MALVASIA, Carlo Cesare. - Nacque a Bologna nel 1616, dal conte Anton Galeazzo (1577-1669) e dalla moglie legittima Caterina Lucchini, "femmina di bassa condizione" (Fantuzzi, pp. 149 s.).
Le biografie, a partire da quella paradigmatica e contemporanea di Zani (1672), riconoscono al M. fanciullo ingegno versatile. Ebbe una prima formazione umanistica con A. Santi e C. Rinaldi, affinatasi sotto la guida del poeta e giurista C. Achillini - marinista militante, stimato a Roma e a Parigi - cui non è errato attribuire, insieme con il condizionamento del gusto e dello stile del M., un'influenza sulle future ambizioni letterarie dell'allievo, proiettate in ambito internazionale. La produzione lirica giovanile, perduta, gli dette fama e gli valse l'ingresso nell'Accademia letteraria dei Gelati, con il nome di Ascoso; dell'Accademia fu membro stabile e ne divenne poi più volte principe. A complemento di un'educazione gentilizia, il M. ebbe un apprendistato pittorico con i carracceschi G. Campana e G. Cavedone, dai quali imparò le tecniche a fresco e a olio.
Unica disciplina professionalizzante, di là dei molti raffinati dilettantismi, fu per il M. la giurisprudenza, in cui ebbe maestro, fra gli altri, Achillini; proprio ad Achillini spettò di presiedere la cerimonia con cui, il 29 dic. 1638, il M. si addottorò in utroque iure, e di pronunciare l'orazione d'encomio. All'inizio del 1639 il M. si trasferì a Roma, dove soggiornò, salvo un breve allontanamento, fino al 1646; dopo il definitivo rientro a Bologna tornò a Roma a cadenza annuale, nei mesi invernali. Alla permanenza romana, naturale coronamento di una buona educazione, fu spinto dall'esigenza di perfezionarsi e stringere contatti vantaggiosi, nonché da prospettive di carriera in campo legale. In città godette della protezione dei cardinali barberiniani G.F. Ginetti e B. Spada, ai quali fu "caro, e famigliare" (Zani, p. 132). Grazie ai suoi talenti e ai buoni uffici di mentori come il teologo B. Boselli Malvasia, che gli era legato da vincoli di parentela, ebbe pronto accesso all'Accademia degli Humoristi e a quella dei Fantastici, delle quali divenne principe.
Nel 1641 lasciò Roma per combattere da volontario nella guerra di Castro, che opponeva Urbano VIII al duca di Parma e Piacenza Odoardo Farnese; per un lasso di tempo non determinabile, militò ai comandi del cugino marchese Cornelio Malvasia, luogotenente generale della cavalleria pontificia. L'anno successivo si ammalò gravemente.
È da considerarsi un topos di illustre tradizione la notizia, riferita dai primi biografi, che proprio durante l'infermità avesse deciso di intraprendere gli studi teologici e la carriera ecclesiastica.
Nello stesso 1642, valutate le reali possibilità di carriera nell'ambiente romano, avanzò richiesta di una cattedra di diritto al Senato bolognese, senza esito. Una seconda istanza del gennaio 1647, fatta all'atto del rientro in Bologna come coadiutore in S. Pietro del cugino canonico Giovan Battista Malvasia, venne accolta dal Senato nel marzo seguente.
L'8 luglio 1653 il M. conseguì, a coronamento del percorso formativo intrapreso nei primi anni Quaranta, il dottorato in teologia; di seguito venne accolto, honoris causa, nel Collegio dei teologi bolognese. Nel novembre del 1662, a culmine e traguardo della carriera ecclesiastica, assunse il canonicato in S. Pietro in sostituzione del cugino Giovan Battista. Andava intanto costruendosi fama di connoisseur e collezionista di disegni.
Negli anni Sessanta, in aggiunta ai consueti spostamenti alla volta di Roma, compì una serie di viaggi propedeutici alla scrittura storiografica.
Nel 1665 conobbe a Roma P. Cureau de La Chambre, membro influente dell'Académie royale de peinture et de sculpture, biografo di G.L. Bernini. Nel 1666 fu a Pesaro, Camerino, Loreto e infine, tra il maggio e il giugno, a Firenze, dove, con le credenziali di Cospi, si presentò a Leopoldo de' Medici ed ebbe accesso alla sua collezione d'arte.
Nel 1667 visitò Modena, Reggio, Parma, Mantova e Milano. La composizione della Felsina pittrice, edita a Bologna nel 1678, va riferita globalmente ai decenni settimo e ottavo del secolo; non è possibile individuare un discrimine cronologico fra l'estinguersi della ricerca documentaria, l'organizzazione del materiale reperito e l'avvio della stesura del testo, operazioni che il M. compì simultaneamente, facendo largo uso di addizioni e correzioni in corso d'opera e, finanche, di stampa.
Nel 1681, afflitto da problemi di salute, il M. rinunciò spontaneamente al canonicato; mantenne però l'incarico universitario, cui affiancò una vivace produzione letteraria. Negli anni Ottanta si applicò principalmente agli studi antiquari; già dalla metà degli anni Settanta, sotto la guida dell'amico e marchand-amateur G. Magnavacca, aveva avviato un'attività collezionistica di rilievo, reinvestendo in antichità gli utili derivati dalla vendita della raccolta di disegni.
Porta la data 1683 la prima delle opere epigrafiche, l'Aelia Laelia Crispis non nata resurgens in expositione legali, pubblicata a Bologna, nella quale il M. proponeva lo scioglimento dell'enigma contenuto in una celebre epigrafe funeraria, un falso di epoca incerta, pervenuto su lapide cinquecentesca appartenuta al senatore A. Volta (Bologna, Museo civico medievale).
Nel 1686 pubblicò (a Bologna), sotto l'antico pseudonimo accademico, Le pitture di Bologna, una guida aggiornata al patrimonio artistico cittadino.
Negli anni successivi al pensionamento continuò a dedicarsi tenacemente alla ricerca e alla divulgazione. Nel 1690, con il supporto economico del carmelitano G. Roberti, licenziò lo studio Marmora Felsinea, incentrato su epigrafi di provenienza bolognese, perlopiù esemplari della propria collezione.
Nel 1691, ancora dietro pseudonimo, dette alle stampe (sempre a Bologna) il Pantheon in Pindo, raccolta di poemi giovanili celebrativi dei santi dell'anno, composti presumibilmente durante il soggiorno romano del 1639-46; il libretto era dedicato a D. Papebroch e ai padri bollandisti di Anversa, con i quali il M. era entrato in contatto per tramite di Magliabechi e cui aveva offerto ragguagli su cinque santi bolognesi.
Nel testamento il M. lasciava il gioiello largitogli da Luigi XIV ("la cosa più preziosa che io abbia in questo mondo": Crespi, p. XIII), all'Arciconfraternita di S. Maria della Vita, con l'obbligo di esporlo ogni anno il decimo giorno di settembre e nelle ricorrenze solenni.
Il M. morì a Bologna il 10 marzo 1693; le sue spoglie furono tumulate nell'arca di famiglia della chiesa agostiniana di S. Giacomo Maggiore.
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