CAPRI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1959)

Vedi CAPRI dell'anno: 1959 - 1994

CAPRI (Capreae, più rar. Caprea; Καπρέαι, αἱ Καπρίαι, ἡ Καπρίη, ἡ Καπρία, Καπρέα)

L. Rocchetti

Isola del golfo di Napoli, centro importante già nel periodo preistorico del quale tracce cospicue furono messe in luce già dai Romani durante l'erezione del palazzo imperiale di Augusto (Suet., Vita Aug., 72). Nel 1905 sono state scoperte a Valle Tragara ossa gigantesche di Elephas Primigenius, Rhinoceros Merckî, Ursus Spelaeus, insieme a cuspidi di selce e quarzite scheggiate e appuntite, triangolari e amigdaloidi di tipo chelleano e musteriano, che indicano la contemporaneità di tali animali e dell'uomo paleolitico, cinquantamila anni fa. Dopo un periodo di sconvolgimenti tellurici durante i quali la zona fu sommersa dal mare e staccata dal continente, dopo i cataclismi vulcanici, le cui tracce sono visibili nella stratificazione dell'isola, e che dettero a tutto il golfo di Napoli l'aspetto odierno, gli uomini dell'Età della Pietra hanno lasciato tracce molto evidenti all'aperto e nelle caverne, specialmente nella cosiddetta Grotta delle Felci, un riparo sotto roccia al disopra di Marina Piccola, la cui posizione dominante e comoda, ha permesso un lungo e prolungato soggiorno alle tribù delle Età della Pietra e del Bronzo. Gli scavi hanno recuperato diverso materiale, tra cui i tipici pugnali neolitici in selce, lisciatoi, raschiatoi in ossidiana, frammenti di ceramica in argilla finissima chiara e ceramica di argilla figulina rossa grossolana. Nella grotta sono stati trovati anche due ciottoli di calcare locale bianco e di forma appiattita, su cui è rappresentata, dipinta in ocra rossa, la figura umana nella forma estrema della schematizzazione, secondo la forma ad arco. Altro materiale preistorico è stato raccolto in varie località dell'isola.

C. si stacca in pieno dalle altre colonie greche del golfo di Napoli la cui vita nel VII e VI sec. gravita su Cuma, la colonia calcidese, ed ha poco rilievo nelle vicende greco-sannitiche della Campania. La leggenda narrava del popolo dei Teleboi che dall'Acarnania giunse, durante la guerra troiana, a C. (Verg., Aen., vii, 73): noi non sappiamo quali fossero i colonizzatori, ma certo si trattava di un gruppo greco diverso da quello che colonizzò Cuma e tutto il versante occidentale del golfo partenopeo. I colonizzatori, secondo un'usanza egea, fondarono un abitato alla Marina (Κάπρεαι, Capreae) ed un abitato superiore in località sicura: Anacapri, unite fra loro da un sentiero intagliato nelle pendici del Solaro: questi due centri vissero in relativa indipendenza fino ad Augusto, quando l'isola fu incamerata nel demanio imperiale (αἱ δὲ Κάπρεαι δύο πολίχγιας εἶχον τὸ παλαιὸν ὕστερον δὲ μιάν; Strab., Geogr., v). Le successive costruzioni imperiali hanno fatto scomparire quasi ogni traccia della C. greca, eccetto qualche tratto del muro di fortificazione che racchiude la C. antica sull'acropoli in blocchi di calcare; i resti di una palestra (nelle terrazze pianeggianti dove gravitò la vita isolana nel periodo ellenistico), e resti di un edificio con colonne e statue alla Marina.

I resti monumentali di C. però sono le ville imperiali che Augusto fece costruire con sontuosità e lusso. Notizie sulla C. romana abbiamo da Svetonio (Vita Aug., 92, 98): Augusto visitò l'isola nel 29 a. C. e vi soggiornò spesso per brevi periodi durante l'estate e, l'ultima volta, quattro giorni prima di morire. Durante il suo regno cominciano le fabbriche delle residenze imperiali: sul litorale, per ragioni climatiche e per la vicinanza dell'abitato, egli fece costruire una villa composta di edifici di piccola mole e di vaste zone d'ombra. Tiberio visse a C. ininterrottamente tra il 27 ed il 37 (Suet., Vita Tib., 40; Tac., Ann., iv, 67). Tacito nomina dodici ville nelle quali l'imperatore si sarebbe insediato dedicandone ognuna ad una divinità: noi oggi conosciamo i resti di due grandi ville, pur avendo avanzi di altre minori. La villa più grandiosa è la Villa Iovis (il solo nome antico documentato da Svetonio), al sommo del promontorio orientale, dalla struttura massiccia, molto rovinata durante il secolo scorso da scavi disordinati. Gli ultimi scavi, eseguiti nel 1935, hanno portato alla luce un vasto ed organico edificio, con arditi accorgimenti tecnici alla sommità della rupe a picco sul mare. Con tutti gli edifici dipendenti, la villa copriva una superficie estesa: a causa della natura del suolo si è avuta però la necessità di raggruppare il numero delle fabbriche e di guadagnare in altezza quello che non era possibile ottenere in ampiezza; le pareti N ed E del palazzo sono sull'orlo delle rupi che strapiombano sul mare con un salto di circa 300 m: i lati O e S guardano l'interno dell'isola: specie da questa parte la villa, innalzandosi su grandi pilastri, raggiungeva il suo massimo sviluppo in altezza, uno dei più considerevoli per le costruzioni del primo periodo imperiale romano.

Tutta la costruzione gravita intorno ad un grande quadrilatero centrale in cui sono collocate cisterne per la raccolta dell'acqua piovana. Si accede al palazzo attraverso rampe che salgono al cosiddetto viale dei Mirti e finiscono in un vestibolo, atrio tetrastilo con quattro basi di marmo bianco su cui si ergevano quattro colonne di marmo cipollino; gli ambienti adiacenti servivano per il corpo di guardia. Un ampio corridoio con il pavimento di mosaico bianco conduce ad un secondo vestibolo, da cui si passa, ad E, al piano superiore occupato dal bagno e dagli alloggi: il bagno, che si estende per tutto il lato del palazzo, è composto di una serie di cinque ambienti paralleli al corridoio: nel calidarium vi sono due absidi, una con la vasca da bagno, un'altra con un bacino di bronzo per le abluzioni. Il lato O, verso l'isola, aveva una Costruzione a più piani per la servitù, con stanze uguali disposte lungo un corridoio. Il corridoio principale lasciando il bagno conduce, attraverso una gradinata ed una rampa, agli appartamenti imperiali, nella parte superiore del palazzo; questi possono distinguersi in un quartiere di rappresentanza, formato da una grande aula ad emiciclo e stanze minori, e l'alloggio imperiale sull'estremo picco del monte aperto a N sull'isola e ad O sul mare, appartato da tutto il resto del palazzo, formato da tre ambienti, un vestibolo d'ingresso e due stanze con spaziose finestre e pavimenti di tarsie marmoree policrome: davanti al vestibolo una terrazza-belvedere con tettoia. Sulla pendice settentrionale del monte, verso il golfo di Napoli, è la splendida loggia dell'ambulatio, lunga 92 m, terminante ad E in un'esedra a strapiombo sul mare ed interrotta ed ampliata a metà da un quartiere di residenza di cui la stanza principale è un'aula triclinare. Sul ciglio del monte, ad O, vi è una massiccia costruzione, forse un posto di vedetta dell'età di Tiberio. Sulla roccia che forma crinale fra due versanti dell'isola è il Faro, costruzione di 12 m di lato e 16 di altezza (dai resti) che crollò poco prima che Tiberio morisse, ma dovette essere restaurata poco dopo se Stazio (Silv., iii, 5, 100) lo vide.

La villa di Damecuta sul promontorio che sporge dal massiccio del Solaro sull'altipiano di Anacapri, è ancora discretamente conservata: presenta un quartiere di belvedere, un quartiere di residenza con sala triclinare all'estremità O; ed un altro quartiere privato, appartato dagli altri, aggrappato al pendio del promontorio. La villa fu abbandonata presto perché sepolta dalle ceneri del Vesuvio (79 d. C.). I resti delle altre ville sono scarsi.

Altre costruzioni molto interessanti sono le cosiddette Grotte dell'Arsenale e di Matermania, antri naturali trasformati in lussuosi ninfei; la prima, fra Marina Piccola e Punta Tragora, è profonda 37 m, con una bocca di apertura molto vasta, una vòlta amplissima che degrada verso il fondo, un tempo rivestita di lacunari in stucco e mosaici. La grotta di Matermania nel versante sudorientale dell'isola, ha la forma di un rettangolo irregolare con abside.

Le ville imperiali erano ornate di splendidi monumenti, di cui abbiamo solo pochi resti: dalla villa Iovis provengono al Museo Naz. di Napoli due bellissimi puteali con ornamenti vegetali, di diversa esecuzione, fra i più bei prodotti dell'arte decorativa imperiale, ed un rilievo con una scena paesistica; dalla villa di Damecuta è tornato alla luce un bel torso efebico, frammento, forse, di una statua di Narciso. Un altro rilievo proveniente da C. e rappresentante Mitra è al Museo Naz. di Napoli. Dopo Tiberio l'isola continuò, a grandi intervalli, a essere residenza imperiale fino all'età dei Flavi, per poi essere adibita a luogo di relegazione di alcuni personaggi della corte romana.

Bibl.: G. Buchner, La stratigrafia dei livelli a ceramica ed i ciottoli con dipinti schematici antropomorfi della grotta delle felci, in Giorn. di Paletn. Ital., 1954-55, pp. 107-135; E. Petraccone, L'Isola di C., Bergamo 1913; M. Ihm, Die Sogen. Villa Jovis des Tiberius auf C., in Hermes, XXXVI, 1901, pp. 287-291; A. Maiuri, C., Storia e monumenti, Roma 1956; P. Mingazzini, Le grotte di Matermania e dell'Arsenale a C., in Arch. Class., VII, 1955, pp. 139-163, tavole LIX-LXV; A. Maiuri, Brevi note sulla vita di Augusto a C., in Atti R. Acc. Arch. e Belle Arti, XII, Napoli 1933-34.

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