CIPOLLA, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani (2013)

Dizionario Biografico degli Italiani carlo m cipolla.jpg

CIPOLLA, Carlo

Giovanni Vigo

CIPOLLA, Carlo (Carlo M.)

Nacque a Pavia il 15 agosto 1922 da Manlio e da Bianca Bernardi. Fu lui stesso ad aggiungere al suo prenome la M. (sciolta abitualmente come «Maria»), per distinguersi da studiosi omonimi.

Verso la storia economica

Completò il suo curriculum di studi a Pavia, frequentando prima il liceo scientifico e poi la facoltà di scienze politiche, alla quale si iscrisse nel 1940. Conseguì la laurea il 16 giugno 1944 con la lode e 'con voto di pubblicazione'. Negli anni successivi trascorse un periodo di perfezionamento presso l’École des hautes études di Parigi e la London school of economics.

Ad avviarlo agli studi storici fu Franco Borlandi, che, quando era ancora studente, gli suggerì di dedicarsi a una ricerca sulla popolazione pavese tra il Medioevo e l’Ottocento esplorando tutti gli archivi cittadini. Fu un’esperienza fondamentale. Sulle carte pavesi imparò a leggere i documenti cogliendo i molteplici significati e le inattese informazioni che si nascondono sotto la loro superficie, a raccogliere con cura ogni notizia, a vagliarla attentamente prima di utilizzarla: un insegnamento che trasmise ai suoi allievi ricordando che non «si impara ad essere veri storici rimasticando ciò che altri studiosi hanno già ruminato» » (Fortuna plus homini quam consilium valet, in Le tre rivoluzioni e altri saggi di storia economica e sociale, Bologna 1989, p. 200) ma frequentando assiduamente le carte del passato (amava ripetere «Faber fit in fabricando»).

Mentre raccoglieva i dati che sarebbero confluiti nel Profilo di storia demografica della città di Pavia pubblicato sul Bollettino storico pavese (VI [1943], pp. 5-87) quando aveva appena 21 anni, ebbe modo di vedere un fascicoletto sbiadito dai secoli che una mano anonima aveva intitolato «Estratto dal libro del mensuale della città di Pavia». Compilato nel 1544, offriva informazioni significative per la storia demografica, e molto di più: accanto ai nomi dei contribuenti figuravano le professioni e la base imponibile. Questo documento fino ad allora trascurato, che permetteva di delineare un quadro preciso dell’economia urbana come si presentava alla metà del XVI secolo, costituì il nucleo essenziale di Condizioni economiche e gruppi sociali in Pavia secondo un estimo cinquecentesco, in Rivista internazionale di scienze sociali (LI [1943], pp. 264-287).

Nei quattro anni successivi scrisse un breve saggio sulla storia del lavoro, che gli offrì l’occasione per delineare i caratteri essenziali dell’economia italiana tra Medioevo e Rinascimento; pubblicò un saggio altrettanto stringato sul valore di alcune biblioteche pavesi nel XIV secolo; si occupò della finanza pubblica di due piccole comunità rurali. Gli anni di questo 'apprendistato' si conclusero con uno scritto su un’impresa mineraria del Quattrocento, un altro sulla popolazione delle campagne pavesi nel XII secolo e con un saggio più impegnativo sul declino della proprietà ecclesiastica: Une crise ignorée. Comment s’est perdue la propriété ecclésiastique dans l’Italie du Nord entre le XI et le XVI siècle (in Annales ESC, II [1947], pp. 317-327). Tutti questi lavori hanno un tratto comune mai venuto meno: la brevità, riflesso di una straordinaria capacità di cogliere il nucleo essenziale dei temi affrontati, sfrondando il testo di ogni parola superflua.

L’entusiasmo con il quale Cipolla si immergeva nelle carte d’archivio non gli impedì di rendersi conto che lo storico non può fare a meno di teorie e modelli. Per lo storico economico tornava utile, in primo luogo, una salda conoscenza della teoria economica. Nel 1949 le Annales ospitarono un breve articolo intitolato Encore Mahomet et Charlemagne: l’économie politique au secours de l’histoire (IV [1949], pp. 4-9), dove l’accento era posto sulla seconda parte del titolo, cioè sulla necessità, sottolineata in una lusinghiera introduzione di Lucien Febvre, di creare un solido ponte fra storici ed economisti: un auspicio sul quale Cipolla tornò due anni più tardi quando, in un articolo garbatamente polemico nei confronti degli economisti «incantati dalla matematica e dalla geometria», si augurava che le due caravelle – quella dello storico e quella dell’economista – tornassero «a riaccostare la loro rotta» (Teoria economica e storia economica, in Moneta e credito, 1951, n. 16, pp. 497-499).

Un terreno ostico: la storia della moneta

La sensibilità nei confronti della teoria economica fu certamente accresciuta dal fatto che dal 1948 Cipolla aveva concentrato l’attenzione su un nuovo e più ostico tema, la storia della moneta. A suscitare la sua curiosità fu la scoperta casuale, fra altri documenti, di un foglio pieno di numeri che riportava le medie annuali dei cambi fra il ducato d’oro e la lira milanese dalla fine del Trecento all’inizio del Cinquecento. Quel documento, come scoprì più tardi, era già stato pubblicato ma non adeguatamente studiato. Scavando sotto la superficie dei cambi si scopriva la relazione fra moneta e ciclo economico, venivano in luce le conseguenze dell’erosione della moneta piccola su salari e profitti, si chiarivano le cause della svalutazione nel Medioevo. Gli Studi di storia della moneta (Pavia 1948) inaugurarono uno dei capitoli più significativi della sua attività scientifica.

Nel 1952, con Mouvements monétaires dans l’Etat de Milan, inaugurò una nuova collana dell’École des hautes études di Parigi, dedicata alla storia dei prezzi, dei salari e della congiuntura economica. La prefazione scritta da Fernand Braudel rappresentò la sua definitiva consacrazione come studioso di storia della moneta. In appena 92 pagine chiarì il funzionamento dei sistemi monetari dell’età pre-industriale, gli intricati rapporti fra moneta piccola e moneta grossa, i vantaggi che da questo meccanismo ricavavano mercanti e governi. E chiarì anche un’altra questione sulla quale si stendeva ancora un fitto velo di pregiudizi: i periodi di erosione della moneta non erano necessariamente fasi di declino economico e responsabili della svalutazione non erano sempre le spese militari, come si tendeva semplicisticamente ad affermare. In un rigoroso articolo dedicato a questo problema, Currency depreciation in Medieval Europe (The economic history review, XV [1962-63], pp. 413-422), dimostrò la centralità della crescente domanda di mezzi di pagamento nella svalutazione della moneta per sostenere l’espansione dell’economia. In assenza di una moneta fiduciaria e di fronte a un’offerta di metalli preziosi scarsamente elastica, due sole erano le possibilità: la moltiplicazione dei pezzi in circolazione diminuendo il loro contenuto metallico, o la deflazione con tutte le conseguenze negative che avrebbe trascinato con sé. Queste conclusioni lo indussero a rivedere l’interpretazione, ancora in auge, della 'rivoluzione dei prezzi' che si rivelava una modesta svalutazione e non un evento epocale come veniva solitamente presentato (La prétendue révolution des prix: réflections sur l’expérience italienne, in Annales ESC, X [1955], pp. 513 s.).

Questi e altri studi pubblicati in quegli anni costituirono il filo conduttore di un fortunato libretto, Le avventure della lira (Milano 1950; Bologna 1975), nel quale tracciò un limpido profilo della moneta italiana da Carlo Magno agli anni del miracolo economico. La riforma carolingia lasciò la sua impronta in tutta l’Europa occidentale ma, a differenza di quel che si riteneva, non si sviluppò nell’isolamento al quale la vigorosa espansione del mondo islamico aveva costretto l’Europa. Un secolo prima di Carlo Magno in quel mondo era stata realizzata una riforma monetaria altrettanto significativa. La relazione tra i due fatti fu oggetto di un articolo che anticipava già nel titolo le conclusioni: Sans Mahomet Charlemagne est inconcevable (Annales ESC, XVI [1962], pp. 130-136), nel quale prendeva le distanze dalla tesi di Henri Pirenne osservando che la riforma carolingia non fu determinata dall’isolamento dell’Europa ma fu anzi conseguenza delle modificazioni nei rapporti tra l’oro e l’argento intervenute nel mondo islamico e che tali modificazioni ebbero contraccolpi perché le due zone non furono mai completamente isolate l’una dall’altra.

Avrebbe ripreso il tema della storia della moneta  negli ultimi anni della sua lunga attività di studioso, ma è con il saggio su Maometto e Carlo Magno che si può considerare conclusa la prima fase di queste ricerche.

Uno sguardo al mondo

Un dibattito particolarmente vivace negli anni Cinquanta, ma che si trascinava da tempo, era quello sulla crisi del Seicento. Le interpretazioni accreditate la facevano risalire alle nuove vie di traffico dischiuse dalle scoperte geografiche, ai mutati ideali economici degli italiani, che volgevano la loro attenzione alla proprietà fondiaria piuttosto che ai commerci e alle manifatture, e alla dominazione spagnola, colpevole, secondo gli storici formati nel culto della nazione, dei più orrendi misfatti. In uno scritto pubblicato nel 1952, The decline of Italy: the case of a full matured economy (The economic history review, V [1952-53], pp. 178-187), Cipolla offrì una nuova e più convincente spiegazione: a indebolire l’economia della penisola furono il declino della produttività, i salari troppo elevati, l’eccessivo costo dei trasporti e, più in generale, lo spirito conservatore che caratterizza le economie mature. Si trattava di un riconoscimento molto precoce degli svantaggi ai quali vanno incontro i first comers quando devono misurarsi con economie più giovani e più dinamiche.

Un altro tema che suscitò sempre l’interesse di Cipolla fu la popolazione. All’inizio degli anni Sessanta il problema demografico diventò, ai suoi occhi, una tessera fondamentale di un mosaico globale. Nel saggio Le fonti d’energia nella storia dell’umanità (Economia internazionale delle fonti d’energia, V [1961], pp. 773-787) espose l’idea centrale di quello che sarebbe diventato uno dei suoi libri di maggior successo: «La vita, le attività dell’uomo dipendono dalle fonti di energia di cui egli dispone. Senza energia non vi può essere né vita né attività creatrice. Naturalmente l’energia non è il solo fattore in gioco: l’acqua, alcune materie prime, la fertilità del suolo, le possibilità di comunicazione, un clima sopportabile – di più: un ambiente sociale e culturale dinamico e favorevole – sono altri elementi tutti essenziali. Ma le disponibilità di energia rappresentano la base necessaria per l’organizzazione della materia. Premesso questo vorrei dimostrare ... che l’utilizzazione delle diverse forme di energia costituisce, in realtà, il filo conduttore di una storia materiale dell’Umanità».

La tesi fu sviluppata con maggior ricchezza di argomenti in The economic history of world population (Harmondsworth 1962, tradotto in 13 lingue, in italiano con il titolo Uomini, tecniche, economie, Milano 1966, più volte ristampato). Questa storia si presta a più di una lettura: la prima, di stampo esclusivamente malthusiano, tradirebbe le intenzioni dell’autore; la seconda, che si potrebbe definire schumpeteriana, sarebbe più aderente alla sua visione del processo storico; la terza, più sottile e complessa, corroborata dal passo appena citato, considera non soltanto i successi della tecnologia nella scoperta e nell’utilizzo di nuove fonti d’energia, ma anche l’ambiente socio-culturale nel quale gli uomini vivono e, in particolare, il ruolo dell’istruzione.

Con la storia economica della popolazione mondiale Cipolla allargava lo sguardo al di là dell’Europa. Ad attirare il suo interesse furono allora le circostanze che avevano consentito a questa 'appendice' del continente euro-asiatico di dominare per lungo tempo il mondo. In Guns and sails in the early phase of European expansion (Londra 1965; trad. it.Vele e cannoni, Bologna 1983) giunse alla conclusione che il primato dell’Occidente riposava sull’efficienza delle sue armi e delle sue navi. Una storia che si collegava allo sfruttamento più efficace delle fonti di energia che entrambe le civiltà avevano a disposizione: quella termica nel caso dei cannoni, quella eolica nel caso delle navi.

Il confronto fra Europa e Cina era quanto mai affascinante. Il Celeste Impero, orgogliosamente convinto della sua inattaccabile superiorità, si trovò inaspettatamente alla mercé delle potenze europee. Il tema del divario tecnologico fra Europa e Asia tornò poco dopo in Clocks and culture, 1300-1700 (Londra 1967; trad. it. Le macchine del tempo, Bologna 1981). Queste ricerche portarono nuovi e decisivi argomenti alla tesi sostenuta qualche anno prima da Joseph Needham, secondo il quale in Europa, a differenza di quanto capitava in Cina, operarono fattori che favorirono l’incontro tra il sapere pratico e le formulazioni matematiche ed ebbero rilievo i movimenti sociali che resero rispettabile in Europa l’associazione tra il tecnico e il gentiluomo.

La conoscenza, come il sapere pratico, non cadono dal cielo. Nel corso del tempo le facoltà basilari come leggere e scrivere sono state trasmesse attraverso i canali più disparati. All’acquisizione dell’alfabeto e alle sue relazioni con lo sviluppo dell’economia Cipolla dedicò Literacy and development in the West (Harmondsworth 1969; trad. it. Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale, Bologna 2002), che traeva lo spunto da una nuova branca della teoria economica – la economics of education – e che fu uno dei primi tentativi compiuti da uno storico di rintracciare l’esile filo che collega l’istruzione allo sviluppo per concludere che occorre andare oltre: nel «futuro la vita di questo pianeta dipenderà sempre più dalla capacità dell’uomo di seguire virtute oltre che conoscenza» (Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale, Bologna 2002, p. 120). Poche righe che si possono leggere anche come una risposta al quesito posto alla fine di Uomini, tecniche, economie, nel quale si chiedeva, riferendosi alla popolazione, se occorre privilegiare la quantità o la qualità.

Storia economica e storia sociale

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta l’interesse di Cipolla si orientò sempre di più verso le condizioni della società nell’era pre-industriale a partire dalle pestilenze che tormentarono l'Europa fino all’inizio del Settecento. Dopo la Peste Nera, che fra il 1347 e il 1351 falcidiò circa un terzo della popolazione, le città più progredite – e fra queste figuravano in primo luogo quelle dell’Italia centro-settentionale – adottarono una serie di misure lungimiranti come gli uffici di sanità per prevenire le epidemie, i lazzaretti per circoscrivere il morbo una volta scoppiato, la quarantena per le navi che provenivano da luoghi sospetti, stipendi a medici e ad altro personale per assistere gli ammalati. Le precedenti storie della peste non tralasciavano certo questi aspetti, ma a Cipolla va il merito di aver approfondito più di altri i meccanismi messi in atto per combattere, spesso con successo, le epidemie, le loro conseguenze economiche, i costi per fronteggiarle, le perdite dovute all’interruzione dei traffici, il crollo della produzione e la distruzione di capitale fisico e umano che comportavano.

Illustrando le ragioni che gli consentirono di studiare a fondo questi aspetti, Cipolla metteva in guardia gli storici contro le trappole derivanti dall'insufficiente attenzione alla natura delle fonti. Delle migliaia di carte rinvenute negli archivi di Firenze scrive: «questa documentazione ebbe un destino singolare. Gli storici dell’economia e della società non vi furono attratti per via di quel nome Sanità che faceva presumere collezioni di documenti pertinenti alla storia della medicina. Gli storici della medicina d’altra parte quando si avventurarono tra le carte della Sanità vi trovarono una documentazione di tipo burocratico-amministrativo che rifletteva e illuminava condizioni igienico-sanitarie ed economico-sociali, ma che avevano ben poco a che vedere con la storia interna della medicina come tale disciplina è stata per lo più concepita fino a qualche decennio fa. Ragion per cui tutta quella eccezionale massa documentaria restò praticamente trascurata» (In ricordo di Carlo Cipolla, Bologna 2001, p. 43).

Cipolla evitò queste 'trappole' grazie all’ispirazione interdisciplinare che contraddistinse sempre i suoi studi. In sette libri pubblicati fra il 1973 e il 1996 (e in una serie ancora più fitta di articoli usciti negli stessi anni) emergono tutti gli aspetti, dai più commoventi ai più drammatici, delle pestilenze. Il primo fu Cristofano and the plague. A study in the history of public health in the age of Galileo (Londra-Berkeley-Los Angeles 1973; trad. it. Cristofano e la peste, Bologna 1976). Sullo sfondo dell’efficace organizzazione messa in opera dalla Comunità pratese svettava la figura di Cristofano Ceffini, il medico della peste che non si risparmiò in alcun modo pur di curare gli infetti. Una figura esemplare che tuttavia non era una rarità, perché la si incontrava in molte città colpite dalle epidemie. Poi fu la volta di Public health and the medical profession in the Renaissance (Cambridge 1976), di Chi ruppe i rastelli a Montelupo? (Bologna 1977), nel quale si mescolano peste, religione, superstizioni e drammi che ebbero come teatro la piccola borgata toscana fra il 1630 e il 1632, de I pidocchi e il Granduca (Bologna 1979), dove il protagonista non è, per una volta, la peste bensì il tifo che colpì la capitale del Granducato già preda della crisi iniziata nel 1617 e che si protrasse fino al 1623.

Le conferenze tenute da Cipolla all’Università di Madison, nel 1978, furono anch’esse incentrate sul tema della sanità e confluirono in un libro che ricostruiva la solerte azione delle pubbliche autorità per far fronte alle pestilenze (Fighting the plague in seventeenth century Italy, Madison 1981; trad. it. Il pestifero e contagioso morbo. Combattere la peste nell’Italia del Seicento, Bologna 2012). Miasmi e umori. Ecologia e condizioni sanitarie in Toscana nel Seicento (Bologna 1989) si addentrò in un problema fino ad allora rimasto sullo sfondo: le precarie condizioni ambientali delle comunità piccole e grandi e la loro influenza, vera o presunta, sulla nascita e la diffusione delle malattie. Infine, con Il burocrate e il marinaio. La “Sanità” toscana e le tribolazioni degli inglesi a Livorno nel XVII secolo (Bologna 1992) aprì una finestra sulle difficoltà dei mercanti non appena sorgeva il sospetto di peste nei porti dai quali provenivano, e sulle estenuanti trattative per evitare lunghe quarantene utili alla salute ma dannose per i commerci.

I titoli stessi di questi libri mostrano l’ampiezza dello sguardo di Cipolla. Se il punto di partenza era sempre nelle condizioni sanitarie, il percorso era invece molto più ramificato: nelle sue pagine trovano spazio le strutture amministrative, le classi dirigenti, le conoscenze mediche, le credenze religiose, le superstizioni, i medici della peste, e ancor più gli uomini in carne e ossa che popolavano le comunità aggredite dalle epidemie.

Un ritorno al passato: moneta ed economia

La storia della moneta tornò al centro delle ricerche di Cipolla a Firenze, quando ebbe la possibilità di frequentare assiduamente l’Archivio di Stato. Nel 1982 pubblicò Il fiorino e il quattrino. La politica monetaria a Firenze nel 1300 (Bologna 1982; ristampato con cambiamenti significativi in Il governo della moneta a Firenze e a Milano nel secoli XIV-XVI, Bologna 1990). Rispetto agli studi degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta non ci fu soltanto una migrazione dalla Lombardia alla Toscana; ci fu soprattutto un’analisi più approfondita e più sottile dei legami fra moneta, economia, politica, interessi dei mercanti, necessità dell’erario che, messi insieme, spiegavano la svalutazione, la rivalutazione, la stabilità di una moneta.

Il desiderio di afferrare meglio questa intricata realtà indusse Cipolla a inoltrarsi su un terreno particolarmente insidioso e poco esplorato, La moneta a Firenze nel Cinquecento (Bologna 1987). Dopo aver accuratamente analizzato il funzionamento del sistema monetario nel Granducato, si concentrò sugli effetti della contraddittoria politica monetaria di Francesco de’ Medici: nel 1575 le caotiche misure adottate dal granduca sfociarono in una grave deflazione che, secondo l’ambasciatore veneto a Firenze, aveva «ridotto la città a gran miseria» ( p. 124); il granduca cercò di porre rimedio alla scarsità di moneta e, nel contempo, di rivitalizzare l’economia attirando mercanti stranieri che portavano in città le loro monete, tanto che alla fine del decennio a Firenze se ne contavano ben 62 provenienti dallo Stato di Milano, dalla Repubblica veneta, da Genova, dal Regno di Napoli e dagli altri Stati della penisola. Tuttavia queste misure non contribuirono in alcun modo a rianimare l’economia e Cipolla poteva concludere che anche le più disinvolte manovre monetarie non furono in grado di colmare le deficienze strutturali dell’economia fiorentina, che continuò il suo inesorabile declino. Una lezione sempre attuale.

La ricchezza degli archivi fiorentini riportò alla memoria di Cipolla un vecchio problema che non aveva ancora risolto. Come si legge in La moneta a Milano nel  ’400 (Roma 1988), nella prima metà del XV secolo la moneta toscana aveva subito una modesta svalutazione, che si aggirava intorno al 10%, mentre quella milanese aveva subito un’erosione del 70%. La spiegazione era abbastanza semplice: Gian Galeazzo Visconti, Filippo Maria Visconti e, nei primi anni del suo governo, Francesco Sforza, avevano fatto fronte ai bisogni dell’erario moltiplicando la coniazione di moneta. Poi la politica monetaria del Ducato milanese subì una brusca inversione. Le ragioni furono più d’una ma fra esse spiccarono il ruolo dei consiglieri fiorentini di cui si circondò lo Sforza e ancor più i cospicui prestiti concessi al duca dal banco dei Medici, che non si sarebbe sentito rassicurato da una moneta in continua discesa.

Il lungo cammino della storia monetaria si concluse nel 1996 con Conquistadores, pirati e mercatanti. La saga dell’argento spagnuolo (Bologna 1996). L’argomento non era più quello delle monete e delle politiche monetarie durante l’ancien régime, bensì il tortuoso percorso dell’argento che dalle miniere americane approdava in Spagna e da lì si diffondeva, spesso al seguito delle armate, in Europa, per prendere la via della Cina dove il metallo bianco, più apprezzato dell’oro, era indispensabile per acquistare i prodotti di quel paese. Cipolla illustra in maniera esemplare lo stretto legame fra circuiti monetari e circuiti commerciali che univano in una sola trama l’immenso spazio che andava dall’America latina al Celeste Impero, tratteggiando, nello stesso tempo, un nitido affresco della globalizzazione ai suoi albori.

Tra due culture

La storia economica dell’Europa pre-industriale (Bologna 1974, con riedizioni arricchite) riassume non solo la sua impareggiabile conoscenza della storia europea dagli albori dello scorso millennio fino alla rivoluzione industriale, ma riprende insistentemente, soprattutto nella prima parte, uno dei temi a lui più cari: la necessità di padroneggiare i fondamenti della teoria economica per ricostruire e comprendere la storia dell’economia, senza tuttavia restare prigionieri dei suoi modelli, e meno che mai dei modelli costruiti con astruse formule matematiche. A questo manuale, che Jean-François Bergier ha definito «il Samuelson della storia economica preindustriale» (Carlo Cipolla, storico dell’economia, in C.M. Cipolla, Le tre rivoluzioni, cit., p. 18), si deve accostare Tra due culture. Introduzione alla storia economica (Bologna 1988; rist. con il titolo Introduzione alla storia economica, 2003): un libro esemplare, rivolto soprattutto ai giovani studiosi, che passa in rassegna la natura della disciplina, i metodi e le fonti della storia economica senza dimenticare un fermo richiamo all’utilità della storia. Nell’introduzione Cipolla lo fa ricordando l’invito di Johan Huizinga a considerare la storia non soltanto come un ramo del sapere ma anche come «una forma intellettuale per comprendere il mondo» (ed. 2003, p. 26).

Cipolla aveva uno spiccato senso dell’umorismo che sapeva trasmettere agli amici con una battuta misurata, una citazione spiritosa, il racconto di un episodio esilarante. Questa peculiarità si incontra non di rado nella sua prosa, ma ebbe l’esito più felice in un libretto dalla storia curiosa: due manoscritti semiseri sull’economia medievale e sulle leggi fondamentali della stupidità umana restarono a lungo nel suo cassetto finché Il Mulino, la casa editrice di quasi tutti i suoi libri, decise di stamparli nella loro lingua originale – l’inglese – come omaggio all’autore e come bella sorpresa a una ristretta cerchia di amici. Il primo, Pepper, wine (and wool) as a dynamic factors of the social and economic development of the middle ages, fu pubblicato nel 1973; il secondo, The basic laws of human stupidity, vide la luce nel 1976. I due libretti, diffusi in poche centinaia di copie, furono sempre più ricercati e cominciarono a circolare in fotocopia. Nel 1988 furono pubblicati insieme in italiano, in un volumetto dal titolo, molto attraente, di Allegro ma non troppo, che ebbe un successo strepitoso.

La carriera accademica

Cipolla riversò il frutto delle sue molteplici ricerche in una lunga attività didattica svolta sulle due sponde dell’Atlantico. Iniziò la carriera accademica nel 1944, prima come assistente incaricato e poi come assistente ordinario presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Pavia. Fu nominato professore straordinario di Storia delle esplorazioni geografiche presso la facoltà di economia e commercio dell’Università di Catania il 1° dicembre 1949. In seguito si trasferì all’Istituto Universitario di Venezia, dove fra il 1953 e il 1961 insegnò storia economica nella facoltà di economia e commercio e di lingue e letterature straniere. Dal 1961 tenne la cattedra della stessa disciplina nella facoltà di economia e commercio dell’Università di Torino, che lasciò nel 1965 per trasferirsi nella neonata facoltà di economia e commercio dell’Università di Pavia della quale fu il primo preside. Nel 1978 lasciò l’ateneo pavese e nel 1983 fu chiamato a coprire la cattedra di storia economica nella Scuola normale superiore di Pisa, che ricoprì fino al 1991. Dal 1959 al 1991 insegnò storia economica nell’Università di California a Berkeley in qualità di full professor e tenne lo stesso insegnamento nell’Istituto universitario europeo di Firenze dal 1978 al 1982.

Fu visiting professor presso numerose università in Belgio, Canada, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Svezia. Tenne le Taft Lectures nell’Università di Cincinnati nel 1953, le MacArthur Lectures all’Università di Cambridge nel 1975 e le M. Curti Lectures nell’Università di Wisconsin a Madison nel 1978.

Nel 1971 fu insignito della medaglia d’oro attribuita dal ministero della Pubblica istruzione ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. Nel 1995 ricevette il premio Balzan per la storia economica.

Fu membro di prestigiose accademie italiane e straniere, fra le quali l’Accademia delle scienze di Torino (dal 1963), la Royal historical society of Great Britain (dal 1978), dell’Accademia dei Lincei (dal 1987); membro onorario della Economic history society of Great Britain (dal 1972) e dell’American academy of arts and Sciences di Boston (dal1978); Foreign member dell’American philosophical society di Filadelfia (dal 1981).

Collaborò a La Stampa, La Nazione, Sole-24Ore e Corriere della Sera. Una scelta di articoli apparsi sui quotidiani milanesi è stata pubblicata con il titolo Piccole cronache (Bologna 2011). Per il Sole-24Ore curò una serie di articoli sulla storia dell’economia italiana affidati a più autori, poi raccolti in Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi (Milano 1995).

Morì a Pavia il 5 settembre 2000.

Fonti e bibliografia

J.-F. Bergier, C. C., historien de l'économie, in Il Politico, 1989, n. 1, pp. 159-164; U. Bertone, Gli stupidi tra noi, in La Stampa, 7 settembre 2000; L. Villari, I pidocchi degli stupidi, in la Repubblica, 7 settembre 2000; A. Lepre, Grande storico, avvicinò la gente all’economia, in Il Mattino, 7 settembre 2000; G. Toniolo, Viaggiatore nei segreti delle monete, in Il Sole-24Ore, 7 settembre 2000; G.B. Guerri, Addio a C., storico dell’economia semplice, in Il Giornale, 7 settembre 2000; F. Cardini, C., economista ma non troppo, in Avvenire, 7 settembre 2000; P.M. Trivelli, C.M. C., con lui l’economia diventò un best-seller, in Il Messaggero, 7 settembre 2000; G. Galasso, C., il volto umano dell’economia, in Corriere della Sera, 7 settembre 2000; S. Ricossa, C. e Foa, i due grandi umoristi dell’economia, in Il Giornale, 24 settembre 2000; G. Ponton, “Allegro molto sostenuto”, in El Pais, 28 settembre 2000; D. Sella, C.M. C., in The Journal of European Economic History, 2001, n. 1, pp. 205-208; R.W. Roehl, C.M. C., in Proceedings of the American Philosophical Society, vol. 152, giugno 2008; G. Vigo, C.M. C.: un viaggiatore nella storia, in Rivista storica italiana, CXIII (2001), pp. 151-78 (con la bibliografia di Cipolla).

CATEGORIE
TAG

Accademia delle scienze di torino

Scuola normale superiore di pisa

Istituto universitario europeo

London school of economics

Esplorazioni geografiche