CARNEVALE

Enciclopedia Italiana (1931)

CARNEVALE (da carnem levare "toglier la carne" riferito in origine al primo giorno di Quaresima; fr. carnaval; sp. carnaval; ted. Karneval; ingl. carnival)

Raffaele Corso

Periodo di tempo festivo, tia il Natale e la Quaresima. Dovrebbe dunque incominciare col giorno di S. Stefano, che fu, sino a non molti anni fa, la data dell'inaugurazione delle stagioni d'opera nei grandi teatri; in pratica lo si fa principiare col 17 gennaio, giorno di S. Antonio abate o da quello che segue alla Purificazione (2 febbraio). Non di rado si limita la festa agli ultimi tre giorni, o addirittura al "martedì grasso"; nelle chiese di rito ambrosiano il carnevale termina con la prima domenica di quaresima, comprende cioè quattro giorni di più (carnevalone).

Dall'uso di passarli in allegra compagnia i due giovedì, ovvero le due domeniche che precedono la domenica del carnevale sono dette "degli amici" o "dei compari" o "dei parenti". Nel Mezzogiorno d'Italia si dice "giovedì muzzillo" quello che nella Toscana si chiama "berlingaccio" e giovedì grasso; il quale è seguito da un altro giovedì, detto "berlingaccino". Nella Sicilia il lunedì e il martedì grassi sono detti "giorni del pecoraio", perché si dice che Gesù li concedesse al pastorello giunto troppo tardi per poter partecipare ai divertimenti della domenica. Qualunque possa essere la durata del carnevale, le tre ultime giornate s'intendono spese in spassi e banchetti. In Calabria v'è l'uso di menare in giro, in groppa ad un asino, chiunque venga sorpreso al lavoro. Vi sono pietanze tradizionali, come i ravioli nell'Abruzzo, le castagnole (pallottole di pasta all'uovo fritte e inzuccherate) nelle Marche; i contadini della Romagna mangiano la gallina più vecchia del pollaio, credendo di preservare così le altre dalla morte. Nell'Abruzzo e nella Basilicata mangiano sette volte nell'ultima giornata, e talvolta mettono in serbo un piatto di maccheroni per consumarlo poco prima che suoni la mezzanotte. Nelle vie e nelle piazze si svolgono le corse, e folleggiano le maschere. Forse in qualche paesello si pratica ancora la giostra del vitello o del montone, che legato a una fune attraverso la strada è colpito con le spade da una squadra di cavalieri vestiti alla turca.

L'ultima sera, appressandosi la mezzanotte, compare la tradizionale maschera di carnevale: un omaccione disteso sul cataletto, accompagnato da uno strano corteo in cui non mancano il notaro e il medico; questi per constatare la morte e quello per redigere il testamento. Tramonta così il periodo della baldoria. E, difatti, mentre la "campana della carne" suona ammonitrice, il fantoccio carnevalesco è dato alle fiamme, fra urli e schiamazzi e voci che l'apostrofano col nome di Beo, in Toscana; di Paolino, in Lecce, di Tome, in Bari; di Tataranni, in Cosenza; di Giorgio in Sardegna. In qualche luogo i sagrestani col campanello in mano vanno per l'abitato ad annunziare l'ora della penitenza; come un tempo i confratelli della Compagnia della morte.

Il carnevale assurse nelle passate epoche al massimo splendore in parecchi luoghi, e specialmente in Venezia, in Firenze, in Roma, in Torino, in Ivrea, in Nizza. In Venezia il doge, la signoria, il senato, gli ambasciatori intervenivano alle feste popolari del giovedì grasso, che si celebravano con l'immolazione del toro, col volo di un uomo, con la moresca e i fuochi d'artifizio. In Firenze col favore dei Medici, i festeggiamenti si svolsero in forma grandiosa, con mascherate su carri (i "trionfi") accompagnate dai "canti carnascialeschi". In Torino si ebbero tornei, cavalcate, riproduzioni di avvenimenti storici: al "gir", cioè al corso delle carrozze infiorate e dei carri allegorici, partecipava la corte. In Roma, sotto il governo papale, avevano luogo le corse dei barberi, che cominciavano al suono delle campane del Campidoglio e la "gara dei moccoletti" accesi, che i partecipanti tentavano di spegnere scambievolmente.

Dei vecchi carnevali non rimangono che quello di Verona, detto anche "degli gnocchi"; e quello d'Ivrea, ove ogni anno, una grande quantità di gente accorre in berretto rosso per vedere il corteo della "bela mulinera", ricordo della fanciulla che, nei secoli scorsi, si vuole che liberasse la popolazione dalle angherie del feudatario.

Più volte è stata rilevata la somiglianza che il carnevale italiano e quello degli altri paesi latini presentano coi Saturnali antichi. Secondo le moderne indagini la continuità storica è indiscutibile e il personaggio burlesco (Carnevale), che si mette pubblicamente a morte, dopo un breve periodo di dissipatezze e di piaceri, non è che il discendente dell'antico re dei Saturnali. I varî personaggi dei ridicoli o lubrici ludi medievali (il re della fava, il vescovo dei folli, l'abate della derisione, ecc.), hanno, secondo il Frazer, la stessa origine del carnevale. (V. tavv. XIX-XXII).

Bibl.: J. G. Frazer, The Golden Bough, abr. ed., Londra 1924, p. 586; A. van Gennep, in Journal de psychol. norm. et pathol., XXVII (1925), nn. 5-7. Per i vecchi carnevali italiani v.: G. Pitré, Bibliogr. trad. pop. d'Italia, Torino 1894; I. Cantù, Il carnevale italiano, Milano 1855; N. N., Il libro del carnevale, Roma 1885; A. Ademollo, Il carnevale di Roma nei secoli XVII e XVIII, Roma 1887; P.L. Bruzzone, Il carnevale di Roma nel 1831, in Fanfulla, XXI (1890), n. 47; Ceccarius, Il carnevale della Rivoluzione (1850), in Roma, 1929, p. 123 segg.; M. Benvenuti, Usi e costumi vecchi e nuovi, Milano 1873, cap. 12; G. G. Saltini, Carnevale venez., in Fanfulla della domenica, III (1881), n. 9; L. Zanazzo, (Er trovatore), in Rugantino, V (1891), 18 gennaio e 5 febbraio; II (1888), 5 febbraio; G. Pitré, La famiglia, la casa, la vita del popolo sic., Palermo 1913; G. Conti, Firenze vecchia, 2ª ed., II, Firenze 1928, pp. 137-38. Inoltre: P. De Musset, Voy. pittoresque en Italie, Parigi 1855; T.T. De Lalande, Voy. en It., 3ª ed., Ginevra 1790, VII, cap. 3; E. Ghika (Dora d'Istria), Le carn. de Venise, in Gazette Rose, 1867, 1° febbraio, 1° giugno; G. Pitré, Usi e costumi del pop. sicil., Palermo 1889, I, pp. 1-20; S. Salomone-Marino, Costumi ed usanze dei contad. di Sicilia, Palermo 1925, pp. 141-166; G. Finamore, Cred., usi e cost. abruzzesi, Palermo 1890, pp. 107-112; G. La Sorsa, Usi, costumi feste del popolo pugliese, Bari 1925, pp. 121-144; L. Mannocchi, Feste e costumi pop. nel circond. di Fermo, Fermo 1921, p. 47 segg.; G. Giannini, Il carnevale nel contado lucchese, in Archivio trad. pop., V (1889); G. Amalfi, Trad. ed usi della penisola sorrentina, Palermo 1890, pp. 28, 37; A. Julia, Il carnevale in Acri, in La Calabria, VII (1895); V. Dorsa, La tard. greco-latina e gli usi della Calabria, cit., 2ª ed., Cosenza 1884, p. 38 seg.; U. Formentini, Sulle origini della maschera e della canzone carnev. della Spezia, in La Spezia, Spezia 1927; G. Gallo, Una giostra carnevalesca in Calabria, in Folklore, XI (1927), p. 15 segg. Per i paesi stranieri: V. Hoffmann-Krayer, Volkskundliche Bibliographie (dal 1917 in poi), Strasburgo 1919 e Berlino-Lipsia 1920 segg.

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