CARDIOCHIRURGIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

CARDIOCHIRURGIA

Alessandro Mazzucco

Il prodigioso sviluppo della c. nel corso dell'ultimo decennio, noto al pubblico per quanto attiene le conquiste più appariscenti divulgate dai mezzi d'informazione di massa, è frutto non solo di continue e spesso contestate sperimentazioni, ma, anche, dell'applicazione di grandi conquiste tecnologiche. Una conferma di tale sviluppo la si può ricavare dal confronto con quanto è stato detto nella voce cuore, Chirurgia del, in App. IV, i, p. 566.

La diagnostica preoperatoria delle malattie cardiochirurgiche, un tempo interamente affidata allo studio emodinamico invasivo, cioè al cateterismo cardiaco, è oggi grandemente facilitata e d'immediata disponibilità grazie all'impiego della ecocardiografia.

Questa metodica, che consente analisi morfologiche e funzionali, è oggi integralmente acquisita dal chirurgo che, oltre a utilizzarne le informazioni preoperatorie, ne fa uso durante l'intervento, impiegando una sonda posizionata nell'esofago o mediante scansioni di superficie, da cui ottiene immediate preziosissime indicazioni che lo guidano nel suo procedere e gli consentono di avere un istantaneo riscontro del risultato ottenuto.

L'altissimo livello di sicurezza e predicibilità raggiunto attualmente dalle operazioni a cuore aperto è stato ottenuto mediante una meticolosa applicazione delle tecniche di circolazione extracorporea, la minimizzazione dell'uso di sangue omologo consentito dai sistemi di recupero del sangue perso sul tavolo operatorio, la disponibilità di ossigenatori ad altissima efficienza e trascurabile danno meccanico agli elementi particolati del sangue. Tra questi il più diffuso è l'ossigenatore a membrana, che sfrutta le capacità di diffusione dei gas attraverso esili membrane di silicone. Con questi strumenti è possibile prolungare i tempi di circolazione extracorporea sostanzialmente senza limiti, il che ne rende possibile l'impiego quale sistema di assistenza circolatoria in caso di shock cardiogeno o di ossigenazione extracorporea in caso di malattia polmonare acuta.

Nel campo del supporto intraoperatorio sicuramente le più grandi conquiste degli ultimi anni si sono ottenute in materia di protezione del miocardio. In effetti, il principale limite alla riparazione chirurgica completa delle malattie cardiache risiede nel potenziale danno ischemico prodotto sul cuore arrestando o interferendo con l'apporto di sangue al miocardio. Un simile rischio è stato clamorosamente documentato dall'avvento della chirurgia delle coronarie che ha evidenziato la primaria necessità di risparmiare al massimo la vitalità del miocardio, già fortemente compromessa da questa malattia. Oggi, pur nella diversità di applicazione pratica, due principi si sono affermati in tal senso: il raffreddamento del cuore e la paralisi dell'attività elettrica e contrattile del medesimo.

Con entrambi i metodi si riducono le richieste di ossigeno del miocardio durante l'ischemia a livelli tali che le riserve energetiche tissutali sono sufficienti a mantenere anaerobicamente in vita le cellule. Su ciò si basa la pratica ormai codificata della ''cardioplegia fredda'' che ha sensibilmente migliorato le possibilità della chirurgia cardiaca, in particolare quelle delle malattie delle coronarie.

In effetti, una razionale protezione intraoperatoria del miocardio, il principio della rivascolarizzazione completa di tutte le arterie stenotiche, un'opportuna combinazione d'impiego di innesti di vena safena autologa e di arteria mammaria interna, tutto ciò ha contribuito a standardizzare i risultati degli interventi di rivascolarizzazione diretta del miocardio a un livello tale da offrire una sopravvivenza a 5 anni, in assenza di sintomi clinici di angina pectoris, dell'85%. Se paragonato a quanto ottenibile con le terapie mediche attualmente disponibili, questo risultato convalida in modo indiscutibile le indicazioni a questa forma di terapia chirurgica, peraltro in vastissimo uso.

Il successo della chirurgia delle coronarie è intrinsecamente e reciprocamente connesso con la capacità di controllare e superare gli episodi d'insufficienza coronarica acuta che si manifestano con stato di shock, con alterazioni critiche dell'attività elettrica del cuore o con morte improvvisa da arresto dell'attività contrattile o dissociazione elettromeccanica.

Il recupero di pazienti da queste situazioni letali è ancor oggi problematico, ma ha tratto grandissimi benefici da un diffuso e precoce impiego dell'assistenza meccanica per mezzo di contropulsazione con pallone intraaortico. Questo sistema utilizza il principio della contropulsazione diastolica che aumenta la pressione di perfusione nel letto coronarico durante la diastole cardiaca, riduce la tensione sistolica e quindi il lavoro del cuore, diminuisce il consumo di ossigeno del miocardio, aumenta la portata cardiaca e il flusso ematico renale.

In termini pratici, la contropulsazione è ottenuta per mezzo di un catetere, introdotto attraverso una delle arterie femorali, munito all'estremità di un pallone oblungo che viene posizionato a livello dell'aorta toracica discendente e ritmicamente gonfiato con elio in modo sincrono con la diastole cardiaca. La grande efficacia della contropulsazione aortica è stata verificata soprattutto nella stabilizzazione preoperatoria delle complicanze maggiori dell'infarto miocardico, quali la perforazione acuta del setto interventricolare, l'insufficienza mitralica da rottura di muscolo papillare e l'aneurisma acuto del ventricolo sinistro. Il limite principale alla possibilità di cura chirurgica di queste situazioni risiede nel profondo stato di shock cardiogeno in cui esse abitualmente si presentano; un sensibile miglioramento della funzione cardiaca prodotto dalla contropulsazione è pertanto di primaria importanza nel ridurre il rischio operatorio di simili pazienti. Questo miglioramento è forzatamente temporaneo, ma spesso esso consente alle manovre chirurgiche di produrre un benefico effetto attraverso la rimozione del disordine emodinamico, di modo che, se affrontate con corretta tempestività e adeguato supporto, le citate complicazioni della fase precoce dell'infarto del miocardio, pur conservando la loro intrinseca malignità, sono oggi curabili in percentuali fino al 70% dei casi.

Il perfezionamento delle tecniche di supporto circolatorio extracorporeo e di protezione del miocardio dall'ischemia ha consentito un progressivo allargamento delle indicazioni alla correzione chirurgica delle malformazioni congenite di cuore, in particolare nella direzione della correzione precoce. L'approccio tradizionale a queste malattie prevedeva, infatti, l'esecuzione nella primissima infanzia di operazioni palliative che consentivano di dilazionare il più complesso intervento radicale a età più avanzate, nell'intento di ridurre il rischio della procedura definitiva. Tuttavia si è andato dimostrando che la completezza e la qualità della correzione sono tanto migliori quanto più questa è precoce, in quanto risparmia al cuore e ad altri organi le sequele spesso invalidanti della lunga convivenza con disordini emodinamici gravi anche se apparentemente tollerati. Oggi la chirurgia ha sostanzialmente realizzato quello che è stato un vecchio sogno: la correzione immediata in prima istanza delle malformazioni complesse.

Il difetto del setto ventricolare, la tetralogia di Fallot, il canale atrio-ventricolare comune trovano oggi soluzione radicale nei primissimi mesi di vita con sostanziale recupero alla normalità. Probabilmente il più clamoroso e drammatico successo è stato ottenuto dalla c. pediatrica nel trattamento delle trasposizioni complete delle grandi arterie. In questo gruppo di malformazioni le grandi arterie, aorta e arteria polmonare, nascono dal cuore in posizione invertita, provocando con ciò un'inversione della loro normale funzione: l'aorta immette sangue non ossigenato nella circolazione generale, mentre l'arteria polmonare riavvia ai polmoni sangue già completamente saturato.

La malattia, di per sé letale, veniva un tempo trattata mediante operazioni palliative che avevano l'obiettivo di produrre un mescolamento il più completo possibile del sangue venoso e di quello refluo dai polmoni nella cavità atriale, il che consentiva un discreto miglioramento della sopravvivenza a breve termine. Il trattamento veniva completato a distanza di alcuni mesi con una seconda operazione con la quale si ricostruivano due camere atriali separate e nelle quali il ritorno venoso veniva invertito, in modo tale da riavviare all'aorta e all'arteria polmonare flussi di sangue qualitativamente appropriati. Questo schema terapeutico costituiva un'enorme conquista se rapportato alla malignità della malformazione, ma comportava una grande quantità di sequele invalidanti e una tendenza al fallimento funzionale a medio termine.

Il perfezionamento delle tecniche chirurgiche e di supporto e i progressi nella conoscenza delle basi anatomiche e funzionali delle malattie congenite del cuore, rendendo possibili le correzioni in prima istanza alla nascita, hanno condotto a individuare come terapia chirurgica di prima scelta della trasposizione dei grandi vasi la correzione anatomica precoce, che consiste nella ritrasposizione dei grandi vasi con le loro principali collaterali, le coronarie, nella sede anatomicamente e funzionalmente appropriata. Questo intervento, concettualmente insuperabile, dopo essersi scontrato per due decenni con insormontabili difficoltà di tipo tecnico, ha acquisito nel corso degli ultimi anni un successo ormai collaudato e costituisce indubbiamente la più importante recente conquista della c. pediatrica.

Indubbiamente una complessa ricostruzione a cuore aperto di una malformazione congenita completa in età neonatale è tecnicamente molto impegnativa e viene grandemente facilitata dall'impiego dell'arresto circolatorio ipotermico. Questo consiste nella riduzione della temperatura corporea a livelli tali da limitare le richieste metaboliche dei tessuti in misura compatibile con la loro sopravvivenza senza danni a un periodo limitato di totale arresto di circolazione.

In pratica, il paziente viene posto in circolazione extracorporea e raffreddato fino a una temperatura interna di 20°C. A questo punto la perfusione artificiale viene fermata, il cuore è immobile, rilassato ed esangue, così offrendo condizioni ideali per le necessarie manovre chirurgiche ricostruttive che vengono eseguite con precisione e rapidità. Dopo un tempo che si cerca di contenere entro i 60′ per preservare l'integrità strutturale e funzionale degli organi privati della circolazione, la perfusione viene ripresa, riportando contemporaneamente la temperatura ai livelli di partenza. Alla fine, il cuore recupera in toto la sua funzione contrattile e la circolazione extracorporea viene interrotta.

La chirurgia delle valvole è l'area della c. in cui si è raggiunta la più lunga esperienza e la massima standardizzazione. Anch'essa ha tratto grande beneficio ed espansione d'impiego dal perfezionamento delle tecniche di supporto e di protezione del miocardio, ma in particolar modo si è giovata dei risultati della ricerca bioingegneristica. Da questa nascono una ricca serie di sostituti protesici delle valvole cardiache, di grande efficacia. Questi si possono in breve classificare in due grandi categorie, le protesi meccaniche e le protesi biologiche.

Le prime sono generalmente costituite da un anello fisso entro il quale bascula un elemento mobile, per lo più rappresentato da un disco o da due semidischi metallici. Le bioprotesi sono quasi esclusivamente rappresentate da valvole aortiche prelevate da maiale e trattate chimicamente con agenti denaturanti e fissanti. Le prime offrono il grande vantaggio della durata praticamente illimitata del loro funzionamento, ma hanno l'inconveniente di attivare fenomeni di trombosi non completamente eliminabili con l'impiego di costituenti biocompatibili quali il carbonio pirolitico. Le protesi biologiche non espongono, invece, a questa complicazione e hanno inoltre prerogative emodinamiche e caratteristiche di flusso più fisiologiche. Tuttavia, trovano la loro principale limitazione d'uso in una inevitabile, seppur lenta, degenerazione e usura del tessuto biologico, che ne rende necessaria la periodica risostituzione. È interessante rilevare che le curve di sopravvivenza a distanza di pazienti portatori di protesi valvolari cardiache sono sostanzialmente sovrapponibili nei due casi di protesi meccaniche e bioprotesi, se si prescinde dagli eventi complicanti specifici di ciascuna di esse. In ogni caso, la sopravvivenza a 5 anni è dell'ordine del 75% per la valvola mitrale, fino all'85% per la valvola aortica, a testimonianza e riprova dell'alto grado di affidabilità di questi strumenti.

Malgrado le insperate mete raggiunte dalla chirurgia cardiaca, persiste una consistente quantità di situazioni in cui le manovre riparative sono inutili o insufficienti o addirittura impossibili. Ciò si verifica soprattutto quando il cuore è alterato nella sua struttura cellulare, con grave e irreversibile perdita della funzione contrattile globale. Comunque ciò avvenga, come conseguenza cioè di una cronica insufficienza di apporto ematico alle coronarie, di stati infiammatori, di lesioni degenerative, lo stato finale è quello che si definisce cardiomiopatia. Questo termine era fino a poco tempo fa sinonimo d'incurabilità e corrispondeva a una sentenza di condanna a breve termine. Attualmente si sono aperte concrete prospettive di trattamento, rappresentate in primo luogo dal trapianto del cuore. Questa fondamentale acquisizione della c. in Italia ha avuto il suo esordio a Padova, il 14 novembre 1985, e si è rapidamente consolidata in centinaia di interventi eseguiti con successo nel corso dei primi tre anni. Un buon grado di controllo delle inevitabili reazioni di rigetto dell'ospite verso l'organo estraneo è consentito da un appropriato impiego di farmaci capaci di deprimere in modo modulato le reazioni immunitarie dell'organismo. Tra questi il più efficace è sicuramente la Ciclosporina A, un polipeptide di origine fungina, il cui impiego ha radicalmente rivoluzionato i risultati dei trapianti di organi. Ai nostri giorni la prospettiva di sopravvivenza di un cardiopatico terminale, la cui spettanza di vita sia calcolabile nell'ordine di pochi mesi, viene elevata dal trapianto al 90% a un anno e al 75% a 5 anni, con ottimo recupero anche sul piano qualitativo.

Tuttavia, un grave limite alla più ampia diffusione del trapianto di cuore è costituito nel nostro paese, come in tutto il mondo, dalla bassa disponibilità di organi utilizzabili, il che è causa di una pesante mortalità in lista d'attesa dei candidati al trapianto. Una speranza di soluzione a questo problema viene ancora dalla bioingegneria, che ha già prodotto e introdotto nella pratica clinica, sia pure in fase sperimentale, il cuore artificiale.

In analogia con quanto avviene per il candidato al trapianto di rene, che viene mantenuto efficacemente in vita in attesa del suo intervento da una macchina, il rene artificiale, anche il cuore meccanico ha oggi il fondamentale ruolo di fornire al paziente terminale la sopravvivenza e quindi l'opportunità di ricevere, con un trapianto di cuore, una soluzione duratura e accettabile alla sua malattia.

Il cuore artificiale propriamente detto è costituito da due sacche dotate di valvole che sostituiscono la funzione dei ventricoli, in cui la funzione propulsiva è fornita in modo meccanico o in modo idraulico. Il più diffuso dei cuori artificiali totali è, al presente, il cuore di Jarvik, capace di rimpiazzare integralmente il cuore nativo. Un ruolo simile hanno gli apparecchi di assistenza ventricolare, costituiti da una sola camera pompante, azionata in modo pneumatico (Toratec) o elettro-meccanico (Novacor), impiegabili per assistere o sostituire la funzione di un solo ventricolo, il destro o il sinistro. In generale, il paziente critico in cui tali sistemi vengono utilizzati in attesa di un organo da trapiantare, riceve un impianto bilaterale, con l'assistenza simultanea destra e sinistra che consente uno svincolo totale dalla funzione cardiaca residua e un controllo circolatorio più agevole.

Certamente questa chirurgia sta ancor oggi vivendo una fase sperimentale. Cionondimeno, si tratta di una sperimentazione ormai uscita dal laboratorio ed entrata nei reparti ospedalieri, diffondendosi in modo rapido e dimostrando grande efficacia, tanto che oggi nel mondo ci sono numerosi individui recuperati con un trapianto di cuore grazie a un prezioso periodo di sopravvivenza consentita da un cuore meccanico.

La produzione di un cuore artificiale definitivo totalmente impiantabile è ancora una prospettiva del futuro e rappresenta per ora uno dei più intensi obiettivi di ricerca bioingegneristica, la cui soluzione appare comunque non molto lontana. Certamente il giorno in cui questo vecchio sogno verrà realizzato, la chirurgia cardiaca registrerà una svolta decisiva nella sua storia e nella prognosi delle cardiopatie incurabili che oggi possono solo sperare nel trapianto di cuore.

Bibl.: M. I. Ionescu, Techniques in extracorporeal circulation, Londra 1981; J. Stark, M. de Leval, Surgery for congenital heart defects, ivi 1983; J. W. Kirklin, B. G. Barrat Boyes, Cardiac surgery, New York 1986; D. C. McGoon, Cardiac surgery, in Cardiovascular Clinics, Filadelfia 1987; V. Gallucci, U. Bortolotti, G. Faggian, A. Mazzucco, Heart & heart. Lung transplantation update, Firenze 1988.

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