'atmosfera entro la quale il lavoratore, che lotta ciecamente per difendersi dall'inflazione, perde qualsiasi senso del nesso che lega produttività e salari.
In termini politici e sociali, l'inflazione scatena ciascuna componente della società contro le altre. Essa impedisce quell'unificazione del popolo attorno a un obiettivo e a un programma nazionale che è essenziale perché una società si modernizzi in modo ragionevolmente ordinato. In un contesto di aspettative inflazionistiche la gente è inevitabilmente indotta a ricercare la ‛polizza di assicurazione' che la garantisca di più. Il fatto poi che questo sforzo generale di trovare la propria ‛polizza d'assicurazione' produca ulteriore inflazione, è un fenomeno di cui il singolo individuo o gruppo, che opera isolatamente, non è assolutamente in grado di tener conto.
L'inflazione latino-americana è come un cane che si morda la coda. Attualmente essa è non tanto un fenomeno economico, dato l'aumento delle entrate fiscali e del flusso di mezzi finanziari dall'estero, quanto piuttosto il riflesso di uno stato di frammentazione politica e sociale e di abitudini in materia di prezzi e di salari pubblici e privati, le quali sono state alimentate appunto da questo retroterra.
Nei paesi in fase di marcia verso la maturità tecnologica nei quali l'inflazione è stata in gran parte o del tutto contenuta, il risultato è stato ottenuto da regimi autocratici (per es. in Irān) o da governi democratici basati sia su un partito politico grande, ma non unico, sia su un'ampia coalizione (si vedano i casi del Messico e del Venezuela). Raggruppamenti siffatti sono talvolta riusciti (ma non sempre e non senza rovesci) a negoziare un consenso sulle priorità, tale da consentire allo sviluppo di procedere mantenendosi entro i limiti fissati dalle risorse finanziarie fornite dalle entrate fiscali e dagli interventi stranieri. Ma questo non basta; occorre un patto sociale nel cui quadro lavoratori, industria e governo giungano ad accordarsi non soltanto su norme che leghino gli aumenti salariali all'aumento della produttività, ma anche su come evitare che una tale regolamentazione sia utilizzata per accrescere la quota delle risorse che va a costituire i profitti.
Nelle società in cui la manodopera si sposta rapidamente dalle campagne alle città la cosa non dovrebbe, in linea teorica, essere troppo difficile. Il potere contrattuale delle classi lavoratrici nel loro complesso è relativamente modesto, eccezion fatta per alcuni sindacati che organizzano operai specializzati o per altri che hanno istituito rigidi controlli corporativi per nuove ammissioni. Inoltre, i salari reali dei lavoratori sono in generale estremamente vulnerabili rispetto all'inflazione e una strategia di sviluppo non inflazionistica verrebbe incontro soprattutto agli interessi dei lavoratori dell'industria e dell'intera comunità. Ma anche in regime militare la latente frammentazione sociale e politica, non esclusa la nefasta concorrenza tra capi sindacali, ha reso enormemente difficile mantenere un'armonia tra
Va peraltro detto che in ciò le società in fase di marcia verso la maturità tecnologica non fanno che condividere, sia pure in forma esasperata, un problema presente allo stato endemico anche in società tecnologicamente più avanzate e opulente (v. sotto, cap. 10).
L'evoluzione dell'India e le sue prospettive ne fanno un caso particolare tra i paesi in fase di marcia verso la maturità tecnologica, e meritano una menzione a parte. L'India odierna è andata oltre l'industria tessile e dei beni di consumo non durevoli (attività caratteristiche del decollo), ed è entrata in uno stadio in cui la crescita è sostenuta dagli alti tassi di incremento dell'industria siderurgica e metalmeccanica, dell'industria chimica e di quella elettronica grazie a una efficace assimilazione delle tecnologie. Come mostra la tab. III.
Tabella 3
D'altro canto, l'India è un paese enorme con una popolazione superiore ai 550 milioni di unità. I suoi settori industriali, tecnologicamente sempre più avanzati, sono inseriti in un enorme settore agricolo, dalla produttività discontinua, che assorbe ancora più dell'80% della popolazione. La ‛rivoluzione verde' degli anni sessanta ha accresciuto la produzione agricola nel suo insieme di qualcosa come il 5% all'anno, generando al tempo stesso il fenomeno, ormai consueto in agricoltura, della radicale discriminazione tra coloro che sono in grado e coloro che non sono in grado di mobilitare il capitale necessario alla piena utilizzazione delle nuove sementi. Il risultato è una nazione con un PNL pro capite estremamente basso (intorno ai 100 dollari), contrassegnata da una grande disparità in materia di livelli di reddito e di tassi di sviluppo. L'India figura così, nel- l'ambito dei paesi in via di sviluppo, tra i più poveri, ma anche tra i tecnologicamente più avanzati.
In nome del socialismo democratico, in India il settore pubblico ha avuto una parte importante nello sviluppo. Esso vanta non soltanto la formulazione di una serie di piani quinquennali, ma anche la proprietà di servizi pubblici, di un buon numero di stabilimenti industriali nel campo dell'industria pesante e di una gran parte del sistema bancario; infine esercita un minuzioso controllo sulle importazioni nonché sull'afflusso di capitale privato. All'interno di questo contesto pesante - e spesso inefficiente - di controllo pubblico diretto e indiretto, il settore agricolo è in mani private, e lo stesso vale per alcune delle componenti più dinamiche del settore industriale, caratterizzato dall'emergere di una nuova e ben preparata generazione di imprenditori privati. Giovani che in passato avrebbero optato per un impiego pubblico o per la vita accademica, oggi entrano invece, in un numero sempre maggiore, nell'industria indiana. Condizionata e limitata da un lato nella disponibilità di crediti esteri e dall'altro nella propria capacità di espandere le esportazioni, l'India sta costruendo la sua industria (non diversamente dalla Cina comunista) partendo dalla sostituzione delle importazioni e dallo sfruttamento del suo vasto, se pur povero, mercato interno.
Tra le nazioni contemporanee in via di sviluppo, l'India costituisce un esempio particolarmente chiaro di come, nello stadio della marcia verso la maturità tecnologica, si possa far coesistere un settore privato sempre più dinamico e un forte e invadente settore pubblico (v. anche sottosviluppo e terzo mondo).
7. L'elevato consumo di massa
L'elevato consumo di massa è lo stadio dello sviluppo dominato dalla diffusione, di cui beneficia un'alta percentuale di famiglie, dell'automobile, dei beni di consumo durevoli e della casa di abitazione in centri residenziali periferici. Esso ha inizio quando il PNL pro capite raggiunge i 600 dollari, e si prolunga per circa un ventennio di prosperità. La lunghezza del periodo in cui questo processo domina lo sviluppo dipende in parte dal tasso di incremento dello stesso reddito pro capite. Ma dipende anche da fattori geografici (nella misura in cui questi influiscono sulla densità automobilistica), dalla distribuzione del reddito e anche, talvolta, dalle differenze nei gusti dei consumatori delle diverse nazioni. Altri fattori importanti sono l'elasticità della domanda in rapporto al reddito e le decisioni politiche in materia di ripartizione delle risorse tra consumi, redditi privati e servizi pubblici. Ma sinora la tendenza degli individui a optare per l'automobile e per tutti i suoi impieghi sembra, una volta raggiunto un certo livello di reddito pro capite, trascendere i confini nazionali e la diversità delle culture o delle ideologie dei regimi al potere.
Nel mondo contemporaneo l'automobile e la produzione automobilistica svolgono un ruolo importante già a livelli del PNL pro capite inferiori ai 600 dollari. Nella grande maggioranza dei paesi in via di sviluppo il mezzo di trasporto principale non è la ferrovia ma l'autocarro; e la classe media (ivi compresi i pubblici funzionari) giunge al possesso dell'autovettura privata e ai beni di consumo durevoli anche nei paesi meno avanzati. Stabilimenti di montaggio di automobili aprono i battenti assai presto, spesso già durante il decollo, e una crescita rapida nella produzione locale di pezzi di ricambio per autovetture è una caratteristica tipica della marcia verso la maturità tecnologica (così ad es. in America Latina, in Irān, a Formosa e in India).
Ma, se è vero che questo impegno nella produzione automobilistica assolve un suo preciso ruolo nel far avanzare lo sviluppo industriale già nella fase della marcia verso la maturità tecnologica, tuttavia questo stadio giunge al suo pieno sviluppo soltanto quando il reddito pro capite ha raggiunto un livello tale da rendere possibile un mercato locale di massa.
La pubblica dichiarazione di
A tutt'oggi la produzione, la vendita e l'uso di massa dell'automobile sono stati, in virtù dei loro molteplici effetti, la più importante innovazione del Novecento, come la ferrovia lo era stata dell'Ottocento. Quello dell'automobile è divenuto un mercato rilevante anche se non egemonico per i prodotti siderurgici e metalmeccanici, per la gomma, il vetro, il petrolio e per le più semplici applicazioni dell'elettronica. L'automobile ha ristrutturato gli insediamenti urbani secondo direttrici periferiche; ha collegato i mercati rurali a quelli urbani in modi nuovi e più flessibili; ha creato la necessità di grandi organizzazioni di vendita e di servizi di assistenza, nonché una massiccia richiesta ‛sociale di strade e attrezzature di parcheggio; ha, infine, svolto un ruolo determinante in una rivoluzione sociale che tocca tutti i modi di vita, dalle abitudini di corteggiamento alle tecniche di fuga dei rapinatori di banche. L'automobile è stata inoltre accompagnata, e in vari modi indirettamente collegata, a un grande balzo in avanti della produzione di svariati beni di consumo durevoli e di cibi conservati, i quali, a mano a mano che l'aumento dei redditi e la vita in centri residenziali periferici rendevano il personale di servizio troppo costoso e inaccessibile, hanno finito con l'invadere le case: le macchine lavatrici e asciugatrici, l'aspirapolvere, il frigorifero, la caldaia a petrolio e, in seguito, il condizionatore d'aria, i cibi in scatola e più tardi surgelati.
La rivoluzione può essere fatta risalire da un punto di vista tecnico al 1913 e alla linea di montaggio mobile di Ford per il modello T. Ma fu la crescita del numero delle automobili private americane dagli otto milioni del 1920 ai ventitré milioni del 1929 a caratterizzare il primo ingresso effettivo di una società nello stadio dell'elevato consumo di massa.
Durante gli anni venti gli Stati Uniti registrarono un massiccio aumento (44%) della popolazione delle aree residenziali periferiche. Se si eccettua la costruzione di strade e l'urbanizzazione del circondario, questo è uno stadio dello sviluppo che, finché il reddito reale cresce regolarmente, non sembra richiedere significativi interventi statali.
Sino alla depressione degli anni trenta, la maggioranza degli Americani era disposta a sottoscrivere il motto di
Dopo la ‛grande depressione' e la seconda guerra mondiale il processo di sviluppo riprese. Tra il 1929 e il 1939 il numero delle autovetture private in circolazione per milione di abitanti era cresciuto soltanto da 189.000 a 200.000, e a 201.000 nel 1945. Ma nel 1956, nella fase culminante del ciclo, si era arrivati a 323.000. Il movimento verso zone residenziali periferiche riprese a tutta velocità e la vasta gamma di industrie e servizi collegati alla diffusione dell'automobile recuperò lo slancio degli anni venti. E, come negli anni venti, gli impulsi a riformare s'indebolirono.
Ma la capacità dei settori guida, nello stadio dell'elevato consumo di massa, di fornire slancio e stimoli di crescita all'economia aveva ovviamente un limite: nel 1957 il 75% delle famiglie americane possedeva un'automobile, il 78% una lavatrice e il 67% un aspirapolvere. Divenne cosi chiaro che l'ormai enorme complesso dell'automobile e dei beni di consumo durevoli stava perdendo, nel corso degli anni cinquanta, la sua funzione di base nello sviluppo americano. E in realtà i tassi di crescita degli anni cinquanta, già in diminuzione, sarebbero stati ancora minori senza l'incremento delle spese effettuate dai vari Stati e dalle amministrazioni locali per appoggiare l'espansione delle zone residenziali periferiche, senza la costruzione di strade per far fronte all'intensificazione dell'uso dell'automobile, e, infine, senza la progressiva espansione delle spese per la previdenza sociale.
Nel corso dello stesso decennio, mentre gli Stati Uniti portavano all'estrema possibilità l'elevato consumo di massa come base dello sviluppo, l'Europa occidentale e il Giappone entravano pienamente, - e, si potrebbe dire, entusiasticamente - in questo stadio, come mostra il diagramma 3.
Grafico
Non ci sembra una semplificazione eccessiva ritenere che alla radice di questa notevole crescita postbellica dell'Europa e del Giappone sia il raggiungimento di livelli di reddito pro capite capaci di dare efficacemente il via allo stadio dell'elevato consumo di massa con tutti i suoi potenti effetti espansivi. Era stata soprattutto l'assenza di questa trasformazione a distinguere l'Europa dall'America negli anni venti. Dopo un'attenta e complessiva analisi delle equazioni di sviluppo delle due regioni durante il periodo postbellico, E. F. Denison conclude con queste parole: ‟Ciò che caratterizza l'Europa postbellica è il fatto che qui gli incrementi produttivi nei paesi a crescita rapida sono stati sistematicamente accentuati proprio in quei settori in cui l'Europa produceva su piccola scala e a costi elevati in confronto agli Stati Uniti dei primi anni cinquanta, e per i quali tecniche atte a ridurre i costi aumentando la scala della produzione erano già disponibili negli Stati Uniti e non richiedevano perciò di venire elaborate gradualmente e dispendiosamente con l'espandersi dei mercati. [...] L'automobile e i beni di consumo durevoli forniscono un esempio classico ed evidente del processo in questione, ma esso fu in realtà estremamente diffuso, interessando - questa è la mia convinzione - una vasta gamma di prodotti diversi" (v. Denison, 1967, pp. 236-237).
Non diversamente dagli Americani, Europei e Giapponesi sembrano relativamente soddisfatti dello stadio dell'elevato consumo di massa, almeno finché questo si mantiene vigoroso e stabile.
Nell'arco della generazione che va dai primi anni cinquanta all'inizio degli anni settanta la vita politica interna del Giappone e della maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale si è mantenuta notevolmente tranquilla, malgrado le scosse provocate di tanto in tanto soprattutto dall'endemica incapacità delle società democratiche moderne di conciliare, nel mondo postkeynesiano, la stabilità dei prezzi con un elevato tasso di sviluppo (v. sopra, cap. 6; v. sotto, cap. 10).
Ma, prescindendo dalla questione del rapporto prezzisalari, quello dell'elevato consumo di massa si rivela come lo stadio che crea tensioni sociali e problemi politici in misura minore rispetto alle altre fasi di sviluppo sinora sperimentate. È non è difficile comprendere perché le cose stiano a questo modo.
Questo è infatti lo stadio in cui la macchina industriale, faticosamente messa in piedi dalle generazioni precedenti, rivolge tutti i suoi sforzi a soddisfare i bisogni del consumatore. E quasi come se la rivoluzione industriale non fosse stata che una lunga preparazione a questa fase; diciamo quasi, perché in realtà già durante la sua marcia l'industrializzazione aveva fatto molto per il consumatore medio. Essa infatti lo aveva sollevato dal basso livello della vita rurale e ne aveva fatto un cittadino, con molti nuovi problemi ma anche con assai maggiori possibilità di scelta e opportunità per sé e per i suoi figli. Essa gli aveva fornito indumenti buoni e a buon mercato e un regime alimentare migliore e più vario; e aveva reso possibile - e insieme necessario - un più elevato livello medio di istruzione, come anche notevoli miglioramenti nel campo sanitario e delle assicurazioni sociali. Certo, tutti sappiamo che l'elevato consumo di massa ha portato con sé anche problemi di inquinamento e quel tipo di organizzazione della vita urbana con cui si è cominciato a fare i conti proprio all'inizio degli anni settanta. Tuttavia è un grande momento nella vita di una società quando fuori di una fabbrica c'è bisogno di un'area di parcheggio per automobili più che di rastrelliere per biciclette. I ricchi e i raffinati possono permettersi di deplorare l'automobile, il moltiplicarsi di aggeggi proprio dell'elevato consumo di massa e la villa in zone residenziali periferiche; ma per chi ha trascorso tutta la vita entro gli angusti confini delle zone operaie urbane tutto ciò ha un enorme significato: l'automobile conferisce alla famiglia libertà di movimento su lunghe distanze; il frigorifero porta con sé un'alimentazione migliore e più varia; le altre apparecchiature domestiche riducono il peso dei lavori di casa; e infine il possesso di una casa propria, con un pezzetto di prato e di giardino, viene incontro a una delle più profonde e tenaci aspirazioni dell'uomo.
L'elevato consumo di massa è dunque un'autentica e positiva rivoluzione umana e sociale, e il suo estendersi in una nazione a un numero sempre maggiore di famiglie si accompagna a un graduale allentamento delle tensioni politiche. Quanto all'azione dello Stato nelle società occidentali, per far sì che l'elevato consumo di massa potesse estendersi, è stato sufficiente in passato fornire le strade e le necessarie infrastrutture per il circondario. Il settore privato è stato ben in grado di fare il resto. Nel variare e modificarsi della gamma di funzioni, prerogative e forme di collaborazione fra settore pubblico e settore privato, l'elevato consumo di massa è storicamente lo stadio in cui il secondo ha il massimo di autorità e il primo il minimo di problemi (v. consumi).
8. La ricerca della qualità
Oggi è chiaro che in ciascuno dei paesi ricchi va emergendo un nuovo stadio di sviluppo, con una sua autonoma fisionomia. Il processo si svolge a mano a mano che i settori guida della fase dell'elevato consumo di massa perdono la capacità di spingere in avanti l'economia e a mano a mano che un numero sempre crescente di cittadini arriva a considerare come scontate le soddisfazioni offerte dall'elevato consumo di massa e comincia quindi a vedere con chiarezza i suoi costi in termini di ambiente, di ingiustizie non eliminate, di valori umani che trascendono le sue macchine e i suoi apparecchi. Questo stadio non può esser fatto risalire che all'inizio degli anni sessanta per il Nordamerica e per alcuni paesi dell'Europa occidentale e soltanto all'inizio del decennio successivo si comincia ad avvertirne l'avvento in Giappone. È chiaro dunque che sulle sue caratteristiche abbiamo ancora molto da imparare.
Sebbene questo stadio coinvolga molti altri aspetti oltre quelli economici, esso può essere definito, come gli altri stadi dello sviluppo, facendo riferimento ai suoi settori chiave dotati di forte slancio propulsivo.
Per quanto concerne l'orientamento di spesa dei redditi privati, sembra esserci un forte aumento delle spese dedicate a certi tipi di impieghi; per esempio, negli Stati Uniti si verifica un aumento delle spese per cure mediche, per viaggi all'estero, per istruzione, per motivi religiosi o di previdenza sociale, e infine per attrezzature di svago, dalle macchine fotografiche agli sci, ai motoscafi. Sul versante della spesa pubblica il fenomeno centrale è costituito da un forte incremento della quota del PNL mobilitata e impiegata dallo Stato. Crescono le spese pubbliche per l'istruzione e per l'assistenza sanitaria, nonché quelle miranti a ricostituire il capitale perduto o impoverito sotto forma di inquinamento dell'atmosfera e delle acque e di deterioramento delle aree urbane. La tab. IV e il diagramma 4 mostrano, ad esempio, la rivoluzionaria espansione dell'istruzione superiore verificatasi nel Nordamerica, nell'Europa occidentale e nel Giappone nel corso degli anni sessanta.
Grafico
Tabella 4
Negli Stati Uniti degli anni sessanta si è verificato un cospicuo e anzi, potremmo dire, rivoluzionario spostamento di risorse al settore pubblico. Si era in una fase di alti tassi di sviluppo e il grosso di tali risorse addizionali è stato destinato ai servizi sociali, come mostra la tab. V.
Tabella 5
Fu anche avviato il lungo, lento lavoro di inversione della tendenza al deterioramento dell'ambiente. Ciò è avvenuto malgrado l'espansione, a opera del presidente Kennedy, dei bilanci della difesa, del programma spaziale e degli aiuti all'estero all'inizio degli anni sessanta, e malgrado il costo della guerra in
Inoltre, in molte delle società opulente vecchi problemi sociali sono venuti assumendo forme nuove e acute. Il caso più spettacolare è certamente quello del movimento dei Negri americani per ottenere la pienezza dei diritti civili e politici. Ma anche in Canada, in Belgio e nell'Irlanda del Nord un contesto di opulenza crescente ha contribuito a creare un nuovo atteggiamento negli strati relativamente svantaggiati della popolazione e ha dato luogo a rivendicazioni per una modificazione dell'equilibrio politico, sociale, culturale ed economico. E in un modo o nell'altro, con un bilancio maggiore o minore di violenza e di sofferenze, le maggioranze privilegiate sono arrivate a riconoscere la legittimità di queste richieste di giustizia e ad accoglierle almeno in una certa misura.
Tutto ciò ha modificato il quadro in cui il settore privato svolge il suo ruolo e anzi la stessa struttura di questo settore. Nello stadio della ricerca della qualità, il capitalismo - almeno il capitalismo americano - è un fenomeno nettamente distinto da quello che era nello stadio dell'elevato consumo di massa. Esso ha di fronte problemi nuovi e sta evolvendo in direzioni nuove, di cui non è facile prevedere gli sbocchi.
Il mercato delle automobili e dei beni di consumo durevoli è costituito da individui e da famiglie, e l'impresa privata vi opera secondo modalità ben note, che possiamo anzi dire classiche. Invece i nuovi e dinamici settori sono profondamente interconnessi con istituzioni pubbliche o con campi d'attività strettamente legati all'azione pubblica (come l'istruzione, la sanità, i programmi antinquinamento e di trasporto di massa, l'edilizia sovvenzionata, la ristrutturazione urbanistica, ecc.). Per es., negli Stati Uniti avviene che aziende nuove e in rapida crescita, piene di giovani brillanti, cerchino di applicare moderni metodi di analisi e di elaborazione dei dati all'istruzione e ai problemi urbani; ma per far ciò esse debbono trovare i propri mercati in un intricato groviglio di istituzioni pubbliche e private, non possono cioè rivolgersi direttamente a un mercato di massa. Sempre negli Stati Uniti, i programmi di ristrutturazione urbanistica sono espressione di un intreccio estremamente complesso di istituzioni pubbliche e private; le prime comprendono, oltre che le amministrazioni federali, statali e locali, anche i nuovi comitati cittadini (community organizations) nati dalla programmazione cittadina degli anni sessanta.
Le aziende private che operano sulla base di questa sottile trama di rapporti associativi sono diversissime - in materia di organizzazione, atteggiamenti e metodi - dai grandi complessi industriali emersi negli stadi precedenti, fossero questi i giganti dell'acciaio e della chimica che producevano beni strumentali o i grandi produttori di automobili e di beni di consumo durevoli, che avevano rapporti più diretti con il grande pubblico e quindi una maggiore sensibilità nei suoi confronti. Molte delle aziende moderne a rapida espansione lavorano in una situazione che assomiglia piuttosto a quella tipica delle imprese che producono forniture militari, o - e il parallelo è forse più calzante - delle imprese impegnate nel programma spaziale americano, sviluppatosi come un intreccio complesso di sforzi sia dello Stato sia dell'industria e della ricerca private.
È inoltre avvenuto che, a mano a mano che le industrie guida dello stadio dell'elevato consumo di massa perdeva- no in dinamicità, sono divenute oggetto di critiche e di attacchi. In un modo che ricorda (e talvolta ripete alla lettera) gli attacchi scandalistici contro le industrie della marcia verso la maturità tecnologica, all'inizio del secolo, al tempo del Movimento progressista, vari commentatori politici hanno posto interrogativi di questo tipo: 1) in che misura la domanda dei prodotti di quelle industrie era il risultato di un dispiegarsi più o meno naturale dell'elasticità della domanda rispetto al reddito invece che di un deliberato e massiccio lavaggio del cervello operato dalla pubblicità? La pubblicità ha distorto i gusti dei consumatori, o si è limitata ad aiutare il consumatore a scegliere un particolare tipo del prodotto che intende acquistare? 2) In che misura il numero relativamente ristretto di aziende che fabbricano e vendono i prodotti in questione ha permesso che si arrivasse a un controllo dei prezzi su base monopolistica? O, invece, quel tanto di concorrenza che rimaneva era sufficiente a fornire al consumatore qualcosa di ragionevolmente vicino a dei prezzi concorrenziali? 3) Quale era il significato e la rilevanza dei concetti classici di proprietà e di gestione privata dell'industria in una situazione in cui l'estrema complessità della vita industriale moderna richiedeva il passaggio del potere reale da una moltitudine di azionisti a intricate burocrazie guidate da specialisti?
Per ciò che ci interessa in questa sede, l'emergere di tali complessi interrogativi testimonia il tramonto di un'epoca in cui i settori tipici dell'elevato consumo di massa erano esenti da critiche grazie alla loro rapida crescita e al loro dinamismo. Analogamente, in passato, le ferrovie e l'industria pesante, considerate in un primo tempo fattori determinanti per il progresso sociale, furono poi sottoposte a critiche e persino a restrizioni legali.
Nel caso attuale i controlli di tipo giuridico e sociale assumono due forme. Innanzitutto abbiamo una rivolta dei consumatori contro l'insufficiente sicurezza delle automobili, contro la qualità scadente delle lavorazioni e il costo crescente di riparazione e di manutenzione sia delle automobili che dei beni di consumo durevoli; tale stato d'animo, negli Stati Uniti, ha avuto la sua espressione e il suo consolidamento nella zelante crociata di Ralph Nader e del suo gruppo. In secondo luogo, va emergendo un movimento per la riduzione dell'inquinamento atmosferico causato dall'uso di massa dell'automobile.
Questa trasformazione della situazione e degli atteggiamenti e l'accresciuto ruolo nell'economia dello Stato e dei servizi connessi all'amministrazione statale hanno avuto un effetto ulteriore. Pur senza un'analisi approfondita della situazione, la gente ha cominciato a chiedersi se la distribuzione del reddito conseguente all'esistenza di massicce burocrazie nel settore privato fosse giusta. Non avrebbero dovuto queste organizzazioni assolvere le loro funzioni nella società a più bassi livelli di profitto e di remunerazione, con più alti livelli di gestione? Non era possibile realizzare una redistribuzione del reddito mediante una diversa ripartizione del carico fiscale, senza compromettere gli incentivi necessari per mantenere in vita un settore di iniziativa privata ragionevolmente efficiente?
Intanto negli Stati Uniti - ma anche in Inghilterra e in
In breve, questa prima fase dello stadio caratterizzato dalla ricerca della qualità ha posto, a mano a mano che l'importanza relativa del ruolo dei servizi pubblici andava crescendo e i settori chiave dell'elevato consumo di massa andavano perdendo velocità, una nuova serie di questioni, riguardanti vari aspetti dell'equilibrio e della connessione tra settore pubblico e settore privato.
9. Alcuni problemi più generali del capitalismo moderno
Abbiamo sin qui delineato i problemi che i sistemi economici si trovano ad affrontare nel mondo contemporaneo ai cinque diversi stadi dello sviluppo. È chiaro che in essi i compiti del settore privato e di quello pubblico cambiano in modo radicale. In ciascuno stadio il ‛capitalismo' emerge come un insieme nettamente differente di attività private e pubbliche e di equilibri tra le due sfere, accompagnato da tensioni che toccano di volta in volta campi e questioni diversissimi. E indubbiamente le istituzioni della sfera pubblica e del settore privato (sindacati operai non meno che organizzazioni industriali) presentano nei vari stadi struttura e funzioni totalmente differenti, anche se in questa sede non è stato possibile indagare esaurientemente questi mutamenti, ma soltanto esaminarli sommariamente.
Ci volgiamo ora a tre problemi del capitalismo che tra- scendono l'analisi degli stadi, ma il cui sbocco futuro influenzerà la natura delle funzioni pubbliche e private nell'economia di molti paesi anche a stadi differenti. Essi sono: la politica dei prezzi e dei salari; le relazioni fra le nazioni industriali più avanzate; le relazioni tra le nazioni più avanzate e le nazioni meno avanzate, in rapporto ai problemi relativi all'equilibrio tra l'uomo e il suo ambiente fisico.
10. Politica dei prezzi e dei salari: patto sociale o anarchia?
Nel 1945 il mondo non comunista è entrato nell'era postbellica avendo assimilato, e largamente accettato, le implicazioni dell'analisi keynesiana del reddito. Era generalmente diffusa la determinazione a non accettare mai più con indifferenza fenomeni di disoccupazione gravi e prolungati. Il ciclo economico veniva considerato come opera umana e non divina e pertanto soggetto al controllo delle autorità politiche. Questo mutamento, verificatosi ai tre livelli delle convinzioni degli specialisti, delle opinioni generalmente accettate e della politica dei governi, pose immediatamente la questione di come mantenere livelli di occupazione elevati e stabili senza provocare inflazione. Per circa un trentennio uomini e governi hanno combattuto con questo problema senza riuscire a trovarne una soluzione adeguata e stabile. Nel far ciò le relazioni tra settore privato e settore pubblico sono venute trasformandosi in maniera profonda e con ogni probabilità duratura.
In termini di stadi di sviluppo, gli sforzi per risolvere il suddetto problema hanno inciso sulle relazioni tra sfera pubblica e sfera privata in società impegnate sia nella fase di decollo, sia nella marcia verso la maturità tecnologica, sia nell'elevato consumo di massa o nella ricerca della qualità. Ma il problema si è fatto più acuto nei tre ultimi stadi.
La Teoria generale di Keynes ammetteva esplicitamente la necessità di individuare il punto marginale tra piena occupazione e inflazione. E certo la prima piena applicazione dell'analisi keynesiana del reddito ebbe luogo nel contesto dei bilanci inglesi (e poi americani) degli anni di guerra, formulati in condizioni intrinsecamente inflazionistiche. Ma quei tentativi avvenivano anche in circostanze che consentivano l'impiego dell'intera gamma di controlli sui prezzi e sui salari, del razionamento e di altri interventi amministrativi diretti sull'economia, inaccettabili alla lunga in tempo di pace.
In Europa e negli Stati Uniti l'inflazione fece una prima comparsa nell'immediato dopoguerra (1945-1948) e una seconda negli anni 1950-1952, quando furono diffusamente avvertiti i contraccolpi della guerra di Corea. La questione dell'inflazione e del suo controllo fu dibattuta tra gli economisti sia a livello nazionale che internazionale. Inizialmente il dibattito fu imperniato sulla seguente questione: qual è, al limite superiore dell'occupazione, la scelta giusta fra un grado ulteriore di occupazione e un grado ulteriore di inflazione? I termini della questione hanno talvolta trasceso il piano puramente economico: fino a che punto è giusto accettare come contropartita a un incremento addizionale di occupazione le limitazioni di libertà che deriverebbero dagli stringenti controlli che si renderebbero necessari per contenere l'inflazione?
Nell'Europa dell'immediato dopoguerra la risposta si ebbe a seconda della situazione politica e rispecchiò anche il livello di competenza degli apparati amministrativi di cui i singoli governi disponevano. Inghilterra,
Ci si accorse però anche che l'analisi keynesiana del reddito non arrivava a incidere sui problemi della disoccupazione strutturale, vale a dire di quella disoccupazione in settori o regioni particolari, cui non si poteva ovviare mediante una semplice espansione della domanda effettiva. In Europa il problema della disoccupazione italiana ne è stato l'esempio più drammatico, sebbene per qualche tempo l'assorbimento da parte della Germania occidentale dei profughi provenienti dall'Est e certi aspetti particolari e incurabili della disoccupazione belga abbiano presentato problemi analoghi. Nel caso dell'Italia (nonché della
Quando cominciarono a studiare i problemi della disoccupazione nei continenti in via di sviluppo, gli economisti videro chiaramente che, come nel caso dell'Europa meridionale, i principi della politica keynesiana del reddito non sarebbero stati sufficienti. Occorreva molto di più di una semplice espansione della domanda effettiva e non bastava un flusso adeguato di divise estere. Come è detto nello studio del febbraio 1949 sulla situazione italiana promosso dal governo degli Stati Uniti, in nazioni di questo tipo per superare le distorsioni nell'ubicazione e nelle caratteristiche della manodopera disponibile, per accrescere la produttività agricola e industriale, per espandere le infrastrutture, e così via, occorreva un ‟aggressivo programma di investimenti pubblici".
Sulla scia della guerra di Corea, mentre la politica e il pensiero economico si rivolgevano sempre di più ai problemi del sottosviluppo fuori dell'Europa, nel mondo atlantico il malanno dell'inflazione andò attenuandosi. L'accelerarsi del processo di sviluppo e la fine delle lotte coloniali francesi dettero luogo a un periodo di crescente stabilità internazionale in fatto di monete e di prezzi, in cui gli strumenti della politica fiscale e monetaria tradizionale furono in generale sufficienti.
Ma verso la fine degli anni cinquanta la bilancia dei pagamenti statunitense cominciò ad accusare delle difficoltà, poiché lo slancio con cui l'Europa e il Giappone procedevano nello stadio dell'elevato consumo di massa accresceva la concorrenza in settori di esportazioni in cui l'America, grazie al suo precoce ingresso in tale stadio, aveva goduto di una relativa supremazia. La relativa maggiore modernità delle attrezzature industriali dei paesi ricostruiti dopo la guerra fu un altro elemento che giocò nella stessa direzione.
Nei suoi ultimi anni l'amministrazione Eisenhower reagì a questa congiuntura smorzando il ritmo di crescita degli Stati Uniti. Quindi l'amministrazione Kennedy, per uscire da siffatte difficoltà, praticò una politica di regolamentazione dei prezzi e dei salari, incentivò la modernizzazione dell'apparato industriale americano e prese una serie di misure miranti a ridurre il peso, per la bilancia dei pagamenti, dei suoi impegni all'estero, specialmente in Europa. Questo programma, portato avanti sotto l'amministrazione Johnson, rese possibile negli Stati Uniti, fino al 1966, un tasso di incremento dei prezzi inferiore a quello registrato negli altri paesi ad avanzata industrializzazione. Poi la mancata attuazione di un inasprimento fiscale, combinata con accresciute spese militari in un periodo di piena occupazione, mandò all'aria la politica di regolamentazione dei prezzi e dei salari così come aveva funzionato negli anni 1961-1966. Sebbene sul finire del decennio l'andamento dei prezzi in America si mantenesse ragionevolmente buono rispetto ai principali concorrenti commerciali degli Stati Uniti, esso però non fu tale da sostenere la posizione della bilancia dei pagamenti. Nel 1968 queste difficoltà diminuirono grazie a inasprimenti fiscali e ad altre misure, ma la decisione presa nel gennaio 1969 dall'amministrazione Nixon di rinunciare alla politica di regolamentazione dei prezzi e dei salari precipitò l'America in una fase di ulteriore deterioramento e dei prezzi e della bilancia dei pagamenti; divennero così inevitabili le drastiche deliberazioni dell'agosto e dell'ottobre 1971 che comportarono per l'economia americana dapprima un blocco e poi un sistema di controlli dei prezzi e dei salari.
Intanto il tasso d'inflazione cresceva, a partire all'incirca dal 1966, anche nell'Europa occidentale e in Giappone, come mostra la tab. VI.
Tabella 6
Il problema del rapporto prezzi-salari-bilancia dei pagamenti è divenuto cruciale per i governi delle nazioni più avanzate. In Inghilterra ha portato alla caduta prima del governo Wilson e poi del governo Heath; in Francia ha contribuito alla caduta di De Gaulle; negli Stati Uniti, nel 1971, ha costretto Nixon, per sopravvivere politicamente, a capovolgere la linea di politica interna sostenuta due anni prima. Infine ha cominciato a pesare anche nella Germania occidentale, sinora preservata da una forma di autodisciplina generata dal ricordo di due inflazioni postbelliche.
Praticamente tutte le nazioni avanzate, senza eccezione, hanno sperimentato in questi ultimi anni quella che è stata chiamata ‛politica dei redditi', vale a dire uno sforzo di collegare gli aumenti salariali agli incrementi medi della produttività e di influenzare la politica dei prezzi in modo tale da non consentire alle imprese di impadronirsi, grazie all'autodisciplina dei lavoratori, di una quota sproporzionata del reddito nazionale. Nessuna nazione democratica (e anzi nessuna nazione indipendente del mondo non comunista) ha sinora trovato il modo di far funzionare una politica di questo tipo per lunghi periodi. Forse il successo maggiore e più prolungato nel tempo è stato raggiunto in
D'altro canto la lezione dell'intero periodo successivo al 1945 è che la sola politica fiscale e monetaria non è in grado di guidare con successo lungo lo stretto sentiero delimitato da un lato da un livello di disoccupazione politicamente inaccettabile e dall'altro da un livello di inflazione economicamente inaccettabile. Governi e società non sembrano aver altra via d'uscita che imparare gradualmente ad affiancare alla politica fiscale e monetaria un efficace sistema di regolamentazione dei prezzi e dei salari. Ciò a sua volta significa che nelle relazioni tra settore pubblico e settore privato, come anche tra industria e lavoro, sono necessari mutamenti di ampio respiro, di una portata che possiamo senz'altro definire rivoluzionaria.
Ciò che è in giuoco qui è un nuovo tipo di patto sociale tra governo, industria e lavoro; e la cosa comporta negoziati politici estremamente difficili, ai quali tutti e tre i principali interlocutori giungono mal disposti a causa degli atteggiamenti, delle politiche e della struttura organizzativa (dell'industria come dei sindacati) ereditati dal passato.
L'oggetto del negoziato consiste non soltanto nell'assicurare che gli aumenti monetari medi dei salari si mantengano vicini agli incrementi medi della produttività, ma anche nell'assicurare che l'equilibrio di potere esistente tra i dirigenti sindacali in concorrenza non venga rotto, che sindacati disuniti e mal disciplinati siano efficacemente inseriti nel quadro del patto sociale, che le imprese non approfittino di questa autodisciplina delle forze del lavoro per aumentare la quota del reddito che va ai profitti, ecc. Regolamentazioni dei prezzi e dei salari che vogliano essere efficaci non possono essere negoziate una volta per tutte, ma richiedono una trattativa ininterrotta. Esse non sono una panacea, neppure se accompagnate da una politica fiscale e monetaria intelligente, giacché non possono reggere quando il livello dell'occupazione è talmente elevato e la domanda di lavoro così forte che la manodopera al di fuori dei sindacati è in grado di negoziare incrementi salariali notevolmente più cospicui di quelli consentiti dalla regolamentazione concordata.
Ma la disoccupazione può considerarsi accettabile in termini politici e sociali solamente quando sia compresa entro un arco delimitato all'estremità inferiore da una politica di stop-and-go in un regime di esclusiva manovra fiscale e monetaria e all'estremità superiore dall'aumento della percentuale di salari al di fuori delle tabelle sindacali in un regime di regolamentazione dei prezzi e dei salari accompagnato da una politica fiscale e monetaria.
Fatto ancora più rivoluzionario, questo patto sociale interno, di natura estremamente delicata, sta diventando - e, in una forma e nell'altra, è destinato a rimanere - materia, oltre che di dibattito interno dei singoli paesi, di negoziato internazionale. Nessun complesso di norme, in vista di un sistema monetario internazionale stabile, può funzionare se i paesi in attivo e i paesi in deficit non si impegnano ad agire in modo da riportare il sistema all'equilibrio. Se la politica dei redditi (così come la manovra fiscale e monetaria) diviene uno strumento essenziale per raggiungere l'equilibrio, allora le sue clausole divengono materia legittima di trattativa in sede internazionale oltre che nazionale.
Nella sua Teoria generale Keynes si propose consapevolmente di dare alle società democratiche strumenti atti a contenere la disoccupazione, e per questa via di smentire una delle più importanti previsioni di Marx e di ridurre le spinte politiche e sociali in direzione di un crescente controllo diretto dello Stato sull'economia e sulla società in generale. Insieme ad altri che hanno contribuito a quella che chiamiamo la rivoluzione keynesiana egli è riuscito in larga misura nell'impresa. Ma in un mondo postkeynesiano il problema di conciliare livelli di disoccupazione contenuti e bassi con la stabilità dei prezzi sta costringendo le società democratiche ad adottare dispositivi di regolamentazione dei prezzi e dei salari; tali dispositivi vengono adottati non tanto mediante la decisione sovrana di uno Stato onnipotente, bensì mediante forme di negoziazione, collaborazione e associazione responsabilmente assunte come parte integrante dello stesso processo democratico. Si tratta di un mutamento di primaria importanza e che incide profondamente nel sistema, cosicché nelle società capitalistiche il sistema dei prezzi e dei salari non sarà mai più quello di prima.
11. Relazioni tra le nazioni industriali avanzate: concordia o nuovo mercantilismo?
I tragici eventi del periodo tra le due guerre mondiali e il ricordo che gli uomini ne hanno serbato, insieme agli esiti e alle conseguenze del secondo conflitto, hanno dato origine a un complesso, unico nella storia, di strette relazioni tra le nazioni industriali avanzate. Tale situazione, in venticinque anni a partire dal 1945, ha messo a disposizione dei settori privati delle principali economie nazionali un quadro istituzionale interstatale. Essa inoltre ha portato alla creazione, nella forma di mastodontiche società multinazionali, di istituzioni private fornite di un potere economico tale da sottrarle, in certe circostanze, all'autorità degli Stati nazionali, le cui politiche esse influenzano in vari modi, diretti e indiretti.
Il potenziamento delle istituzioni interstatali derivò dalla decisione di un'intera generazione di statisti del dopoguerra di scongiurare un ritorno alle politiche economiche nazionalistiche che dopo il 1929 avevano aggravato e prolungato la depressione, e avevano contribuito in maniera determinante allo scatenarsi della seconda guerra mondiale. Questa decisione si espresse nella conferenza di
Questo indirizzo politico affermatosi dopo la seconda guerra mondiale è stato notevolmente rafforzato dalle vicende militari, diplomatiche ed economiche. All'istinto umano di aiutare gli uomini, le donne e i bambini d'Europa a riprendersi dalle devastazioni della guerra, si unì ben presto lo sforzo per contrastare le pressioni di Stalin a ovest della linea dell'Elba. La Dottrina Truman e il Piano Marshall considerarono la ricostruzione dell'Europa occidentale una questione di strategia militare non meno che economica. L'organizzazione di questo sforzo non poteva che ampliare il ruolo dello Stato nelle economie dell'Europa occidentale. La giustificazione per gli stanziamenti del Piano Marshall, che doveva esser presentata in ultima istanza al Congresso americano, richiedeva che i governi europei intervenissero in profondità nelle rispettive economie, e fece sì che questioni normalmente considerate di competenza del settore privato (per es., il tipo degli investimenti industriali) divenissero oggetto di discussioni a livello nazionale e persino internazionale e di decisioni pubbliche.
Nello stesso periodo veniva lanciato il movimento per l'unità economica dell'Europa occidentale, da cui ebbero origine mutamenti ancora più profondi e permanenti nel rapporto tra settore pubblico e settore privato. L'assegnazione di dollari in misura limitata (compresi quelli concessi nel quadro del Piano Marshall) esigeva interventi in profondità dello Stato nel settore privato; e tuttavia questi interventi erano transitori e superficiali in confronto a quelli necessari per fondare la Comunità del Carbone e dell'Acciaio, o, in seguito, per definire in Europa una politica agricola comune. Con queste istituzioni gli Stati europei arrivavano a porre la gestione delle risorse delle loro società in una nuova e duratura cornice internazionale, nella quale il ruolo pubblico era e doveva continuare a essere fondamentale.
Quando, negli anni cinquanta, l'Europa occidentale e il Giappone, superata la fase di ricostruzione, avanzarono verso uno sviluppo sostenuto, tra queste aree e gli Stati Uniti si costituirono nuove forme di vincoli e di dipendenza. Nel 1949 l'URSS faceva esplodere la sua prima bomba atomica e nel 1953 la prima bomba all'idrogeno; infine nel 1956 (in un discorso a
Questo legame tra l'una e l'altra sponda dell'Atlantico, prodotto dalla minaccia nucleare, ebbe conseguenze economiche di rilievo. Si ritenne infatti che l'impegno nucleare americano a difesa dell'Europa non sarebbe stato credibile né agli occhi di Mosca né a quelli degli stessi popoli europei se non fosse stato accompagnato dalla presenza sul suolo europeo, nel quadro della NATO, di rilevanti forze convenzionali statunitensi. Questa decisione, insieme militare, politica e psicologica, si fece sentire pesantemente sulla bilancia dei pagamenti americana, la quale cominciò a dare segni di debolezza sul finire degli anni cinquanta, proprio quando Chruščëv dava il via alla sua politica di attiva sperimentazione del ricatto nucleare, che sarebbe durata ininterrottamente per circa un quinquennio: vale a dire pressappoco dal lancio del primo Sputnik (4 ottobre 1957) alla conclusione della crisi dei missili a Cuba (28 ottobre 1962).
La bilancia dei pagamenti americana entrò in crisi per tre ragioni fondamentali. In primo luogo l'ingresso, negli anni cinquanta, dell'Europa occidentale e del Giappone nello stadio dell'elevato consumo di massa comportò l'efficace assimilazione di tecnologie ch'erano state fino ad allora quasi un monopolio statunitense. I vantaggi in fatto di bilancia commerciale di cui gli Stati Uniti avevano goduto, come pionieri delle tecnologie proprie dell'elevato consumo di massa, andarono dunque perduti per una gamma considerevolmente ampia di prodotti industriali. In secondo luogo, posti di fronte a questa ineluttabile sfida, gli Stati Uniti non mantennero (eccetto che per gli anni 1961-1966) una disciplina dei prezzi e dei salari così superiore a quella dei loro concorrenti da annullare il vantaggio che a questi veniva dall'avanzare lungo la strada dello sviluppo. In terzo luogo, la ricerca della qualità, stadio in cui gli Stati Uniti stavano entrando, comportava un impegno in nuovi settori guida, il che però non creava tecnologie tali da dare agli Stati Uniti nuovi vantaggi commerciali. L'espansione delle spese pubbliche per l'istruzione, l'assistenza medica, la ricostruzione urbana e le misure antinquinamento facevano poco o nulla dal punto di vista del rafforzamento della posizione della bilancia dei pagamenti americana, mentre l'elevata elasticità della domanda di viaggi all'estero, rispetto ai redditi, da parte dei cittadini americani e gli ingenti afflussi di capitale americano in Europa aggravavano il problema.
Ne seguì che a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta andò sviluppandosi un cronico conflitto tra i costi del mantenimento di un efficace ruolo americano sulla scena mondiale (legato naturalmente alla potenza nucleare degli Stati Uniti e alla politica di non proliferazione delle armi atomiche) e la posizione economica americana nei confronti di nazioni che erano degli efficaci concorrenti sul piano economico ma, in notevole misura, a suo carico sul piano militare.
Per diminuire questa tensione e comporre, secondo regole di collaborazione, la concorrenza economica senza quartiere tra le nazioni industriali avanzate, sono stati presi diversi provvedimenti. Il primo, che risale al 1961, consiste in un aumento delle spese militari tedesche negli Stati Uniti, mirante a compensare i costi, in termini di bilancia dei pagamenti, del mantenimento delle forze americane in Germania. E, a mano a mano che la vera natura del problema veniva chiarendosi, le misure si fecero sempre più complesse: per esempio, nell'aprile 1966 il governo tedesco si impegnò, nel quadro di una serie di provvedimenti di compensazione, a non chiedere la conversione in oro delle sue riserve in dollari. Sia per il suo contenuto specifico che per il suo valore di precedente, questa misura stabilizzatrice riuscì ad allentare le tensioni gravanti sul sistema monetario internazionale e contribuì ad aprire la via all'introduzione dei Diritti Speciali di Prelievo (Special Drawing Rights-SDR's) come riserva supplementare alle inadeguate disponibilità di oro.
Ma lo sproporzionato passivo che gravava sulla bilancia dei pagamenti americana non fu interamente controbilanciato; e anzi alcune delle misure prese nel corso degli anni sessanta per far fronte al problema furono semplici palliativi per es., la sottoscrizione da parte tedesca di obbligazioni americane a medio termine), o si risolsero in un danno per il sistema monetario internazionale (per es., le restrizioni statunitensi sui movimenti di capitale annunciate il 1 gennaio 1969). Prese nell'insieme, le varie misure ad hoc degli anni sessanta consentirono tuttavia al sistema economico e al sistema di sicurezza internazionali - ambedue imperniati sugli Stati Uniti - di sopravvivere al periodo del massimo impegno americano nella guerra nel Sud-Est asiatico. Ma il problema di fondo non era risolto e sarebbe presto divenuto ancora più acuto. La decisione, presa da Nixon nel gennaio 1969, di rinunciare alla politica di regolamentazione dei prezzi e dei salari, produsse un'impennata inflazionistica in America e una perdita di fiducia nel dollaro, che causarono a loro volta la crisi del periodo agosto-dicembre 1971, risolta solo parzialmente dagli accordi smithsoniani del dicembre 1971.
La soluzione, nel corso degli anni settanta, del dilemma che sta di fronte agli Stati Uniti e alle altre principali nazioni industriali del mondo non comunista determinerà il quadro entro il quale il capitalismo evolverà nei prossimi decenni.
Si può ipotizzare una vasta gamma di soluzioni, in sostanza si tratta però di varianti delle due seguenti: 1) una combinazione di disciplina dei prezzi e dei salari e di promozione delle esportazioni da parte americana che, congiuntamente a concessioni da parte dei partners principali, sia in grado di conservare essenzialmente intatti un sistema economico internazionale unitario e libero e un sistema di sicurezza come l'attuale, senza un'ulteriore proliferazione nucleare; 2) un venir meno della volontà americana di mantenere un'adeguata disciplina dei prezzi e dei salari, insieme a un'eccessiva riduzione delle responsabilità americane sulla scena mondiale, tale da provocare - nell'Europa occidentale, in Giappone e probabilmente altrove - le due seguenti decisioni: di produrre armi nucleari in misura tale da intimorire i potenziali avversari, e di perseguire politiche economiche ispirate ad angusti interessi nazionali o regionali.
In breve, la scelta di fondo che sta di fronte al mondo non comunista è quella tra la conservazione del sistema militare, politico ed economico relativamente unitario emerso dopo il 1945, a condizioni che consentano una più uniforme ripartizione del potere e delle responsabilità rispetto all'immediato dopoguerra, e la nascita di un nuovo e precario mondo mercantilista, i cui probabili centri principali sarebbero gli Stati Uniti, l'Europa occidentale e il Giappone.
Come mostra la tab. VII, il numero delle filiali manifatturiere straniere delle principali imprese multinazionali a controllo statunitense ha registrato una forte crescita.
Tabella 7
Un aumento analogo s'è verificato anche nel numero delle filiali di aziende petrolifere e di altre aziende estrattive a controllo statunitense.
L'espansione postbellica ha ripetuto, su una scala più ampia, uno schema già sperimentato in precedenza e cioè: industrie americane, godendo di speciali vantaggi tecnici o di mercato, sono andate all'estero a produrre per i mercati locali. Esse hanno sfruttato inoltre la rapida crescita, nel periodo successivo al 1945, della domanda di petrolio e di materie prime per uso industriale nel mercato americano e nel mercato mondiale in generale. Così facendo, queste aziende hanno imposto alla vita politica ed economica di molte nazioni una scelta complessa, in cui ad alcuni tangibili vantaggi procurati dalle imprese a controllo americano fanno riscontro costi economici, politici e psicologici.
Esse hanno anche modificato profondamente la natura del commercio estero. Uno studio condotto nel 1965 dal Department of Commerce americano su 264 aziende e sulle loro filiali all'estero mostrò che queste partecipavano, per la vendita o per l'acquisto, a circa la metà delle esportazioni statunitensi di manufatti. Le filiali svolgono inoltre un ruolo centrale poiché danno luogo a esportazioni dai paesi ospitanti. Le transazioni interaziendali hanno insomma modificato le forze che determinano le dimensioni e le direzioni del commercio estero, esattamente come i trasferimenti interaziendali di liquidità hanno alterato le forze operanti nel sistema monetario internazionale, aggiungendo un ulteriore elemento di instabilità nei momenti in cui si diffonde il sospetto di un'imminente svalutazione dell'una o dell'altra moneta.
Le dimensioni e la natura, le conseguenze e i problemi posti da questo massiccio sviluppo istituzionale, intervenuto nel settore privato, sono state analizzate da una vasta letteratura, di cui
Nella prospettiva di questo articolo, tre punti principali meritano di essere sottolineati.
Innanzitutto, questi sviluppi sono un prodotto delle condizioni di libertà di commercio e di movimento dei capitali createsi nel mondo non comunista del dopoguerra e dipendono ancor oggi dal mantenimento, da parte dei governi interessati, di tale situazione.
In secondo luogo, essi rispecchiano il procedere degli stadi di sviluppo durante questo periodo. Nel corso degli anni cinquanta l'Europa occidentale entrò in pieno nella fase dell'elevato consumo di massa. Da un lato la rapida espansione del mercato delle automobili, dei beni di consumo durevoli e delle industrie collegate, e dall'altro la crescente competitività di questi settori industriali hanno reso più vantaggioso per le aziende americane stabilirsi direttamente nell'Europa occidentale anziché affidarsi alle esportazioni convenzionali di manufatti prodotti negli Stati Uniti (esistevano incentivi analoghi per un insediamento in Giappone, ma l'organizzazione industriale e la politica nazionalista di questo paese hanno limitato l'espansione delle società multinazionali). Su scala minore, lo slancio con cui alcuni paesi latino-americani sono entrati nella fase della marcia verso la maturità tecnologica particolarmente il Messico e il Brasile nella seconda metà degli anni sessanta) ha creato incentivi analoghi in questa regione.
In terzo luogo, da questo processo è emerso un nuovo tipo di unità imprenditoriale privata. Come nota Vernon (v., 1971, p. 264): ‟Si ricordi in che cosa consistono gli impegni all'estero delle imprese multinazionali a controllo statunitense. In termini di proprietà azionaria, esse sono americane per il 90% e anche più; in termini di finanzia- menti, la quota americana arriva forse al 25%; in termini di personale, gli Americani sono meno dell'10/0; e infine considerando gli Stati cui pagano le tasse, esse sono praticamente al 100% straniere".
Intrinsecamente internazionali nelle loro prospettive e nelle loro operazioni, queste imprese si trovano di fronte Stati nazionali sovrani il cui atteggiamento nei loro confronti può essere campanilistico e ingiusto oltre che giuridicamente imperfetto. È quindi cosa naturale che i governi interessati stiano muovendosi nel senso della formulazione di regole internazionali, che dovrebbero fornire alle aziende di questo tipo una cornice concordata di leggi e regolamenti, e che, da parte loro, i sindacati stiano muovendosi verso nuove forme di negoziazione internazionale degli accordi salariali. L'internazionalizzazione di porzioni cospicue del settore privato sta così determinando la creazione di nuove forme di cooperazione internazionale da parte di istituzioni pubbliche o semipubbliche. In un modo o nell'altro, la ‛sfida americana' comincia a essere raccolta, fra l'altro con l'allargamento della Comunità Europea. L'elaborazione ulteriore da parte del settore pubblico di dispositivi atti a far fronte al nuovo imponente fenomeno costituito dalle società multinazionali sarà senza ombra di dubbio uno dei compiti principali degli anni settanta.
Più avanti si porrà il problema di adattare questi istituti privati e queste politiche statali a un mondo in cui, per esempio, le nazioni dell'America Latina e delle regioni asiatiche in via di sviluppo (nonché del
12. Relazioni tra nazioni a sviluppo avanzato e nazioni meno sviluppate: dallo sviluppo verso l'equilibrio o la catastrofe
In generale, le nazioni che hanno avuto il loro sviluppo dopo la seconda guerra mondiale hanno ricercato pragmaticamente - come in Europa occidentale, in Giappone e in Nordamerica - equilibri e forme di collaborazione tra settore pubblico e settore privato anziché applicare dottrine unilaterali, fossero esse il laissez-faire o il socialismo. L'evoluzione delle loro economie ha avuto luogo in un ambiente internazionale a un tempo favorevole e avverso, da cui sono venuti sostegni e frustrazioni.
Quando, durante la seconda guerra mondiale, la gente pensava ai problemi del dopoguerra, era naturale che le menti si volgessero soprattutto all'immenso campo di battaglia costituito dall'Eurasia settentrionale (diciamo da
Ma di fatto la questione dello sviluppo dei continenti meridionali rimase per qualche tempo relativamente in sordina: il Piano Marshall fornì dollari sufficienti per permettere all'Inghilterra di rimborsare i pesanti debiti in sterline contratti durante la guerra e, più in generale, per permettere alle potenze imperiali e coloniali di continuare a investire capitali nei loro vecchi domini; la ragione di scambio si mantenne generalmente favorevole alle regioni in via di sviluppo; in alcune parti del mondo la lotta politica anticoloniale assunse - comprensibilmente - la priorità sullo sviluppo economico e sociale; e comunque, nella scala delle priorità economiche internazionali, la ricostruzione dell'Europa occidentale fu al primo posto.
Ma già nell'inverno 1948-1949, mentre il Piano Marshall era ancora in atto, alcune forze politiche cominciarono a portare avanti il problema dello sviluppo. Il ‛quarto punto' del messaggio inaugurale pronunciato dal presidente Truman nel gennaio 1949 rispecchiò e insieme rafforzò questa tendenza. Ma la guerra di Corea e le sue conseguenze rinviarono sino a ben oltre il 1950 l'affermarsi della politica dello sviluppo al centro della scena internazionale. Come la maggior parte dei grandi processi storici, questo mutamento fu il prodotto della convergenza di forze differenti.
Innazitutto vi contribuì un fattore puramente umano e morale, che non bisogna sottovalutare. Molti, nel mondo occidentale, sentirono che con un Nordamerica ricco e un'Europa occidentale e un Giappone in rapida ripresa era ingiusto ignorare la situazione di relativa povertà della maggior parte del pianeta e l'aspirazione crescente alla modernizzazione e allo sviluppo. A questo giudizio morale si aggiunse la generale consapevolezza che un mondo costituito da un Nord ricco e dinamico e da un Sud povero e stagnante non poteva alla lunga essere pacifico e prospero.
Tale ordine di convinzioni e di sentimenti fu rafforzato da una serie di considerazioni contingenti.
1. Il fallimento comunista in Corea (preceduto dallo scacco subito nell'Europa occidentale) condusse a uno spostamento dell'interesse strategico, sia a Mosca che a Pechino, verso il mondo sottosviluppato, dando quindi luogo, inter alia, a programmi di aiuti economici chiaramente concorrenziali rispetto a quelli degli Stati Uniti e dell'Occidente.
2. Il confronto strategico nelle regioni in via di sviluppo fu acuito da quella che allora era considerata la drammatica competizione ideologica tra i processi di sviluppo indiano e cinese, il primo svolgentesi in un quadro democratico e il secondo in un regime comunista.
3. Altro fattore di inasprimento della contesa ideologica fu, sul finire degli anni cinquanta, in Africa, il costituirsi (già in atto o comunque imminente) di numerose nazioni postcoloniali.
4. Infine, un deterioramento nei prezzi relativi delle derrate alimentari e delle materie prime dopo la guerra di Corea ridusse per molti paesi in via di sviluppo, particolarmente per alcuni paesi latino-americani, l'ammontare delle divise estere disponibili. La conseguente diminuzione dei tassi di sviluppo accrebbe l'intensità delle richieste di assistenza rivolte agli Stati Uniti dalle nazioni latino-americane.
Nella seconda metà degli anni cinquanta la politica americana venne incontro a queste esigenze provvedendo, ad esempio, ad accrescere gli aiuti all'India e ad avviare un programma di assistenza permanente all'America Latina. Questa tendenza fu accentuata, consolidata e istituzionalizzata dalle iniziative del presidente Kennedy, che diede anche il suo appoggio all'idea di un ‛decennio dello sviluppo' patrocinato dalle Nazioni Unite. L'evoluzione dei programmi di assistenza dei vari Stati del mondo occidentale nel corso degli anni sessanta è rilevabile dalla tab. VIII.
Tabella 8
Ma l'aumento dell'assistenza per lo sviluppo fino a tali dimensioni non si è dimostrato una panacea. Il problema della crescita economica e del progresso sociale si è rivelato, in varie parti del mondo, difficile o addirittura insormontabile. La destinazione degli aiuti, le condizioni per la loro assegnazione e la pesantezza delle procedure amministrative previste sono state oggetto di critiche legittime. E tuttavia l'emergere nella comunità delle nazioni, nel corso di un decennio di tensioni e di pericoli, di questo processo storicamente nuovo ha fatto probabilmente pendere la bilancia a favore della cooperazione, anziché della contrapposizione, tra nazioni meno sviluppate e nazioni più sviluppate, e a favore di indirizzi politici più umani e pragmatici, anziché coercitivi e totalitari, all'interno delle nazioni in via di sviluppo. Per quanti giudicano questo sbocco un toccasana possiamo ripetere, trasponendola, un'affermazione che è stata fatta a proposito dei problemi urbani nell'America degli anni sessanta e delle relative scelte politiche: gli sforzi compiuti durante quel decennio nel campo degli aiuti all'estero hanno fornito alla comunità mondiale una corda alla quale aggrapparsi per superare l'abisso e per sopravvivere.
Per quanto concerne il tema qui trattato, possiamo dire che la maggior parte delle nazioni in via di sviluppo ha scelto di impiantare economie miste - con ruoli importanti sia per il settore privato che per quello pubblico - anziché applicare rigidamente dottrine proclamanti le virtù esclusive del mercato privato o dell'impresa pubblica, in un contesto che includeva aiuti stranieri di vasta portata.
Sebbene nel corso dell'intero decennio tra il 1960 e 1970 la questione della strategia dello sviluppo economico e dell'assistenza allo sviluppo risentisse dei postumi della guerra fredda, a cominciare dal 1965-1966 cominciò a farsi evidente un mutamento significativo. Da un lato il mancato svolgimento della conferenza di Algeri nel giugno 1965 sembrò smentire l'idea che le nazioni in via di sviluppo - sia comuniste che non comuniste - potessero organizzarsi efficacemente come blocco politico. Dall'altro - e stavolta in senso positivo - la possibilita e l'urgenza di avanzare sulla via della cooperazione regionale furono meglio apprezzate, per ragioni diverse, sia nell'America Latina che in Africa e in Asia. Lì progresso effettivo in materia di istituzioni regionali in queste aree è stato in realtà lento; ma è certo che l'uso delle espressioni generiche che erano state in voga negli anni cinquanta - come ‛Terzo Mondo' o ‛mondo sottosviluppato' - è divenuto a poco a poco sempre meno appropriato. Come abbiamo osservato più sopra (v. capp. 5 e 6), l'emergere di queste nuove prospettive e istituzioni regionali ha ampliato il campo d'azione del settore privato al di là dei confini nazionali, come già era avvenuto nell'Europa occidentale.
Negli anni settanta la comunità mondiale ha cominciato ad affrontare la scadenza di un secondo decennio dello sviluppo. E lo ha fatto sulla scorta dei risultati e degli insuccessi del decennio precedente. Gli impegni concernenti lo sviluppo erano molti e di natura complessa. I vari punti all'ordine del giorno sono stati affrontati con aspettative meno irrealistiche e con una più esatta consapevolezza dei limiti entro i quali è possibile aiutare dall'esterno una nazione in via di sviluppo, ma anche con una maggiore competenza nell'assolvimento dei compiti connessi con la crescita economica e con il benessere sociale. I successi realizzati in ciascun continente avevano, d'altra parte, fornito la chiara dimostrazione che la modernizzazione e uno sviluppo rapido erano obiettivi raggiungibili.
Ma, a mano a mano che questo secondo decennio di significativi sforzi internazionali andava prendendo forma, nella comunità internazionale cominciava a farsi strada la consapevolezza che un'impostazione del problema limitata alla crescita economica non bastava. Si trattava di una facile intuizione. Nessuno che esaminasse seriamente le prospettive di crescita, dopo il 1945, del mondo in via di sviluppo poteva credere alla possibilità di uno sbocco positivo senza un tempestivo e netto declino dei tassi di natalità. Ma negli anni intorno al 1970 all'antica inquietudine per il problema demografico si sono aggiunte nuove preoccupazioni circa la capacità delle risorse atmosferiche, idriche, energetiche e delle materie prime, di alimentare un'industrializzazione delle dimensioni che uomini e nazioni sembrano intenzionati a perseguire.
Stante il ritmo dell'espansione demografica e dell'industrializzazione, non è difficile prevedere, per il prossimo secolo, sulla base delle tendenze in atto, catastrofiche tragedie di fame, inquinamento ed esaurimento delle risorse. Sono previsioni discutibili nell'uno o nell'altro aspetto particolare. Ciò che invece non è discutibile è l'urgenza di arrivare a una cooperazione internazionale che elabori e promuova l'applicazione di nuove tecniche di controllo delle nascite, di sostituzione delle risorse, del loro riciclaggio e di altri interventi antinquinamento e di produzione di energia.
La necessità di una cooperazione su scala mondiale per far fronte a questi problemi è resa ancora più stringente da un'eventualità specifica.
I bisogni di petrolio, gas naturale e minerali di base da parte sia dei paesi di più antica industrializzazione (quelli il cui decollo ha avuto luogo prima del 1900), sia dei paesi di modernizzazione più recente (quelli il cui decollo ha avuto luogo intorno agli anni trenta), rischiano di provocare un conflitto sempre più aspro dato che i secondi avvertono un senso di ingiustizia per i vantaggi derivati ai primi dalle vicende storiche.
Dal canto loro, le nazioni di più antica industrializzazione potrebbero avvertire un senso di ingiustizia di fronte ai tassi di incremento demografico anormalmente alti (giudicati secondo parametri storici) che si sono raggiunti nei paesi nuovi in virtù della rapida diffusione della medicina e delle attrezzature sanitarie moderne e per la mancanza di un piano di controllo demografico adeguatamente sovvenzionato e realizzato dalle autorità politiche. Gli attuali tassi di incremento demografico rischiano di esaurire le risorse internazionali e di provocare - se i processi di industrializzazione e di urbanizzazione procedono secondo le linee oggi correnti - conseguenze assai gravi in termini di inquinamento atmosferico e idrico. Nello sforzo per evitare questa minaccia, responsabilità ben determinate, che non tenterò di definire qui, spettano sia alle nazioni di antica sia a quelle di nuova industrializzazione. Dal punto di vista della presente analisi, il punto fondamentale da sottolineare è che la prospettiva economico-politica del conseguimento dell'equilibrio ambientale accentuerà - sia all'interno delle società nazionali sia a livello internazionale - il ruolo dell'azione pubblica e richiederà un'elaborazione ulteriore dei complessi rapporti associativi che già ora legano settore pubblico e settore privato. La cosa è stata vista con chiarezza in ‟The OECD Observer" del giugno 1972 (New thinking on economic growth, p. 3): ‟[...] queste richieste riguardano in misura sempre maggiore cose alle quali - come nel caso della valorizzazione dell'ambiente fisico - può essere provveduto soltanto collettivamente, o mediante l'azione pubblica. Ciò significa ch'esse in misura sempre maggiore trovano il loro sbocco tramite strumenti a livello politico e che pertanto non sono soggette ai controlli automatici e alla disciplina del meccanismo di mercato. La questione del come ci si avvii a fare queste scelte è forse non meno importante, per il futuro di una società, della natura delle decisioni stesse. È quindi importante che questi strumenti politici siano resi efficaci il più possibile".
Per due secoli - diciamo dal 1776, data della pubblicazione della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith - gli uomini e i governi si sono sentiti liberi di perseguire obiettivi di progressivo sviluppo. Ma negli ultimi decenni è divenuto evidente che in futuro i compiti all'ordine del giorno concerneranno obiettivi di armonizzazione piuttosto che di sviluppo, pur limitato. E tali compiti di armonizzazione, non diversamente da ogni altro stadio di sviluppo, porranno nuovi problemi ai poteri pubblici e privati, creeranno nuovi legami di cooperazione e nuove tensioni tra essi e daranno al capitalismo un volto e un contenuto nuovi.
Ma si tratta di una vicenda ben nota: il capitalismo moderno infatti ha cominciato a modificarsi fin dalle sue ongini più di due secoli fa.
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