CARBONCHIO

Enciclopedia Italiana (1930)

CARBONCHIO (dal lat. carbunculus "piccolo carbone" fr. charbon; sp. carbunclo; ted. Karbunkel; ingl. carbuncle)

Guido FINZI
Giovanni PEREZ

Si designa con questo nome l'infezione provocata dal bacillo carbonchioso, o bacillus anthracis, così chiamato per la colorazione fortemente scura, nerastra, che assumono il sangue e specialmente la milza, nei soggetti colpiti da questa infezione.

Il bacillo del carbonchio, osservato per la prima volta dal Pollender e dal Davaine, studiato dal Koch (1876) e dal Pasteur, si presenta sotto forma di bastoncini piuttosto lunghi, i quali, riunendosi in catena, e quasi articolandosi per le loro estremità, costituiscono lunghi filamenti che, nelle colture in brodo, si depositano al fondo della provetta in forma di masse fioccose, e nelle colture in gelatina, e in agar, conferiscono all'orlo delle colonie l'aspetto caratteristico di caput Medusae.

È un germe resistentissimo, perché produce spore che, nell'acqua bollente e nel vapore acqueo, vengono uccise solo dopo 2-7 minuti, e e a secco, a 140°, dopo 3 ore. Esse resistono anche per delle ore ai comuni disinfettanti (sublimato all'1‰, acido fenico al 5%).

I germi possono trovarsi nel suolo, nell'acqua, sulle erbe o nei foraggi, oppure essere trasportati da insetti, e penetrare nell'organismo con gli alimenti o col pulviscolo inspirato, o attraverso una puntura o una lesione di continuo della pelle o delle mucose.

L'uomo può infettarsi per diretto contatto con animali carbonchiosi, con pelli, lane e altri materiali provenienti da questi animali. Vengono perciò più di frequente colpiti i macellai, i conciatori di pelli, i cardatori di lana, i lavoratori di crini, ecc.

Mentre negli animali molto recettivi (bovini, equini, ovini) il germe carbonchioso provoca infezioni generalizzate mortali (batteriemia), nell'uomo, assai meno recettivo al carbonchio, dà luogo a processi per lo più localizzati alla cute (carbonchio esterno), o all'apparato bronco-polmonare e digerente (carbonchio interno).

Carbonchio cutaneo. - È designato anche sotto il nome di pustola maligna, denominazione, questa, impropria, perché la malattia non dà luogo a produzione di pus, e non ha carattere specifico di malignità ma è suscettiva di guarigione. Potrebbe meglio esser definita dermatite carbonchiosa o dermatite flittenulare necrotica. È caratterizzata dall'insorgenza, nel punto di penetrazione del germe, di un'area arrossata e pruriginosa, la cosiddetta pulce maligna, cui segue la formazione di una vescicola o flittena a contenuto sieroso, trasparente, alquanto giallastro, che conferisce talora alle piccole vescicole l'aspetto di goccioline di cera: ovvero a contenuto sieroso color malaga, o più o meno rossastro, per presenza di sangue. Ogni vescicola, rompendosi, lascia a nudo il derma, di colorito rosso scuro, violaceo, che non tarda a trasformarsi in un'escara nera color carbone, circondata da un'area arrossata, sulla quale si formano altre flittene, rotondeggianti, analoghe alla primitiva, che subiscono uguale evoluzione. Aumenta quindi gradatamente l'estensione dell'escara, e, col ripetersi del processo flittenulare necrotico, possono formarsi aree necrotiche estesissime, la cui gravità è tanto maggiore in quanto che, spesso, l'affezione colpisce le labbra o le palpebre, dove può determinare gravissime distruzioni. Altre parti colpite sono il petto, gli avambracci, il dorso delle mani; meno di frequente gli arti inferiori.

La regione dove ha sede la malattia è tumefatta, rosso-livida, edematosa. Nel viso la tumefazione può invadere tutta la faccia ed estendersi anche al collo. Se nella mano o nell'avambraccio, può interessare tutto l'arto I gangli linfatici sono ingrossati. Si hanno fatti febbrili, talora non accentuati, che insorgono di solito qualche giorno dopo la comparsa delle prime manifestazioni locali. In qualche caso può manifestarsi un'infezione generalizzata a tipo setticemico. I microrganismi carbonchiosi, infatti, che in un primo tempo si riscontrano solamente nel focolaio infiammatorio locale, nello spessore, cioè, della pelle e nel siero delle flittene, possono, in casi di speciale recettività, o di minorata resistenza dell'individuo, per esempio in soggetti diabetici, diffondersi e moltiplicarsi nel sangue (batteriemia). Questi casi hanno, in genere, decorso mortale, mentre, nelle forme circoscritte, la malattia può arrestarsi alle prime fasi, e aversi la delimitazione dell'escara, la regressione dell'ingorgo, o infiltrazione flogistica, e infine l'eliminazione del tratto necrotico e la sostituzione della perdita di sostanza, che ne residua, con tessuto cicatriziale (v. anche antrace).

Carbonchio sottocutaneo o edema carbonchioso. - È caratterizzato dall'infiltrazione edematosa del connettivo sottocutaneo. La cute all'infuori di qualche modificazione di colorito, spesso tendente al rosso cianotico, può non presentare lesioni notevoli; ma la regione colpita è fortemente tumida e di consistenza molle pastosa. Nell'edema si riscontrano i caratteristici bacilli. L'essudato può infiltrarsi tra le fibre del derma e anche tra le cellule dell'epidermide e dar luogo quindi a flittene.

Carbonchio interno. - Le lesioni carbonchiose bronco-polmonari sono, in genere, provocate dall'inalazione di pulviscolo contenente spore di carbonchio. Per aversi la malattia, però, è necessaria la coesistenza di condizioni che facilitino l'attecchimento dei germi, o la presenza di notevole quantità di spore, potendo esse, se non molto abbondanti, essere inglobate dalle cellule a funzione fagocitica, specie dai globuli bianchi, e rese inoffensive (Sanarelli). Anche per il carbonchio delle vie digerenti, non sempre si può far dipendere l'insorgenza del focolaio infiammatorio dalla diretta fissazione sulla mucosa dei germi introdotti con gli alimenti, con le carni, a esempio, insufficientemente cotte d'animali carbonchiosi. L'azione, infatti, dei succhi gastro-enterici distrugge facilmente i bacilli carbonchiosi; le stesse spore, pur non essendo attaccate dal succo gastrico, sono incapaci di svilupparsi sia per l'azione antibatterica che su di esse esercita il succo intestinale, sia per la presenza del bacterium coli e dei suoi prodotti (Sanarelli). Bisogna quindi pensare sempre alla possibilità di una localizzazione in dette mucose per via sanguigna, localizzazione provocata da cause che possono indebolire la normale resistenza dei detti apparati.

La diagnosi della malattia si basa, oltre che sull'anamnesi e sui sintomi locali, sulla dimostrazione, nelle forme cutanee e sottocutanee, del bacillo carbonchioso nel contenuto delle vescicole o nell'edema; ovvero, per le forme bronco-polmonari e intestinali, nell'espettorato e nelle feci. È obbligatoria la denuncia.

La cura è locale e generale. La prima può bene attuarsi solo nel carbonchio cutaneo e sottocutaneo, e consiste, oltre che nel riposo assoluto della parte, nell'applicazione di sostanze disinfettanti quali: tintura di iodio, unguento mercuriale, impacchi caldi con ipoclorito di calcio, eventualmente termo-cauterizzazioni, iniezioni iodiche frazionate lungo il contorno del focolaio infiammatorio, attorno all'escara e alle vescicole.

Nei casi d'intenso edema delle palpebre, con minaccia di necrosi del delicatissimo rivestimento cutaneo, per la forte distensione e compressione dei tessuti palpebrali, possono essere indicate opportune incisioni decompressive.

Buoni risultati sono stati ottenuti con l'autoemoterapia, con l'iniezione, cioè, perifericamente al focolaio flogistico, di sangue prelevato dallo stesso individuo, e contenente, molto verosimilmente, sostanze capaci di neutralizzare l'azione tossica del germe.

Come cure generali, atte ad aumentare i poteri di difesa e di resistenza dell'organismo, e a prevenire, o anche a curare, eventuali forme batteriemiche, si consigliano iniezioni di siero anticarbonchioso, di collargolo, di salvarsan, e, in genere, di arsenobenzoli.

Si sono avuti buoni risultati associando alla cura sieroterapica le iniezioni di vaccino di bacillo piocianeo (piocianasi), che avrebbe la proprietà di opporsi allo sviluppo del germe carbonchioso.

Bibl.: C. H. Roger, Le malattie infettive, Torino 1904; W. Kolle e A. Wassermann, Handbuch der pathogen. Mikroorg., Jena 1912; E. Sergent, Traité de pathologie médicale, Parigi 1922; G. Sanatelli, Sur la pathogénie du charbon dit interne ou spontané, in Ann. de l'Inst. Pasteur, Parigi 1925.

Veterinaria. - Il carbonchio da Bacillus anthracis in medicina veterinaria viene individualizzato con il qualificativo di ematico, in quanto negli animali domestici infierisce un'altra forma morbosa, pure di natura infettiva (sostenuta da un germe anaerobico, ad azione patogena specifica, il Bacillus gangraenae emphysematosae o Bacillus Chauveaui) detta carbonchio sintomatico.

Il carbonchio ematico è una malattia acuta, infettiva e contagiosa, a carattere setticemico, che colpisce particolarmente gli erbivori; per la sua notevole diffusione geografica e per l'alta mortalità a cui conduce in certe speciali contingenze, porta a ingenti perdite economiche.

È infezione diffusa in tutti i paesi del globo, in modo speciale nei territorî ad agricoltura povera, estensiva, con suolo relativamente umido e scarso di humus, ove il bacillo trova le condizioni più favorevoli di vita e di diffusione (carbonchio di origine agrigena), o nelle zone anche ad agricoltura fiorente in cui vengono utilizzate per uso agricolo le acque di rifiuto delle industrie per la lavorazione dei diversi residui animali e più specialmente delle pelli, rappresentando questi prodotti, in rapporto anche alla loro origine esotica, fomite pericoloso e facile della diffusione del contagio (carbonchio di origine idrica).

Nel carbonchio agrigeno il sangue, o altro materiale abbandonato sul suolo proveniente da soggetti carbonchiosi, o spesso le carogne di animali sepolti irrazionalmente o lasciati insepolti, sufficientemente ossigenati permettono al bacillo di sporulare, di moltiplicarsi e di raggiungere nuove vittime. La diffusione del virus può effettuarsi in queste circostanze per mezzo di mammiferi (cani) e uccelli carnivori (che, nutrendosi di carni inquinate, eliminano con le feci le spore anche a distanza), come per mezzo dell'acqua, dei concimi, dei foraggi.

In Italia il carbonchio ematico è particolarmente diffuso nelle regioni meridionali e insulari e nella Valle Padana, trovandosi nelle prime legato alle condizioni intrinseche del suolo, nell'ultima in gran parte in rapporto con l'industria conciaria.

Nella diffusione del contagio è ascrivibile un certo grado di importanza a prodotti animali contaminati e adottati nell'alimentazione del bestiame (farina di carne, di ossa) e forse anche agli ectoparassiti succhiatori di sangue.

Nei confronti della diffusibilità, il carbonchio ematico di origine agrigena (per condizioni telluriche, altimetriche e relative al contenuto in sostanze organiche del suolo, non sempre favorevoli alla conservazione del potere patogeno e alla vitalità del virus) è in generale meno temibile di quello di origine idrica, specie se infierisce in paesi civilmente e zootecnicamente progrediti, in cui il capitale bestiame viene salvaguardato contro possibili infezioni con l'adozione di razionali provvedimenti profilattici.

Sono recettivi di fronte all'infezione specialmente gli erbivori, e in ordine decrescente i bovini, gli ovini, i ruminanti viventi allo stato selvaggio, il cavallo, la capra, i suini. Molto resistenti all'infezione naturale sono i carnivori. La comparsa spontanea dell'infezione non è ancora stata dimostrata nei volatili domestici.

Gli organi sensibili di fronte al B. anthracis e per il quale possono rappresentare via di naturale ingresso nell'organismo, sono le mucose (la digerente e la respiratoria) e la cute (attraverso a sue soluzioni di continuità) verso cui il bacillo presenta una speciale affinità. Il bacillo arrivato negli spazî linfatici di questi organi, vi si moltiplica attivamente e, sopraffatte le resistenze locali, dopo aver superato i vasi e i gangli linfatici, raggiunge il circolo sanguigno provocando una tipica setticemia.

Nell'insorgenza dell'infezione viene invocato soprattutto il contagio indiretto, specie per opera di spore, contenute negli alimenti e bevande e provenienti dal suolo, per cui praticamente, per quanto gli animali ammalati eliminino con gli escrementi bacilli virulenti, la trasmissione diretta ha poca importanza.

La diagnosi fondata sui reperti clinici può essere probativa solo nelle zone notoriamente infette (distretti carbonchiosi). Più ricco d'indicazioni può essere l'esame anatomo-patologico per il riscontro di una spiccata splenomegalia pressoché caratteristica, per le lesioni alla porta di entrata dell'infezione (gastro-enterite acuta emorragica), per il reperto necroscopico della setticemia.

Comunque, reperto clinico e necroscopico richiedono sovente il suffragio della diagnosi sperimentale: microscopica, che in generale è sufficiente per un accertamento diagnostico; colturale, con sviluppo di colonie caratteristiche (aspetto di caput Medusae); biologica negli animali da esperimento (cavia, coniglio, che per iniezione di materiale virulento per via sottocutanea soccombono in 24-36 ore); sierologica, mediante la precito-reazione di Ascoli, a cui si ricorre specie quando per lo stato di avanzata decomposizione del materiale carbonchioso, non è più possibile ricorrere alle precedenti prove diagnostiche.

La profilassi del carbonchio ematico può essere diretta, mettendo gli animali recettivi al riparo di eventuale contagio, o indiretta, difendendo gli animali stessi contro l'agente specifico, con l'uso di vaccini (immunità attiva) o sieri (immunità passiva) usati soli o associati (siero vaccinazione). La prima deve avere indirizzo diverso in rapporto all'origine agrigena o idrica dell'infezione. Per la profilassi indiretta, i vaccini in commercio sono numerosi, i più basati ancora sul classico sistema pasteuriano che raggiunge l'attenuazione dei bacilli con il calore (42°) e l'invecchiamento.

Nella vaccinazione secondo il metodo Pasteur, il vaccino viene iniettato nel connettivo sottocutaneo, in due sedute distanziate di 12 giorni; nella prima s'interviene col 1° vaccino; nella seconda col 2° vaccino, il quale essendo di virulenza più accentuata, sfrutta il grado d'immunità provocata dal primo, conferendo resistenza necessaria contro l'infezione naturale. Questo sistema però, per circostanze attribuibili alla limitata efficacia del vaccino e alle peculiari proprietà morbigene dell'agente infettante, non di rado lascia un'immunità che non si mostra sufficientemente solida di fronte a tutte le esigenze pratiche. Oggi dopo le ricerche del Besredka, il vaccino Pasteur è introdotto con superiorità di risultati per via intradermica, giacché la cute rappresenta l'organo sensibile per eccellenza, sia di fronte all'infezione sia all'immunizzazione. Si tratterebbe di un'immunità stabilitasi non più per via umorale; sarebbe un'immunità istogena, propria del tessuto cutaneo. Il Besredka è pervenuto a questa fondamentale conclusione, dimostrando come la cavia sia sensibile di fronte al bacillo del carbonchio, solo alla condizione che esso venga in contatto con la cute o con le mucose che con la cute posseggono analogie strutturali; mentre lo stesso bacillo introdotto nell'organismo della cavia per altra via, sembra comportarsi come un banale saprofita. Secondo il metodo in parola, il vaccino viene introdotto nello spessore del derma e in un solo intervento. Nelle zone infette, con l'infezione in atto, si associa al 2° vaccino Pasteur, l'uso di siero specifico (facendo precedere il siero di due o tre giorni), che per contenuto in anticorpi specifici, spiega in quest'uso combinato sicura azione preventiva (il solo vaccino Pasteur introdotto per via cutanea, escluderebbe in queste circostanze l'uso del siero); lo stesso siero manifesta azione curativa comparabile, alla condizione che sia introdotto ad alte dosi.

Il siero anticarbonchioso venne preparato per la prima volta nell'anno 1895 da Sclavo e Marchoux quasi contemporaneamente. Si credeva dapprima che l'azione protettrice del siero fosse legata a proprietà battericide, mentre si è arrivati in seguito al concetto che il suo potere immunizzante sia improntato a un'azione antigerminativa o antiblastica.

Il carbonchio ematico è una malattia soggetta a denuncia.

Gli articoli 45 e 46 del reg. di P. S. 10 aprile 1914, n. 533, sanciscono le norme per il sequestro e lo spostamento degli animali, il trattamento dei cadaveri, le vaccinazioni.

Bibl.: A. Beredska, Vaccination par voie cutanée. Charbon, cutiinféction, cultivaccination, cutiimmunité, in Annales de l'Institut Pasteur (luglio 1921); G. Finzi, Vaccini e vaccinazioni nel carbonchio ematico, in Il nuovo Ercolani (1922); A. Sclavo, Sieroterapia del carbonchio ematico, in A. Lustig, Malattie infettive dell'uomo e degli animali, Milano 1922; F. Hutyra e J. Marek, Patologia e terapia speciale degli animali domestici, trad. it., Milano 1929.

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