CAPOMASTRO

Enciclopedia Italiana (1930)

CAPOMASTRO (fr. maitre-mason; sp. maestro de obras; ted. Bauführer; ingl. superintendent)

Adriano PRANDI

Intermedia fra l'architetto e l'operaio, la figura del capomastro è quella di colui che, propriamente, riceve dall'architetto gli ordini e ne cura l'esecuzione soprintendendo alla fabbrica, avendo sotto di sé le maestranze e approntando i mezzi d'opera. Oggi questo speciale operaio riceve, a seconda dei casi, la qualifica di appaltatore o di assistente, e nel suo significato più generale e senza dubbio più importante per la storia dell'architettura, il capomastro è colui che, essendo per abilità e ingegno emerso dalla schiera degli operai specializzati (i magistri dell'epoca romana) dopo essere stato operaio egli pure, profittando più e meglio della pratica manuale, è in grado di provvedere all'esecuzione dei complessi disegni dell'architetto o dell'ingegnere, all'organizzazione di cantieri, e di ideare anche, in casi non troppo importanti, l'opera da eseguire. Così spesso, il capomastro, nella storia dell'arte costruttiva in genere, si confonde a volta a volta col capo degli operai (col protomagister e col rector fabricae dei Romani), con l'imprenditore, con l'architetto o con l'ingegnere.

Infatti, mentre non può avere le funzioni di architetto nell'epoca egiziana, greca e romana, quando cioè l'architetto era rivestito di autorità religiosa e da lui si pretendeva (v. architetto) una profonda cultura non solo nella propria arte ma anche nelle altre; nel Medioevo, quando l'arte si rifugia, per dir così, nelle corporazioni degli artefici, essendo egli a capo di queste corporazioni (derivate dai collegia romani e come questi rese compatte da vincoli religiosi e giuridici) merita non di rado la qualità di architettore o ingegnero. Per esempio il Targioni Tozzetti nella Disamina dei progetti per salvare Firenze dall'assedio del sec. XVI parla d'un messer Girolamo di Pace "vecchio e praticissimo ingegnero, o come allora dicevasi, capomaestro". A conferma di tali indeterminatezze si rileva nel capomastro di ogni tempo la tendenza a esagerare la considerazione della propria competenza tecnica ed artistica fino a provocare, da parte dell'aristocrazia dell'arte, reazioni vivaci; così, nel tempo più antico, Marziale lanciava i suoi strali contro questi artefici venuti su dal mestiere, e molti secoli dopo, Jean Mignot, allo stesso proposito, affermava: Ars sine scientia nihil est. Nell'epoca romana è chiara e provata l'esistenza di questa figura di operaio preposto agli altri operai, di capo d'una squadra di magistri. La designazione di "capo fra i maestri" rammenta il processo per cui in Grecia dal termine generico τέκτων si passò a quello di ἀρχιτέκτων.

Nel Medioevo, come abbiamo già accennato, l'importanza del capomastro si accentua in quanto il preposto alla corporazione diviene esponente d'una tendenza o d'una maniera costruttiva ed artistica che, appunto perché ligia alle tradizioni popolari, determina il contenuto vitale degli stili nel loro vario nascere e divenire come opposizioni alle mode straniere e, contemporaneamente, come sane utilizzazioni dei progressi e dell'essenza dell'arte concepita dagli eruditi. Sotto il nome di magistri operis o operum, o operis lapidum o fabricae, lapicidae, latomi, operarii, sono designati veri e proprî artisti, che, gloriosi della tradizione tramandata da padre in figlio più che del sapere, dopo essersi esercitati ed affermati nella regione natale, vengono chiamati a portare in ogni parte del mondo l'impronta di quelle costumanze artistiche locali, che, pertanto, s'avviano a divenire universali. Così, i Cosmati, i Vassalletti, gli scultori pugliesi e dalmati. Anzi non di rado, nel Medioevo, e anche più tardi, si bandiscono veri e proprî concorsi fra questi capi di corporazioni per presiedere a complessi lavori edili; necessaria conseguenza è il progresso culturale di tali artefici che s'avviano alla personalità artistica. Il capomastro Villard de Honnecourt conosceva il latino e s'interessava a diverse scienze. Il capomastro nel Medioevo è dunque una figura elevata che si accosta all'architetto, come quell'Étienne de Bonneuil, capomastro del re a Parigi, che nel 1278 s'impegna di andare a costruire la cattedrale di Upsala, portando con sé dieci compagnons o bacheliers; e spesso a un capomastro viene affidata l'amministrazione di una fabbrica rendendo quindi non necessaria la sua funzione propriamente detta, come attestano i conti di costruzione del duomo di Siena, pubblicati dal Milanesi. Capomastro designa così ancora - a volta a volta - il proto della fabbrica, l'architetto, l'imprenditore. E poteva - tanto era tenuto in conto - presiedere anche a lavori di cui l'autore non aveva la proprietà e su cui, quindi, non esercitava funzione direttiva. La rinomanza di questi artefici si estendeva lontano dalla patria, tanto da rendere richiesta l'opera di Villard de Honnecourt in Ungheria; di Pietro d'Angicourt alla corte di Napoli nel sec. XIV; di Mathieu d'Arras alla cattedrale di Praga; dei Cosmati a Westminster; di Giacomo da Pietrasanta e di Giovanni da Traù a Roma, ecc. E ai capomastri si amava largire ampio tributo d'onore, come fanno fede il busto eretto a Mathieu d'Arras nella cattedrale di Praga, le figure dei capomastri incise nei medaglioni del labirinto della cattedrale d'Amiens e in quella di Reims.

Dal Rinascimento in poi, i grandi architetti, poiché spesso erano stati, in un primo tempo, semplici artefici e alla dignità di artista erano saliti svolgendo le mansioni proprie del capomastro, ne assorbono la migliore essenza e al capomastro vero e proprio più nettamente, sebbene non costantemente, lasciano l'ufficio di capo del cantiere, d'esecutore, d'imprenditore. Costui conservava sempre la tradizione dell'arte e del linguaggio costruttivi e spesso anche gli artisti del Rinascimento non sdegnarono disimpegnare l'ufficio di capomastro, qualunque fosse la loro arte.

Col proseguire del tempo, la distinzione fra architetto e capomastro dovette rendersi ben netta nell'uso comune e le mansioni degli uni e degli altri ben coordinate, se il Segneri, nel Cristiano istruito, ha potuto dire in traslato, senza tema di essere frainteso: "la superbia è l'architetto che fa il disegno e l'avarizia è il capomastro che appresta le opere e la materia ed i modi per eseguirlo".

Oggi la qualifica di capomastro si addice a colui che - a capo di operai - è in grado di provvedere all'esecuzione e anche all'ideazione di piccoli lavori, lavorando egli stesso, e deve quindi disimpegnare le funzioni d'imprenditore, in scarsa misura quelle di architetto e d'ingegnere; rimane però circoscritta ai capi di muratori. Ma le leggi vigenti, per l'avvenuta determinazione dei compiti e delle responsabilità dell'ingegnere e dell'architetto, non conferiscono riconoscimento giuridico al capomastro se non quando disimpegna le funzioni di assistente (per cui è necessaria la tecnica propria del capomastro e apposito corso di studî) o d'imprenditore.

Bibl.: J.B. Rondelet, Traité théorique et de l'art de bâtir, Parigi 1802; L. Canina, L'architettura antica, Roma 1830-1844; A. Choisy, L'art de bâtir chez les Égyptiens et chez les Romains, Parigi 1873; G. Vasari, Le Vite, ecc., Firenze 1878 segg.; E. Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonné de l'architecture française, Parigi 1882; G. Giovannoni, Note sui marmorari romani, Roma 1904; G. T. Rivoira, Origini dell'architettura lombarda, Milano 1908; C.G. de Montauzan, Essai sur la science et l'art de l'ingenieur aux premiers siècles de l'Empire, Parigi 1909; A. Venturi, L'architettura del Quattrocento, Mlano 1923 segg.; G. Giovannoni, La tecnica della costruzione presso i Romani, Roma 1925; P. Toesca, Storia dell'arte italiana. Il Medioevo, Torino 1927; G. Cozzo, Ingegneria romana, Roma 1928.

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