CAPRIANI, Francesco, detto Francesco da Volterra

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CAPRIANI, Francesco, detto Francesco da Volterra

Manfredo Tafuri

Figlio di Giovanni Andrea, nacque a Volterra nei primi decenni del secolo XVI. La sua fama è basata sulle sue opere architettoniche a Roma; ma è ancora da approfondire la sua attività di architetto fuori dallo Stato pontificio, oltre a quella sua originaria - secondo le fonti - di intagliatore.

Non si sa l'anno in cui il C. venne a Roma; dai documenti non risulta una sua diretta partecipazione ai lavori che, tra il 1560 e il 1575, Bonifacio Caetani fece nel suo possesso di Cisterna; ma il fatto che in quel periodo il C. fosse architetto del Caetani ha indotto il Wasserman (p. 174) ad attribuire al C. un disegno conservato all'Accademia di S. Luca (n. 196) con la didascalia "pianta del palazzo della Cisterna". Il palazzo venne distrutto nella seconda guerra mondiale (Bibl. Apost. Vaticana, Riserva stragrande 52: ...Documentazione fotografica e rilievi dopo il bombardamento).

Il Baglione (p. 48) e il Martinelli (p. 38)attribuiscono al C. la chiesa di S. Chiara a Roma, la cui facciata, trasformata nell'Ottocento, è nota da una incisione del Vasi: si tratta di una semplice fronte a due ordini ritmati da doppie lesene, secondo un modello di derivazione sangallesca che lo stesso C. e G. Della Porta svilupperanno in progetti più complessi. È incerta l'attribuzione della casa pia, annessa alla chiesa, fondata nel 1563; difficile è pertanto valutare l'attribuzione del convento al Maderno fatta dal Baglione e dal Martinelli: il Maderno, continuatore di molte opere del C., potrebbe aver completato la costruzione, d'altronde estremamente semplice e frutto di riadattamenti di edifici già esistenti.

Tutte le fonti fanno iniziaredal 1565, con uno stipendio di 181 scudi d'oro l'anno, l'attività del C. a Guastalla, dove Cesare Gonzaga trasferì la corte nel 1567, basandosi sul documento (Arch. di Stato di Mantova, b. 1392) citato da F. Amadei (sec. XVII-XVIII), in Cronaca universale della città di Mantova, II, Mantova 1955, pp. 742 s. Ma il riferimento è tutt'altro che esatto, perché in quel documento il C. non viene affatto nominato.

La pianta di Guastalla, che conservava il cardo romano, era già stata tracciata da D. Giunti, morto nel 1560. Il C. "piantò tutti i capi di strada, facendo che si andassero ergendo le case dove mancavano" (I. Affò, Istoria della città... di Guastalla..., III, Guastalla 1787, p. 25). La qualità e la quantità delle opere eseguite testimonia dell'alta considerazione già goduta dal C.: egli aprì, infatti, la strada Cesarea (oggi strada Gonzaga) con le elementari facciate delle case che saranno poi dipinte da Raffaellino da Reggio, - che seguirà il C. a Roma - e completò il palazzo ducale, iniziato dal conte A. Torelli; in esso, nonostante le successive manomissioni e profonde deturpazioni, sono tuttora riconoscibili elaborati motivi manieristici del Capriani. Nell'Archivio di Stato di Parma (Mappe e disegni, vol. XLVIII, 85-80) sono conservati due rilievi del palazzo, della fine del sec. XVIII, che costituiscono le uniche testimonianze della struttura originaria dell'edificio. Profondamente trasformati sono stati anche il palazzo della comunità e la chiesa cattedrale di S. Pietro, iniziata nel 1569 su progetto del C., dove è di particolare interesse il trattamento esterno del tamburo cilindrico della cupola, la cui tesa superficie in laterizio denuncia una ricerca puristica ispirata a modelli emiliani. Attribuita al C. è anche la pianta della chiesa dei serviti (il decreto di Cesare Gonzaga che permette l'introduzione dell'Ordine è del 5maggio 1568: G. B. Benamati, Memorie del convento dei Servi, Parma 1674, pp. 75 s.), che però già nell'anno 1600venne abbattuta e quindi ricostruita sopra un disegno di A. Filippi.

Probabilmente negli stessi anni il C. lavorava a Mantova. Infatti, prima del 1566, il Vasari, che evidentemente non lo conosceva, ammirava nel palazzo di Mantova uno "studiolo fatto per le medaglie, il quale ha ottimamente d'ebano, e d'avorio lavorato un Francesco da Volterra che in simili opere non ha pari" (Le vite..., a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, p. 489). Di questo studio non resta traccia, ma è la prima testimonianza dell'attività di intagliatore del C., che le fonti ricordano come prima opera (e il Vasari come unica), e alla quale l'artista si dedicò anche in seguito.

Dal 1570 il C. risulta a Roma al servizio del cardinale d'Este per lavori di intaglio e decorazione sia a Tivoli sia al Quirinale: sono documentati pagamenti nel 1570, 1572, 1573, 1577 (D. R. Coffin, The Villa d'Este at Tivoli, Princeton 1960, ad Indicem).

Certamente durante il soggiorno a Mantova e Guastalla il C. conobbe Diana Scultori, figlia di Giovan Battista e sorella di Adamo, che egli sposò non si sa in quale anno. Valente nell'arte dell'incisione, fu collaboratrice, oltre che dei suoi familiari e di Giulio Romano, del marito, di cui inciderà disegni. Il 2 sett. 1578 fu battezzato nella parrocchia di S. Agostino a Roma il loro figlio Giovanni Battista, che ebbe padrino Durante Alberti da Borgo San Sepolcro e che risulta unico.

I legami con i Gonzaga d'altronde non si erano affievoliti, visto che nel 1578 il C. fu eletto procuratore del Comune di Guastalla presso la corte pontificia (G Campori, Gli artisti... negli Stati Estensi, Modena 1855, pp. 1195), e che nel 1583 monsignor Zibramonte, scrivendo a Ferrante II Gonzaga (A. Bertolotti, Artisti in relaz. coi Gonzaga..., in Atti e mem. d. Deput. di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, s. 33, III [1885], p. 17), 0 diceva che il C. sarebbe andato volentieri a servire il duca nonostante l'aria gli fosse "assai nociva". Evidentemente il C. pensava che alla corte mantovana avrebbe potuto assumere ancora quel ruolo direttivo svolto alla più piccola corte di Guastalla, ma le trattative non andarono in porto e l'artista fu costretto a rimanere immerso nel conformistico clima della Roma della Controriforma, di cui divenne uno degli interpreti più significativi.

Databili al 1576-1577 sono i lavori del C. per il secondo ordine della facciata di S. Maria dell'Orto, e al 1575-1579 alcune opere per la Confraternita dei Bergamaschi.

Il C. è pagato, dal 1577al 1579, per i disegni relativi alla cappella e all'ospedale della Confraternita dei Bergamaschi (Roma, Archivio del Collegio Cerasoli, Registro dei mandati, 1577-1587). F. Fasolo (Disegni inediti di un architetto romano del '700, in Palladio, n.s., I [1951], 4, pp. 186-89) riferisce tali pagamenti alla chiesetta di S. Macuto. Quest'ultima e il secondo ordine della facciata di S. Maria dell'Orto sfruttano un tema comune, quello degli obelischi che sfioccano verso il cielo le piatte superfici, con un gusto - specie a. S. Maria dell'Orto - del tutto surreale; inoltre in ambedue gli edifici compaiono temi minori del manierismo settentrionale (vedi la serliana che si apre al piano superiore del S. Macuto). La Gargano, al contrario, riferisce all'intervento del C. la struttura della chiesetta del Bergamaschi e la sua facciata su piazza Colonna, a ordine unico e finestra semicircolare sul portale: la fronte cinquecentesca traspare ancora sotto l'addobbo barocco sovrappostole da Carlo De Dominicis nel 1731c. (M. G. Gargano, Carlo De Dominicis, in Storia dell'arte, IV [1973], 17, pp. 88-93).

Che il C. continuasse a lavorare per i Caetani è confermato dalla sua nota manoscritta a margine di un disegno di portale del castello di Roccabica nel Parmigiano, che il C. stesso mandava il 7-3 luglio 1578 al conte Giulio Rangoni (Milano, Castello Sforzesco, Raccolta Martinelli, IV, c. 79). Nella nota infatti il C. scrive che si era dovuto allontanare da Roma per "20 giorni interi" per lavori per il card. di Sermoneta a Cisterna e per il card. di Como, Gallo. Per il card. Nicola sovrintese ai lavori nel giardino di Ninfa: dal 1578 al 1580 realizzò il portale d'ingresso in travertino e un impianto su due viali ortogonali conclusi da ninfei naturalistici; più tardi, nel 1588, aggiunse una vasca all'incrocio dei viali. Per lo stesso cardinale il C. progettò il monumento funebre, con sculture di G. B. Della Porta e di A. Calcagni, nella basilica di Loreto, in sostituzione del progetto di G. Boccalini che non aveva soddisfatto la committenza (Roma, Archivio Caetani, Racc. generale 89377, lettere del 2 giugno 1578 del C. al Peranda; A. Ricci, Memorie storiche... della Marca di Ancona, Ancona 1834, II, pp. 56, 77 n. 38).

L'impianto, ad arco trionfale concluso da un timpano e raccordato ad obelischi laterali, non rivela particolari ricerche linguistiche, nonostante i motivi michelangioleschi del catafalco. Il C. si dimostra ancora fedele ai modelli correnti della seconda metà del Cinquecento, limitandosi a interpretazioni di manieristica correttezza.

Ancora per il Caetani il C. progettò il grande catafalco a più piani per le esequie del duca Onorato all'Aracoeli, nel 1592 (Roma, Arch. Caetani, Racc. generale, novembre 1592).

Enrico Caetani commissionò al C. progetti, mai eseguiti, per il palazzo dell'Orso, in Roma, cui si riferiscono i disegni degli Uffizi (A. 6722, 6733) datati 1581 (Hibbard, 1971, p. 127). In una lettera non datata e non firmata dell'Archivio Caetani (attribuita nell'inventario al cardinale Nicola Caetani e datata al 3 maggio 1582) si lamenta il fatto che il C. parte in continuazione da Roma senza preoccuparsi di seguire i lavori in corso. Si tratta probabilmente del periodo nel quale il C. ritornò a Volterra per eseguire il soffitto del duomo.

Già nel 1574il vescovo di Volterra aveva commissionato al C. il soffitto della crociera; tra il 1580e il 1582erano state raccolte offerte pubbliche per farne uno simile sulla navata centrale e di nuovo nel 1583per le navate laterali. Probabilmente dopo la prima parte dei lavori il C. indirizzò (22 giugno 1579) ai magistrati una istanza per essere riconosciuto cittadino di Volterra (sua moglie, nel 1582dedicherà alla città di Volterra una incisione). Il 16ottobre il C. era certamente a Volterra e ispezionò anche l'acqua delle piscine del castello lasciando istruzioni per la costruzione di un acquedotto. Dal Libro di entrata euscita per i lavori della soffitta del duomo (Archivio vescovile di Volterra, pp. 61, 81, 85, 89) il C. risulta a Volterra tra il 22 maggio e il 13 sett. 1584. Al C. furono chiesti altri lavori oltre che i disegni del bellissimo soffitto tuttora in loco salvo quelli delle navate laterali demoliti nel secolo scorso; sulla decima colonna a destra lo stemma del C. (per tutta la documentazione vedi Cinci, pp. 1-9).

È nelle opere romane progettate e realizzate dal 1582 in poi che il C. emerge con una sua precisa personalità, dopo le incerte prove offerte nel ventennio precedente, frutto, spesso, di divergenti linee di ricerca. Dal 1582 il C. appare impegnato, infatti, nella costruzione della facciata della chiesa di S. Maria di Monserrato, di cui vide finito solo il primo ordine, completato il 6 sett. 1593 (J. Fernández Alonso, S. Maria di Monserrato, Roma s.d., ad Indicem). Le pesanti critiche rivolte alla facciata dal Milizia non sono del tutto ingiustificate: lo "stile severo" adottato dal C. appare infatti ancora immaturo.

Un disegno del C. (coll. Cronstedt Fullerö, Stoccolma: vedi Langenskiöld, fig. 43) è quanto rimane della cappella Rustici (poi Cenci) da lui eseguita sulla sinistra dell'altar maggiore della chiesa di S. Maria sopra Minerva.

Nell'impianto verticalistico, con cupola voltata su un tamburo dalle cornici risentite, e nell'altare ad arco trionfale concluso da timpano triangolare, sembra riecheggiare la ricerca di essenzialità della Chiesa di S. Pietro a Guastalla e della facciata di S. Maria di Monserrato.

Nel 1588 il C. è pagato per un disegno di progetto per l'ospizio dei pellegrini francesi a Roma: l'ospizio di S. Luigi dei Francesi che sarà costruito dal Maderno nel 1600 e distrutto nel 1798 (Hibbard, 1971, p. 130). In opere minori il C. è ancora impegnato dal cardinale Tolomeo Gallo: il Lotz ha identificato il disegno del Gab. disegni e stampe degli Uffizi A. 6724 come un progetto per il portale della villa poi Torlonia a Frascati, e lo Hibbard (The Art Bulletin, XL [1958], p. 357) ha di conseguenza supposto suo un intervento nel primitivo edificio della villa. Il C. risulta impegnato inoltre, fra l'anno 1591 e il 1593, nella complessa storia del S. Andrea della Valle, in qualità di supervisore della costruzione della navata e delle prime quattro cappelle: nella fase, cioè, guidata dal cardinal Alfonso Gesualdo, che approvò i piani del teatino Francesco Grimaldi, rivisti dal Della Porta (Hibbard, 1971). Partecipa così a una delle opere più corali e tipiche, in tal senso, della nuova politica edilizia controriformistica, senza che sia dato distinguere il suo apporto in essa. Ancora di difficile individuazione sono i suoi lavori, accertati dai documenti, per il nuovo monastero delle monache cisterciensi di S. Susanna: la costruzione, su commissione di Camilla Peretti, iniziò nell'ottobre del 1587 e continuò nel 1595-96, dopo la morte del Capriani. I documenti relativi rivelano comunque che il C., oltre che architetto della Compagnia di S. Bernardo, era membro della congregazione: e nel 1590 circa appare coadiuvato da Flaminio Ponzio.

Il C. lavorò anche al convento ed alla chiesa di S. Maria in Via, dal 1585 in poi (Archivio del Convento di S. Maria in Via, Filze di ricevute 1578-1596, filza VI. 9.a). Nel 1590 risultano costruiti i "pilastri del claustro", e nell'aprile del 1593 vengono tarate da Giovanni Antonio Pomis, aiuto di Francesco da Volterra, misure e stime relative alle fondazioni dei pilastri della navata, sostanzialmente coincidenti con quelli attuali. Il C. ebbe però modo di impostare solamente l'organismo della chiesa: alla sua morte, i lavori saranno proseguiti da Carlo Lombardi (L. Mortari, Considerazioni e precisaz. sulla cappella Aldobrandini in S. Maria in Via, in Quaderni di Emblema, n. 2, Bergamo 1971, pp. 77 s., 80).

Una ben diversa occasione di intervento fu quella offerta al C. da Enrico Caetani, creato cardinale da Sisto V, che decise di restaurare (dal 1587) l'antica basilica di S. Pudenzigna di cui egli era divenuto titolare.

È documentata (Roma, Archivio Caetani, 2 luglio 1588) l'opera del C. come revisore dei conti. G. Celio (Memoria fatta... delli nomi dell'artefici, Napoli 1638, p. 81) ricorda come "più volte il Volterra architetto" si dolse con lui della "tristitia delli muratori", che, lavorando a cottimo e temendo di non essere pagati per lavori extra, avevano preferito distruggere la statua del Laocoonte, trovata nelle fondazioni, della quale l'artista gli aveva donato alcuni frammenti. A S. Pudenziana il C. si trova ad operare su preziose vestigia medievali, di fronte alle quali si comporta con estrema disinvoltura e ambiguità. P. Ugonio (Historia delle Stationi di Roma, Roma 1588, p. 163) descrive minuziosamente i suoi lavori e nota come egli, "levate alcune colonne che ingombravano la nave di mezzo, ha reso il suo spazio più riguardevole". Da un lato, cioè, il C. distrusse testimonianze storiche preziose, come la schola cantorum innocenziana, sostituita da un nuovo altar maggiore, e le due figure estreme degli apostoli nel mosaico absidale; e dall'altro rimise in luce l'originaria scansione delle colonne. Lo antistoricismo controriformista si unisce qui a motivi sperimentali; e non a caso, in S. Pudenziana, il C. inserisce un motivo su cui egli insisterà poi costantemente: quello della cupola ellittica innalzata sulla crociera. Il tema sarà usato di nuovo dal C. in S. Silvestro in Capite e su esso egli rifletterà a lungo nell'elaborata progettazione della chiesa di S. Giacomo in Augusta. La forma ovale che il Peruzzi aveva introdotto nel bagaglio linguistico dell'architettura del manierismo, e cui i disegni del Serlio e le realizzazioni del Vignola avevano dato nuovo impulso, viene ripresa dal Mascherino e dal C. nella Roma tardo cinquecentesca, in progetti e realizzazioni cautamente sperimentali. La sintesi fra organismo centrale e organismo longitudinale, che l'impianto ovale raggiunge in una sorta di anamorfosi spaziale, viene così immessa dal C., in S. Pudenziana, per accentuare la longitudinalità della navata e per evitare l'artificioso arresto del moto ideale dell'osservatore al di sotto di uno spazio circolare, come negli esempi canonici del classicismo romano. Il che è tanto più significativo qualora si ricordi che sia negli studi del Peruzzi, sia nel S. Andrea in via Flaminia e nella S. Anna dei Palafranieri del Vignola, la forma ovale coincide con organismi isolati, in sé conclusi. A S. Pudenziana e a S. Silvestro in Capite, al contrario, il C. la obbliga ad inserirsi in impianti tradizionali, in cui essa introduce una nota problematica.

Anche a S. Silvestro in Capite il C. lavora su un'opera medioevale: nel 1591 (26 ottobre e 1º novembre) fornisce due disegni di pianta e sezione, conservati nell'Archivio di Stato di Roma; dal 1588 al '91 egli aveva lavorato al convento e al chiostro principale, oggi completamente rimaneggiati o distrutti.

L'organismo disegnato dal C. mostra alcune affinità con uno dei progetti da lui stesso elaborati quasi contemporaneamente per S. Giacomo (Stoccolma, Museo nazionale, n. 2073). In entrambi i progetti, la cupola ovale non accentua più, come in S. Pudenziana, la direttrice longitudinale dell'organismo, ma si protende verso le braccia del transetto, segnando un marcato mutamento di direzione degli assi visuali. In S. Silvestro, inoltre, il C. dà una più accentuata importanza alla cupola, preceduta da due sole coppie di cappelle, e seguita dal vano rettangolare dell'altar maggiore.

I documenti conservati nell'Archivio di Stato di Roma permettono di accertare che alla morte del C. ben poco del suo progetto era realizzato. Sarà il Maderno, dal 1595 in poi, ad alterare i piani originari e a completare la chiesa, consacrata nel 1601: essa viene a perdere gran parte del carattere di avanguardia attribuitole originariamente dal C., il quale, in tale fase tarda della sua attività, si dimostra lanciato a sperimentare inediti motivi sintattici, con agganci al manierismo della prima generazione, che permettono di avvicinare la sua ricerca a quella, quasi contemporanea, del Mascherino (vedi, anche per i riferimenti archivistici, F. S. Gaynor-I. Toesca, S. Silvestro in Capite, Roma s.d., ad Indicem).L'opera del C. a S. Giacomo è frutto del nuovo rapporto di committenza da lui istituito con A. M. Salviati, creato cardinale nel 1583 da Gregorio XI-II e dedito ad opere di beneficenza: nel 1591 il C. aveva già avviato la costruzione della chiesa di S. Maria in Aquiro o "degli Orfanelli", terminata poi all'interno dal Maderno, con l'assistenza di Filippo Breccioli (M. D'Onofrio-C.M. Strinati, S. Maria in Aquiro, Roma 1972, ad Indicem); l'11 dic. 1592 iniziò la costruzione del palazzo al Collegio Romano (distrutto già nel sec. XVII: vedi Hibbard, 1971, pp. 117 s.). Forse il C. progettò la cappella Salviati in S. Gregorio Magno, a lui attribuita dal Baglione, ma che i documenti provano costruita dopo la sua morte (Hibbard, 1971) p. 121, non esclude, però, che il Maderno, sicuramente presente nel cantiere, abbia usufruito di disegni del Capriani). Il Maderno, appare così erede di tutti i lavori iniziati dal C. per il cardinal Salviati, compreso il S. Giacomo in Augusta.

Al complesso dell'ospedale di S. Giacomo il cardinal Salviati si interessa in modo particolare, nel quadro della sua politica assistenziale e di rinnovo delle strutture sociali su scala urbana.

Nonostante la testimonianza del Baglione, che attribuisce al C. i lavori dell'ospedale, l'architetto citato nei documenti risulta tuttavia Bartolomeo Gritti. Il C., piuttosto, viene chiamato a inserire nel complesso, ristrutturato su due corridoi paralleli, dal Corso a via Ripetta, la grande chiesa di S. Giacomo, con fronte sul Corso e sporgente all'interno del cortile. Il processo di progettazione seguito dal C. è documentato da tre disegni al Museo nazionale di Stoccolma (coll. Fullerö, nn. 341, 342 e 343) e da un disegno dell'Albertina di Vienna (AZ. Rom 349; si veda anche, per ulteriori indicazioni bibliografiche, Hibbard, 1971, pp. 118-121).

Come si è accennato, i primi due progetti del C., che una nota a margine del terzo disegno indica elaborati nel 1590, mostrano affinità con l'organismo elaborato per S. Silvestro in Capite. In essi la chiesa, inserita fra le due infermerie e tangente l'antica chiesetta di S. Iacopo, è strutturata come un organismo basilicale, fedele ai modelli del Gesù e della Madonna ai Monti, con cupola ovale posta a sottolineare la zona del transetto e conclusa da un'abside semicircolare. Ma, con ogni evidenza, il cardinale Salviati spingeva l'architetto sulla via di una più eloquente oratoria.

Il terzo progetto, affine a quello poi realizzato (inizio della costruzione 20maggio 1592) con l'assistenza del Breccioli (Baglione, p. 347), vede il tema dello spazio ovale dominare l'intero organismo. Il C. sembra qui riprendere non tanto i piccoli impianti del Peruzzi o del Vignola, ma il progetto redatto nel 1584dal Mascherino per la chiesa dei Napoletani: la pianta ovale, è dilatata, per la prima volta in un edificio realizzato, in dimensione gigantesca, proiettandosi in cappelle rettangolari e dal contorno articolato, sull'asse trasversale, e in cappelle coperte a cupola sugli assi diagonali. La direttrice longitudinale è accentuata dal profondo sviluppo della cappella dell'altar maggiore, affiancata da due campanili. La Zocca ha formulato l'ipotesi che il C. conoscesse la chiesa dell'Annunziata a Parma, ma è certo che l'oratoria dispiegata dal C. in S. Giacomo ha fonti tutte romane, in quanto trasposizione, su direttrice ellittica, della trionfale unità dei modelli gesuitici. Non a caso, fra i progetti vignoliani per il Gesù sono comprese soluzioni a pianta ovale, che il C. può aver tenuto presente (Ackerman-Lotz). Che esistano poi anche motivi simbolici per l'adozione dell'impianto ovale è provato sia dall'orazione funebre pronunciata il 22genn. 1603dall'Ugonio ai funerali del cardinal Salviati, (In funere amplissimi cardinalis... oratio..., Romae 1603, p. 22) che parla della chiesa come di un anfiteatro ispirato al Colosseo, sia dalla descrizione degli stessi funerali fatta da P. Arnolfini (Narratione della morte,et... essequie…, Roma 1603, p. 8). Un anfiteatro per il culto, dunque, una macchina scenica ispirata all'antico come unitaria sala che abbracci e coinvolga i fedeli in una trionfale affermazione dell'unità della Chiesa romana. Ciò, anche se non del tutto risolte appaiono le connessioni fra l'ordine inferiore e la grande cupola, che alla morte del C. stava per essere voltata. Giustamente, lo Hibbard esclude che il Maderno, esecutore della chiesa dopo il 1595, abbia apportato sostanziali modifiche al progetto del C. che aveva affrontato notevoli problemi statici e di illuminazione, risolti con l'indipendenza della copertura a tetto dalla struttura della cupola, con finestre lunettate che alleggeriscono la volta e con un sistema di contrafforti a volute. Nella facciata sul Corso, il C. segue modelli della portiani, deformati però al fine di accentuare il verticalismo del settore centrale, in omaggio alla veduta radente, cui lo spettatore è obbligato, a causa della strettezza della strada. A tale enfasi della dimensione verticale il C. è disposto a sacrificare la coerenza fra il corpo centrale - aggettante, per sottolinearne l'autonomia - e le brevi ali laterali.

Comunque, il S. Giacomo rappresenta la sintesi delle ricerche condotte dal C., con aperture di notevoli conseguenze sia alla maniera maderniana, sia a molti temi del classicismo barocco del secolo successivo.

Incerto è invece il contributo del C. all'impostazione di S. Maria della Scala, a cui si riferisce il disegno Uffizi A. 6375 datato 25 febbr. 1593 (Wasserman, pp. 56 s.) e della cappella Lancellotti in S. Giovanni in Laterano, poi trasformata da G. A. De Rossi (Hibbard, 1971, p. 124).

Assai meno personale il C. appare nell'edilizia civile. Nel 1591 egli iniziò la costruzione del palazzo per il cardinale Scipio Lancellotti in via dei Coronari (Hibbard, 1971, p. 123) e nel 1592 i lavori per il palazzo di Alessandro Cardelli (G. Scano, Palazzo Cardelli, in Capitolium, XXXVI [1961], pp. 21-25). Entrambi gli edifici, nelle parti ascrivibili al C., adottano schemi tipologici sangalleschi ridotti a una scarna e spersonalizzata essenzialità. Fra le opere minori del C. vanno ricordate la ristrutturazione della casa in via del Pantheon, n. 57 (la cui zona basamentale è ascrivibile al disegno Uffizi A. 1537, di fra' Giocondo), e una fontana in piazza Montecitorio costruita per il cardinal Santoro, incisa dal Falda. Nella Relazione distintissima di Roma (forse 1595: Arch. di Stato di Firenze, Carte strozziane, serie 1, cod. 233) è conservato il disegno della "Villa fatta dal Volterra hoggi dell'Illmo card. Aldobrandini" che presenta quindi il primo edificio della villa Belvedere di Frascati (i cui primi proprietari erano di Volterra: i Contugi). Secondo ricerche archivistiche di H. Róttgen, segnalate dal Lotz (1974, p. 384 n. 40), il C. è citato, infine, in documenti relativi alla fabbrica di S. Atanasio dei Greci a Roma.

Già nel 1577 il C. era stato annesso tra i Virtuosi al Pantheon (Roma, Bibl. Hertziana, Nachiass Noack). Collaborò poi con Federico Zuccari nell'istituzione dell'Accademia di S. Luca, cui risulta iscritto nel 1594. In data 1º marzo 1594 fu chiamato a trattare delle regole relative agli ordini architettonici, compito cui, come altri architetti romani, egli si sottrasse, testimoniando il disinteresse del professionismo romano tardocinquecentesco per temi di ordine teorico. Il Baglione (p. 48) scrive che il C. ebbe anche "qualche principio di Astronomia" e che fece stampare "un capriccioso lunario, che ha i caratteri del Cielo e le Mutationi del tempo tutte figurate e sotto Sisto V al meridiano di Roma è calculato", ma non se ne è trovata sin oggi traccia.

Morì a Roma il 15 febbr. 1594 (Roma, Bibl. Hertziana, Nachlass Noack).

Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite de' pittori,scultori et architetti…, Roma 1642, pp. 48 s., 307, 347; F. Franzini, Descrittione di Roma antica e moderna..., Roma 1643, p. 99; F. Martinelli, Roma ornata..., (1660-1663), a cura di C. D'Onofrio, in Roma nel Seicento, Firenze 1969, ad Indicem; L. Pascoli, Vite de' pittori…, II, Roma 1736, p. 503; F. Milizia, Memorie degli archit. antichi e moderni, Roma 1781, II, p. 59; M. Missirini, Mem. per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, pp. 48 s., 57, 67, 474; A. Cinci, F. C. e Diana Mantovana, in Dall'Arch. di Volterra. Mem. e docc., Volterra 1885, pp. 1 ss.; G. Giovannoni, L'archit. delRinascimento in Roma, Roma 1931, ad Indicem; G. Caetani, Domus Caietana, II, Sancasciano 1933, pp. 117, 168, 172 s., 269, 325; M. Zocca, L'architetto di S. Giacomo in Augusta, in Boll. d'arte, XXIX(1935-1936), pp. 519-530; L. O. Cappelli, La cattedrale e il battistero di Volterra attraverso i secoli, Volterra 1937, passim; M. Vanti, S. Giacomo degli Incurabili di Roma nel Cinquecento, Roma 1938, passim; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, X, 2, Milano 1939, pp. 945-950; F. Fasolo, La fabbrica cinquec. di S. Maria dell'Orto, Roma 1945, passim; M. Zocca, La cupola di S. Giacomo in Augusta e le cupole ellitt. in Roma, Roma 1945, passim; E. Langeskiöld, Italienska architekturrintnigar i Cronstedssamlingen pd Nationalmuseum, in Nationalmusei Arsbok (Stockholm), n.s., XVI (1946), pp. 44-64; J. Delumeau, Contr. à l'hist. des Français à Rome, in Mél.d'arch. et d'hist., LXIV (1952), p. 284; P. Pecchiai - R. U. Montini, S. Giacomo in Augusta, Roma s.d.; R. U. Montini, S. Pudenziana, Roma s.d.; W. Lotz, Die ovalen Kirchenräume des Cinquecento, in Römisches Jahrbuch für Kunstgesch., VII (1955) 2, pp. 7-99, passim; P. De Angelis, L'Arcispedale di S. Giacomo in Augusta, Roma 1956, passim; G. Giovannoni, Antonio da Sangallo il Giovane, Roma 1959, ad Indicem; F. Fasolo, L'opera di Hieronimo e Carlo Rainaldi, Roma s.d. (ma 1960), ad Indicem; Via del Corso, Roma 1961, ad Indicem; J. Ackerman-W. Lotz, Vignoliana, in Essaysin memory of Karl Lehmann, New York 1964, pp. 1-25; H. Hibbard, Giacomo Della Porta on Roman Architects,1593, in The Burlington Magazine, CIX(1967), pp. 713 s.; J. Wassermann, Ottaviano Mascarino and his Drawings in the Accad. Nazionale di S. Luca, Roma 1966, ad Indicem; N. T. Whitman, Roman Tradition and the Aedicular Façade, in Journal of the Society of Architectural Historians, XXIX(1970), 2, pp. 113-114; H. Hibbard, Carlo Maderno and Roman Architecture 1580-1630, London 1971, ad Indicem; P. Portoghesi, Roma del Rinascimento, Milano 1972, II, pp. 452, 459; W. Lotz, in Architecture in Italy, 1400-1600, London 1974, pp. 282 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., VI, p. 555; Enc. Ital., VIII, p. 907.

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