CARESTIA

Enciclopedia Italiana (1931)

CARESTIA (fr. famine, disette; sp. carestía, apuro; ted. Hungernot, Mangel; ingl. famine, scarcity)

Anna Maria RATTI
Aristide CALDERlNl
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Si ha carestia quando l'elemento principale di alimentazione di un paese (per lo più grano; riso per i paesi asiatici) viene a mancare. Ciò può accadere o per effetto di cause naturali o in conseguenza di guerre, rivoluzioni, errori economici. Fra le cause naturali prevalgono le condizioni atmosferiche che influiscano sfavorevolmente sul raccolto sia del paese stesso sia dei suoi mercati di approvigionamento: eccesso o mancanza di pioggia che si verifichi rispettivamente nei periodi in cui l'umidità o il calore del sole sono più necessarî alla crescita o alla maturazione, grandine, gelo precoce o ritardato; temibili sono anche le invasioni d'insetti e di locuste; e carestie, in seguito all'abbandono della terra, possono produrre inoltre le pestilenze.

Cause artificiali, in quanto dipendono dalla volontà umana, possono dirsi invece le guerre e le rivoluzioni, ché entrambe, e soprattutto le prime, oltre a creare nuova e urgente domanda di vettovaglie per gli eserciti in arme, distolgono gli uomini dal lavoro dei campi, distruggono a volte i già accumulati raccolti, e ostacolano il commercio all'interno e all'estero. Anche le errate direttive economiche dei governi possono causare la scarsezza delle derrate alimentari inceppandone la regolare circolazione.

Varia è l'intensità con cui queste cause agiscono in tempi e luoghi diversi intersecandosi a volte fra loro, varî soprattutto ne sono gli effetti a seconda del grado di evoluzione dell'organismo economico. Se meno gravi e meno frequenti sono divenute le carestie nell'età moderna, ciò non si deve infatti a una diminuzione nella frequenza e nella gravità delle perturbazioni sociali o al clima più favorevole, ma è conseguenza della plù progredita attrezzatura economica che permette di limitare e compensare gli effetti dei perduti raccolti. Mentre i rudimentali metodi di agricoltura, il latifondo, la gravezza delle imposte sulla terra, la mancanza o poca sicurezza dei mezzi di comunicazione, la scarsa moneta e l'embrionale sviluppo del credito ostacolavano nei tempi passati la produzione e il commercio dei grani e ne accentuavano l'occasionale mancanza, oggi lo sfruttamento razionale e intengo del suolo, la possibilità di conservare l'eccesso di produzione delle annate favorevoli e soprattutto i facili trasporti e il complesso meccanismo del credito fanno sì che di carestie vere e proprie in paesi progrediti non si possa parlare. È impossibile immaginare infatti che cause uguali e diverse agiscano contemporaneamente sui raccolti di tutti i mercati di approvigionamento, soggetti come sono alle più svariate condizioni climatiche; come pure non è possibile che in tutte le regioni di uno stesso paese, nel caso che si tratti di un paese produttore, il raccolto possa andare perduto e in ogni modo la nuova domanda potrà sempre essere soddisfatta più o meno esaurientemente da altri paesi produttori. Inoltre, quanto più si moltiplicano il numero e la varietà delle sostanze alimentari, osservava già J.B. Say, tanto meno le nazioni sono esposte al pericolo di mancarne; e i progressi dell'agricoltura, naturalizzando vegetali e animali stranieri, permettono appunto di variare il regime alimentare di un popolo, mentre l'aumento del reddito nazionale permette di ricorrere a consumi ritenuti prima lontani dalle possibilità economiche di un paese. Il grano dunque non è più oggi come una volta la principale derrata alimentare dei paesi europei; il riso però costituisce ancora l'alimento quasi esclusivo delle popolazioni asiatiche, specie dell'India e della Cina.

Caratteristico poi è l'esempio dell'India, che, per la sua posizione tropicale e per la sua dipendenza dalle piogge del monsone, è più d'ogni altro paese esposta alla mancanza di raccolto; non già che non vi cada annualmente una quantità complessiva di piogge sufficiente ai bisogni dell'agricoltura, ma, per l'irregolarità delle sue foreste, vaste zone sono facilmente esposte alla siccità tanto che la carestia può dirsi, in India, endemica; quasi ogni anno il raccolto manca o in una regione o nell'altra e, a intervalli regolari, che si sono ritenuti da alcuni legati ai periodi decennali delle macchie solari, l'annuale scarsità allarga la sua area; ogni 50 o 100 anni si possono verificare poi siccità eccezionali che durino anche per due o tre anni e colpiscano intere provincie. L'insufficiente irrigazione, l'imperfezione dei mezzi di trasporto e di comunicazione fra le varie regioni, la densità della popolazione assorbita quasi per intero dall'agricoltura (92%), e restia inoltre a emigrare, la rigidità delle tasse sulla terra, aggravano poi la miseria e la fame. Nonostante che alcuni politici indiani ritengano che le carestie siano cresciute sotto il governo inglese in seguito all'esaurimento della resistenza economica del paese, causata dal gravoso carico fiscale, è certo che l'Inghilterra ha cercato di migliorare la situazione con opere d'irrigazione e di comunicazione, e con lavori di soccorso ha supplito in parte all'eventuale mancanza del reddito dell'agricoltura. Mentre infatti nella carestia del Bengala del 1769-70 perì circa 1/3 della popolazione, nel 1901 le perdite si limitarono nei British Districts al 3%.

Alle carestie quasi sempre si uniscono, come effetto più o meno immediato, crisi del commercio e dell'industria; la ridotta capacità economica delle classi agricole, l'alto prezzo delle scarse derrate alimentari che automaticamente produce in tutto il popolo un restringimento degli altri consumi, limitano infatti le possibilltà di collocamento dei prodotti industriali; aumenta la disoccupazione e i salarî diminuiscono ancor più per l'urgenza del bisogno che non permette alle classi operaie di dilazionare la ripresa del lavoro. Si deve ricordare poi che l'elasticità della domanda per i generi di prima necessità è minima, e la domanda stessa tocca sempre il limite massimo; i prezzi, quindi, al primo allarme salgono più che proporzionalmente alla diminuzione dell'offerta, e salgono anche quelli dei surrogati, sia perché generalmente la loro offerta è connessa a quella del prodotto pri cipale, sia per l'aumentata domanda. La necessità inoltre di approvvigionarsi all'estero rende sfavorevole la bilancia commerciale, l'oro tende a uscire dal paese, il saggio dello sconto sale e i titoli pubblici ribassano.

Gravi sono pure le conseguenze sociali: lo scarso e malsano nutrimento causa l'eliminazione degli organismi più deboli, quando non dà luogo allo svilupparsi di vere e proprie epidemie, la mortalità aumenta, diminuiscono i matrimonî e le nascite, si accenma la frequenza dei delitti contro la proprietà, e, a seconda del grado di civiltà del paese, contro la persona. L'ambiente diviene sempre più favorevole ai disordini sociali, tanto più che il popolo è incline per natura a incolpare i governi della sua miseria e a immaginarsi vittima degli speculatori e dei commercianti in genere. È vero che spesso l'ignoranza, i pregiudizî e l'imprudenza dell'amministrazione pubblica mutarono effettivamente in carestie temporanee penurie di grani o non le seppero arrestare in tempo, come pure è vero che l'affannosa ricerca delle derrate alimentari e la loro scarsezza elevano il profitto degl'intermediari sì da indurli ad aggravare volontariamente la situazione; non bisogna però dimenticare l'abile sfruttamento del malcontento pubblico, per opera dei desiderosi di rivolgimenti sociali, che ingrandisce e travisa le cose sì da indurre il popolo alla rivoluzione.

Considerando la carestia come malattia dell'organismo economico e sociale, ben si comprende come il rimedio più efficace si possa trovare nelle forze di reazione dell'organismo stesso; gli alti profitti tentano i commercianti e questi cercano di accapparrare e acquistare altrove la merce mancante e di venderla immediatamente nel timore che la concorrenza impedisca in seguito di realizzare lo sperato guadagno. In tal modo gli effetti della carestia rapidamente si eliminano attraverso il meccanismo stesso della concorrenza.

L'opera dello stato in questo campo può esplicarsi col favorire il gioco delle forze naturali, sopprimendo dazî d'entrata sui cereali, stabilendo premî all'importazione, e anche acquistando direttamente grano all'estero, qualora l'attrezzatura economica del paese sia ancora in una fase arretrata e manchino i capitali, la tecnica e i mezzi di comunicazione necessarî perché i privati possano esercitare il commercio dei grani; nei paesi più progrediti però l'acquisto diretto da parte dello stato invece che coadiuvare quello privato, come a prima vista potrebbe credersi, finisce con l'eliminarlo, poiché la concorrenza dell'amministrazione pubblica, priva di scopi di lucro, scoraggia i commercianti. Lo stato può inoltre limitare la disoccupazione, concedendo sovvenzioni all'industria (anche un forte organismo bancario può essere utile in questo senso) e iniziando lavori pubblici, imponendo tasse di soccorso per le classi meno abbienti o distribuendo viveri gratuitamente nei limiti delle sue possibilità. A volte i governi adottarono anche misure più specifiche, imponendo, per es., ai fornai di vendere pane raffermo di 24 ore, vietando di adoperare cereali nella fabbricazione di prodotti non necessarî, ecc., ma sono misure di portata pratica limitata.

Storia. - Le carestie della Grecia antica, favorite dalla disunione politica ed economica del paese, sono numerose nei ricordi sopravvissuti; tale è quella del 445 a. C., al tempo della rivolta dell'Eubea (Thuc., I, 14), durante la quale Psammetico d'Egitto, secondo Filocoro (Schol. Aristoph. Vesp., 718), avrebbe mandato grano in dono agli Ateniesi, nel 430 la pestilenza di Atene fu certo accompagnata da difficoltà alimentari, come appare da un passo di Tucidide (II, 14). Della carestia ateniese del 386 abbiamo ricordo nella XXXII orazione di Lisia che conserva l'eco di un processo contro i rivenditori di grano; nel 356 Demostene (In Lept., 30) ricorda grano mandato agli Ateniesi da un comandante del Bosforo per ovviare a una carestia. Notissima per ricordi letterarî e documenti è la carestia che si protrasse fra il 330 e il 327. Depositi di cereali a cura dello stato, organizzazione di σιτῶνάι, di σιτοϕύλακες oltre gli agoranomi, soprintendenti del mercato, distribuzioni gratuite di grano sono i mezzi per combattere la carestia in Grecia

A Roma, dopo un primo periodo, in cui pare che la cura dell'agricoltura ovviasse a pericoli gravi di carestia, seguono momenti sempre più difficili, finché i problemi dell'economia granaria mondiale si affacciano in tutta la loro imponenza ai dirigenti la vita romana. L'allontanamento delle plebi dai campi, le guerre, le invasioni barbariche costituiscono altrettante cause di carestia; Livio (II, 34, 2) riferisce intorno a una carestia del 491 a. C.. provocata dalla secessione della plebe; a proposito della distribuzione di grano, fatto venire allora dall'estero, si narra l'episodio di Coriolano. Altra carestia è riferita al 471 (Dion. Hal., IX, 25); altra dopo il 455 (Liv II, 23, 2); altra ancora nel 440 (IV, 21, 6); molti plebei per fuggire alla fame si sarebbero gettati nel Tevere. Seguono, secondo la tradizione, le carestie del 433, del 412, del 389; dopo la carestia del 299 si cominciò a porre il problema degli aiuti da dare ai bisognosi durante i periodi di carestia e ne vennero le prime distribuzioni di grano con Gaio Gracco nel 123. Si riparla però di carestia al tempo di Clodio e quindi sotto Augusto e sotto Nerone. Ché se i privilegi concessi agli abitanti di Roma con le "frumentazioni" scongiurarono qui le gravi conseguenze della carestia, questa continuò, malgrado la sicurezza dei mari, ad assillare l'una e l'altra regione dell'impero; l'Asia Minore, per esempio, nel II sec. d. C., l'Africa settentrionale, l'Egitto al tempo di Traiano; l'eco di tali sciagure troviamo in una delle declamazioni pseudo-quintilianee (XII) e ancora nel 451 un testo ci parla di una grave carestia che afflisse l'Italia. Il controllo dei rifornimenti del grano (cura annonae), le migliorie alla navigazione e alle strade e ai porti giovarono ad alleviare e talvolta a evitare le carestie, ma il decadere dell'organizzazione statale e l'invasione dei barbari acuirono il male. L'arte personificò la carestia nell'immagine della fame, per cui si veda Virgilio e specialmente Ovidio nell'episodio di Erisittone.

Il Medioevo e anche l'età moderna conobbero pure forti carestie: a prescindere da gravi stati di generale disagio economico, divenuti quasi cronici (come quelli ch'ebbero a soffrire la Francia in conseguenza della guerra dei Cent'anni, o l'Europa centrale durante la guerra dei Trent'anni), ricorderemo le carestie generali che afflissero l'intera Europa nell'879, nel 1016 e nel 1162; quelle che infierirono in varie parti d'Italia nel 1334, 1591, 1632, 1669; quella provocata in Germania dalla guerra dei contadini, le carestie inglesi del 1005 e del 1586, che diede origine al sistema assistenziale stabilito dalle "Leggi per i poveri", le carestie francesi del 1709, 1752, 1788, quella - dovuta al cattivo raccolto delle patate - che afflsse l'Irlanda nel 1846-47, provocando l'esodo di gran parte della popolazione; le carestie del 1891-92, 1905, 1921 in Russia e quelle del 1887-89 e 1916 in Cina; infine, tra le terribili carestie scoppiate in tutta l'India o in vaste regioni, quelle del 941, 1022, 1033, 1148-59, 1344-45, 1396-1407, 1661, 1769-70, 1783, 1790-92, 1838, 1861, 1866, 1869, 1874, 1876-78, 1897, 1899-1901.

Bibl.: A. Scialoja, Carestia e governo, Torino 1854; C. Walford, On the famines of the world, past and present, in Journal of the Statistical Society, 1878-1879; A. Ciccone, Della miseria e della carestia nei differenti periodi di progresso sociale, Napoli 1884; W.B. Steveni, Through famine-stricken Russia, Londra 1892; id., Europe's great calamity, Londra 1922; R. Wallace, Famine in India, Londra 1900; R.C. Dutt, Famines and Land Assessments in India, Londra 1900; C.W. MacMinn, Famine truths, half-truths, untruths, Calcutta 1902; T. Morrison, Indian industrial organization, Londra 1906; C.A. Foley, Famine, in Palgrave's Dictionary of political economy, 2ª ed., Londra 1925, II, p. 19 segg.; W.H. Mallory, China: land of famine, Londra 1927; H. H. Fisher, The Famine in Soviet Russia 1919-1923, Londra 1927; A. Boeckh, L'econ. pubbl. degli Aten., tr. it. in Bibl. Pareto, I, p. 152 seg.; L. Gernet, L'approvisionnement d'Athènes en blé, ecc., Parigi 1909; M. Rostovtzef, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIII, col. 138; id., The social and economic history of the roman empire, Oxford 1926, passim; G. Cardinali, in De Ruggiero, Diz. ep., I, p. 4; III, p. 225; Waser, in Pauly-Wissowa, op. cit., VI, col. 1979.

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