ANTONI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANTONI, Carlo

Michele Biscione

Nato a Senosecchia (Trieste) il 15 ag. 1896, era studente in Francia allo scoppio della guerra mondiale. Riparò in Italia, e a Firenze, dove riprese gli studi di lettere, fu tra gli interventisti (già a Trieste aveva partecipato a moti irredentistici) e nel maggio del '15 si arruolò volontario fra i granatieri. Prese parte come ufficiale, sotto falso nome, alle operazioni e venne colpito dai gas nel '16; alla fine della guerra fu decorato di medaglia di bronzo.

L'irredentismo dell'A. era di chiara ispirazione risorgirnentale. Inoltre, la passione politica era anche culto della storia, disposizione umanistica e liberale. Questo spiega l'interesse dell'A. adolescente per la figura del Croce, che si concreta in un interessante scambio di lettere. Anche Trieste però introdusse una nota peculiare nella formazione dell'A., con il carattere assai integrato e pluriforme della sua cultura, pur nel sigillo della nazionalità. Per questo l'A. si rivelerà più tardi immunizzato di fronte alle suggestioni di un nazionalismo incontinente e malato.

Conseguita la laurea in filosofia a Firenze nel 1519, e fatte le prime esperienze di insegnamento a Pola e a Napoli, l'A. pubblicò a Napoli nel 1924 Il problema estetico, una svelta e penetrante considerazione dei molti saggi crociani sull'arte, che Croce molto apprezzò. Anche a Gentile riformatore della scuola l'A. guardava con interesse in questo periodo. Ma egli avvertiva acutamente i limiti, soprattutto politici, del tentativo gentiliano: di qui il suo deciso estraniarsi di fronte alla voga dell'attualismo.

Dal 1924 al 1929 l'A. fu titolare di filosofia e storia nel liceo di Messina. Nel 1930 riprendeva l'attività giornalistica, nella quale aveva esordito a Pola, collaborando a Il Resto del Carlino e a La Stampa. Negli stessi anni egli si dedicava all'esame di alcuni aspetti dei pensiero e della storiografia tedeschi, dal Troeltsch al Dempf.

L'attività giornalistica e quella storiografica avevano alla base un orientamento, che si manifesta nettamente nel 1934 nella voce "nazionalsocialismo" della Enciclopedia Italiana: le nubi sul cielo dell'Europa erano guardate con sicurezza di storico, e con intensa preoccupazione era esaminata la parabola di quel movimento. Il giudizio sul nazionalsocialismo veniva già motivato con atteggiamenti di pensiero e orientamenti politici che in periodo posteriore andranno sotto il nome, in Italia, di "storicismo". Dal 1932, lasciato l'insegnamento medio, l'A. fu all'Istituto di studi germanici di Roma; nel 1937 conseguì la libera docenza in storia della filosofia. Dal 1936 pubblicava intanto alcuni saggi poi riuniti col titolo Dallo storicismo alla sociologia (Firenze 1940).

Lo storicismo tedesco, raffinata espressione di una cultura di epigoni, trovava nell'A. il suo primo illustratore. Egli collegava, col criterio di un trapasso o caduta, dallo storicismo, di ispirazione hegeliana, alla sociologia, la costellazione spirituale, fin qui incompatta, dei Dilthey, Troeltsch, Meinecke, Weber, scoprendo una prospettiva storiografica divenuta poi classica. Ma il segreto era nel fatto che cinquant'anni e più di pensiero tedesco erano presentati come la chiara se pur lontana premessa della crisi intorno al '40. La possibilità di opporre un suo pensiero al relativismo degli autori che studiava, dava all'A. quella sicurezza di giudizio che, come osservava O. Vossler, ha perfino stupito la cultura tedesca.

Il successivo volume, La lotta contro la ragione (Firenze 1942), non guardava più l'aspetto autunnale dello storicismo, ma i lontani, felici esordi.

Veniva esaminata in questo volume la nascita della ragione storica, strettamente intrinsecata con la nascita di una nuova sensibilità e di una nuova estetica, sullo sfondo della polemica antigiusnaturalistica, che l'idea della nazione ispirava, tra venature irrazionalistiche di origine romantica, efficacemente contenute e utilizzate. Sulla schiera dei Winckelmann, Bodmer, Herder, Hamann, Möser, si solleva, nel disegno dell'A., la figura di Kant, lacerata da innumerevoli contraddizioni, eppure depositaria sicura della sostanza del pensiero a venire.

Questi saggi furono salutati dal Croce e dall'Omodeo come vitalissime espressioni della cultura di opposizione. Frattanto la guerra andava verso il suo temuto e previsto epilogo. L'antifascismo dell'A. si fa militante ed attivo. Nella primavera del 42 l'A. - titolare di letteratura tedesca all'università di Padova - è l'uomo al quale si volgono rappresentanti monarchici per sondare gli orientamenti della cultura antifascista di fronte alla prospettiva di un colpo di stato, che appare inevitabile. Ai primi dell'anno seguente l'A. elaborava con de Ruggiero, Pancrazi e Salvatorelli il progetto di una rivista (che dopo la guerra si realizzò nella Nuova Europa). Dopo il 25 luglio, in apprensione per le sorti di Trieste, offrì la sua opera al governo Badoglio per avviare trattative con gli Slavi; verso la fine dell'agosto, informazioni ottenute dall'A. su un imminente colpo di mano dei Tedeschi su Roma permettevano le opportune contromanovre del governo. Dopo l'8 settembre l'A. partecipò alla organizzazione della resistenza.

In questa atmosfera Hegel, Croce, Marx e il marxismo divennero i temi di una meditazione intensissima dell'A. (cui molti stimoli offriva la situazione), come è testimoniato dalle Considerazioni su Hegel e Marx (Napoli 1946). Non era un'esigenza di riforma della dialettica hegeliana, come quella che da Spaventa in poi era stata caratteristica del pensiero italiano, a guidarlo, bensì il bisogno quasi opposto d'inserire Hegel in un ambiente e in una dimensione rigorosamente storici, tali da rendere conto delle peculiarità spesso aberranti del pensiero hegeliano.

Questo orientamento era conforme agli interessi culturali dell'A. e alla sua maniera di fare storia del pensiero. Ma determinante era anche l'esperienza storica dell'uomo, che vedeva le postille del pensiero di Hegel indifferentemente a presidio dell'una e dell'altra parte in contesa. Per indagare questo ambivalente Hegel l'A. poneva in grande evidenza la rivendicazione dei diritti della ragione fatta da Hegel contro il morbido irrazionalismo dei romantici. Ma mostrava altresì che il razionalismo di Hegel, avverso anche all'intellettualismo dei lumi, era processo organico, collettivo, necessario: la storia. Poiché però lo spirito che anima la storia trova, secondo Hegel, la sua incarnazione nello stato, Hegel teorizzava l'alienazione dell'individuo al leviatano, la subordinazione della coscienza morale alla ideologia politica. Esaminando più particolarmente la dialettica di Hegel, l'A. scopriva che la sua struttura non aveva a che fare con gli opposti autentici di carattere spirituale, come bello e brutto, bene e male, ma si presentava come un processo di determinazione graduale, stimolato dalla presenza ineliminabile del negativo nel seno stesso del positivo. Si trattava perciò del processo di una astratta ragione universale, che anche per questo aspetto non lasciava campo alla individualità. Quando Marx volle appropriarsi del pensiero di Hegel, avvertì la necessità di immettere nella dialettica irresistibile della storia - contraddittoriamente - l'antica rivendicazione della giustizia e della eguaglianza, cioè la teoria dei diritti naturali, con la quale diede una enorme carica vitale alla sua ideologia.

Queste idee ispirarono anche la polemica giornalistica, che l'A. riprese attivissima dal '44, e l'ultima fase della sua vita. Fece parte della Consulta (segretario della commissione Esteri), contemporaneamente fu presidente del Comitato giuliano di Roma, da lui promosso, e (1944-48) commissario all'Istituto per le relazioni culturali con l'estero. Nel 1946 fu chiamato a Roma alla cattedra di filosofia della storia; passò nel 1955 a quella di storia della filosofia moderna. Con Hayeck e con Roepke fu tra i fondatori della Mont-Pélérin Society, dal 1950 socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei e dell'Accademia Peloritana (lo era già dell'Arcadia). Nel 1953 divenne vice-presidente della Associazione per la Libertà della Cultura, di cui aveva redatto il Manifesto (1951); nel 1952 ebbe il premio Einaudi per la filosofia dall'Accademia dei Lincei; nel 1956 il premio del Mezzogiorno per il Commento a Croce. Nel 1954 fu nominato membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, nel 1957 socio corrispondente dell'Accademia Pontaniana. Apparvero in questo periodo: Commento a Croce, Venezia 1955; Lo Storicismo, Torino 1957; La restaurazione del diritto di natura, Venezia 1959.

La interpretazione del pensiero crociano nel Commento nasceva dalla stessa definizione del pensiero di Hegel che l'A. aveva data. Croce aveva ripreso l'antico motivo della dialettica degli opposti, ma aveva restaurato il principio di identità fornendo una teoria di valori immutabili e universali. La dialettica era stata da lui ridotta alla funzione di determinare la successione delle categorie nella vita spirituale e di garantirne l'equilibrio. Lo Storicismo è la descrizione della vicenda per cui una solidale cultura europea tra il Sette e l'Ottocento scoprì la ragione storica e costruì i destini nazionali. La storia di questa vicenda finisce col coincidere in gran parte con la storia dell'Europa liberale. La restaurazione del diritto di natura è la formula con la quale A. combatteva la tendenza del pensiero e della vita moderni a ignorare la persona umana. L'A. additava quale compito dell'etica il riconoscimento della "natura" umana e la tutela di essa. Quest'ultimo motivo ritorna, decantato di ogni contenuto filosofico, ma pur efficacissimo, attraverso il ricordo biografico, in certe pagine di Gratitudine (Napoli 1959, postumo), piene di alta poesia.

Sono comparsi postumi, dopo Gratitudine,il saggio L'Estetica di Hegel, in Giorn. crit. d. filosofia ital., XXXIX(1960), pp.2-22; Chiose all'estetica, Roma 1960; Per la libertà della cultura, Roma 1960.

L'A. morì a Roma il 3 agosto 1959.

Bibl.: Per una bibliografia dei numerosissimi scritti dell'A. cfr. La vita e le opere di C. A., a cura di F. Voltaggio, in Giorn. crit. d. filosofia ital., XXXIX (1960), pp. 39-58, esauriente anche per la letteratura sull'argomento; cfr. in particolare R. Franchini, C. A., in Atti dell'Accademia Pontaniana, n. s., VIII (1960), pp. 1-7; L. Salvatorelli, Il diritto naturale, in La Stampa, 4 sett. 1959; P. Piovani, L'ultimo libro di C. A., in Giorn. crit. d. filosofia ital., XXXIX(1960), pp. 23-38; M. Biscione, Antoni inedito, in Il Mondo, 13 ag. 1960.

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