ESPOSITO, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

ESPOSITO, Carlo

Fulco Lanchester

Nato a Napoli da Michele, noleggiatore marittimo, e Concetta Angelino il 18 ag. 1902, compì in quella città gli studi medi ed universitari e conseguì - con lode e pubblicazione - la laurea in giurisprudenza nel 1924, discutendo una tesi su Ilvalore della vita sociale, sotto la guida di Alfredo Bartolomei, ordinario di filosofia del diritto. Nominato assistente presso gli istituti giuridici dell'ateneo campano dal marzo del 1925, già nel novembre dello stesso anno prese servizio come coadiutore scientifico di Adolfo Ravà presso l'istituto di filosofia del diritto e di diritto comparato dell'università di Padova. Nel 1928 venne incaricato dell'insegnamento di introduzione alle scienze giuridiche e filosofia del diritto nell'università di Camerino, dove tenne anche l'incarico di economia politica.

Ottenuta l'abilitazione alla libera docenza nel dicembre 1930 (commissari: S. Romano, G. Maggiore, M. Barillari) in filosofia del diritto, partecipò ai concorsi a cattedra per la stessa materia del 1930 (commissari: G. Gentile, M. Barillari, G. Del Vecchio, F. Ciccaglione e G. Maggiore) e del 1934 (commissari: G. Del Vecchio, A. Ravà, M. Barillari, F. B. Cicala, L. Tumiati), ottenendo il giudizio di maturità nel secondo. L'anno successivo vinse la cattedra di diritto costituzionale bandita per l'università di Camerino (commissari: P. Chimenti, D. Donati, S. Panunzio, E. Crosa, G. Ambrosini).

Nominato professore straordinario di diritto costituzionale a Messina dal 1º dic. 1935, si trasferì dal 29 ott. 1936 a Macerata, divenendovi ordinario nel 1938 (commissari: U. Borsi, G. M. De Francesco, G. Maranini). Trasferito a Padova nella facoltà di giurisprudenza dal novembre 1939, succedette sulla cattedra di diritto costituzionale a Donato Donati, che aveva dovuto lasciare l'insegnamento a causa delle leggi razziali. Dal dicembre 1949 venne chiamato a coprire la cattedra di dottrina dello Stato presso la facoltà di giurisprudenza di Napoli, per poi passare dall'anno accademico 1953-54 all'insegnamento di diritto costituzionale italiano e comparato nella facoltà di scienze politiche di Roma. Nel 1956 si trasferì, infine, nella facoltà di giurisprudenza dell'ateneo romano come titolare di diritto costituzionale.

Direttore dell'istituto di diritto pubblico della facoltà di giurisprudenza dell'università di Roma e della sezione di diritto pubblico dell'Enciclopedia del diritto, nel 1956 fondò con Achille D. e Massimo S. Giannini la rivista Giurisprudenza costituzionale.

Morì a Roma il 10 dic. 1964, lasciando la moglie Adriana e due figlie, Paola e Carla.

L'E., uno dei maggiori costituzionalisti del secondo dopoguerra, è studioso che spicca per il rigore dell'impostazione e per la dedizione all'insegnamento e alla ricerca. La sua biografia intellettuale, pur essendo pienamente partecipe delle vicende della generazione di giuristi formatisi durante il fascismo, risulta però caratterizzata da specifici elementi che la distaccano da quella di altri prestigiosi colleghi.

Il dato più estrinseco (ma anche più ingannevole) di questa alterità è costituito dall'esperienza intensa, nel primo periodo dell'avventura accademica, nelle file della filosofia giuridica, dominata in quegli anni dalla figura di Giorgio Del Vecchio. Questi interessi filosofici, comuni d'altro canto anche a Costantino Mortati (che si era laureato con B. Varisco in filosofia e poi in scienze politiche con Sergio Panunzio) e a Vezio Crisafulli, il cui primo volume era stato prefato proprio dal Panunzio, comportarono una serie poliedrica di interessi ed una impostazione meno chiusa di quella tradizionale dei costituzionalisti in senso stretto, influendo in modo permanente sulla sua opera scientifica.

Egli mosse i suoi primi passi nella vita scientifica, dopo la tesi napoletana e i pochi mesi di assistentato presso il Bartolomei (uno studioso particolarmente attento ai rapporti tra dommatica, diritto pubblico e filosofia del diritto), nella scuola padovana del Ravà; e, pur giovanissimo, nei primi anni Trenta dovette subire anche due insuccessi concorsuali, che avrebbero potuto fargli abbandonare la carriera accademica. In realtà, dopo i primi contributi su Diritto e pena secondo Pestalozzi (in Studi pestalozziani, IV [1927], pp. 139-164) e su Il valore dello Stato in Aristotele (in Rivista internazionale di filosofia del diritto, VII [1927], pp. 23 ss.), egli si dedicò alla redazione dell'ampia monografia su Lineamenti di una dottrina del diritto (Fabriano 1930; 2 ed., ibid. 1932), dove - come egli stesso sostenne presentando la propria opera - aveva cercato di dimostrare che il significato del diritto nella vita spirituale può essere colto solo "se esso viene considerato nella vita di chi (singolo o comunità) sottopone altri a valutazione giuridica". Nel lavoro su Organo, ufficio e soggettività dell'ufficio (Padova 1932) l'E. aveva invece teso a evidenziare l'individualità degli organi statuali nei confronti dello Stato, mentre nell'ampio volume su La validità delle leggi (ibid. 1934) si era impegnato a sostenere che gli atti legislativi potevano essere sottoposti a limiti di diritto. Si trattava di contributi originali che dimostravano una lucida maturità ed anche quella duplicità che lo porterà al diritto costituzionale.

Come evidenziano le opere di questo primo periodo di produzione scientifica, già dal primo insuccesso concorsuale nel campo della filosofia del diritto i suoi interessi si spostarono, in maniera sempre più evidente, verso il diritto costituzionale. Il trasferimento in questione, durato circa un lustro, non fu, però, indolore e rappresenta in modo plastico la realtà dell'ambiente accademico italiano dei primi anni Trenta, estremamente ristretto dal punto di vista numerico e dominato da alcune grandi personalità, che riuscivano a controllarne i meccanismi di riproduzione interna. Nel concorso del 1930 la commissione presieduta dal Del Vecchio formulò, infatti, un giudizio drastico ed ingeneroso, confutato dai coevi apprezzamenti che sia Gaetano De Sanctis sia Benedetto Croce avevano espresso su di lui (cfr. al riguardo M. Siclari).

Nel concorso del 1934, per il quale aveva aggiunto il già ricordato volume, considerato unanimemente come basilare, La validità delle leggi, il giovane E. venne, infine, posposto ad una terna di vincitori (ritenuti più correlati con la materia messa a concorso), in cui figuravano R. Treves, A. Passerin d'Entrèves e T. A. Castiglia (dichiarato maturo a maggioranza) sulla base di uno scontro tra il maestro padovano Ravà e il Del Vecchio.

In effetti già allora l'E. si trovava sul crinale fra la disciplina della filosofia del diritto e quella del diritto costituzionale come dimostra il già citato saggio su Organo, ufficio e soggettività dell'ufficio e lo stesso volume su La validità delle leggi. Una simile duplicità che conferma - al di là del caso personale dell'E.- l'intensa pulsione, tipica delle situazioni di transizione, della giovane generazione di giuspubblicisti degli anni Trenta per la teoria generale e la dottrina dello Stato, costituisce la seconda peculiarità che caratterizza tutta la sua opera, anche se nel prosieguo egli si dedicherà sempre di più al diritto positivo (per l'affermazione della coerenza di fondo nell'opera dell'E. si veda F. Modugno).

Dall'impasse accademica l'E. fu salvato dal rapporto di stima e conoscenza con Santi Romano, che aveva fatto parte della commissione per la concessione della libera docenza ed i cui figli insegnavano con lui nell'ateneo camerte, e con Donato Donati, che ne aveva potuto apprezzare le doti nella facoltà padovana. L'incidente del 1934 venne quindi superato: l'E. nel 1935 vinse, infatti, il primo concorso per una cattedra di diritto costituzionale bandito dopo ben due lustri (sul contesto giuspubblicistico del periodo, si veda Galizia, 1988). Nonostante ciò la posizione dell'E. si confermò eccentrica rispetto alla giuspubblicistica del regime per una certa propensione al privilegiamento "formale" del metodo testuale. La sua opera costituzionalistica, sulla scia del Romano e del Donati, denota infatti capacità di elaborazione non comuni ed una sensibilità critica che lo rendono partecipe di quel rinnovamento metodologico che nel corso degli anni Trenta vede la giovane dottrina giuspubblicistica (C. Mortati, G. Chiarelli, G. Maranini, V. Crisafulli) inseriti in modo incisivo nel dibattito sulle riforme "incrementali" del regime fascista.

Caratteristica di questo gruppo di studiosi, che esercitarono una influenza determinante sul diritto costituzionale del secondo dopoguerra, fu proprio quella di approfondire la ricerca realistica senza abbandonare l'alveo della scuola giuspubblicistica nazionale, sviluppando altresì la problematica dei principi generali (si veda su questo Galizia, 1963, e Lanchester, mentre non pare accettabile il drastico giudizio di Nocilla sulla posizione di Mortati, p. XIII). Ed è significativo che essi possedessero tutti interessi non meramente giuridici, ma che - seppure in maniera differente - tentassero di spiegarsi il rapporto tra forza e diritto. Mentre Maranini sviluppò un approccio molto attento alla storia costituzionale, fino a sciogliere il metodo giuridico nella storicità, e Mortati cercò di giuridicizzare il politico attraverso la teoria della costituzione in senso materiale, l'E. si dimostrò prudente nel ricorrere ad ogni generalizzazione, mantenendo una polivocità ed un distacco che né Chiarelli né Crisafulli poterono conservare.

Su una simile posizione influirono molto i collegamenti accademici, che - nel caso di Mortati, Chiarelli, Crisafulli e Maranini - furono sì quelli della scuola giuspubblicistica nazionale, ma mediati da quell'agitatore di cultura e novità che fu Sergio Panunzio. L'E. seguì - invece - in modo più esplicito la scia di Romano e di Donati e da questa venne condizionato anche nel suo autonomo sviluppo. Tra i due maestri quello che ebbe su di lui la maggiore influenza fu, però, sicuramente Donati: ciò è evidente soprattutto nelle capacità stringenti di ragionamento logico, ma anche nel gusto di portarlo all'eccesso.

In questa prospettiva i saggi sulla nazione e sulla rappresentanza si collegano in modo intimo a quelli sulla costituzione repubblicana e agli scritti scelti degli anni Cinquanta e Sessanta. Essi ricordano in alcuni spunti le posizioni di Donati sulla forma di governo ed evidenziano - al di là della apparente tecnicità - valori e posizioni precise.

Sarebbe sbagliato sottovalutare l'opera dell'E., caratterizzandola come impolitica. Il metodo giuridico da lui sostenuto si contrappone in effetti a quello della corrente engagée del regime (ad esempio, Costamagna) ed assume un realismo che si differenzia anche da quello di Mortati, di Chiarelli e dello stesso Crisafulli. Nella Validità delle leggi egli aveva - infatti - messo in evidenza, in pieno fascismo, l'importanza della giurisdizione e di un metodo che sembrava perso, ma anche che il fenomeno giuridico può essere regolato al di là della legge in senso formale. Se si prendono in esame i saggi sulla nazione e sulla rappresentanza si evince che l'approccio metodologico dell'E. non costituiva in alcun modo un ritorno al formalismo astratto del positivismo liberale. L'E. adotta infatti un metodo che recepisce solo formalmente la tecnica positivistica e la utilizza per pervenire a precisi obiettivi.

Il tentativo di mediazione fra ordine sociale e ordine giuridico, determinando la giuridicità di entrambi, caratterizzava secondo Mortati (La costituzione in senso materiale, Milano 1940, p. 40) l'approccio dell'E. con l'approdo ad un sostanziale realismo, dove validità ed effettività tendono ad identificarsi. La differenza sostanziale tra l'E. e il Mortati risulta evidente e modifica alcuni luoghi comuni. Mortati cerca, infatti, di collegare la costituzione e le norme dell'ordinamento con le forze prevalenti nel sociale, tentando di limitare il politico sulla base della sua giuridicizzazione attraverso la formazione di principî teleologicamente orientati. L'E. identifica, invece, principî tecnici sulla base di una serie di interpretazioni più condizionate dall'occasione e dallo stesso metodo giuridico.

Gli scritti su Lo Stato fascista e le associazioni (I, Padova 1935), Lo Stato e la nazione italiana (in Archivio di diritto, II [1937], pp. 409-485), La rappresentanza istituzionale (in Scritti in onore di S. Romano, I, Padova 1939, pp. 301-366), e la stessa prolusione su Lo Stato fascista (in Stato e diritto, III [1942], pp. 179-191), benché basati sull'applicazione di un raffinato utilizzo del metodo testuale, tendono a penetrare in maniera decisa all'interno del dibattito politico-costituzionale del periodo. Il privilegiamento del concetto di "nazione" e la sua identificazione con lo "Stato" assumevano un carattere fortemente orientato all'interno della discussione sul partito ed il suo ruolo all'interno del regime. Una simile impostazione deve essere presa in debita considerazione ed è della più alta rilevanza per comprendere l'opera dell'E. nel corso del secondo dopoguerra. Ad esempio, la stessa concezione del ruolo del sovrano, che l'E. espresse nell'ambito del compromesso diarchico fascista e che giustificò ante litteram la soluzione del 25 luglio, venne utilizzata nell'importante voce sul capo dello Stato sull'Enciclopedia del diritto (ora anche in Diritto costituzionale vivente).

Non è dunque possibile scindere l'opera dell'E. del periodo fascista da quella degli anni successivi. La continuità della sua impostazione - anzi un suo affinamento - è, infatti, rilevabile soprattutto nella raccolta di saggi su La costituzione italiana, pubblicata a Padova nel 1954. Sitratta di un approccio che deve essere valutato in maniera assoluta, ma anche diacronica per non perdere quel nesso situazionale che lo caratterizza.

Negli anni del dopoguerra l'E. si confermò come uno studioso raffinato ed impegnato, collegato con i valori di una formazione sostanzialmente liberale. In questa prospettiva si può addirittura sostenere che vi sia stata una sottovalutazione eccessiva del suo ruolo di giurista "politico" in contrasto con il valore ed il concreto orientamento dei suoi contributi. Al di là dell'intervento su La maggioranza nel referendum (in Giurisprudenzaitaliana, I [1946], pp. 385 ss.), il contributo sull'articolo 1 della costituzione riprende il metodo con cui l'E. aveva analizzato durante il Ventennio il tema della nazione ed è tutto concentrato a dimostrare come la recentissima costituzione non potesse essere considerata al di fuori dello schema di una democrazia liberale. I saggi successivi, sull'uguaglianza e sull'articolo 44 della costituzione, sono anche indicativi di una posizione estremamente attenta alla costruzione di un assetto istituzionale che preservasse i valori della libera iniziativa e della proprietà individuale piccola e media.

Si tratta di una interpretazione apertamente finalizzata a giustificare, ma anche ad inquadrare, i limiti della innovazione introdotta con la riforma agraria dei governi degasperiani, così come il richiamo formalistico al primo comma dell'articolo 3 comportava per l'E. il rifiuto di qualsiasi significato egualitario o classista al secondo comma dello stesso (La costituzione italiana, cit., pp. 63 ss.).

Il modello di una democrazia liberaldemocratica, capace anche di difendersi, si evidenzia pure nella posizione espressa sui partiti ed i sindacati. Per quanto riguarda i primi l'E. già nel contributo sull'articolo 1 si era dichiarato favorevole al Parteiverbot (ibid., p. 8); mentre successivamente espresse in modo chiaro la sua critica a forme di occupazione e di sregolazione del mercato politico, evidenziando la propria preferenza per il modello che in quegli anni stava costruendosi in Germania (ibid., pp. 235-243).

La critica dell'E. non colpiva dunque genericamente il tracimamento del potere dei partiti nell'amministrazione secondo la posizione più collegata alla tradizione ottocentesca della polemica partitocratica maraniniana, ma ricordava come il problema italiano si concentrasse nella presenza di formazioni considerate dai partners come antisistema. In questa prospettiva l'E. trattava il problema della libertà sindacale come possibilità di aggregarsi, al di fuori di qualsiasi dipendenza partitica, per tutelare i propri interessi nei confronti di altri gruppi, senza limitazioni di sorta nell'ambito di una "pacifica coesistenza" e di una "conciliabilità" degli interessi tra privati imprenditori e lavoratori (ibid., p. 178).

Il realismo dell'E. (ed il suo incardinarsi in una concezione dello Stato con profonde radici liberali) viene confermato dalla sua posizione sul problema dell'attuazione della costituzione durante il periodo centrista.

Mentre giuristi di parte cattolica (come G. Balladore-Pallieri e Mortati) e di sinistra (come C. Lavagna e Crisafulli) si posero il problema della non applicazione della costituzione già nei primi anni Cinquanta, l'E. accompagna in modo molto più tenue questa pulsione, perché implicitamente preoccupato per la stessa permanenza dell'ordinamento democratico. Non è un caso, quindi, che gli scritti composti dal 1955, anno critico per l'avvio concreto della costruzione costituzionale, costituiscano l'indice empirico di un impegno concreto che riconosce la grande svolta e le grandi potenzialità dell'introduzione della giurisdizione costituzionale in Italia. La coincidenza tra questi avvenimenti e la chiamata nell'ateneo romano costituiscono il volano per un'attività intensissima, che per la prima volta coinvolge nel diritto positivo l'Esposito. Si può, infatti, affermare che egli abbia contribuito in maniera intensa allo sviluppo della giurisdizione costituzionale attraverso un'indefessa ed esponenziale opera di commento dei primi anni di attività della Corte costituzionale.

In questa specifica prospettiva, che vede in Donato Donati il punto di riferimento ideale di un impegno dalla cattedra, è anche significativo che lo stesso E. - a differenza di altri suoi coetanei giuspubblicisti che finirono la carriera nell'ateneo romano (ad esempio, Mortati, Crisafulli, Chiarelli) - non abbia mai ricoperto cariche potestative esterne all'università (su questo punto si vedano le osservazioni di Crisafulli nella Introduzione alla raccolta di Studi in memoria). Egli rappresentò, infatti, l'idealtipo del professore a "pieno tempo", capace di radicare la propria opera nell'ambiente accademico e di sviluppare una "scuola" importante e persistente.

L'E., docente universitario e costituzionalista sensibilissimo, si espresse, infatti, al massimo livello soprattutto negli anni Cinquanta. Egli non assunse alcuna carica istituzionale in un periodo in cui altri si impegnarono direttamente ed ottenne, invece, una influenza rilevante in ambito accademico. In particolare il sodalizio con Mortati fu, al di là delle differenze temperamentali, qualcosa di profondo e duraturo dal punto di vista personale e un contributo estremamente proficuo dal punto di vista scientifico. Gli Studiin memoria (pubblicati all'inizio anni Settanta) rappresentano una singolare testimonianza di questa capacità di attrazione. I suoi numerosi allievi continuano ancor oggi a Roma un tipo di impostazione teso alla rigorosa applicazione del metodo giuridico, all'interno di una peculiare sensibilità per i valori e per il dato concreto.

Fonti e Bibl.: Per l'elenco completo delle opere dell'E. si veda la bibliografia redatta da A. Pace, Gli scritti di C. E., in Rivista trimestrale di diritto pubblico, XXI (1971), pp. 1923-30 (poi pubblicato anche negli Studi in memoria di C. E., I, Padova 1972, pp. XIII-XVIII) e M. Siclari, Nota bio-bibliografica, in C. Esposito, Diritto costituzionale vivente. Capo dello Stato ed altri saggi, Milano 1992, a cura di D. Nocilla, pp. LVIII-LXI. Tra i necrologi vanno ricordati quelli di C. Mortati, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, XV (1965), pp. 979 ss.; V. Crisafulli, in Studi in memoria C. E., cit., pp. VII ss.; A. C. Jeniolo, C.E., in Archivio giuridico Filippo Serafini, CLVII (1964), pp. 3-6; R. Orecchia, La filosofia del diritto nelle università italiane, 1900-1965, Milano 1967, pp. 235 ss. Si veda ancora M. Galizia, Profili storico-comparativi del diritto costituzionale, in Archivio giuridico Filippo Serafini, CLXVI (1963), pp. 1 ss.; G. Cianferotti, Il pensiero di V. E. Orlando e la giuspubblicistica italiana fra Ottocento e Novecento, Milano 1980, ad Ind.; M. Galizia, Autorità autonomie e "democrazia di massa" nell'evoluzione del pensiero di V. Zangara, in Quaderni costituzionali, VIII (1988), pp. 109 ss.; C. Mortati costituzionalista calabrese, a cura di F. Lanchester, Napoli 1989, ad Ind.; Il pensiero giuridico di C. Mortati, a cura di M. Galizia-P. Grossi, Milano 1990, ad Ind.; F. Modugno, Il pensiero filosofico-giuridico di C. E., in Giurisprudenza costituzionale, XXXV (1991), pp. 860 ss.

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