CARDISCO, Marco, detto Marco Calabrese

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CARDISCO, Marco, detto Marco Calabrese

Oreste Ferrari

Nacque in Calabria verso il 1486 e fu attivo come pittore a Napoli - secondo quanto riferisce il Vasari nelle Vite - dal 1508 al 1542, anno in cui avvenne la sua morte. Le più antiche fonti, pur ricordandolo come uno dei principali artisti meridionali del sec. XVI, si limitano tuttavia a menzionarne soltanto la pala dell'altar maggiore della chiesa di S. Agostino alla Zecca a Napoli (e non ad Aversa, come detto dal Vasari), raffigurante la Disputa di s. Agostino. Un più consistente catalogo delle opere del C. a Napoli fu poi dato dal De Dominici, il quale, raccogliendo forse tradizioni locali, ricorda una Deposizione dalla Croce e una Pietà in S. Pietro ad Aram; una pala con il Crocifisso,la Madonna,s. Giovanni e la Maddalena, il Redentore e angeli dolenti nella lunetta, i santi Sebastiano e Rocco nei pannelli laterali, nella chiesa di S. Maria Assunta (meglio nota col titolo di S. Barbara) in Castelnuovo e, nella cappella di S. Antonio di questa medesima chiesa, un'altra pala raffigurante l'Apparizione di Gesù bambino a s. Antonio; una Madonna con il Bambino in gloria,i ss. Pietro e Marco e anime purganti, nella chiesa, distrutta, di S. Marco antistante il palazzo reale, e inoltre tavole di soggetto non meglio specificato, e che già ai suoi tempi erano state rimosse dalla loro originaria collocazione, in S. Giovanni Maggiore.

Indicazioni di altre opere del C. si ricavano da moderne ricerche documentarie (Capasso): nel 1521 l'artista, che si era iscritto quell'anno stesso nella corporazione dei pittori, s'impegnò a eseguire, con la collaborazione d'un certo Geminiano Pindauro, una pala dipinta, scolpita e dorata per la chiesa del monastero di S. Aniello a Caponapoli; nel 1540ricevette pagamenti per una pala d'altare eseguita per la chiesa di S. Maria di Gesù (o, più propriamente, di S. Francesco d'Assisi) a Cava dei Tirreni, con la collaborazione di Antonino de Refenio e Mazeo de la Carne.

Ad eccezione della pala di S. Agostino alla Zecca e delle due tavole di S. Pietro ad Aram (che però sono più probabilmente da ascrivere a Pietro Negroni: cfr. Bologna, 1959), nessuna delle opere qui sopra menzionate risulta tuttora esistente o comunque identificabile. Il profilo artistico del C. è stato tuttavia molto plausibilmente ricostruito dal Bologna (1955 e 1959) e poi ulteriormente integrato dall'Abbate (1970), che hanno individuato in lui l'autore di un gruppo di dipinti che dovrebbe disporsi in quest'ordine: la Adorazione dei Magi, nel Museo di San Martino, "al culmine del secondo decennio" del sec. XVI, la Madonna in gloria dei depositi del Museo di Capodimonte (inv. n. 1049), l'Immacolata della parrocchiale di Grumo Nevano e, probabilmente, la Madonna in gloria della chiesa dei SS. Marcellino e Festo, tutte databili entro lo stesso decennio. A questo gruppo Previtali propone di aggiungere la Madonna,il Bambino e i ss. Giovannino,Giovanni e Gerolamo (Zagabria, Strossmayerova gal.), ancora ricca di motivi lombardi. Segue quindi la Madonna del Rifugio, nel Museo di San Martino e che reca una data lacunosa (153 ... ), in prossimità della quale potrebbe datarsi la Madonna con il Bambino e i ss. Francesco e Paolo della Pinacoteca civica di Cremona (meno convincente appare l'attribuzione al C., proposta dal Bologna [1959], del Volto Santo del Museo della Floridiana a Napoli, che deriverebbe da un probabile modello di B. Bermejo).

In un tempo posteriore, intorno all'anno 1540, si collocano la Madonna in gloria e i ss. Andrea e Marco e anime purganti in S. Maria delle Grazie a Caponapoli (che l'Abbate [1970] ha dimostrato essere quella menzionata dal De Dominici come opera di Giovan Filippo Criscuolo, e distinta dunque dalla pala che lo stesso autore ricordava come esistente nella distrutta chiesa di S. Marco di Palazzo) e infine la Disputa di s. Agostino, che è da tempo nel Museo di Capodimonte, mentre parte dei pannelli laterali è stata recentemente ritrovata dall'Abbate (ibid.), proprio in S. Agostino alla Zecca (si tratta di una specie di cimasa rettangolare con il Salvator Mundi e i ss. Pietro e Paolo e gli Evangelisti e di due tavolette raffiguranti ciascuna Tre santi che leggono). Altre opere attribuite al C., quali i due disegni del castello di Windsor, nn. 1180 e 1181, sono state ora meglio riferite dal Marabotti a Pietro Negroni.

Sulla base delle opere di più persuasiva attribuzione, dunque, la personalità del C. si definisce in modo assai netto come quella di un artista la cui prima formazione si era espenta genericamente sulla maniera di Andrea da Salerno ma, più essenzialmente, sulle risonanze che ebbe a Napoli il monumentalismo cubico, visionario e drammatico dell'anonimo seguace lombardo del Bramantino noto appunto con il nome di convenzione di "pseudo-Bramantino" che proprio agli inizi del sec. XVI aveva affrescato la cappella Carafa in S. Domenico Maggiore e dipinto, tra l'altro, il bellissimo trittico della Visitazione ora nel Museo di Capodimonte. L'influsso di questi mediati modi bramantineschi costituisce difatti il connotato saliente delle prime opere del C., e in particolare della Madonna in gloria (n. 1049) di Capodimonte e - ma con più esplicite concessioni al tenero raffaellismo di Andrea da Salerno - della Immacolata di Grumo Nevano.

Questo stesso influsso dovrà poi condizionare i successivi sviluppi dell'arte del C., come supporto su cui più congenialmente s'innesta l'accostamento dell'artista alle esperienze mature di Polidoro da Caravaggio: alle esperienze cioè del Polidoro attivo a Messina dall'ottobre del 1527, mentre sembrano passati inavvertiti gli aspetti certamente ancora "romani" (alla Peruzzi e alla Giulio Romano) delle opere da lui lasciate nel corso dei soggiorni a Napoli nel 1524 e nell'estate del 1527. Sì che è ben possibile che l'accostamento del C. alla nuova fase del Caldara si sia verificato come conseguenza d'una sua conoscenza diretta delle più antiche tra le opere eseguite dall'artista in Sicilia.

Come che sia, l'inflessione stilistica polidoresca si manifesta già precisa nella pala di S. Maria delle Grazie a Caponapoli e giunge a pienezza di risultati nella Disputa di s. Agostino: come avevano peraltro ben avvertito già gli antichi scrittori, ai quali l'opera era apparsa "tratta da Polidoro" (De Pietri, 1634) e di alta originalità per "una maniera molto continuata e che tira al buono della maniera moderna, et un bellissimo e pratico colorito..." (Vasari).

Oltre ai collaboratori menzionati nei citati documenti, fu assai prossimo all'artista (e ne parla anche il Vasari, affermando che avrebbe pure lavorato a Roma con Giovanni da Udine) un altro pittore calabrese, che la critica moderna tende a identificare con Pietro Negroni, le cui opere note palesano invero tratti affini a quelli del Cardisco. L'influsso di questo si fece sentire in altri settori della pittura napoletana della prima metà del sec. XVI, toccando anche personalità di vero rilievo, quale quella di G. F. Criscuolo.

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite…, a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 211-15; K. van Mander, Het Schilder Boek, Amsterdam 1618, f. 636; C. D'Engenio Caracciolo, Napoli sacra..., Napoli 1623, p. 584; J. von Sandrart, Academia nobilissimae Artis pictoriae, Norimbergae 1683, p. 133; F. De Pietri, Historia napoletana [1634], a cura di B. Croce, in Napoli nobilissima, VIII (1899), pp. 14 s.; C. Tutini, De pittori,scultori.. regnicoli [metà sec. XVII], a cura di B. Croce, in Napoli nobilissima, VII (1898) p. 122; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno [1681], Torino 1814, IV, p. 293; B. De Dominici, Vite de' pittorinapoletani, II, Napoli 1743, pp. 59-61; B. Capasso, Appunti per la storia dell'arte in Napoli, in Archivio storico per le provincie napoletane, VI (1881), p. 534; G. Frizzoni, Arte italiana del Rinascimento, Milano 1891, p. 80; A. Frangipane, Antichi pittori di Calabria (Marco Calabrese...), in Brutium, XXXI (1952), 9-10, pp. 3-6; F. Bologna, Altobello Melone, in The Burlington Magazine, XCVII (1955), p. 246 n. 16; Id., Roviale spagnuolo..., Napoli 1959, pp. 77-79; A. Marabotti, Polidoro da Caravaggio, Roma 1969, ad Indicem; F. Abbate, A proposito del "Trionfo di S. Agostino", di M. C., in Paragone, XX (1970), 243, pp. 40-43; S. J. Freedberg, Painting in Italy,1500-1600, Harmondsworth 1970, p. 488 n. 69; F. Abbate, La pitt. napol. fino all'arrivo di G. Vasari, in Storia di Napoli, V, Napoli 1972, pp. 842-844; L. G. Kalby, Classicismo e maniera nell'officina meridionale, Napoli 1975 (rec. da G. Previtali, in Prospettiva, IV [1967], pp. 51 ss.); U. Thieme-F. Decker, Künstlerlexikon, V, p. 586.

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