CARLO MARTELLO d'Angiò, re d'Ungheria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARLO MARTELLO d'Angiò, re d'Ungheria

Ingeborg Walter

Primogenito del futuro re di Sicilia Carlo II d'Angiò e di Maria d'Ungheria, nacque con tutta probabilità a Napoli nella primavera del 1271, dato che il matrimonio dei genitori, dal quale sarebbero nati ben tredici figli, era stato celebrato tra il maggio e il giugno dell'anno precedente. Il nome imposto al bambino si riallacciava alla tradizione carolingia tanto cara ai Capetingi, ma rispecchiava anche gli ambiziosi piani di conquista nutriti dal nonno Carlo I, da solo cinque anni re di Sicilia.

Ancora giovanissimo C. divenne uno degli oggetti del complesso gioco di alleanze del primo re angioino: sin dal 1274 infatti era in discussione il suo matrimonio con Clemenza, sesta delle figlie di Rodolfo d'Asburgo, eletto re dei Romani nel 1273 e aspirante alla corona imperiale. Con la mediazione di papa Gregorio X, molto interessato ad un'intesa tra i due monarchi, nell'estate del 1274 si venne ad un accordo che prevedeva appunto il matrimonio tra C. e la piccola Clemenza, la quale avrebbe dovuto essere educata alla corte angioina di Napoli insieme con il futuro sposo. Nell'ottobre del 1274 Carlo I mandò in Provenza Roberto di Lavena, Giacomo Cantelmo e Giovanni di Maflers per prendere in consegna la promessa sposa, ma gli inviati angioini attesero invano l'arrivo della giovane principessa. Le numerose questioni irrisolte, soprattutto quelle relative alla sua discesa in Italia per l'incoronazione imperiale, avevano evidentemente indotto Rodolfo a rimandare l'esecuzione dei patti stabiliti.

La morte di Gregorio X, sopraggiunta il 10 genn. 1276, interruppe le trattative così bene avviate, che durante i brevi pontificati di Innocenzo V, Adriano V e Giovanni XXI si arenarono completamente. Il 17 luglio 1277 Rodolfo promise di dare Clemenza in moglie al duca Andrea di Schiavonia e di Croazia, fratello del re ungherese Andrea, suo alleato nella lotta contro Ottocaro di Boemia, e solo con l'elezione papale di Niccolò III (25 nov. 1277) il progetto del matrimonio angioino tornò di attualità.

Il nuovo papa infatti riprese subito le trattative con l'Asburgo, con il quale giunse in breve tempo ad un accordo su tutto ciò che riguardava la sua incoronazione e gli interessi imperiali in Italia. Di questo accordo fece parte anche il matrimonio, tra C. e Clemenza.

Secondo Tolomeo da Lucca (Annales, in Monum. Germ. Hist., Script. Rer. Germ., n.s., VIII, a cura di B. Schmeidler, Berolini 1930, p. 190) Niccolò III avrebbe trattato con Rodolfo anche la divisione dell'Impero in quattro regni, dei quali uno, il "regnum Viennense" avrebbe dovuto spettare a C., il futuro genero del re dei Romani. Non è certo se il progetto fosse stato discusso allora proprio in questa forma, ma è tuttavia sicuro che si pensò veramente di ricostituire l'antico regno di Arles per assegnarlo in dote a Clemenza. La morte di Niccolò III (22 ag. 1280), che il 7 giugno 1279 aveva ordinato a Rodolfo di consegnare la sposa e il 6 luglio 1280 aveva concesso la dispensa matrimoniale, fece rientrare ogni progetto del genere.

L'intesa tra le due parti era tuttavia così bene avviata che Rodolfo d'Asburgo nel 1281 inviò finalmente la figlia in Italia, anche se la giovane età dei fidanzati impediva per ora la celebrazione delle nozze.

Alla morte del nonno Carlo I, il 7 gennaio 1285, il non ancora quattordicenne C. si trovò improvvisamente nella situazione di dover rappresentare la dinastia angioina. Suo padre, Carlo principe di Salerno, nel giugno del 1284, in uno dei combattimenti seguiti all'insurrezione del Vespro, era caduto nelle mani degli Aragonesi e si trovava da allora prigioniero nel castello di Cefalù in Sicilia. Conscio della precaria situazione che si sarebbe così creata nella successione, Carlo I, facendo testamento, aveva nominato espressamente suo erede C., insieme con il principe di Salerno, dato che questo ultimo non era in grado di accedere al trono, affiancandogli un bailo nella persona di Roberto d'Artois suo nipote.

Pare che nei quattro anni successivi alla morte di Carlo I, cioè fino al 1289, quando Carlo di Salerno poté finalmente riacquistare la libertà e cingere la corona, C. non abbia preso nessuna parte attiva al governo del Regno, tenuto oltre che dall'Artois dal cardinal legato Gerardo da Parma. La qual cosa si spiega facilmente con la sua giovane età, ma probabilmente anche con la preoccupazione dei due reggenti di non esporre il principale rappresentante della dinastia angioina al benché minimo pericolo in un periodo di guerra, punteggiato da continue azioni militari. Tuttavia non si pensò mai di incoronare C., visto che per tutto il tempo furono in corso trattative per la liberazione di Carlo di Salerno, e se i diplomi furono intestati al suo nome, C. fu qualificato di solito come "haeres et nepos" di Carlo I, come primogenito del principe di Salemo, oppure qualche volta come "dominus" del Regno di Sicilia.

Quando Carlo di Salerno, ancora nel 1285, concluse un accordo con l'infante Giacomo d'Aragona, luogotenente del padre Pietro III nell'isola di Sicilia, per riottenere la libertà, promise tra l'altro di sposare il suo figlio maggiore, cioè C., con la sorella di Giacomo Jolanda, nonostante gli accordi presi con Rodolfo d'Asburgo. Tuttavia il papa Onorio IV rifiutò di ratificare le clausole del cosiddetto trattato di Cefalù, e lo annullò con una bolla del 4 marzo 1287. Pare che proprio in conseguenza di ciò, forse per esplicito desiderio del pontefice, i reggenti del Regno abbiano fatto celebrare le nozze di C. con Clemenza d'Asburgo, forse senza particolari festeggiamenti, se si considera il silenzio delle fonti. Nel 1288 nacque il primogenito di C., Carlo Roberto.

Anche nelle successive trattative di Carlo di Salemo con gli Aragonesi, C. costituì un pegno importante. Nell'accordo di Oléron del luglio del 1287 il principe promise infatti di mettere come ostaggi nelle mani dei suoi avversari C. e altri due suoi fratelli, finché non fosse stata conclusa la pace definitiva tra Alfonso e Giacomo d'Aragona da un lato, e Carlo, la Santa Sede e la Francia dall'altro. Ma neanche questa volta l'accordo arrivò alla fase esecutiva per l'opposizione del nuovo pontefice Niccolò IV. Tuttavia anche le clausole del nuovo trattato di Canfranc, concluso nell'ott. 1288 con la mediazione di Edoardo I d'Inghilterra, prevedevano l'invio di C. in Aragona entro dieci mesi dalla liberazione del padre. Questa volta C. sfuggì solo per poco alla prigionia: Carlo di Salerno, dopo aver consegnato agli Aragonesi i figli Ludovico, Roberto e Raimondo Berengario (quest'ultimo in sostituzione di C. fino al suo arrivo), poté tornare in Italia, dove il pontefice lo prosciolse da tutti gli impegni presi e l'incoronò il 29 maggio 1289 a Rieti.

Dopo l'ascesa al trono di Carlo II cominciò anche per C. il periodo della vera e propria responsabilità politica. Armato cavaliere dal padre nel corso di una solenne cerimonia svoltasi l'8 sett. 1289 a Napoli, venne investito lo stesso giorno del principato di Salerno e dell'onore di Monte Sant'Angelo. Quattro giorni più tardi, il 12 settembre, Carlo II, che era in procinto di recarsi in Francia per continuarvi le trattative con gli Aragonesi, lo nominò vicario generale del Regno con al fianco Roberto di Artois come capitano generale.

I quattro anni del primo vicariato di C. non si distinsero per avvenimenti di rilievo. Malgrado le trattative in corso continuò la guerra con la Sicilia. I combattimenti si svolsero soprattutto in Calabria, ma non pare che C. abbia preso parte ad azioni militari in questa zona. Si sa soltanto che nel settembre 1290 fu presente all'assedio del castello di Pantuliano (oggi Castelcivita) in Terra di Lavoro. Numerosi sono invece i documenti che attestano la sua presenza nell'amministrazione ordinaria con la costante preoccupazione di procurare i fondi necessari alla guerra. Una certa importanza in questo senso riveste la legge suntuaria, la prima del genere nel Regno di Sicilia, promulgata da C. e dall'Artois il 5 luglio 1290 nel corso di un Parlamento riunito a Napoli, che è ispirata dalla necessità di limitare gli eccessi del lusso. I "Capitula et statuta super regimine regni" (pubbl. dallo Schipa, 1889, pp. 451-458) rilasciati il 16 settembre dello stesso anno a Melfi mirarono invece a ridurre le spese amministrative della Camera. C. depose il suo ufficio il 16 febbr. 1294, quando, in viaggio per la Toscana per accogliervi i genitori di ritorno dalla Francia, varcò i confini del Regno a Ceprano.

Nel frattempo si era accesa in C. la speranza di poter cingere un giorno, insieme alla corona siciliana, anche quella ungherese. Nel 1290 infatti era morto, senza lasciar figli, re Ladislao IV, fratello della madre di Carlo Martello. Maria d'Ungheria reclamò subito per sé il regno e ne investì il 6 genn. del 1292 C., nonostante che già nel 1290 fosse stato incoronato re, con l'appoggio della maggior parte della nobiltà, l'unico discendente maschile degli Arpadi, Andrea il Veneziano, un nipote di Andrea II. Tuttavia anche gli Angioini potevano contare su alcuni partigiani, soprattutto nella parte occidentale del regno, e tra di loro in prima linea la famiglia dei Subich, bani della Croazia e della Dalmazia ungherese. C. notificò ai suoi fedeli l'investitura e mandò nell'aprile del 1292 un'ambasceria per ricevere il giuramento di fedeltà; assunse il titolo di re d'Ungheria nel giugno dello stesso anno. Ma nonostante lo scambio di varie ambascerie e l'invio di truppe, C. non riuscì a farsi riconoscere che da una minima parte della popolazione. D'altra parte i mezzi della corte napoletana erano limitati e venivano assorbiti per la maggior parte dalla guerra siciliana. Nel 1294, dopo la tregua con l'Aragona, ripresero anche i negoziati ungheresi e C. annunciò addirittura ai suoi fedeli la sua prossima venuta. Ma le cose stavano ancora a questo punto quando C. venne a morte.

C., che nell'aprile del 1294 era tornato a Napoli insieme con Carlo II, partecipò anche in seguito attivamente al governo del Regno, munito di poteri speciali. Alla notizia dell'elezione di Celestino V si recò, sempre insieme al padre, a Sulmona dove incontrò il nuovo papa, e poi all'Aquila per assistere alla sua incoronazione. Fu presente anche alla solenne incoronazione di Bonifacio VIII svoltasi il 23 genn. 1295 a Roma, dove C. aveva accompagnato da Napoli il papa eletto. Il 12 febbr. 1295 fu nominato di nuovo vicario generale del Regno per sostituire ancora una volta il padre, impegnato nelle difficili trattative con l'Aragona che cominciavano a dare i primi frutti.

Morì improvvisamente a Napoli nell'agosto del 1295, forse il 19, sicuramente dopo il 5, data dell'ultimo documento da lui emanato, colpito a quanto pare da peste. Lo seguì la moglie nel giro di pochissimo tempo. Furono sepolti ambedue nel duomo di Napoli.

Nel 1333 Roberto d'Angiò ordinò la costruzione di un sepolcro per C. e Clemenza che fu distrutto nel 1456 da un terremoto. Alla fine del Cinquecento le spoglie di Carlo I, C. e Clemenza furono traslate in un nuovo monumento sepolcrale, opera di D. Fontana, che è visibile oggi sulla facciata interna sopra la porta maggiore del duomo di Napoli. L'eredità lasciata da C. passò però solamente in parte a suo figlio primogenito Carlo Roberto, un bambino di appena sette anni al momento della morte dei genitori. Carlo II, che desiderava assicurare nel modo più opportuno la successione, il 13 febbr. 1296 conferì il diritto di primogenitura al suo terzo figlio Roberto, che infatti gli successe nel 1309. Carlo Roberto invece, realizzando le aspirazioni del padre, nel 1309 fu incoronato re d'Ungheria. Delle due figlie di C., Clemenza nel 1315 sposò il re di Francia Luigi X, Beatrice il figlio del delfino di Vienne.

Dante deve aver conosciuto C. nel 1294 durante il suo breve soggiorno a Firenze e ne conservò un ottimo ricordo. Gli dedicò infatti l'intero canto ottavo del Paradiso dove si vanta della grande amicizia che l'aveva legato al giovane principe e lamenta la sua scomparsa prematura. Se fosse vissuto di più e se i suoi eredi non fossero stati defraudati dei loro diritti sulla Provenza e sul Regno di Sicilia, le cose, a dire del poeta, sarebbero certamente andate meglio. Questa immagine di C., morto prima del tempo, che aveva acceso la speranza in tempi migliori, risalta tanto più in quanto sta in netto contrasto con i giudizi severissimi espressi da Dante in varie occasioni sugli altri Angioini e sulla stirpe di Ugo Capeto in genere. A C. viene contrapposta, la figura del fratello Roberto, una volta generoso, ma poi diventato avaro, circondato da servi rapaci, intenti soltanto al proprio vantaggio.

Fonti e Bibl.: Lo studio fondamentale su C. rimane ancora il saggio di M. Schipa, basato sui registri angioini oggi in gran parte distrutti apparso con il titolo C. M. Angioino, in Arch. stor. per le prov. nap., XIV (1889), pp. 17-33, 204-264, 432-458; XV (1890), pp. 5-125; e poi in un libretto a parte con il titolo Un principe napol. amico di Dante, C. M. d'A., Napoli 1926. Molti documenti relativi ai vicariati di C. furono pubblicati da C. Carucci, in Codice diplomatico salernitano del secolo XIII, II, La guerra del Vespro sicil. nella frontiera del Principato, Subiaco 1934, ad Indicem.Per i rapporti con l'Ungheria vedi ancora A. De Regibus, Le contese degli Angioini di Napoli per il trono d'Ungheria, in Riv. stor. ital., LI(1934), pp. 61-95. Cfr. inoltre N. Nicolini, Utilitarismo mercantile, amministr., marinaro nelle relazioni veneto-napoletane durante il vicariato di Carlomartello d'A., in Arch. storico per le provincie napoletane, n.s., XXXIV (1953-54), pp. 77-100 e, per i rapporti con Dante, Enc. dantesca, I, pp. 841-843.

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