Cardiopatia ischemica

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2008)

Cardiopatia ischemica

Luigi Chiariello
Paolo Nardi

Sindrome da insufficiente apporto di ossigeno al miocardio che può essere causata da riduzione del flusso di sangue per vasocostrizione o trombosi delle coronarie (cioè delle arterie responsabili dell’irrorazione del miocardio). Questa ischemia da apporto si manifesta clinicamente come infarto miocardico o angina instabile. Quando invece, in presenza di un restringimento (stenosi) almeno del 50% del lume della coronaria, si ha un aumento della richiesta di ossigeno da parte del miocardio (per es., in corso di crisi ipertensiva, sforzo ecc.) non adeguatamente compensata dall’incremento del flusso ematico, si ha la cosiddetta ischemia da richiesta, responsabile dell’angina cronica stabile.

Fattori di rischio per l’insorgenza della cardiopatia ischemica sono l’ipercolesterolemia, l’ipertensione arteriosa, il fumo di sigaretta, il diabete, lo stress e la vita sedentaria. La sintomatologia più tipica è il dolore toracico, spesso di tipo gravativo, talora urente o lancinante, eventualmente irradiato al collo, alle spalle e agli arti superiori (in particolare di sinistra), e accompagnato da sudorazione fredda. Il dolore dell’angina dura alcuni minuti, mentre quello dell’infarto è più prolungato, per cui il suo persistere per più di dieci minuti deve far sospettare un infarto. La diagnosi, sospettata dall’anamnesi, è confermata da esami non invasivi come l’elettrocardiogramma di base e sotto sforzo. Lo sforzo fisico, infatti, facendo aumentare il lavoro del cuore, ne aumenta anche il consumo di ossigeno, con conseguente induzione di ischemia evidenziata da segni elettrocardiografici e/o dall’insorgenza di angina. Indagini più fini quali la scintigrafia miocardica e l’angio-TC delle coronarie, confermando la diagnosi indirizzano alla coronarografia, che è l’esame che meglio definisce l’anatomia coronarica ed evidenzia con precisione la gravità e la localizzazione delle stenosi.

La terapia medica si avvale di farmaci che migliorano l’apporto di ossigeno al miocardio grazie all’effetto coronarodilatatore o che riducono il consumo di ossigeno abbassando la frequenza cardiaca e la pressione.

In presenza di stenosi coronariche gravi (stenosi ≥50% del tronco comune della coronaria sinistra e/o ≥70% delle tre coronarie principali), la terapia medica si è rivelata meno efficace a controllare i sintomi e a prevenire gli eventi cardiaci, rispetto all’angioplastica percutanea e all’intervento chirurgico di bypass coronarico. L’angioplastica coronarica percutanea, consiste nella dilatazione con palloncino della coronaria ostruita posizionando in genere nel lume coronarico anche uno stent, cioè un reticolo cilindrico metallico, per ridurre il rischio di ristenosi. Il bypass coronarico, cioè la creazione chirurgica di una nuova via vascolare che aggiri la stenosi passando ‘a ponte’ sulla stessa, può essere eseguito con condotti arteriosi (arteria mammaria, radiale) o venosi (safena) prelevati al paziente stesso. Il bypass coronarico, pur essendo più invasivo rispetto alla terapia medica e all’angioplastica percutanea, è più efficace nel garantire migliori e più durevoli risultati.

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