ZINELLI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

ZINELLI, Carlo (noto come Carlo). – Nacque a San Giovanni Lupatoto (Verona)

Roberta Serpolli

il 2 luglio 1916 da Alessandro e da Caterina Manzini, sesto di sette figli, in una famiglia di carpentieri.

La precoce scomparsa della madre nel 1918 e le ristrettezze economiche della famiglia, derivanti dal primo conflitto mondiale, influirono profondamente sull’infanzia di Zinelli, meglio noto come Carlo. Frequentati i primi tre anni di scuola elementare, dall’età di nove anni lavorò come famiglio in una fattoria presso Corte Santa Caterina. D’indole solitaria e sensibile, trascorse la fanciullezza accudendo con amorevole sollecitudine gli animali della fattoria, in particolare il cane, e osservando l’esistenza di insetti, uccelli e galline, esseri che avrebbero in seguito popolato il suo immaginario creativo. Di contro, la prima età adulta si compì nel brutale contesto del mattatoio comunale di Verona, dove, per decisione del padre, trovò impiego nel 1934. Ciononostante, l’ambiente cittadino gli consentì un certo agio economico e nei due anni seguenti germogliò in lui una passione per la musica che l’avrebbe accompagnato per l’intera esistenza. Si originò allora l’esigenza di un’espressività artistica che, autodidatta e in principio estemporanea, rimase negli anni sempre percorsa da archetipi figurali. Impiegando l’antica tecnica della battitura della polvere di carbone, Carlo raffigurò sulle pareti della cucina un ramo fiorito e una grande figura di volatile.

Nel 1936 gli obblighi di leva lo chiamarono a Trento, dove si arruolò come fante nel corpo degli alpini e si unì nel 1938 all’11° reggimento, battaglione Trento. Alcuni degli elementi distintivi della tradizione alpina, quali la stella a cinque punte e il mulo, impiegato in montagna, riecheggiarono più tardi quali motivi ricorrenti della sua produzione artistica. Sotto le armi venne richiamato all’ordine per comportamenti inadeguati e ritardi, finché nel 1939 fu fatto partire per il fronte spagnolo, dove la guerra civile volgeva al termine, ma rimpatriò soltanto due mesi più tardi. Al rientro, duramente segnato dagli eventi bellici, Zinelli soffrì di manie di persecuzione e di episodi di delirio e di terrore che lo costrinsero a trascorrere periodi di degenza presso l’ospedale militare di Verona, fin quando nel dicembre del 1941 prese congedo definitivamente dall’esercito. Provò allora a tornare alla vita di un tempo, riprese il lavoro al mattatoio di Verona e si dedicò al commercio di sigarette, ma i ricordi traumatici della guerra civile riaffiorarono con violenza, sovrapponendosi all’angoscioso presente di un’Italia dilaniata dal secondo conflitto mondiale.

Nella vita di Carlo, sempre più isolato, si alternarono i ricoveri in strutture ospedaliere, dove subì l’elettroshock, ai soggiorni presso la dimora paterna. In preda a deliri di persecuzione e ad allucinazioni, con l’aggravarsi della malattia, all’età di trentun’anni fu infine internato presso l’ospedale psichiatrico di S. Giacomo alla Tomba di Verona, dove gli fu diagnosticata una schizofrenia paranoica. Il suo netto rifiuto del mondo, provocato dalla malattia, prese le forme di un’inintelligibilità comunicativa in cui prevalse la reiterazione di alcuni neologismi e locuzioni dialettali, quali «finemondo» e «schei», che inserì intorno al 1966 nelle sue caratteristiche rappresentazioni scritturali.

Dall’internamento del 1947 trascorsero alcuni anni prima che Zinelli, verso il 1955, iniziasse di nuovo a esprimersi artisticamente: prese a incidere figure sui muri dell’ospedale per mezzo di vari strumenti di fortuna, tra cui pietre e frammenti di legno, oppure a disegnare composizioni sul terreno del cortile, a mani nude, impiegando mattoni sgretolati, foglie, terra e saliva. Dopo un primo tentativo fallimentare di istituire presso l’ospedale un corso di disegno per i pazienti, nel 1957 lo scultore scozzese Michael Noble vi organizzò un laboratorio di libera espressione grafica e artistica, iniziativa che trovò il pieno consenso del direttore dell’ospedale Cherubino Trabucchi e del primario Mario Marini. Condottovi dall’infermiere Mario Mengali, Carlo divenne un assiduo frequentatore dello studio e iniziò a elaborare compo;sizioni iconografiche con la tecnica della gouache su carta, che rimase prevalente in tutta la sua produzione. Le sue narrazioni figurali si susseguirono senza soluzione di continuità, prive di ogni gerarchia compositiva, cristallizzando sin d’allora i soggetti tipici del suo linguaggio formale: la figura umana, ieratica e rappresentata perlopiù di profilo, alla maniera dell’arte arcaica ed egizia, il variegato bestiario, ricco soprattutto di volatili, e alcune barche, traghettatrici di compìte donne con borsetta. Le sue opere furono esposte per la prima volta nel novembre del 1957 alla mostra collettiva presso la galleria La Cornice di Verona, che riunì la produzione del S. Giacomo e suscitò l’interesse di critica e stampa. Fino al 1964, quando Noble si trasferì in Irlanda, lo scultore e sua moglie Ida Borletti aprirono le porte dell’ospedale psichiatrico per condurre i pazienti-artisti in gita presso la loro sontuosa villa sulle rive del lago di Garda. In quel periodo, forse ispirato dall’attività del ceramista Pino Castagna, che aveva uno studio in villa, Carlo elaborò alcune sculture in terracotta, esposte nel 1958 alla seconda collettiva organizzata da Noble alla galleria Selecta di Roma.

Il 1959 segnò l’incontro con lo psichiatra Vittorino Andreoli, all’epoca impegnato in un tirocinio presso il S. Giacomo. Le sue frequenti visite allo studio originarono un lungo connubio professionale e amicale con Zinelli, determinando il riconoscimento e la ricezione della sua produzione artistica. Nel 1963 Andreoli si recò a Parigi e mostrò alcune opere di Zinelli a Jean Dubuffet, che nel 1948 aveva fondato, insieme ad André Breton e ad altri, la Compagnie de l’art brut con l’intento di condu;rre ricerche internazionali e di riunire le espressioni artistiche della marginalità. Le posizioni anticulturali di Dubuffet lo indussero a escludere l’arte terapeutica, prodotta negli studi degli ospedali, in favore di un’arte radicalmente spontanea, generata da un’insopprimibile necessità interiore, né commercializzata né promossa dal sistema dell’arte. Nonostante alcune iniziali perplessità, riconducibili alla precoce attività promozionale dell’opera di Zinelli presso le gallerie d’arte, dagli anni Sessanta i suoi dipinti iniziarono a confluire nelle collezioni della Compagnie. Fu l’inizio di un profondo apprezzamento da parte di Dubuffet, che avrebbe condotto, nel corso del tempo, a raccogliere oltre un centinaio di opere presso la Collection de l’art brut, inaugurata nel suggestivo Château de Beaulieu a Losanna nel 1976. Questa istituzione pubblica rimase la principale a conservare le opere di Zinelli e degli altri protagonisti dell’art brut, quali Aloïse Corbaz e Adolf Wölfli.

Carlo iniziò in maniera sistematica dal 1962 a dipingere sia il recto sia il verso del supporto cartaceo, seguendo le esigenze compositivo-spaziali di una narrazione febbrile, dove prevalsero la concentrazione assoluta e la velocità di esecuzione. Dal 1960 al 1963 circa sperimentò la tecnica del collage polimaterico, introducendo nell’opera pacchetti di sigarette, piume d’uccello e altri piccoli oggetti, giustapposti alle figure disegnate a guazzo oppure collocati sull’intera superficie in maniera ornamentale. Verso la metà degli anni Sessanta, periodo che ne segnò la maturità artistica, Zinelli si espresse con i toni prevalenti dell’ocra e rese il linguaggio formale e la composizione grafica visivamente più essenziali e unitari. Nel suo immaginario, popolato da simboli evocativi dell’infanzia, introdusse teorie di silhouette umane, tra cui gli iconici pretini, e altri motivi, ossessivamente disposti in gruppi di quattro, così da indurre gli studiosi a coniare il termine di «quaternità» (V. Andreoli - A. Pasa - C. Trabucchi, Carlo, in L’art brut, 1966, n. 6, p. 30).

In una serie di mostre visionarie della prima metà degli anni Sessanta, Harald Szeemann riconobbe la dirompente originalità dell’arte irregolare ed espose opere di Carlo, in collaborazione con Dubuffet, nel 1963 in occasione di «Bildnerei der Geisteskranken - Art brut. Insania Pingens» presso la Kunsthalle di Berna. L’anno seguente il Palazzo Reale di Milano incluse dipinti di Zinelli nella collettiva internazionale «Arte e follia». In occasione della prima esposizione pubblica delle collezioni dell’art brut presso il Museo delle arti decorative di Parigi (1967), Dubuffet ne presentò un nutrito gruppo di opere.

Tra il 1966 e il 1969 l’arte di Zinelli pervenne a un’intensa elaborazione scritturale: benché presenti sin dagli esordi, in quel periodo le connotazioni calligrafiche assunsero un ruolo di primo piano nel suo repertorio. Gli sfondi monocromi e gli interspazi tra le figure accolsero una scrittura principalmente fonetica, in cui il moltiplicarsi di lettere e di sillabe di varie dimensioni produsse un andamento ritmico e musicale nelle sue immagini allusive. Dal 1969 la sua produzione artistica subì un notevole decremento, conseguente alla demolizione del S. Giacomo alla Tomba e al suo trasferimento presso la struttura ospedaliera di Marzana. Affetto da bronchite cronica, tra il 1971 e il 1973 abbandonò progressivamente la pittura.

Morì il 27 gennaio 1974 presso l’ospedale del Chievo, Verona.

A quasi dieci anni dalla scomparsa, la Collection de l’art brut di Losanna ospitò la prima mostra monografica sull’artista (1985), con opere dalla collezione stessa, cui pervennero numerosi dipinti della donazione Andreoli, in seguito integrati. Nel 1986, a un anno dalla scomparsa del maestro francese, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia gli dedicò «Jean Dubuffet e l’art brut», esposizione che incluse diversi dipinti di Carlo. Alla pubblicazione del primo catalogo monografico (1992) e al crescente interesse di critica, pubblico e mercato, seguì nel 1997 l’istituzione della Fondazione culturale Carlo Zinelli, presso San Giovanni Lupatoto, con l’intento di tutelarne e promuoverne l’originale produzione artistica. A documentare l’intensa attività, prodotta in circa un ventennio, fu il catalogo generale Carlo Zinelli (2000), che annovera quasi duemila opere. In occasione del quarantesimo anniversario della scomparsa (2014) si registrò una ripresa degli studi e degli approfondimenti sull’opera di Zinelli. I suoi lavori ottennero un riconoscimento di portata internazionale in una serie di esposizioni monografiche, quali l’itinerante Carlo Zinelli (1916-1974), tenutasi tra il 2003 e il 2004 in Francia (Les Sables-d’Olonne, Sète, Villeneuve-d’Ascq), e Carlo Zinelli: 1916-1974, organizzata dall’American folk art Museum di New York (2017).

Suoi dipinti sono conservati presso la Collection de l’art brut di Losanna, la Fondazione culturale Carlo Zinelli di Verona, l’American folk art Museum di New York, il LaM - Lille Métropole Musée d’art moderne, d’art contemporain et d’art brut, e in diverse collezioni pubbliche e private.

Fonti e Bibl.: V. Andreoli - S. Marinelli - F. Pesci, C. Z.: catalogo generale, Venezia 2000; C. Z. (1916-1974) (catal.), a cura di V. Andreoli - B. Decron - J. Pijaudier-Cabot, Parigi 2003; The museum of Everything presenta C. Z.: il palazzo di Everything, evento collaterale della 55ª Esposizione internazionale d’arte La Biennale di Venezia (catal.), a cura di P. Colombo - D. Baumann - V. Andreoli, Londra 2013; C. Z. Cronache visionarie (catal.), a cura di G. Bedoni - F. Porzio, Palermo 2014; C. Z., recto verso (catal.), a cura di A. Zanzi, Milano 2019; C. Z. Visione continua (catal.), a cura di L. M. Barbero, Mantova 2019. Filmografia: L’art brut, di C. Lenier, ORTF, 1971; Che cos’hai per la testa?, di S. Pigozzo - E. Meneghelli, Fondazione Carlo Zinelli e Artcam, 2016.

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