DE FORNARI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DE FORNARI, Carlo

Giovanni Nuti

Nacque a Genova da Ludovico nella seconda metà del sec. XV; apparteneva ad una delle famiglie più potenti del "popolo", il raggruppamento sorto in opposizione ai "nobili" per il controllo politico della città.

Il padre, ricordato come mercante ghibellino, fu membro dell'ufficio di Chio nel 1445, revisore dell'Arsenale nello stesso anno, elettore dell'ufficio di S. Giorgio nel 1452, membro dell'officium Monete nel 1453 e dell'ufficio di Chio nel 1455, oltreché anziano della Repubblica nel 1452 e nel 1455.

Il D. dovette occuparsi di traffici marittimi, dato che nel 1501 armò, insieme con altri mercanti genovesi, una delle otto navi grosse volute dal re di Francia Luigi XII per la guerra contro Napoli.

Probabilmente partecipò di persona alla spedizione: la flotta, formata anche da dieci navi francesi, fu comandata da Filippo di Clèves, governatore di Genova. Il tentativo di sorprendere Napoli fallì; nonostante gli sforzi compiuti dai capitani genovesi per tenere lontana l'armata dalle acque turche, nel timore di rappresaglie contro Chio, il Clèves diresse le navi verso il Levante, dove, unitosi ad una flotta veneziana, decise di assalire Metelino. Tuttavia, emersero ben presto divisioni ed ostilità tra Veneziani, Genovesi e Francesi, i quali ultimi non vedevano di buon occhio neppure il Clèves, borgognone. L'assedio finì con l'essere tolto, né maggior successo ebbe il viaggio di ritorno, dato che la nave ammiraglia naufragò.

L'anno seguente, il D. fu eletto nell'officium Gazarie, dove ebbe modo di occuparsi dei problemi, anche di natura legislativa, connessi con la navigazione. In seguito, dovette trasferirsi a Milano, su incarico della potente società commerciale guidata da Andrea Cesaro, Stefano Giustiniani e Raffaele De Fornari, di cui ignoriamo i rapporti di parentela col D.; egli si occupò della succursale milanese della ditta.

I torbidi che sconvolsero Genova nel 1506-07 e che videro in Raffaele De Fornari uno dei protagonisti, sorpresero il D. fuori della sua città natale. La rivolta, voluta dalla fazione popolare per strappare un maggior peso nell'assetto istituzionale cittadino, ma ben presto sfuggita di mano ai "principali del popolo", finì col preoccupare la Francia: deciso a stroncare la rivolta, Luigi XII ordinò che venisse allestito in Lombardia un esercito per marciare sulla città ribelle.

La notizia venne portata a Genova il 30 marzo 1507 dal D.; munito di un salvacondotto fornitogli dal signore di Chaumont, luogotenente generale del re di Francia in Italia, egli informò che ventimila uomini erano pronti a marciare sulla città e sollecitò un intervento diplomatico dei rappresentanti genovesi presso Luigi XII, in modo da avviare un processo di riavvicinamento alla Francia, non sgradito neppure a questa. Infatti, essendo ormai imminente il momento della resa dei conti, i principali esponenti della fazione popolare tentavano di scindere le proprie responsabilità da quelle della plebe.

Soffocata la rivolta, Genova fu assoggettata ad una pesante ammenda di 200.000 scudi. Il D. ed altri cittadini genovesi si incaricarono di reperire la somma e di trovare i garanti del prestito. Negli anni seguenti, tornato a Milano, riprese la sua attività di mercante, probabilmente sempre nella casa commerciale di Raffaele De Fornari e soci, né risulta che abbia rivestito altri incarichi politici nella vita cittadina. Nel 1513, insieme con Cristoforo Panigarola e Francesco Morigia, ebbe da Paolo e Pasquale Saoli il compito di ottenere il pagamento di tutte le lettere di cambio emesse da Paolo de Canavaco e dai suoi soci all'ordine di Ottaviano Grimaldi ed altri, lettere inviate da Montluel o da Lione. Due anni dopo, insieme con Giovanni De Marini fu incaricato dalla Repubblica genovese di riscuotere un debito di Pietro Maria Assereto e di controllare che le persone chiamate dall'Assereto a rispondere per lui di tale somma fossero degne di fiducia; la questione dovette, comunque, trascinarsi a lungo, dato che ancora nel 1519 il D. scrisse al suo governo sullo stesso argomento.

Non si hanno altre sue notizie dopo questa data; morì prima del 1530.

Sono ricordati due suoi figli, Vincenzo e Benedetto, entrambi iscritti nel Liber Nobilitatis della città. Il primo fu membro del Maggior Consiglio nel 1530, nel 1545 e nel 1551; nel 1547 fece parte del Consiglio minore della Repubblica.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto, Registri litterarum, 2/1959; Ibid., ms. n. 10: Catal. dei magistrati della Repubblica di Genova dall'anno 1332 in 1528, c.116v; Genova, Archivio storico del Comune, ms. n. 285; G. Pallavicino, Consigli grandi e piccoli, cc. 22, 148v, 160, 196; Genova, Biblioteca Franzoniana, F. Federici, Alberi geneal. delle famiglie di Genova (ms. sec. XVII), II, c. 88v; A. Giustiniani, Castigatissimi Annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, c. CCLVIv; U. Foglietta, Dell'istorie di Genova, Genova 1597, c. 580v; F. Casoni, Annali della Rep. di Genova, I, Genova 1799, p. 51; B. Senaregae De rebus Genuens. comment., in Rerum Italic. Script., 2 ed., XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, p. 82; E. Pandiani, Un anno di storia genovese (giugno 1506-1507), in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXVII (1905), pp. 237, 385; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, ibid., LXIII (1934), p. 137; P. P. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese…, I, Cambridge 1958, p. 280; D. Gioffrè, Gênes et les foires de change. De Lyon à Besançon, Paris 1960, ad Ind., G. Guelfi Camajani, Il "Liber Nobilitatis Genuensis" e il governo della Repubblica di Genova fino all'anno 1797, Firenze 1965, p. 214.

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