BOTTA, Carlo

Enciclopedia Italiana (1930)

BOTTA, Carlo

Fausto NICOLINI

Storico, medico, cultore di musica, uomo politico, nato a San Giorgio del Canavese il 6 novembre 1766; laureato in medicina a Torino nel 1786; carcerato per ragioni politiche (maggio 1794-1795); medico dell'esercito d'Italia comandato dal Bonaparte (1796-97) e d'una spedizione francese a Corfù (1797-98); membro del governo provvisorio piemontese (dicembre 1798), indi, unito il Piemonte alla Francia (aprile 1799), della commissione centrale per il dipartimento dell'Eridano: esule a Grenoble e a Parigi, ove fu il primo firmatario della petizione al Consiglio dei Cinquecento (luglio 1799), chiedente per l'Italia un governo unitario; di nuovo medico militare e sposo (9 giugno 1800) di Antonietta Viervil (mortagli nel 1815); dopo Marengo, membro della Consulta piemontese, poi (con Carlo Bossi e Carlo Giulio) della commissione esecutiva (il "governo dei tre Carli"); deputato due volte (1802 e 1809) al Corpo legislativo francese; tornato a vita privata nel 1814; durante i Cento giorni, rettore dell'Accademia di Nancy, indi destituito e radiato anche dall'Accademia delle scienze di Parigi; rettore dell'Accademia di Rouen dal 1817 al 1822; riammesso all'Accademia delle Scienze e insignito della Legion d'onore (1833); morto a Parigi il 10 agosto 1837; sepolto a Santa Croce di Firenze (1875), ove gli fu elevato un monumento (1903).

Come uomo e come scrittore il B. fu sempre circonfuso da larga simpatia, e grandi furono gli entusiasmi ch'egli suscitò in due generazioni d'italiani, che amavano in lui il sincerissimo affetto per l'Italia, l'odio non meno sincero contro lo straniero e contro qualsiasi forma di tirannide così cesarea come giacobina, il calore nel narrare le sventure della patria (soprattutto quelle di cui era stato attore o spettatore), la vindice severità dei giudizî contro gli oppressori della penisola, le fulgide descrizioni (particolarmente di battaglie) e altri analoghi pregi di sentimento e di fantasia. Ma, poiché a questi non fu adeguata la vis logica ("diseredato d'ogni filosofia" lo definiva il Mazzini), egli, pur con le migliori intenzioni, fini con l'essere, nella letteratura, nella politica e nel campo stesso della storiografia, un utopista e un retrivo. Dei due contrastanti atteggiamenti letterarî suscitati in Italia dal risvegliato sentimento nazionale, quanto aborriva il più grandioso, il romanticismo, altrettanto prediligeva il più angusto e pedantesco, il purismo. In politica vagheggiò via via le cose più varie, più contraddittorie, più irrealizzabili (il giudizio è di Cesare Balbo): ora ad es., una repubblica con un senato e un tribunato annuali ed elettivi e due tribuni del popolo; ora, invece, un ritorno allo stato paterno del secolo XVIII, retto da un principe riformatore, non vincolato da alcuna costituzione, ma assistito soltanto da cinque "conservatori delle leggi" estratti a sorte fra dodici deputati eletti dal popolo con un'elezione di triplice grado. E, malgrado la grande affinatezza alla quale ai suoi tempi erano giunti in Italia gli studî storiografici, ciò che egli vagheggiò e attuò in siffatto campo fu un ritorno, nemmeno più alla storiografia illuministica del Settecento, ma addirittura a quella moralistico-umanistica dei meri letterati del Cinquecento. Niente filosofia, niente ricerche d'archivio (contro i cui "spillatori" scrisse una pagina satirica), niente competenza particolare nel tema e serio approfondimento di esso, niente critica: sì, invece, ammirazione sconfinata, e conseguente imitazione, per il moralista Tacito; ammirazione (e imitazione) appena minore per il Denina, che aveva adattati "i pensieri ai fatti, non i fatti ai pensieri l'illusione, secondo la tradizione dei retori e dei sofisti, di poter giudicare d'ogni cosa (anche della strategia napoleonica); preoccupazioni gravissime per la lingua e per il cosiddetto stile storico; e narrazione smagliante di fatti clamorosi, intramezzata da descrizioni, da concioni immaginarie e da continue lamentele a fondo moralistico-pessimistico. Nel che è l'ovvia ragione del fatto che, mentre i suoi libri avevano grande fortuna editoriale e trovavano consensi sentimentali presso migliaia e migliaia di "laici", i "cherci", cioè gli storici e gli scrittori politici contemporanei, di tutte le tendenze (Aiello, Balbo, Michele Baldacchini, Blanch, Cattaneo, De Marchi, Gioberti, Mazzini, Ornato, Pecchio, Tommaseo, Troya, ecc.) li giudicassero con severità così concorde da indurre Pietro Giordani a osservare scherzosamente che solo risultato delle fatiche del B. era stato di "scontentare tutto il mondo".

Dopo aver pubblicato in gioventù alcune memorie d'indole medica, il B. partecipò nel 1797 al concorso bandito dall'amministrazione generale della Lombardia sul tema "Quale de' governi liberi meglio convenga alla felicità d'Italia", col lavoro Proposizione ai Lombardi di una maniera di governo libero (Milano 1797; Italia 1840), ove, tra l'altro, propugna anche l'istituzione d'un "Magistrato sopra l'agraria", incaricato di distribuire le terre pubbliche alle famiglie dei lavoratori, in guisa da assicurare a ciascuna un reddito annuo di 300 lire. Tornato da Corfù, pubblicò una Storia naturale e medica dell'isola di Corfù (Milano 1798; ivi, 1823). Seguirono alcune Lettres critiques sur la nosographie de Pinel (1798) in difesa del sistema medico del Brown; una traduzione dal latino de La monacologia ossia descrizione metodica dei frati di Giovanni Fisiofilo, ossia del tedesco De Born (Eridania, anno IX, cioè 1801); un Précis historique de la monarchie de Savoie et du Piémont, composto a istanza del Jourdan (Parigi 1802): e scritterelli varî di musica e di medicina, che si possono leggere, con altri posteriori, negli Scritti minori raccolti dal Dionisotti (Biella 1860). Una discussione letteraria nella quale si affermò che la guerra d'indipendenza d'America poteva essere un buon soggetto per un poema epico, gli fu di stimolo, verso il 1806, per iniziare i quattordici libri della storia della Guerra d'indipendenza degli Stati Uniti d'America, lavorati su carte topografiche e manoscritti comunicatigli dal Lafayette, diarî e opuscoli americani, inglesi e francesi, colloquî con testimoni più o meno oculari, ecc., e il cui disegno generale è una sorta di allegoria, nella quale i rivoluzionarî d'America hanno quasi funzione di contrapposto e rimprovero a quelli di Francia, e il Washington a Napoleone. L'opera, pubblicata a Parigi nel 1809 e ristampata con correzioni a Milano nel 1819 (cfr. anche la ristampa di Firenze, 1856), fu tradotta in francese e in inglese, ed ebbe liete accoglienze, soprattutto dalla stampa americana: riserve, tuttavia, fece un'anonima recensione della North American Review di Boston, tradotta nell'Antologia del maggio 1822. Seguì in dodici libri un poema epico in versi sciolti di tipo omerico-virgiliano: Il Camillo o Veio conquistato, cominciato nel 1809, e dato alla luce intero a Parigi nel 1815 e, nuovamente, con note aggiunte sui riti e costumi degli Etruschi e dei Romani, a Torino, nel 1833. Nel 1821 scrisse in francese una memoria, tradotta in italiano da Giacinto Rivelli e inserita poi negli Scritti minori: Perché si possono fare nella lingua italiana i versi sciolti, cioè senza la rima. Circa quel tempo cominciò anche a preparare la Storia d'Italia dal 1786 al 1814, uscita a Parigi nel 1824, ristampata in breve giro d'anni quattordici volte, e tradotta anch'essa in francese. Migliore fra i suoi lavori, e quello in cui sono maggiormente accentuati i suoi pregi di letterato (cfr. ad es. la descrizione del passaggio del San Bernardo) e i suoi difetti di storico (motivi fondamentali dell'opera sono l'insofferenza verso "governi geometrici", l'odio contro Napoleone, la deplorazione delle tante brutture di cui si sarebbe macchiata la vita italiana nel trasformarsi ai principî dell'Ottocento, e simili), esso diede luogo non solo a moltissimi articoli critici, ma altresì a interi volumi polemici: p. es. alle Osservazioni critiche del Paradisi (1825), al quale il B. replicò l'anno seguente con una Risposta; a un Ragionamento critico, pubblicato anonimo da Ilario Peschieri (1825); a dodici Lettere di un italiano sopra la storia d'Italia, pubblicate, in due volumetti parimente anonimi (Italia 1826), da uno dei due Lucchesini (il Melzi è incerto tra Cesare e Girolamo); a uno studio ancora inedito di Luigi Blanch (riassunto dal Blanch medesimo nel Museo di scienze e lettere di Napoli, 1848, XIV, pp. 55-56), ecc. Sorvolando su una Histoire des peuples d'Italie depuis Constantin jusqu'a 1814, compilata in soli tre mesi per commissione (Parigi 1825) e tradotta subito in italiano dal Guerrazzi, e sui contributi forniti dal B. alla Biographie universelle del Michaud, mette conto piuttosto ricordare una polemica sul romanticismo, contro il quale egli scrisse due lettere nell'Antologia del 1826 e nel Giornale arcadico del 1828, qualificando i romantici "traditori della patria": donde irose risposte del Mazzini e del Tommaseo, e più irose repliche del B., che giunse ad affermare i Promessi sposi un tessuto di "scioccherie e falsità" e inferiori perfino alla Monaca di Monza del Rosini, ov'egli trovava, se non altro, qualcosa di "più generoso". Sua ultima e più fiacca opera storica fu la Storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini (Parigi 1832 e ristampe), combattuta, tra altri, con un volume di Considerazioni (1833), da Monaldo Leopardi, e in cui, p. es., la caduta dell'Impero romano viene considerata come effetto della corruttela degli animi soggiaciuti alla forza soldatesca; il Medioevo come un'età desolata"; il Rinascimento come inquinato da "cosmopoliti" o "filocosmi", che ridussero il patriottismo a "vanità nazionale d'una nazione verso un'altra"; il secolo decimottavo come quello in cui la bontà delle riforme fu rovinata dalla lotta contro la religione e dalla soverchia diffusione dei "lumi", e via. Poco prima di morire, tradusse il Viaggio intorno al globo del capitano Duhaut-Cilly (Torino 1841), al quale viaggio aveva preso parte suo figlio Paolo Emilio (v.). Delle sue lettere, oltre quelle pubblicate sparsamente (e per le quali cfr. D'Ancona e Bacci, Manuale, V, 125), furono fatte due raccolte: l'una curata da Paolo Pavesio (Faenza 1875), l'altra da Caterina Magini (Firenze 1900).

Bibl.: Fondamentali per la biografia: C. Dionisotti, Vita di C. B., Torino 1867, e C. B. a Corfù, Firenze 1877. Per l'indicazione di altri lavori biografici anteriori e posteriori e per cenni biografici riassuntivi, D'Ancona e Bacci, op. cit., V, 120-5; G. Mazzoni, Ottocento, Milano 1913, passim (cfr. indice dei nomi). Sul B. storiografo: P. Pavesio, C. B. e le sue opere storiche, Firenze 1874, e soprattutto B. Croce, Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, 2ª ediz., Bari 1921, I, 71-73 e passim (v. indice dei nomi).

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