Carl Philipp Emanuel Bach

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Giorgio Monari
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Espressività, sentimento e magistero contrappuntistico, effetti drammatici e improvvisi scarti melodici, modulazioni inconsuete e slanci dinamici in una perpetua oscillazione tra la sorpresa e l’effusione lirica, queste sono le caratteristiche, e forse i limiti, della copiosa e variegata produzione di Carl Philipp Emanuel Bach per la tastiera. Un’oeuvre che può forse sconcertare l’orecchio moderno, ma che sa riccamente compensare un ascolto attento.

Carl Philipp Emanuel Bach

Il posto numero 46 occupato da Carl Philipp Emanuel, secondogenito di Johann Sebastian Bach, nell’albero genealogico (Ursprung der musicalisch-Bachischen Familie) redatto intorno al 1735 allo scopo di perpetuare le tradizioni di questa prodigiosa famiglia di musicisti non gli ha impedito, sino alla fine del Settecento, di essere unanimemente considerato l’unico e vero “grande Bach”.

Acclamato virtuoso della tastiera, teorico e intellettuale di vasti interessi non solo musicali, amico di filosofi e poeti (da Moses Mendelssohn a Lessing), Carl Philipp Emanuel Bach è in definitiva una figura centrale nel panorama musicale tedesco ed europeo di quest’epoca. Testimonianze con varia gradazione di veridicità rammentano la grande considerazione in cui è tenuto dai tre giganti del classicismo viennese: Haydn non si stanca di eseguirne le sonate; Beethoven gli riconosce i meriti di precursore ed esponente di primo piano di una cultura musicale di cui si sente egli stesso partecipe; Mozart, sicuramente più attratto dalla musicalità lieve di Johann Christian Bach che dalle meditazioni sentimentali di Emanuel, affermerebbe – e siamo all’aneddoto – “Lui è il padre. Noi figli”.

Dopo la sua morte una serie di avvenimenti, tra loro molto diversi, contribuiscono a offuscare la grande fama di cui il compositore gode in vita. Grande peso hanno sicuramente gli straordinari conseguimenti del classicismo viennese di Haydn, Mozart e Beethoven, alla cui luce le sperimentazioni di Emanuel appaiono come tentativi non sempre riusciti di approdare alla perfezione delle grandi forme classiche. Il secondo è la riscoperta romantica, a opera di Felix Mendelssohn, dell’opera titanica di Johann Sebastian Bach, che si riapproprierà, anche se tardivamente, del titolo di “grande Bach”. Rivalutando un barocco forse immaginario, quello della musica “assoluta” di Bach padre riletta da una nuova prospettiva, i musicisti romantici assesteranno infatti l’ultimo colpo per declassare quello stile “galante” che, proprio in opposizione alle pesantezze del barocco, ricerca il gusto per una musicalità più lieve.

Come risultato, la naturalezza dello stile galante si ribalta improvvisamente in affettazione retorica e frivola, mentre gli impeti delicati dell’empfindsamer Stil sbiadiscono precocemente con l’esposizione alla nuova temperatura delle passioni romantiche. Infine, con la definitiva e rapidissima affermazione del pianoforte e il conseguente schiudersi di nuove strade per la letteratura degli strumenti a tastiera, proprio il cuore della produzione di Emanuel Bach, così legata alle intime dolcezze del clavicordo, apparirà inesorabilmente démodé.

Le Württembergischen Sonaten

Nel suo Saggio di metodo per la tastiera, probabilmente il più celebre trattato di tecnica per la tastiera di tutto il Settecento, Philipp Emanuel rivela senza ambiguità la poetica dell’Empfindsamkeit di cui è il principale esponente e che estende le sue ramificazioni da una parte allo stile galante propriamente detto e dall’altra a correnti letterarie quali lo Sturm und Drang.

Per quasi 30 anni, prima di sostituire Telemann come direttore musicale ad Amburgo, con un incarico simile a quello che J.S. Bach aveva rivestito a Lipsia, Carl Philipp Emanuel è cembalista e insegnante del sovrano alla corte berlinese di Federico II il Grande di Prussia, grande protettore delle arti – alla corte si può ascoltare un concerto ogni sera e l’opera due volte alla settimana – e dilettante di flauto. Il re tuttavia non ha gusti musicali particolarmente avanzati e non ama eccessivamente Emanuel, il cui stipendio a rimane sempre ben distante dagli astronomici compensi del celebre flautista Quantz e degli altri musicisti della ricca monarchia berlinese.

Carl Philipp Emanuel Bach

 Saggio di metodo della tastiera  

Un musicista commuove gli altri soltanto se egli stesso è commosso: è indispensabile che provi tutti gli stati d’animo che vuole suscitare nei suoi ascoltatori, perché in tal modo farà loro comprendere i suoi sentimenti e li farà partecipare alle sue emozioni. Nei punti languidi e tristi diventerà languido e triste; ciò si dovrà udire e vedere. Anche eseguendo frasi vivaci e gioiose, ecc. l’esecutore deve mettersi nello stato d’animo appropriato. Alla calma seguirà l’eccitazione e viceversa con varietà continua d’espressione. L’esecutore deve essere certo di provare le stesse emozioni che l’autore provava nel comporre soprattutto nei pezzi molto espressivi.

C.P.E. Bach, Saggio di metodo della tastiera, trad. it. di G. Gentili Verona, Milano, Curci, 1973

La Wq 49, 1 è la prima del secondo ciclo di sonate composte da Carl Philipp Emanuel Bach durante questo periodo berlinese. Le sei sonate “per cembalo”, che rivestono una particolare importanza all’interno della produzione bachiana, sono dedicate all’“Altezza serenissima di Carlo Eugenio duca di Wirtemberg [sic] e Teckh” e sono composte tra il 1742 e il 1744, anno in cui vengono pubblicate a Norimberga.

La destinazione “per cembalo” non deve essere tuttavia presa alla lettera; in quegli anni, anche se Bartolomeo Cristofori ha già inventato il suo “gravicembalo con il forte ed il piano”, il principale strumento a tastiera è sicuramente il clavicembalo. La predilezione pressoché totale di Carl Philipp Emanuel Bach va tuttavia al clavicordo, la cui sonorità intimistica ha un legame particolare con lo stile dell’Empfindsamkeit. A tale predilezione, condivisa dal fratello Friedemann Bach, si deve in gran parte il ritardo con cui il fortepiano/pianoforte viene introdotto nella Germania settentrionale e a cui non è certamente estranea anche la guerra dei Sette anni. A differenza di quanto accade con il clavicembalo e il pianoforte, in cui il plettro o il martelletto non rimangono a contatto della corda durante l’emissione del suono, nel clavicordo, uno strumento di costruzione decisamente più spartana e destinato alle esecuzioni domestiche, la tangente metallica posta all’estremità del tasto resta a contatto con la corda durante l’emissione del suono e permette di controllarne direttamente l’emissione fino a realizzare un particolare effetto di vibrato (Bebung). L’insufficiente volume sonoro rende lo strumento inadatto alle esecuzioni concertistiche e anche alla realizzazione del continuo, ma il suo intimo fascino gli dona una sensibilità che ben si avvicina al gusto di Emanuel Bach, inesausto e rapito tastierista di cui il Burney descrive le ispirate improvvisazioni. I costi abbordabili, inoltre, rendono questo strumento particolarmente grato a quei “conoscitori ed amatori” (Kenner und Liebhaber) per i quali Bach pubblicherà nella seconda parte della sua carriera vari cicli di sonate.

La sonata Wq 49, 1

La composizione, datata 1742, è nei tempi moderato (La minore), andante (La maggiore) e allegro assai (La minore) e presenta alcuni tratti del tutto caratteristici della pur cangiante produzione di Carl Philipp Emanuel per strumento a tastiera, che ammonta a oltre 250 sonate, pubblicate in vari cicli lungo l’intero arco della sua vita, spesso con un discreto successo commerciale. Del tutto caratteristica è sia la divisione in tre movimenti con movimento lento centrale, sia la successione delle tonalità con l’utilizzo della tonalità omologa (La maggiore), spesso preferita al relativo maggiore per il movimento centrale delle sonate in minore. Tale suddivisione non va data per scontata poiché, nello stesso anno in cui Bach compone le prime sonate del ciclo, Giovanni Benedetto Platti, che pure anticipa egli stesso vari tratti dello stile galante, pubblica sempre a Norimbergale sue sei Sonate pour le clavessin sur le goût italien e le suddivide nei consueti quattro movimenti della sonata da chiesa barocca (adagioallegro-adagio-allegro). E nello stesso 1742 padre Martini pubblica ad Amsterdam le sue Dodici sonate d’intavolature per l’organo e il cembalo, anche queste in quattro movimenti e di densa scrittura contrappuntistica.

La produzione di Carl Philipp Emanuel Bach costituisce uno snodo cruciale tra lo stile sonatistico postbarocco, caratterizzato da una prevalenza dell’elaborazione di tipo motivico, polifonica, tendenzialmente monotematica, con un rapido ritmo armonico, e quello della futura sonata classica, caratterizzato al contrario da un’articolazione che si basa sulla dialettica delle frasi e tende per ciò stesso ad essere politematica, omofonica, più snella e ampia, suddivisa in sezioni chiaramente definite sia dal punto di vista armonico sia da quello tematico.

La prima sonata del ciclo dedicato al duca di Württemberg rispecchia in pieno questo tragitto che sarebbe tuttavia limitativo interpretare in senso teleologico, misurando la qualità della composizione in relazione a una sua astratta aderenza ai principi di una forma-sonata definita solo a posteriori. Emanuel Bach (che della forma-sonata viene considerato per lungo tempo il padre) sembra a tratti aderirvi e in altri momenti negarne la sostanza.

Le caratteristiche principali del sonatismo bachiano sono ben rappresentate dal primo movimento di questa sonata: estrema ricchezza e varietà del materiale melodico, grande incostanza ritmica, ritmo armonico sostenuto, grande padronanza della tecnica contrappuntistica, subitanee effusioni, tempi rubati, significative fermate. Nonostante l’architettura classicamente tripartita in cui vengono inseriti, il gioco combinatorio e le rigorose variazioni dei motivi sono ancora barocchi e godono di un’importanza per lo meno pari a quella delle sezioni più rilevanti dal punto di vista della forma. In definitiva, il fine a cui punta la sostanziale unità motivica, da cui consegue la monotematicità, è ancora l’unità dell’affetto secondo i precetti dell’Affektenlehre (teoria degli affetti). E in questo scenario anche la rigogliosa varietà motivica ha l’esplicito obiettivo, proprio del compositore osservato, di descrivere l’affetto in ogni sua più piccola sfumatura, con quel gioco sofisticato di luci e di ombre in cui i contemporanei riconoscono l’originalità e il genio di Carl Philipp Emanuel Bach.

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