CARTA

Enciclopedia Italiana (1931)

CARTA (fr. papier; sp. papel; ted. Papier; ingl. paper)

Camillo LEVI
Ottorino BERTOLINI
Donato DONATI
Giuseppe BOTTAI

Il nome italiano deriva, attraverso il latino charta, dal greco χάρτης "foglio", che forse è a sua volta di origine egiziana e denotava il foglio da scrivere che gli Egizî preparavano dal papiro. Questa pianta ha invece dato origine al nome della carta nelle altre lingue d'Europa.

La parola carta non è rimasta però limitata ad indicare la materia su cui si scrive o si stampa, ma per un facile trapasso di significato, ha designato i più varî documenti scritti e stampati e i prodotti delle arti grafiche e del disegno.

Così si parla di carte da giuoco (v.), di carte geografiche (vedi cartografia), di carte topografiche (v. topografiche, carte), di carte idrografiche o nautiche (v. nautiche, carte), di carte del cielo (v. cielo: Le carte celesti); di carta da parati (v. arredamento; tappezzeria) e infine di carta moneta (v. circolazione; pagamento).

I varî mezzi usȧti successivamente per la scrittura, prima della carta - tavolette, papiro, pergamena - mantenevano ancora intatta la struttura del materiale greggio dal quale erano state preparate. La carta, invece, quale si fabbrica oggi, non presenta più l'aspetto e i caratteri esteriori delle materie prime fibrose dalle quali essa venne preparata, ha applicazioni svariatissime ed è uno dei più complessi e proteiformi prodotti dell'industria moderna.

La carta è un foglio o un nastro di superficie piana, di diverso spessore, costituito da minutissime fibre disposte irregolarmente una rispetto all'altra, addossantisi e feltrantisi fra loro (fig.1).

I fogli di peso non superiore a 150 grammi per metro quadro e di spessore non superiore a un quinto di millimetro sono detti carta; prendono invece il nome di cartoni e cartoncini i fogli che sono di peso e spessore maggiori.

Storia.

L'invenzione della carta spetta ai Cinesi. Fu appunto il ministro Ts'ai Lun che nel 123 a. C. insegnò a produrre fogli di carta da scrivere dalle fibre del gelso da carta (Broussonetia papyrifera), dall'erba cinese (Boehmeria), dalla canna di bambù, materie prime ancora oggi impiegate in talune località dell'Estremo Oriente. Tipi speciali di carta, costituiti dalle fibre suindicate, sono ancora prodotti e per le loro caratteristiche sono apprezzati.

Nel 610 d. C. sacerdoti inviati in Cina dal re di Corea impararono l'arte di fabbricar carta e dall'impero cinese la trasportarono in Corea e in Giappone. Nel 751 si trovarono a Samarcanda fra i prigionieri di guerra degli uomini che conoscendo la fabbricazione della carta si accinsero subito a produrla. Queste carte di Samarcanda o del Khorāsān erano prodotte da tessuti usati di lino e sostituirono presto gli altri prodotti fino allora impiegati per scrivere. A Baghdād, nel 794-795, sorse una fabbrica di carta che fiorì sino al sec. XV; nel sec. X si fabbricavano a Damasco oggetti artistici con carte speciali assai apprezzate (charta damaschena).

L'arte della fabbricazione della carta si sviluppò sulle coste dell'Africa settentrionale, da dove fu introdotta in Europa. Nel 1154, fors'anche prima, si fabbricava già carta in Spagna e precisamente a Játiva.

Gli Arabi impiegȧvano come materia prima i cenci, particolarmente di lino; sulla tela della forma essi preparavano carta vergata e carta velina (carta velina, denominazione erroneamente data alla carta sottile, è carta a superficie unita che non porta né filigrane né vergature). Il trasporto del foglio dalla forma avveniva secondo il metodo cinese su piastre calde di gesso o su feltri; comunemente si univano due fogli con sostanze collanti dalla parte ruvida, formando la carta a due facce. La fabbricazione della carta era monopolio di Stato e veniva esercitata in case apposite (khāghidkhāneh) procedendo dapprima alla cernita di cenci, alla fermentazione dei cenci cerniti, alla bollitura e alla purificazione mediante lavaggio. La preparazione della pasta avveniva poi nelle pile a maglio, funzionanti idraulicamente, che sono appunto d'invenzione araba.

Nel 1200 esistevano a Fez 400 pile a maglio. Gli Arabi e i Mori erano maestri nel fabbricare carta. La carta comune era bianca e preparata da cenci bianchi; alla pasta da carta veniva aggiunto dell'amido crudo. Si producevano pure carte colorate che avevano un determinato uso a seconda del colore.

In Germania si trovano già tracce della fabbricazione della carta nel sec. XII; artieri specialisti in carta si trovano nel 1356 a Leesdorf in Austria, nel 1380 a Basilea e nella stessa epoca in parecchie scuole di conventi e nelle città sedi di università. In Francia s'iniziò probabilmente la fabbricazione della carta già nel 1248 e una cartiera stirse nel 1350 a Troyes. In Inghilterra, a Stevenage (Hertfordshire), sorse nel 1450 una fabbrica, e più tardi, quando questa andò in rovina, se ne impiantò un'altra a Dartfrd nel 1558. Nei Paesi Bassi si trovano le prime cartiere solo alla metà del sec. XV. Nell'America Settentrionale la fabbricazione della carta venne introdotta solo nel 1690.

Uno dei primi paesi d'Europa nel quale sorse l'industria della carta fu però certamente l'Italia. Il più antico documento su carta dell'Europa è conservato nell'Archivio di stato di Palermo, dove fu scoperto da G. La Mantia. Esso proviene dalla cancelleria dei re normanni di Sicilia, è bilingue, greco-arabo, e risale al 1109 (v. tav. LV). Prima del 1200 risulta essere già in funzione una cartiera sul Reno, a Bologna, esercita da mastro Polese di Fabriano. Due pergamene del 1275 dell'archivio del monastero dei silvestrini di San Benedetto in Fabriano e dieci protocolli che contengono gl'istrumenti dal 1° dicembre 1297 al 14 dicembre 1347, conservati nell'archivio di Fabriano, provano che verso la fine del sec. XII esistevano in quella città diverse cartiere come dimostrano le differenti marche osservate su carte di quell'epoca.

Le cartiere di Fabriano erano a quel tempo 40 circa; un atto notarile del 1320 accenna a 18 contratti di locazione di cartiere in Fabriano. Il rinomato prodotto fabrianese si esportava non solo in Italia ma anche all'estero, ad Alessandria, a Costantinopoli, nelle Fiandre, in Germania. Da Fabriano provennero artefici che in seguito, in diverse parti d'Italia eressero cartiere. Pace da Fabriano fondò nel 1340 due cartiere: una a Padova e l'altra a Treviso; altre ne sorsero poi a Colle Val d'Elsa, Bologna, Genova, Pinerolo e altre città della penisola. Nel suo stemma la città di Fabriano porta il motto giustamente motivato: Faber in amne cudit olim cartam ūndique fudit.

Evoluzione dell'industria. - Sulla tecnica della fabbricazione e sull'aumento della produzione esercitarono grande influsso, in primo luogo, l'invenzione della stampa, in secondo luogo, la grande rivoluzione industriale iniziatasi sulla fine del sec. XVIII. L'enorme aumento del consumo in seguito anche alle nuove applicazioni del prodotto, creò la necessità di accrescere la produzione e d'introdurre sempre nuovi perfezionamenti. In Cina, il lavoro di fabbricazione fu per molti secoli praticato completamente a mano. La trasformazione in pasta dei materiali fibrosi vegetali, del cotone, degli stracci, avvenne dapprima per mezzo di clave di legno con le quali il materiale veniva battuto e ridotto in pasta. Questa lavorazione venne effettuata dagli Arabi in vasche di pietra con pestelli mossi a mano, e poi in molini a mano. S'introdussero poi le pile con ruota idraulica inventata, pare, dagl'Italiani, come risulterebbe da un documento di Norimberga del 1395, nel quale si accenna alla condanna di Italiani e alla loro chiusura nella torre della città, a causa del loro rifiuto di costruire una terza ruota ad acqua con pile per uso di cartiera. Il molino a pestelli (fig. 2) venne poi sostituito dalla pila a cilindro, invenzione degli Olandesi, verso il 1670; da ciò la denominazione di pila olandese. Questa pila venne poi introdotta in tutte le cartiere e nelle linee generali, salvo i miglioramenti apportati nella costruzione e nella forma, è ancora quella usata oggidì.

Per la preparazione del foglio di carta i Cinesi usavano una forma a telaio con staccio di filamenti di bambù; questa forma si mutò poi in Europa in uno staccio a fili metallici, come è ancora oggi in uso nella fabbricazione della carta a mano. La crescente richiesta di carta, di molto superiore alla produzione, fece poi rivolgere gli studî alla ricerca dei mezzi atti a sostituire il lento lavoro a mano, con quello meccanico, più rapido. Da queste ricerche sorsero la macchina continua in piano e la macchina a tamburo che sostituirono la "forma" del lavoro a mano.

La macchina continua in piano venne inventata dal francese Luigi Nicola Robert, capo operaio nella cartiera Didot a Essonnes, poco distante da Parigi. Il primo esperimento venne fatto nel 1798 e il Robert ebbe nel 1799 in premio dal governo francese la somma di lire 8000 e la privativa per 15 anni. Il Didot acquistò il brevetto per 25 mila lire e trasferitosi in Inghilterra, per le condizioni della Francia d'allora, ottenne colà nel 1801 e nel 1803 i hrevetto inglese che cedette ai fratelli Fourdrinier. La macchina venne costruita dall'ingegnere Bryan Donkin e installata nel 1803 in una cartiera nei pressi di Dartford. Una seconda macchina venne messa in funzione nel 1804 nella cartiera di Two Waters (Hertfordshire). I primi risultati furono poco felici e i fratelli Fourdrinier col loro socio Gamble fallirono nel 1808, dopo aver trasportata nella loro cartiera di St. Neots la seconda macchina dalla cartiera di Two Waters e installata una terza. Questa si può considerare come la prima che sia rimasta effettivamente in esercizio. Il Donkin vi introdusse parecchi perfezionamenti. Egli costruì 13 macchine sino al 1813 e nel decennio seguente altre 25. La macchina primitiva non comprendeva la parte secca, cioè l'odierna batteria degli essiccatori. Il nastro continuo di carta che usciva dalla cosiddetta parte umida della macchina veniva tagliato umido in fogli che si asciugavano all'aria analogamente alla carta a mano. Gli essiccatori furono introdotti nel 1822 applicando alla macchina dei cilindri di rame, riscaldati a fuoco diretto, allo scopo di asciugare il nastro continuo di carta che veniva poi innaspato. Alcune delle macchine del Donkin furono installate a Berlino nel 1818, in Francia per varie fabbriche tra il 1822 e il 1825; nel 1826 negli Stati Uniti.

La macchina originaria di Robert, comprendente solo la parte umida con tela di esigua larghezza, marciante alla velocità di pochi metri al minuto, venne gradatamente perfezionata. Si è detto dell'aggiunta dei cilindri essiccatori, riscaldati dapprima a fuoco diretto, poi a vapore. Alla parte umida, cioè alla parte portante la tela sulla quale stramazza la pasta che si trasforma in carta per eliminazione dell'acqua, furono pure introdotti parecchi miglioramenti, quali l'aggiunta, fatta nel 1826 dal francese Canson, delle cassette aspiranti per facilitare l'eliminazione dell'acqua e permettere di conseguenza una maggior velocità di marcia della macchina. Il Donkin inventò nel 1833 i cilindri premitori allo scopo di eliminare le impressioni lasciate dalla tela e di ottenere una superficie liscia della carta. Nel 1840 il De Bergue introdusse i separa-sabbia per eliminare dalla pasta le impurità pesanti e verso il 1845 venne inventato dai fratelli Breton il tamburo lavoratore.

Mentre le prime macchine marcianti a bassissima velocità producevano un quantitativo esiguo di carta, nel 1881 la ditta Voith di Heidenheim esponeva già una macchina di larghezza di tela di cm. 204 con 5 cilindri essiccatori di 1400 mm. di diametro, 1 essiccafeltro, una velocità di marcia di 30 m. al minuto e una produzione di circa 6000 kg. nelle 24 ore. Oggi si costruiscono macchine con una tela della larghezza da 5950 sino a 6050 mm. e velocità di marcia di 300 m. al minuto, con 36 cilindri essiccatori di 1800 mm. di diametro, 6 essiccafeltri e 1 cilindro raffreddatore. La lunghezza di tali macchine è di 100 metri e più e la produzione di carta da giornale può raggiungere nelle 24 ore 150.000 kg. Queste macchine sono mastodontiche e fra le più complesse in uso nelle industrie manifatturiere moderne.

Quasi contemporaneamente alla macchina continua in piano veniva ideata la macchina in tondo, nella quale, invece che su di una tela continua disposta orizzontalmente, la pasta si deposita sulla superficie di un cilindro ricoperto da una tela metallica. L'invenzione è attribuita a Michael Leistenschneider di Saarlouis (1797); nel 1805 Joseph Braham di Londra progettava una macchina consimile ma solo verso il 1810 essa venne introdotta in Inghilterra da Dickinson: Questa macchina fu poi destinata alla fabbricazione delle carte dette a mano-macchina, categoria intermedia fra le carte a mano, o al tino, e le carte a macchina.

Se i progressi della meccanica apportarono grandissimi perfezionamenti nei macchinarî usati per la trasformazione delle materie prime fibrose in carta, la chimica non meno concorse allo sviluppo della fabbricazione della carta. Fra le scoperte chimiche che ebbero una ripercussione nell'industria cartaria, è degna di nota quella del cloro fatta da Scheele nel 1774, e la sua applicazione all'imbianchimento dello straccio avvenuta nel 1794 per merito di Berthollet. Fino allora si usavano solamente gli stracci bianchi, l'adozione del cloro permise l'uso di stracci colorati. E quando lo straccio non fu più in quantità tale da sopperire al crescente fabbisogno di carta, le ricerche chimiche permisero di ricorrere ad altre materie fibrose, quali il legno la paglia e altri materiali vegetali, per la preparazione delle paste chimiche o cellulose.

Fra i succedanei dei cenci acquistò grande importanza la pasta meccanica di legno, la cui preparazione venne ideata da G. Keller di Hainichen. in Sassonia nel 1845. Già nel 1765, lo Schäffer di Ratisbona, nell'intento di trovare dei succedanei ai cenci, studiò il trattamento della paglia, del legno, dell'ortica e di diverse altre piante per ricavarne fibre atte per carta. Solo però verso la metà del sec. XIX si ebbe nel campo dei succedanei una vera rivoluzione.

Sin dal 1820 la paglia di grano trovò applicazione pratica. Si introdusse in seguito l'impiego della pasta meccanica di legno, per la cui preparazione il Voelter di Heidenheim perfezionò il macchinario. Gli studî furono poi rivolti all'estrazione della cellulosa dal legno, cioè alla preparazione della pasta chimica che, a differenza della pasta meccanica non contenesse più le sostanze incrostanti del legno. Coupier e Mellier inventarono nel 1852 il processo alla soda; nel 1866 l'americano Thilgman ideò il processo al bisolfito, perfezionato poi da Ekman e da Mitscherlich. Questi due procedimenti trovarono vasta applicazione, ed i vari tipi di cellulosa che attualmente si usano costituiscono una delle principali fonti di materie prime fibrose dell'industria della carta. Altri procedimenti furono in seguito studiati, e la tecnica apportò notevoli perfezionamenti ai procedimenti principali con migliorie nel prodotto e aumento di produzione.

Gli studî sono ora particolarmente rivolti alla ricerca di altri vegetali atti a dare pasta da carta, poiché il problema della materia prima si impone nel timore che anche le riserve disponibili di legname da carta abbiano fra alcuni decennî ad esaurirsi.

Fra i progressi dovuti alla chimica è da segnalare pure quello assai importante dovuto alla scoperta fatta dall'Illig di Erbach (Odenwalde) della collatura in pasta. Per dare alla carta il dovuto grado d'impermeabilità, la cosiddetta collatura avveniva in altri tempi in foglio; passando cioè il meglio di carta in un bagno di colla animale che si distribuiva alla superficie delle due facce del foglio e che, dopo essiccamento, rendeva la carta collata e atta a ricevere la scrittura senza che l'inchiostro si spandesse. Questo metodo di collatura, detto superficiale o in foglio, ancora praticato per certi tipi di carta, venne poi sostituito quasi completamente da quello più economico dovuto appunto alla scoperta di Illig, consistente nel collare la carta già durante la fabbricazione. Si aggiunge cioè alla pasta una soluzione o emulsione acquosa di sapone di resina o colofonia e si precipita quindi con solfato di alluminio la resina, sostanza collante che ad essiccamento graduale forma un leggerissimo strato avvolgente le singole fibre, capace di dare il necessario grado d'impermeabilità. Questo metodo di collatura, detto in pasta o alla resina, si è generalizzato ed è quello che nelle linee principali è ancora adottato in tutte le cartiere del mondo.

Fabbricazione.

Le materie prime che s'impiegano nella fabbricazione della carta possono essere suddivise in quattro grandi gruppi:

1. Materie fibrose, che costituiscono il materiale principale e indispensabile per la carta.

2. Materie collanti, usate per impartire alla carta un determinato grado d'impermeabilità secondo l'uso a cui la carta deve servire.

3. Materie di carica, impiegate non già per dare peso alla carta, come per lo più si ritiene, ma per impartire determinati requisiti alle carte adibite più specialmente alla stampa.

4. Materie coloranti, usate per correggere il fondo delle carte o per la preparazione delle carte colorate.

Mentre le materie del primo gruppo costituíscono sempre la parte essenziale della carta, quelle degli altri gruppi sono o no impiegate secondo il tipo di carta da produrre. Altre materie possono inoltre essere impiegate per ottenere in carte speciali determinati requisiti. La fabbricazione odierna della carta comprende diverse fasi di lavorazione, e cioè:

a) preparazione delle mezze paste secondo un diagramma di lavorazione che varia col variare del materiale fibroso dal quale si parte;

b) preparazione della tutta pasta o pasta raffinata e formazione degl'impasti;

c) fabbricazione della carta;

d) allestimento della carta.

Preparazione delle mezze paste. - Le mezze paste sono costituite da fibre separate fra loro, ottenute dalle diverse materie prime sottoposte a lavorazioni speciali, fibre che, però, non sono ancora isolate completamente fra loro, né in uno stato tale di divisione da essere atte alla formazione del foglio di carta. Devono quindi essere ancora sottoposte a un'ulteriore lavorazione meccanica, cioè alla raffinazione (v. oltre).

Le mezze paste vengono preparate dai materiali fibrosi, principalmente da:

1. cenci, cordami, ritagli e cascami delle industrie tessili;

2. legno di piante aghifoglie e a foglie espanse dal quale si preparano, a seconda della qualità del legname, tre prodotti sotto forma di mezze paste, considerati come materie prime per carte e succedanei alle mezze paste dei cenci: a) pasta meccanica comune; b) pasta bruna; c) cellulosa o pasta chimica;

3. paglia di diverse qualità dalla quale si prepara pasta gialla e cellulosa;

4. sparto stipa (alfa) e sparto lygeum (sparto propriamente detto) dai quali si prepara la cellulosa;

5. altri vegetali più raramente usati (canna palustre, bambù, ramié, ginestra, ecc.);

6. ritagli di carta o cartaccia.

Cenci. - I cenci, alcuni decennî or sono, costituivano ancora la materia prima fibrosa più importante. Essi sono molto apprezzati per la fabbricazione della carta perché, tranne i cenci di iuta, sono composti, nelle condizioni normali, da fibre la cui cellulosa (che ne è il costituente essenziale) è resistente agli agenti idrolitici e ossidanti e offre quindi la maggior garanzia d'inalterabilità.

Il diagramma di lavorazione per la trasformazione dei cenci in mezza pasta è il seguente: apertura delle balle; battitura e spolveratura; cernita e taglio ìn grosso; tagliatura; seconda spolveratura; lisciviatura; lavatura; sfilacciatura o trasformazione in mezża pasta; imbianchimento.

I cenci, acquistati da grandi commercianti che li incettano e li sottopongono a una prima cernita grossolana, arrivano alla cartiera in balle fortemente compresse che vengono depositate nel magazzino cenci. Questo è posto comunemente al piano più elevato dello stabilimento e deve essere ben aereato. Accanto ad esso sono i locali per l'apritura delle balle e per la battitura o spolveratura, che rende innocuo alle operaie il lavoro di cernita.

La battitura avviene con speciali macchine costituite da un tamburo cilindrico esterno di lamiera forata o rivestito di tela metallica, entro cui gira un secondo tamburo munito di denti che sbattono i cenci contro le pareti interne del primo, sulle quali sono pure fissati dei denti. Le particelle più pesanti passano attraverso la lamiera forata o le maglie della tela, e il pulviscolo più leggiero viene assortato da un ventilatore e portato generalmente in una camera della polvere dove, per mezzo di filtri, si possono ricuperare tutte le fibre eventualmente aspirate con la polvere. Queste macchine, costituite per lo più da due o tre tamburi, operano in continuo; i cenci da pulire vi entrano per mezzo di una tela senza fine che gira su rulli, e dopo la battitura sui tamburi escono dall'altra parle puliti.

I cenci spolverati passano poi alla sala della cernita dove sono separati a seconda della natura, qualità, grossezza, colorazione, grado di sudiciume e grado di logoramento delle fibre. La cernita è indispensabile; essa ha lo scopo di ottenere una pasta omogenea senza perdite eccessive di fibre, dovendo i cenci essere trattati in condizioni differenti secondo la loro qualità. I cenci impiegati nella fabbricazione della carta sono comunemente quelli vegetali e nella cernita avviene una suddivisione in diverse categorie o qualità secondo i concetti suindicati (cenci di cotone, di lino, di canapa, di iuta, greggi e colorati, puliti e sporchi, grossi e fini, cordami varî, ecc.). La classificazione varia da paese a paese non solo, ma anche da cartiera a cartiera in relazione alla finezza dei tipi di carta che si producono. Si può giungere sino a 60 e più categorie.

La cernita viene effettuata da operaie che procedono contemporaneamente, a mano, a una prima tagliatura all'ingrosso. Questa taġliatura vien fatta per mezzo di lame fissate al tavolo da lavoro, un po' curve a guisa di falce e con la parte non tagliente rivolta verso l'operaia. I cenci vengono tagliati tendendoli dal basso all'alto contro la lama del coltello. Durante la cernita sono separate ed eliminate tutte le parti non fibrose. Attorno ai tavoli di cernita rettangolari, di mq. 1 circa di superficie, con ripiani di rete metallica, sono disposte tante casse quante sono le qualità di cenci della partita in lavorazione. La polvere viene aspirata e portata in camere apposite.

Dopo la cernita i cenci sono tagliati in pezzi quadrati o rettangolari di dimensioni ìl più possibile uniformi (30 × 50 mm.), per evitare che i più grossi abbiano ad avvolgere i più piccoli e a sottrarli quindi all'azione degli agenti liscivianti. La tagliatura si fa generalmente con macchine di costruzione assai varia, cioè a coltelli con movimento rotativo, a coltelli elicoidali, a ghigliottina, con cesoie circolari, ecc. I cenci, spinti sotto le lame a coltelli per mezzo di rulli scanalati o di tele senza fine, escono tagliati dall'altra parte della macchina.

Eseguita la tagliatura, in alcune cartiere che producono tipi finissimi si procede a una seconda cernita. Ad un'eventuale seconda battitura segue l'operazione della lisciviatura. È questa una delle operazioni più importanti; da essa dipende essenzialmente la qualità delle paste che si ottengono. La lisciviatura è un procedimento chimico che ha lo scopo di liberare le fibre dalle impurità nonché di trasformare, nei cenci colorati, le sostanze eoloranti in composti facilmente eliminabili e di ottenere così con la successiva sbianca una pasta bianca. Con questa operazione si eliminano anche le sostanze d'appretto e altre materie eventualmente presenti. Alcune possono essere eliminate per semplice trattamento con acqua; altre invece, quali le sostanze oleose, grasse, resinose, catramose, ecc., debbono essere trasformate in composti solubili mediante trattamenti alcalini. I cenci inoltre si rammolliscono in modo da facilitare la sfilaciatura. Gli agenti chimici comunemente impiegati sono il carbonato sodico, la soda caustica e la calce. La scelta del reagente, la concentrazione, la durata d'azione e la pressione dipendono dalla qualità dei cenci da trattare. Il procedimento più usato, salvo casi speciali in cui occorrono trattamenti più energici, è quello alla calce. La quantità di calce da impiegare dipende dalla qualità dei cenci e della calce stessa, e varia da 3 a 15 kg. per 100 kg. di cenci. S'impiega il cosiddetto latte di calce dal quale, prima dell'introduzione nel bollitore, si separano le impurezze mediante passaggio ai setacci. Questo processo è il più economico.

La cottura o lisciviatura dei cenci avviene in appositi recipienti di lamiera cilindrici o sferici, fissi o rotativi, riscaldati a vapore e detti bollitori o lisciviatori. La scelta del bollitore dipende dalla soluzione lisciviante che si impiega.

In genere sono da preferirsi, salvo casi speciali, i bollitori rotativi, particolarmente poi nel trattamento alla calce, perché la liscivia si mantiene in continuo contatto col materiale fibroso e perché, formandosi con la calce dei saponi insolubili, questi, mantenendosi continuamente in agitazione mediante la rotazione del bollitore, rimangono in sospensione e allo scarico della liscivia, mantenendo sempre in rotazione il bollitore, si eliminano facilmente. La forma preferibile è quella sferica (fig. 3). I bollitori rotativi sono comandati da una vite perpetua o da coppie di ruote dentate; la velocità di rotazione è molto lenta, da ½ a 1 giro al minuto il bollitore rotativo in lamiera giace con due pernî cavi A e B su due supporti e può farsi ruotare con la coppia elicoidale DC per mezzo di cinghia. I passi d'uomo E F servono per il carico e lo scarico e si chiudono con i coperchi R che sono fermati con le viti T. All'interno del bollitore sono disposti dei bracci G che smuovono i cenci durante la rotazione. I pernî A e B servono per l'introduzione e scarico della soluzione e per l'immissione e scarico del vapore; essi sono cavi e nella cavità passano due condotti distinti che mettono capo nell'interno ai tubi H I; dal tubo I passa il vapore proveniente dalla valvola K: il tubo H comunica col robinetto d'aria L, la valvola di sicurezza A e il manometro M. Dal pernio destro mediante tubi appositi viene introdotta la soluzione in N col tubo diretto in alto, mentre lo scarico della soluzione e del vapore avviene in O col tubo diretto in basso. Dal rubinetto P avviene, a operazione finita, l'eliminazione completa della liscivia, quando nella rotazione si trova al basso. Le lamiere forate Q impediscono che i cenci otturino le bocche dei tubi. Questi bollitori sono di un contenuto medio di 20-30 quintali; la durata di cottura dipende dalla qualità dei cenci, dall'agente lisciviante e sua concentrazione, e dalla pressione. Essa varia da 3 a 6 ore. La pressione varia da 1 ½ a 3 atmosfere.

Per facilitare il carico dei cenci i bollitori sono disposti al disotto del magazzino cenci puliti, dal quale, per mezzo di botole corrispondenti al passo d'uomo dei bollitori, s' introducono i cenci che sono poi distribuiti uniformemente nel bollitore da un operaio. Caricato il bollitore, s'introduce per lo stesso passo d'uomo la liscivia preparata in un locale pure superiore a quello dei bollitori. Il passo d'uomo viene poi chiuso ermeticamente e dal tubo apposito s'introduce l'acqua fino a riempire i 2/3 circa del bollitore lasciando aperta la valvola posta nel punto più alto. La cottura avviene a vapore diretto che viene immesso lasciando in princip-o aperta una valvola che si chiude quando l'aria è scacciata completamente. Si fa quindi girare il bollitore continuando l'immissione del vapore che, dopo un certo tempo dipendente dalla qualità dei cenci da trattare, viene sospesa lasciando però la massa a macerare ancora nel bollitore che continua a girare. Dopo un dato tempo si aprono gli appositi rubinetti scaricando prima il iapore e poi la liscivia. Fermato quindi il bollitore si aprono i passi d'uomo e si scaricano i cenci lasciati su un suolo a fondo inclinato su cui la liscivia si separa dalla massa.

I cenci ben lisciviati sono morbidi e si lasciano facilmente sfibrare. La liscivia rimasta ancora nei cenci, dopo lo scarico, si elimina con un lavaggio che è per lo più effettuato in apposite vasche lavatrici della forma delle cosiddette pile olandesi: ve ne sono diversi tipi che, a seconda dell'uso cui devono servire, si differenziano notevolmente nei particolȧri. Si hanno così le olandesi lavatrici, le olandesi sfilacciatrici per la preparazione della mezza pasta, le olandesi di sbianca, le olandesi raffinatrici per la preparazione della tutta pasta e infine le olandesi mescolatrici.

L'olandese lavatrice è costituita da una vasca della stessa forma dell'olandese sfilacciatrice; in essa i cenci immersi in acqua circolano continuamente mediante appositi agitatori. L'acqua sporca si elimina mediante appositi tamburi lavatori coperti di tela metallica che pescano nella massa circolante, ed è continuamente sostituita con nuova acqua. Il lavaggio continua fino a che l'acqua non esca pulita dai tamburi lavatori.

Al lavaggio segue l'importante operazione meccanica della sfilacciatura: essa ha lo scopo di separare le fibre trasformando lo straccio in pasta, distruggendo cioè il lavoro fatto dal filatore e dal tessitore. Per la preparazione della pasta si usava anticamente la pila, o mulino, a pestelli (fig. 2), detta anche follo, costituita da pesanti martelli di legno guerniti di ferro che, alzati alternatamente mediante apposito dispositivo, cadevano in un truogolo il cui fondo era anche armato di metallo e nel quale lo straccio bagnato sottoposto alla battitura si trasformava a poco a poco in pasta o pesto come si diceva anticamente. In ogni truogolo lavoravano più martelli, in generale quattro. Il nome di pila fu poi dato anche alla nuova macchina introdotta per la preparazione della pasta, cioè la pila a cilindro o pila olandese.

La pila olandese sflacciatrice (fig. 4) è costituita da una vasca di forma analoga a quella dell'olandese lavatrice, cioè da una tasca ovale A, divisa in due da una tramezza lunga quanto la parte rettilinea della vasca e che forma così un canale anulare. In uno degli scomparti formati dalle tramezze è montato un cilindro H armato su tutta la circonferenza di lame d'acciaio della lunghezza del cilindro, più o meno affilate, sporgenti dal cilindro circa 5 centimetri e di numero vario secondo il diametro del cilindro. Sotto il cilindro si ha una corsia o gola che abbraccia il cilindro operatore concentricamente per circa 1/6 della sua periferia; il fondo si alza dolcemente e dove è quasi tangente al cilindro porta un sistema di lame d'acciaio quasi parallele a quelle del cilindro. Questo blocco D di lame fisse sul fondo della vasca è detto platina. Il fondo della vasca, dopo la platina, continua ad alzarsi fin quasi sull'orlo della vasca, e scende poi rapidamente formando un salto fino a raggiungere il livello normale del fondo. Il cilindro operatore è spostabile in guisa da variare la distanza fra le sue lame e quelle della platina; esso è coperto superiormente da un cappello di legno N per impedire la fuoruscita della pasta proiettata durante la rotazione. In vicinanza della platina è praticata sul fondo dell'olandese una cavità coperta da una lamiera forata B destinata a trattenere la sabbia e le altre materie pesanti. Nell'olandese sfilacciatrice stessa si può far avvenire la lavatura e in questo caso, parallelamente al cilindro operatore, e nell'altro scomparto, si trovano 1 o 2 tamburi lavatori L. Sul fondo della vasca si trovano le valvole F per lo scarico e un'altra G più piccola per le acque di lavaggio dell'olandese. In questa olandese sfilacciatrice, col movimento rotativo del cilindro, lo straccio messo con molta acqua nella vasca circola continuamente passando replicatamente Íra le lame del cilindro e quelle fisse della platina, sicché esso è sottoposto a un'azione meccanica che districa completamente i fili del tessuto, fino a formare la mezza pasta, costituita da fibre separate fra loro, ma non ancora in maniera sufficiente per la trasformazione in carta. Le olandesi sfilacciatrici contengono comunemente da 50 a 100 kg. e anche più di cenci; la sfilacciatura avviene in 3-8 ore.

In generale, anche se i cenci sono già stati lavati, si effettua nella sfilacciatrice, prima d'iniziare la vera operazione della sfilacciatura, una seconda lavatura. Quindi si sospende l'immissione dell'acqua, si alza il tamburo lavatore e si abbassa a poco a poco il cilindro operatore sulla platina finché le punte delle lame quasi si toccano. Quando la massa è omogenea e non vi sono più tracce di tessuto, la sfilacciatura è ultimata; la mezza pasta così preparata viene scaricata dalla sfilacciatrice e portata per meżzo di apposite tubature al deposito delle mezze paste oppure alle olandesi di sbianca. L'olandese viene oggi lavata con acqua e dall'acqua di lavaggio, depositata, si ricuperano le fibre in essa contenute.

Prima di procedere alla sbianca, la pasta viene talvolta diluita con acqua e mescolata uniformemente in appositi bacini; la pasta così diluita è fatta scorrere in canali detti separa-sabbia nei quali, sul fondo, si depositano le impurità. Dopo il passaggio in questi canali la pasta è sottoposta generalmente alla sbianca. Questa operazione si effettua talvolta nell'olandese sfilacciatrice stessa, oppure, come nelle nostre cartiere, nell'olandese speciale d'imbianchimento, nella quale la pasta viene scaricata dalla sfilacciatrice, previo passaggio al separa-sabbia.

Per mezzo della lisciviatura e susseguente lavatura si eliminano o si decompongono le impurità dei cenci: restano però ancora residui d'impurità e prodotti di trasformazione delle sostanze coloranti. Per ottenere una pasta bianca adatta per la fabbricazione di carte bianche o colorate a tinte chiare, occorre sottoporre la pasta al processo d'imbianchimento anche se essa proviene da cenci bianchi. Per l'imbianchimento viene impiegato generalmente il cloro sotto forma di ipoclorito di calcio o di sodio oppure più raramente in forma di gas. Si usarono altri agenti ossidanti quali l'ozono, l'acqua ossigenata, il permanganato, ma, salvo casi speciali, come p. es. per cenci molto scuri, per i quali si può convenientemente impiegare un metodo misto all'ipoclorito e al permanganato, tali ossidanti non hanno ancora sostituito il cloro. L'imbianchimento al cloro gas è poco usato in Italia; pure raramente usata è l'acqua di cloro.

Il metodo generalmente seguito è quello al cloruro di calcio, sciolto in acqua in determinate proporzioni. La soluzione, dopo decantazione, viene aggiunta in determinate quantità alla pasta diluita con acqua contenuta nell'olandese. Le olandesi per l'imbianchimento sono di varia grandezza e costruite in modo da permettere una perfetta circolazione della pasta. Sono della stessa forma di quelle già descritte e hanno al posto del cilindro operatore e della platina una ruota a palette per mescolare e far circolare la pasta. Ciò si ottiene anche mediante un'elica in bronzo fosforoso (inattaccabile dal cloro a differenza del ferro), che nelle olandesi moderne a tre scomparti mantiene la pasta in continuo movimento: la pasta si ripartisce dal mediano in due canali esterni dai quali passando poi sotto l'elica viene immessa nuovamente nel canale mediano. Alle olandesi imbiancatrici sono annessi in generale uno o due tamburi lavatori innalzabili e abbassabili. Queste olandesi sono per lo più costruite in cemento con rivestimento di piastrelle di porcellana.

Il locale delle olandesi imbiancatrici si trova comunemente al piano sottostante a quello delle sfilacciatrici; il locale dellȧ preparazione della soluzione di cloruro di calcio deve essere superiore a quello delle pile imbiancatrici in modo che la soluzione scenda direttamente dalle vasche di decantazione mediante tubazioni di piombo. La preparazione della soluzione deve avvenire in locali distanti da quelli delle macchine perché queste non vengano deteriorate dal cloro.

In questi ultimi anni si è introdotto in alcune cartiere, specialmente in quelle che dispongono di energia elettrica a basso prezzo, l'imbianchimento elettrico. La sbianca elettrolitica consiste nell'azione di una soluzione di ipoclorito sodico preparata dalla decomposizione elettrolitica della soluzione di cloruro sodico in appositi apparecchi detti elettrolizzatori, costruiti secondo diversi sistemi. Le soluzioni elettrolitiche offrono dei vantaggi sia per la loro azione più energica sia per la preparazione più igienica; e il loro uso è conveniente quando il costo non è di molto superiore a quello delle soluzioni di cloruro di calcio, a parità di cloro attivo.

La pasta imbianchita passa poi alle celle di sgocciolamento, costituite comunemente da camere con pareti di cemento o rivestite di piastrelle, e fondo composto di mattonelle filtranti, cioè provviste di piccoli fori conici con l'apertura stretta all'interno. La pasta scaricata in queste celle subisce ancora ulteriormente l'azione della soluzione sbiancante che si scarica dai fori delle mattonelle del fondo.

Prima di essere ulteriormente impiegata, la mezza pasta imbianchita viene lavata per eliminare completamente il cloro, l'acido e le altre sostanze che possono portare inconvenienti in fabbricazione e produrre deterioramento della carta. Alcune volte per avere la certezza dell'eliminazione del cloro e dell'acido rimasti ancora nella pasta si ricorre all'iposolfito e al bisolfito sodico ("anticlori").

La lisciviatura degli stracci e l'imbianchimento della mezza pasta purificano la fibra; occorre però effettuare queste operazioni in determinate condizioni a seconda della qualità dello straccio, per ridurre al minimo l'alterazione e le perdite di fibre. Una perdita si ha sempre, proveniente anche dalla lavatura e dalla sfilacciatura. Il calo può variare dal 15% per stracci bianchi e puliti, sino al 50% per stracci molto sporchi e colorati.

Non sempre gli stracci sono sottoposti ai trattamenti chimicì di lisciviatura e imbianchimento. Sono omessi p. es. questi trattamenti chimïci per stracci che devono servire per carte e cartoni andantissimi, stracci blu e rossi da impiegarsi per carte assorbenti colorate in blu e rosso, e talvolta anche per stracci bianchi o crema molto puliti da usarsi per carte che devono essere conservate a lungo e per le quali la fibra deve mantenere le sue pmprietà fisico-meccaniche originali. Alle mezze paste preparate lavorando gli stracci separatamente per ogni qualità, e che hanno proprietà diverse a seconda della qualità dello straccio e del modo di lavorazione, il fabbricante ricorre usandole da sole o mescolate con altre mezze paste e altri prodotti per fabbricare i diversi tipi di carta.

Oltre ai cenci, tra le materie prime fibrose alle quali si può ora ricorrere per ottenere un prodotto atto ad essere impiegato nella fabbricazione della carta tiene il primo posto il legno, dal quale, secondo i metodi di fabbricazione, si ottengono la pasta meccanica di legno, la pasta bruna e la pasta chimica o cellulosa.

Pasta meccanica di legno. - Questo prodotto è al giorno d'oggi uno dei più importanti e più estesamente impiegati nella fabbricazione della carta. Esso si ricava dal legno per mezzo di un trattamento puramente meccanico e contiene quindi tutti i costituenti originali del legno stesso, alcuni dei quali sono facilmente alterabili all'azione dell'aria e della luce.

Oltre a essere facilmente alterabile, la pasta meccanica, costituita com'è da fibre rigide e rotte per effetto della sfibratura, non può essere impiegata per carte che devono essere conservate e offrire quindi garanzia di lunga durata, ma è molto indicata per i tipi di carta da stampa (principalmente carta da giornale) e da scrivere, di grandissimo consumo. L'introduzione dell'uso della pasta meccanica di legno, di mite prezzo rispetto alla pasta di cenci e altre paste fibrose, ha permesso l'enorme diffusione dei giornali per i quali il consumo di carta va sempre aumentando.

Già nel 1765, come si è detto, lo Schäffer di Ratisbona descrisse in una sua opera i risultati delle sue ricerche sull'utilizzazione del legno. L'inventore però della preparazione della pasta meccanica di legno è il Keller di Hainichen. Il costruttore Voelter, che acquistò il brevetto Keller, perfezionò poi nel 1846 il procedimento di fabbricazione che subì in seguito altri notevoli perfezionamenti.

I legni più comunementi impiegati sono l abete e il pioppo: questo ultimo è il più usato nel nostro paese e l'opera delle cartiere da una parte e del governo dall'altra, mira specialmente in questi ultimi anni a incoraggiarne in varî modi la coltivazione. La varietà più usata da noi per la sua facilità di acclimatazione, per la rapidità del suo sviluppo e per la qualità del suo legno è il pioppo del Canada (Populus canadensis). L'abete è anche usato su vasta scala, particolarmente nei paesi scandinavi.

Per la preparazione della pasta meccanica i tronchi vengono dapprima segati con le comuni segatrici circolari, preferibilmente a pendolo. Si procede poi alla scortecciatura (figg. 6 e 7) per lo più con macchine apposite; quindi avviene la spaccatura mediante macchine spaccatrici composte da una scure meccanica comandata dall'alto come un maglio che scendendo dall'alto al basso, a ghigliottina, fende il tionco. Un trapano comune serve poi per l'eliminazione dei nodi e di tutte le parti che potrebbero nuocere alla purezza del prodotto.

I pezzi di legno così preparati sono portati con diversi mezzi al reparto di sfibratura. Questa è fatta da macchine o sfibratori (fig. 8) il cui organo operatore è costituito da una mola di pietra arenaria bianca o gialla, di grana e di finezza corrispondente al grado di finezza che si vuole ottenere nella pasta da produrre. La mola, di metri 1-1,50 di diametro e di vario spessore (50 cm. e più), è posta meccanicamente in rapida rotazione (circa 150 giri al minuto); essa è tutta coperta dall'intelaiatura della macchina che porta su una parte della periferia da 3 a 5 e anche più cassette entro le quali l'operaio colloca i pezzi di legno. Le mole sono più spesso ad albero orizzontale che verticale. La base delle cassette forma il piano di periferia della mola; contro questo piano i pezzi di legno sono pressati meccanicamente per mezzo di ruote e aste dentate. Il legno così pressato contto la mola viene come grattugiato e si trasforma in pasta. Non appena il legno di una cassetta è sfibrato e questa si vuota, l'operaio, avvisato da un'apposita suoneria, la carica di nuovo legno senza però arrestare il funzionamento della macchina. Lo scarico della pasta avviene per mezzo di una corrente continua d'acqua la quale ha anche lo scopo di tenere pulita la mola e di abbassare la temperatura nell'interno delle cassette. L'acqua viene immessa in quantità diversa secondo che s'intende preparare la pasta a freddo, o a caldo. Pasta e acqua dallo sfibratore cadono in un bacino e di qui sono portate agli apparecchi classatori.

Per aumentare la produzione e diminuire il costo di mano d'opera venne ideato uno sfibratore detto a magazzino (fig. 9). Esso è costituito da una larga mola del maggior diametro possibile, compatibile con la resistenza dell'arenaria e con la velocità alla quale deve funzionare; la mola è fiancheggiata da due presse le cui cassette sono alimentate automaticamente e alternativamente, quando si sono vuotate, da un grande magazzino superiore che può occupare anche diversi piani del fabbricato e contenere un carico di legno per 10 ore di lavoro. Le due presse lavorano contemporaneamente ma sono sfalsate in modo da evitare che le cassette si vuotino nello stesso momento. Questi sfibratori a magazzino sono di diversa grandezza, consumano da 250 a 1000 HP e possono produrre sino a 100 q. di pasta secca nelle 24 ore.

Un altro sfibratore introdotto recentemente è lo sfibratore verticale a magazzino e a presa unica con pressione continua a catena (fig. 10), che ha trovato grande applicazione per ogni tipo e formato di legname, con una potenza da 200 a 2000 HP. Esso è composto in massima di una incastellatura fissa nella cui parte inferiore è racchiusa la mola; di una gabbia in cui viene caricato il legname dall'alto. Su ciascuno dei due lati esterni di essa, parallelamente all'asse della mola, una coppia di catene senza fine ruota lentamente attorno ad appositi alberi comandati da ingranaggi e catene mosse a loro volta da un minuscolo motore a olio con relativa pompa di pressione. Questo intero corpo può essere sollevato e abbassato mediante un meccanismo semplicissimo comandato da un volantino a mano. Il tutto è comandato da motore elettrico, o turbina, ecc., generalmente per accoppiamento diretto sull'albero della mola. Le catene laterali di pressione portano ad ogni anello un segmento articolato che, giunto alla sommità, si rovescia premendo il legname caricato dall'alto.

La pasta proveniente dagli sfibratori contiene sempre delle schegge che devono essere separate e ulteriormente sminuzzate; la cernita avviene con apparecchi speciali detti classatori; sono in uso classatori piani e classatori cilindrici rotanti nei quali la pasta passa attraverso setacci. I classatori piani sono costituiti da tre setacci posti l'uno sotto l'altro, montati su aste di legno, a fori di diametro sempre minore, leggermente inclinati, mossi per mezzo di un eccentrico con moto sussultorio. Lo staccio superiore riceve la pasta che esce dallo sfibratore e trattiene la pasta più grossa e le schegge che cadono in apposita vasca; la parte di pasta che non passa dal secondo setaccio va ai raffinatori ai quali perviene anche quella che non passa al terzo setaccio. La pasta più fina prosegue incanalata sino al pressa-pasta o macchina condensatrice. Come apparecchi classatori sono impiegati anche dei buratti cilindrici rotanti.

I raffinatori sono macchine simili alle macine comuni di pietra arenaria o di lava, in cui si muove o la pietra superiore o l'inferiore. Le pietre sono provviste di solchi a sezione triangolare che vengono di quando in quando ripristinati a mano. Dai raffinatori la pasta passa di nuovo ai classatori nei quali si separa la parte non ancora sufficientemente raffinata. Se la pasta viene impiegata nella stessa cartiera nella quale è prodotta, la si manda alle vasche di sgocciolamento che servono anche di deposito. Se invece si deve conservare per un tempo relativamente lungo e si deve trasportare, si elimina buona parte dell'acqua preparando o pasta umida (40 al 60% di acqua) o pasta secca (10-12% di acqua).

L'eliminazione dell'acqua avviene per mezzo degli spremitori o pressapasta, specie di macchine a tamburo come quella che sarà descritta nella fabbricazione della carta alla macchina in tondo. Il tamburo rivestito di tela metallica passa e ruota in un tino nel quale si trova la pasta; una leggera aspirazione fa sì che le fibre galleggianti nell'acqua, attratte sulla tela, rimangano aderenti ad essa mentre l'acqua passa attraverso le maglie e viene scaricata. Si forma così uno strato di pasta che, asportato per mezzo di un íeltro senza fine, si arrotola formando un cartone umido contenente il 60% di acqua. Passando ad altre presse si può ridurre il contenuto di acqua fino al 40%. Se si deve conservare la pasta di legno per lungo tempo la si essicca fino a che non contenga acqua più del 10-12%. L'eliminazione dell'acqua avviene o per essiccamento su cilindri riscaldati a vapore o per asciugamento ad aria calda; si ottengono così dei veri cartoni i quali possono essere usati come tali o possono essere venduti alle cartiere che li lavorano assieme ad altre mezze paste per la preparazione di carta da giornali e dei numerosissimi tipi di carte da stampa e da scrivere che non devono essere conservati a lungo. La pasta meccanica si adopera generalmente senza sottoporla all'imbianchimento.

Il rendimento medio in pasta dal legno verde è all'incirca di ⅓ dei peso. Il consumo di energia con sfibratori a pressione idraulica è da 6 a 9 HP. per 100 kg. di pasta d'abete secca all'aria nelle 24 ore e da 5 a 7 HP. per pasta di pioppo. Con sfibratori continui a catena si ha un risparmio del 5-10%.

Pasta bruna di legno. - Trattando il legno in recipienti chiusi, a pressione elevata, con solo vapore o con acqua riscaldata a vapore, una parte delle sostanze incrostanti si elimina, e le fibre nel susseguente procedimento di sfibratura si separano senza rompersi. Si ottiene così una pasta a fibre più lunghe e più flessibili di quelle della pasta meccanica comune, che può essere impiegata per la preparazione di cartoni e di alcuni tipi di carte senza aggiunte di altre materie fibrose, a differenza della pasta comune che per la fabbricazione della carta non è mai impiegata sola. Questa pasta assume una colorazione bruna, da cui il nome.

Il semplice trattamento a vapore, che è il più usato, perché più rapido e meno costoso, dà alla pasta una colorazione più scura; quello con acqua riscaldata a vapore dà invece un colore più chiaro. Si usano bollitori di ghisa o rivestiti di rame; la pressione varia da 1 a 6 atmosfere e la cottura dura dalle 5 alle 10 ore e anche più. I bollitori hanno due aperture: di carico e di scarico. Sono per lo più fissi ad asse verticale. L'ulteriore lavorazione del legno cotto è simile a quella per la preparazione della pasta comune; la sfibratura e la raffinatura avvengono però con mola a grana più grossa, e la classatura con setaccio a maglie più grandi.

Cellulosa o pasta chimica. - La cellulosa rappresenta il costituente essenziale di tutti i vegetali. Questi, a seconda della loro natura, forniscono cellulose con diverse caratteristiche chimiche e meccaniche, ma, nonostante tali grandi varietà, poche sono le qualità di cellulosa praticamente impiegate nell'industria e fra queste, principalmente nella fabbricazione della carta, la cellulosa di legno, quella di paglia e in minor misura quella di sparto.

Come è noto, le fibre cellulosiche, a eccezione di quelle del cotone, costituite da cellulosa quasi pura e da fibre elementari isolate, non sono quasi mai libere in natura, ma riunite in fasci e accompagnate da diverse altre sostanze più o meno solubili, e dette in generale, sostanze incrostanti.

La cellulosa, o pasta chimica, è un prodotto privo di sostanze incrostanti, allo stato di fibre elementari, isolate, e nella loro lunghezza originale. La realizzazione tecnica ed economica della fabbricazione della cellulosa ha portato un grandioso rivolgimento nell'industria della carta, nella quale, per i più svariati tipi di carta, sono ora impiegate numerose marche di cellulose del commercio, e ha inoltre costituito il punto di partenza di molte altre industrie, oggi fiorentissime. Come si è detto, l'Italia è ancora tributaria dell'estero per la cellulosa. Poche sono le fabbriche di questo importante prodotto, esistenti da noi: quelle di Romagnano di Sesia e di Volta Mantovana, che preparano la cellulosa di pioppo e di abete per il loro fabbisogno, e quella di Bussi (Abruzzi) che produce cellulosa di paglia.

Fra le cellulose dei diversi vegetali, la più importante e più estesamente impiegata è quella di legno, che può essere preparata da diverse essenze, tanto di aghifoglie, quanto di latifoglie, di cui più particolarmente usate sono quelle di abete e di pino fra le prime e quella di pioppo fra le seconde.

Cellulosa di legno. - Sin dal 1840 il Payen aveva osservato che la lígnina, costituente la principale sostanza incrostante delle fibre cellulosiche, si scioglie in acido nitrico; in seguito furono sperimentati per la preparazione della cellulosa anche l'acido cloridrico, l'acido solforico e l'acqua regia. Per i gravi inconvenienti che presentava, il processo acido non potè entrare nella pratica, e sorsero e si svilupparono invece altri metodi migliori e di più facile realizzazione industriale. Nel 1852 il Coupier e il Mellier suggerirono l'impiego della soda e negli anni successivi altri ricercatori attesero a migliorare questo procedimento. Nel 1883 il Dahl propose l'uso del solfato sodico nella rigenerazione dei sali sodici dalle liscivie di scarico. Nel 1885 il Kellner pensò di scaldare il legno a 128° con una soluzione di cloruro sodico, e di far contemporaneamente passare una corrente elettrica attraverso il liquido; il cloro e l'acido ipocloroso, prodotti dall'elettrolisi, attaccavano e scioglievano le sostanze lignoniche, con produzione di acido cloridrico, e questo, reagendo con la soda formatasi al catodo, rigenerava il cloruro sodico. Il processo elettrico, che in piccolo aveva dato buoni risultati, non trovò applicazione industriale, a causa delle difficoltà d'ordine tecnico incontrate. Nel 1866 il Tilghman ricorse all'impiego del bisolfito di calcio nella preparazione della cellulosa, e nel medesimo anno l'Ekman usò allo stesso scopo il bisolfito di magnesio. I miglioramenti successivi del processo al bisolfito sono dovuti principalmente al Mitscherlich e al Ritter-Kellner, i quali fornirono indicazioni precise per la sua applicazione pratica e vi apportarono modificazioni notevoli.

D'altro lato da molti anni si era iniziato lo studio dell'applicazione industriale del cloro nella preparazione della cellulosa: già nel 1872 R. C. Menzies e A. E. Davies avevano brevettato un loro procedimento, consistente nell'azione del cloro sul legno sminuzzato e in un successivo trattamento con deboli soluzioni alcaline. Altri si occuparono ancora di questo problema, ma i procedimenti proposti non trovarono applicazione, e l'uso del cloro rimase limitato ai processi di sbianca. Finalmente, nel 1915, Beniamino Cataldi brevettò un processo tecnico per l'impiego del cloro gassoso, e De Vains e Peterson proposero l'uso dell'acqua di cloro.

Di tutti i metodi indicati, solo quelli alla soda e al bisolfito conservano larga applicazione tecnica; con questi due metodi si produce quasi tutto il fabbisogno mondiale di cellulosa. Anche il metodo al cloro è stato adottato da alcuni stabilimenti, ma la sua diffusione è ancora ostacolata da alcune difficoltà d'ordine tecnico ed economico.

Si è cercato di fabbricare la cellulosa da diverse essenze legnose, ma la scelta si è poi limitata a poche specie di aghifoglie e di latifoglie che oggi forniscono la quasi totalità delle cellulose del commercio. Il legno completamente secco contiene in media il 50% di cellulosa. Le conifere (aghifoglie) possiedono una fibra lunga, morbida e capace di fornire una cellulosa con determinate proprietà; le più impiegate sono il pino (35% di cellulosa), l'abete (37%) e meno frequentemente il larice (33%). Delle latifoglie, che forniscono una cellulosa più bianca delle precedenti, è specialmente usato il pioppo, con un contenuto in cellulosa (35%) notevolmente superiore a quello delle altre piante a foglie espanse; trovano impiego anche la tremula (32%) e altre essenze.

Le prime fasi della preparazione del legno sono simili a quelle descritte per la fabbricazione della pasta meccanica; in seguito, però, il materiale deve essere maggiormente suddiviso, aífinché permetta un attacco più efficace e più rapido da parte dei reagenti chimici impiegati.

A questo scopo il legno viene tagliato in dischi o rondelle dello spessore di 25-30 cm., per mezzo di seghe circolari o con l'impiego di opportune macchine sminuzzatrici a ghigliottina oppure a coltelli circolari (fig. 11). Le rondelle sono poi condotte al frantoio o disintegratore (fig. 12), fatto come un comune macinino da caffè oppure formato da punte o coltelli rotanti fra altri fissi. Il legno passa poi ai classatori che separano la segatura e le schegge e i pezzi troppo grossi dai pezzi aventi le dimensioni richieste per l'ulteriore lavorazione (fig. 13).

Processo alla soda. - Questo procedimento, sorto e sviluppatosi specialmente in America, è andato diffondendosi a poco a poco anche in Europa, perché nonostante i vantaggi che presenta il metodo al bisolfito, esso è più conveniente, almeno nei paesi ricchi di combustibile. La preparazione della liscivia viene effettuata mescolando e riscaldando per qualche tempo latte di calce e carbonato sodico: la reazione dà luogo alla formazione di soda caustica, che rimane disciolta, mentre precipita il carbonato di calcio. Si lascia depositare quest'ultimo, si decanta il liquido sovrastante e se ne porta la concentrazione al tenore richiesto. Le condizioni di concentrazione e di temperatura in cui s'effettua la cottura, esercitano una grande influenza sull'esito e sull'economia del processo; esse variano, però, sensibilmente da un metodo all'altro e in relazione alla qualità del legno impiegato. Per i legni resinosi si opera generalmente a temperatura più elevata e con liscivie più concentrate. In media la soda viene utilizzata alla concentrazione del 6-8% e ad una temperatura di 140-175° (3-8 atmosfere); la durata della lisciviazione si aggira sulle 5-8 ore.

I lisciviatori possono venire riscaldati a fuoco diretto, o mediante vapore, ed essere fissi (fig. 14) o rotativi (fig. 15). I bollitori a fuoco diretto sono oggi scarsamente impiegati, e sono invece generalmente in uso i bollitori rotativi cilindrici, girevoli intorno a pernî e con una capacità di 25-50 mc. In questo modo viene assicurato un rimescolamento costante e uniforme della massa; il quantitativo di liscivia da introdursi nell'apparecchio viene notevolmente ridotto, e la durata dell'operazione abbreviata. Nei moderni bollitori, il riscaldamento è generalmente effettuato con vapore diretto, o con un sistema misto a vapore diretto e indiretto. Terminato il processo di cottura si riduce la pressione a 1,5-2 atmosfere, si scarica la liscivia nera e la cellulosa, mandando questa in opportuni apparecchi lavatori a controcorrente (diffusori, lavatori Shank, ecc.).

Le liscivie brune contengono notevoli quantità di materie organiche, provenienti dalle sostanze incrostanti del legno. Da esse si rigenera la soda evaporando sino a secchezza, bruciando le sostanze organiche e calcinando il residuo il liquido percorre il cammino inverso dei gas caldi della combustione, passando dal vaporizzatore (a torre, a vuoto con multiplo effetto, ecc.) alla suola di concentrazione e quindi a quella di calcinazione. Il prodotto calcinato viene disciolto in acqua, addizionato di altra soda per compensare il consumo dei sali sodici e quindi caustificato nuovamente a caldo con latte di calce.

Processo al solfato. - Identico a quello alla soda nella sua parte tecnico-meccanica, se ne differenzia solo dal punto di vista chimico, in quanto la cottura viene eseguita in presenza di solfuro sodico, oltreché di idrato sodico; il solfuro non è però aggiunto come tale, ma proviene dal solfato o dal bisolfato di sodio, impiegati in luogo della soda durante la rigenerazione delle liscivie, per compensare le inevitabili perdite di alcali. Per l'azione delle sostanze organiche dei legno, il solfato si riduce parzialmente a solfuro, e una parte di questo viene trasformata in carbonato. Il solfuro sodico non solo esercita sul legno un'azione più moderata della soda caustica, ma influisce anche più favorevolmente sul processo, in conseguenza delle sue proprietà riducenti. Gl'inconvenienti che questo metodo presenta, per emanazioni solfidriche, sono stati eliminati quasi completamente; cosicché anch'esso ha acquistato una larga diffusione soprattutto per il maggior rendimento, il minor costo, la lavorazione più rapida e la miglior qualità del prodotto. Le cellulose forti (cellulose Krafi) sono appunto ottenute con questo metodo da legni di conifere.

Processo al bisolfito. - Con questo procedimento, più economico del precedente, si impiegano in genere, per la lisciviazione del legno, delle soluzioni di bisolfito di calcio o di magnesio, contenenti dell'acido solioroso libero; queste soluzioni sono ottenute facendo agire l'anidride solforosa libera sul calcare, sul latte di calce o sul carbonato di magnesio calcinato. Alcune fabbriche preferiscono il sale di magnesio a quello di calcio, perché il solfato di calcio, che si produce spontaneamente per ossidazione all'aria del bisolfito, è meno solubile di quello di magnesio e, depositandosi sul minerale, lo sottrae all'ulteriore azione dei gas solforosi. Più raramente viene impiegata una semplice soluzione acquosa di acido sohoroso, ottenuta facendo cadere dell'acqua dall'alto di una torre piena di coke in pezzi, mentre l'anidride solforosa compie il cammino inverso. L'anidride solforosa è preparata bruciando lo zollo o la pirite in appositi forni simili a quelli impiegati nell'industria dell'acido solforico; specialmente durante la guerra si utilizzarono a questo scopo anche le miscele ferriche, esaurite dopo il loro impiego per la purificazione del gas illuminante dai prodotti solforati. Il gas solforoso, opportunamente purificato e raffreddato, passa agli apparecchi per la preparazione della liscivia, i qual possono essere principalmente di due tipi: a torre e a tini (o a camere).

Fra i primi il più diffuso è quello di Mitscherlich, più o meno modificato, la cui torre, alta generalmente 30-33 m., costituisce la caratteristica più evidente di molte fabbriche di cellulosa; questa torre, aperta superiormente, era costituita nei vecchi impianti da varî recipienti cilindrici a doghe di legno sovrapposti a guisa di tubo. Il fondo di ogni singolo recipiente era costituito da una specie di griglia, su cui poggiava il calcare. ll gas viene introdotto dal basso e sale a poco a poco, invadendo i varî strati di calcare, mentre da un serbatoio, sovrapposto alla torre, gocciola la quantità di acqua necessaria; la liscivia si raccoglie nel recipiente sottostante alla griglia, e può essere prelevata per mezzo di un tubo a sifone; contemporaneamente dalla sommità della torre si svolge anidride carbonica, mescolata ad aria e a piccolissime quantità di vapori solforosi. La soluzione bisolfitica ottenuta ha un contenuto del 3-3,4% in acido solforoso totale, di cui l'1,8-2% libero e l'1,2-1,4% combinato; questa concentrazione viene però elevata al 4% utilizzando, sotto forma di soluzione acquosa, l'anidride che si svolge dal bollitore. La carica del minerale nella torre si fa per un'apertura posta sotto al recipiente di carico dell'acqua e che deve essere rigorosamente chiusa durante il funzionamento, come tutte le altre disposte lungo la torre per la regolazione del tiraggio. Per evitare d'interrompere il funzionamento dell'impianto durante la carica del calcare, le torri non sono mai isolate, ma riunite a due a due e spesso anche più, per mezzo di solide incastellature, in modo da formare come un'unica torre di dimensioni maggiori. Nell'impianto Mitscherlich tipico, la grande appariscente torre quadrata è costituita da tre torri, simili a quella descritta e uguali fra loro, oltre a una quarta, più piccola, destinata al ricupero del gas solforoso uscente dai bollitori: in essa l'acqua che sgocciola dall'alto scioglie i vapori moventisi in senso opposto, e fornisce un liquido concentrato, che viene impiegato per aumentare la concentrazione in anidride solforosa libera della liscivia delle altre torri. Sembra infatti dimostrato che a questa soltanto sia dovuta l'azione disincrostante delle soluzioni solfitiche.

Negl'impianti moderni l'antico sistema a torri di legno è stato sostituito da quello a torri gemelle, secondo il brevetto americano Jensen (fig. I6). Esso consta di due torri di cemento armato con griglia basale unica e rivestimento con speciali piastrelle di gres, e utilizza il principio della circolazione inversa. L'acqua entra dalla parte superiore della prima torre, si raccoglie in un recipiente sottostante, dopo aver sciolto una certa quantità di bisolfito, e viene pompata alla sommità della seconda torre nella quale si arricchisce maggiormente di prodotti solforosi. Il gas compie il cammino inverso: entra dalla base della seconda torre, ne raggiunge la sommità di dove viene condotto alla base della prima. In tal modo il gas, quasi esaurito, giunge in contatto con liscivia ancora molto diluita e quindi nelle migliori condizioni per sciogliere le ultime frazioni di anidride solforosa. Ogni 24 ore si inverte la circolazione dell'acqua e del gas, facendo funzionare da prima torre quella che agiva da seconda e viceversa. Il calcare si carica nelle singole torri ogni 48 ore e nella fase in cui la torre stessa riceve l'acqua fresca e il gas semiesaurito: ogni giorno si eseguisce quindi alternativamente il carico di una delle due torri.

Nel sistema a camere o a tini, l'anidride solforosa agisce sul latte di calce, o sul calcare, in presenza di acqua. L'apparato Ritter-Kellner è costituito da una serie di tini, sovrapposti a gradinata o situati sullo stesso piano, l'uno accanto all'altro; i tini, muniti di doppio fondo forellato, son riempiti di calcare e di acqua, la quale va poi arricchendosi di bisolfito col procedere dell'azione dei gas solforosi. I vapori solforosi, opportunamente raffreddati e lavati, vengono spinti da un compressore sotto il falso fondo dell'ultimo tino, e passano poi successivamente nello spazio analogo dei tini successivi, mentre il liquido compie il cammino inverso, dal primo all'ultimo recipiente; questo, negl'impianti moderni, non contiene calcare, ma soltanto soluzione solforosa, la quale serve anche qui ad aumentare il tenore della liscivia in anidride libera. Il gas passa da un tino all'altro per mezzo di tubi ad U e viene completamente assorbito; dal primo tino escono soltanto aria, anidride carbonica e tracce minime di prodotti solforosi. In altri sistemi le camere contengono latte di calce, attraverso a cui l'anidride solforosa è costretta a gorgogliare: fra questi vanno ricordati l'impianto Frank e quello dell'ing. C. Nodari, capace di fornire un prodotto molto puro, con poca spesa, con semplicità e sicurezza di esercizio e nessuna produzione di cattivi odori.

I lisciviatori impiegati per la cottura al bisolfito sono analoghi a quelli per il processo alla soda, ma devono essere rivestiti internamente con materiali resistenti all'azione dell'acido solforoso. I metodi di cottura più diffusi sono anco1a quelli di Ritter-Kellner e di Mitscherlich.

Col processo Ritter-Kellner s'impiegano lisciviatori verticali, fissi, alti da 6 a 17 metri, con le estremità coniche, per rendere più facile lo scarico della massa lisciviata, eseguito sotto debole pressione (fig. 17). Il legno è posto fra due falsi fondi forellati e il riscaldamento viene effettuato con vapore diretto: la concentrazione iniziale della liscivia deve quindi essere notevolmente più elevata che con gli altri metodi, perché durante la cottura si verifica una continua e considerevole diluizione della massa. Si compie in un primo tempo una cottura preliminare, mantenendo per alcune ore la temperatura di 145-148°, alquanto superiore a quella adottata nel processo Mitscherlich. Il processo Ritter-Kellner ha ridotto fortemente la durata della lisciviazione (12-15 ore), consentendo un corrispondente incremento nella produzione giornaliera delle fabbriche di cellulosa al bisolfito. Esso fornisce una cellulosa meno resistente, ma più facilmente sbiancabile di quella ottenuta col processo Mitscherlich, e con un costo di produzione sensibilmente inferiore.

Il processo Mitscherlich è caratterizzato dall'uso di vapore indiretto, circolante in appositi serpentini di rame: il lisciviatore può essere orizzontale o verticale con estremità semisferiche, in una delle quali è disposto, in questo caso, tutto il sistema dei tubi riscaldatori, mentre negli apparecchi orizzontali esso si trova sul fondo (fig. 18). La lisciviazione solfitica è preceduta, nel processo Mitscherlich, dalla vaporizzazione, con la quale si sottopone per 4-8 ore il legno contenuto nel lisciviatore all'azione del vapore diretto, operando alla pressione ordinaria. Alla successiva introduzione della liscivia fredda, questa condensa il vapore rimasto nella massa, formando il vuoto e determinando in conseguenza il richiamo di altra soluzione fra i pori stessi del legno. La vaporizzazione discioglie già una parte delle sostanze incrostanti e permette di aumentare il carico dell'apparecchio; nonostante questi ed altri notevoli vantaggi, essa viene spesso trascurata, per economia di combustibile. Si fa allora semplicemente il vuoto nel lisciviatore per mezzo di una pompa ad aria. Dopo introduzione della soluzione solfitica, si chiude il bollitore e s'inizia il riscaldamento con vapore indiretto, mantenendo la temperatura a 128-135° per la durata di 15-25 ore. Si scarica quindi l'apparecchio, mandando i vapori solforosi che si svolgono all'apposita torre di ricupero, mentre la cellulosa viene condotta alle ulteriori fasi della lavorazione. Durante il processo di cottura, si formano sui tubi delle incrostazioni, costituite essenzialmente da solfito neutro di calcio; esse devono essere allontanate di tanto in tanto, mediante leggiere percussioni con martelli di legno. La cottura a vapore indiretto presenta l'innegabile vantaggio di non diluire la massa e di produrre una cellulosa migliore: vantaggio non disgiunto, però, da un più elevato costo d'impianto e di esercizio.

Oltre ai processi Mitscherlich e Ritter-Kellner, che sono i più usati, altri ne sono stati proposti per la preparazione della cellulosa al solfito; degni di nota sono quelli di Frank, di Flodquist e di Ekman.

L'eliminazione delle liscivie di scarico dei bollitori ha costituito uno dei primi e più difficili problemi della fabbricazione della cellulosa al bisolfito: esse non possono essere immerse nei corsi d'acqua, se non a una grande diluizione, perché determinano la distruzione d'ogni sorta di pesci, lo sviluppo di cattivi odori, ecc. Per ordine delle autorità si dovettero talvolta chiudere importanti stabilimenti per simili gravi inconvenienti. Si sono studiati e applicati varî metodi per la depurazione di tali acque. Ora si va generalizzando la tendenza di utilizzare per diversi scopi queste enormi masse di liscivie di scarico, contenenti disciolte notevoli quantità di sostanze organiche. L'applicazione più importante concerne la fabbricazione dell'alcool, ma si sono anche utilizzate le liscivie di scarico per la fabbricazione di combustibili, di estratti concianti, di agglutinanti per la fusione del ferro e dell'acciaio, di resine artificiali, di sostanze collanti, di agglomeranti per mattonelle, di appretto, di concimi, di foraggi e di sostanze coloranti.

Lavorazione finale della cellulosa. - Qualunque sia il metodo di cottura a cui viene assoggettato il legno, il materiale che si ottiene dai bollitori deve essere sottoposto a ulteriori lavorazioni di epurazione delle fibre. Questa cellulosa greggia, di colorazione tendente al giallino più o meno intenso, sino al bruno per quella alla soda, vien lavata con acqua calda in olandesi lavatrici, o in apparecchi a controcorrente (lavatore Shank), qualora si vogliano ricuperare i sali contenuti nelle liscivie (processo alla soda). Essa viene poi condotta ai disintegratori, nei quali uno o più rulli, muniti di punte, ruotano rapidamente in un cilindro chiuso e inclinato; la massa è introdotta insieme con l'acqua a un'estremità del cilindro ed esce dall'estremità opposta sotto forma di pasta. Di qui, dopo un'ulteriore diluizione, è condotta ai separatori dei nodi e delle schegge, costituiti da una specie di setaccio cilindrico o leggermente conico e girevole intorno al suo asse (talora anche orizzontale); le fibre attraversano le sottili fessure del crivello e si raccolgono in una cassa sottostante, mentre i nodi e le schegge si scaricano all'estremità dell'apparecchio, opposta a quella d'ingresso. Le parti pesanti vengono ancora eliminate mediante il passaggio della pasta ai separa-sabbia, analoghi a quelli già descritti. I nodi e le schegge sono molazzati e usati per la produzione di cellulosa di terza qualità.

La cellulosa greggia così epurata può essere impiegata tal quale, nella fabbricazione della carta, oppure essere sottoposta al candeggio per la produzione di cellulosa imbianchita. In quest'ultimo caso viene condotta ad apposite olandesi di sbianca, di cemento, e sottoposta all'azione di una soluzione di cloruro di calcio, avente la densità di 3-5° B (talora sino a 7-8°) e la temperatura di 28-35°. Si può anche ricorrere al metodo elettrolitico di sbianca, preparando direttamente una soluzione di ipoclorito sodico per elettrolisi del cloruro di sodio. In ogni caso, dopo la sbianca, la cellulosa viene esaurientemente lavata. Quando non venga utilizzata nel luogo stesso di produzione, ma debba essere spedita, si deve eliminare la maggior parte dell'acqua che contiene e ridurla in cartoni. Questi, per prescrizioni doganali, vengono perforati. L'eliminazione dell'acqua e l'essiccamento avvengono in macchine continue in tondo, o, meglio, in piano, munite di cilindri essiccatori, e simili, nelle loro linee generali, a quelle per carta, ma alquanto più semplici. Sulla macchina stessa il cartone continuo viene tagliato in fogli. Per peso mercantile della cellulosa, s'intende quello del prodotto secco all'aria, contenente cioè, secondo le norme contrattuali, il 10 o il 12% di acqua.

Processo al cloro. - I metodi al cloro, introdotti da pochi anni nella fabbricazione della cellulosa, sono specialmente indicati per la lavorazione dei materiali erbacei e della paglia; per le varie essenze legnose, si adattano meglio alle latifoglie che non alle aghifoglie.

Col metodo De Vȧins l'agente principale è l'acqua di cloro, o, come il De Vains dice, idrato di cloro. Il materiale greggio, convenientemente preparato, viene lisciviato con soda caustica in bollitori, a 4 atmosfere, per la durata di 4 e più ore. La massa lisciviata, dalla quale si è separata la liscivia, viene lavata e quindi ridotta in mezza pasta nello sfibratore. La mezza pasta, epurata con i soliti mezzi mediante passaggio agli assortitori e ai separa-sabbia, è poi diluita con acqua e immessa nel cloruratore per mezzo di una pompa a velocità variabile: in esso viene contemporaneamente introdotta di continuo una quantità costante di acqua di cloro, regolabile secondo la quantità della pasta. Quest'ultima e l'acqua di cloro sono mescolati continuamente. La clorurazione dura da 20 minuti a un'ora e mezza, dopo di che la pasta è trattata con una debole soluzione alcalina, che discioglie i composti clorurati, neutralizzando nello stesso tempo l'acido cloridrico formatosi nel cloruratore. La pasta così trattata e lavata viene definitivamente imbianchita in olandese con soluzione di cloruro di calce; dopo un ultimo lavaggio va quindi al pressa-pasta o alla macchina continua per la formazione del foglio.

Col metodo Cataldi viene impiegato, invece, il cloro gas. Secondo il brevetto ottenuto nel 1915, il legno scortecciato viene preparato in trucioli, e se si tratta di altre fibre vegetali, queste vengono sminuzzate. Il materiale così ridotto viene dapprima lisciviato debolmente con alcali, in autoclave, a temperatura e durata variabili secondo il materiale da trattare. Scaricata la liscivia, il materiale lisciviato si porta ai cloruratori, costruiti in gres o altro materiale resistente all'azione del cloro e degli acidi; si produce il vuoto e s'immette il cloro gassoso lasciandolo agire alcune ore sul materiale, in relazione alla natura della fibra. Quando il cloro ha esercitato la sua azione, la massa fibrosa, lavȧta esaurientemente con acqua, viene nuovamente lisciviata per breve tempo con una debole soluzione alcalina, identica a quella impiegata nella prima lisciviatura. Sottoposta quindi a nuovo lavaggio, ed eliminate così tutte le sostanze incrostanti, si ottiene la cellulosa che viene imbianchita con cloruro di calcio o ipoclorito sodico. Il metodo Cataldi venne poi modificato in alcuni particolari dall'ing. Pomilio.

Paglia. - Da questa si preparano la pasta gialla e la cellulosa.

La pasta gialla di paglia è prodotta dalla paglia di segale, di frumento, d'avena o d'orzo, sottoposta dapprima a una cernita, allo scopo di privarla delle impurità più grossolane, e quindi a una trinciatura. La trinciatura avviene al trincia-paglia, specie di grande ruota verticale, ai cui raggi ricurvi sono fissati 304 coltelli, parimenti ricurvi: questi, col loro rapido movimento di rotazione, tagliano la paglia in pezzetti lunghi 2-3 cm. e la lasciano cadere in una fossa sottostante. Di qui un elevatore o un ventilatore la porta all'apparecchio spolveratore, costituito principalmente da un setaccio, dotato di un movimento oscillatorio nel senso della lunghezza e capace di lasciar passare la polvere e altre impurità. Verso la parte anteriore dell'apparecchio la paglia è investita dalla forte corrente d'aria di un ventilatore, che la spinge in alto sul ripiano superiore di carico del bollitore; essa può anche essere condotta al silos di deposito, mentre le impurità pesanti come pietre, nodi, chicchi, ecc. cadono in un recipiente, da cui una coclea le trasporta a una piccola macchina assortitrice. Questa separa i granelli e i chicchi, utilizzabili come foraggio, dalle particelle pietrose o comunque inutilizzabili. La lisciviazione viene eseguita con latte di calce, operando a freddo in apposite fosse in muratura, o a caldo in bollitori sferici, dotati di un lentissimo movimento di rotazione; dopo lo scarico, il lavaggio e lo sgocciolamento, la pasta è condotta alle molazze e alle olandesi raffinatrici (o apparecchi analoghi). La pasta gialla di paglia è usata per la fabbricazione delle carte gialle da macellai e altre carte andanti da impacco.

Per la preparazione della cellulosa di paglia la lavorazione preliminare della materia prima per via meccanica è perfettamente analoga a quella per la preparazione della pasta gialla, ma più accurata; il materiale cernito, tagliato e privato della polvere, viene sottoposto alla lisciviazione, seguendo generalmente il processo alla soda. I bollitori sono simili a quelli impiegati per il legno; si dà però la preferenza agli apparecchi fissi o a lenta rotazione, perché un rapido movimento può determinare notevoli perdite di materiale fibroso e formazione di piccoli grumi detti bottoni. La liscivia è più diluita di quella impiegata per il legno, e più basse si mantengono la temperatura e la pressione. Finita la cottura, si scarica la liscivia per condurla agli apparecchi di ricupero, e si procede a un lavaggio della cellulosa nel bollitore stesso, mediante acqua calda: lo scarico della pasta può essere effettuato utilmente sotto una debole pressione (circa 14 di atmosfera). Una pompa porta poi il materiale al separa-sabbia e di qui ai soliti apparecchi di sfibratura e di epurazione. La cellulosa di paglia è sempre usata imbianchita, perciò la pasta ottenuta dalla lisciviatura viene passata al candeggio, come è usato per la cellulosa di legno, e alla preparazione del foglio. Anche il processo al cloro è stato suggerito per la fabbricazione della cellulosa di paglia.

Sparto. - Cellulosa si prepara anche utillzzando le foglie dell'alfa e dello sparto (v. alfa).

Il materiale arriva agli stabilimenti in balle pressate, e qui viene spolverato e privato delle altre impurità minute. Questa pulitura, dopo un'accurata cernita a mano, viene eseguita nel duster, battitore meccanico.

La lisciviazione viene eseguita generalmente col processo alla soda, impiegando dei lisciviatori fissi verticali, nei quali la circolazione della liscivia avviene automaticamente, per effetto del vapore di cottura. La temperatura e la durata dell'operazione devono essere accuratamente regolate, per evitare l'agglomeramento delle fibre e la conseguente formazione di piccoli "bottoni", che renderebbero inservibile il prodotto. Lo sparto lisciviato è poi sfibrato nell'olandese (talora dopo aver subito una sfibratura preliminare al cono breaker), imbianchito con cloruro di calcio, privato della maggior parte dell'acqua ed eventualmente tirato in foglio quando la pasta non viene impiegata subito per la fabbricazione della carta. Questo procedimento largamente adottato in Inghilterra, esige un forte consumo di combustibile per il ricupero della soda dalle liscivie di scarico; perciò esso, anche per il costo più elevato dei prodotti chimici, non è adottato nel nostro paese, per quanto le colonie italiane dell'Africa settentrionale siano relativamente ricche di sparto.

Per incarico del governo italiano, dal direttore della R. Stazione sperimentale per l'industria della carta di Milano furono fatti studî per ricercare il metodo più idoneo e più economico per la fabbricazione della cellulosa dallo sparto libico. Il metodo al cloro è apparso indicato quando la fabbrica di cellulosa sia attigua a quella della soda elettrolitica che permette così di utilizzare il gas cloro, prodotto secondario dell'industria della soda elettrolitica. Le prove di carattere industriale, risolte varie difficoltà non comuni, hanno confermato le vedute che le avevano ispirate. La cellulosa ottenuta col metodo Cataldi-Pomilio aveva proprietà simili a quella prodotta col metodo alla soda, salvo la sofficità che era di poco inferiore. Le speciali condizioni dei mercati negli ultimi anni hanno costretto però a sospendere in Italia la lavorazione dello sparto libico.

L'Inghilterra consuma più di 200.000 tonnellate annue di sparto per la fabbricazione di carte fini da stampa, aventi la caratteristica di essere molto voluminose e leggiere (carte bouffantes); l'uso della cellulosa di sparto è, invece, poco diffuso nelle cartiere italiane, e tale rimarrà sino a quando essa non potrà essere fornita a un prezzo conveniente.

Ritagli di carta e cartaccia. - Fra le materie prime per carta sono pure compresi i ritagli e gli scarti provenienti dalla lavorazione stessa della carta, e le cosiddette cartacce, dalle più fini alle più andanti. L'impiego dei cascami e dei ritagli prodotti in cartiera non presenta speciali difficoltà, poiché si tratta per lo più di materiali uniformi e in molti casi di qualità simile a quella del prodotto da fabbricare. Il problema dell'eliminazione dell'inchiostro dalla cartaccia scritta o stampata non ha invece trovato ancora una soluzione pratica soddisfacente, nonostante le continue ricerche.

Il processo più vecchio e più usato, sebbene non molto conveniente, consiste nel sottoporre il materiale, opportunamente cernito e privato delle impurità meccaniche, a una lisciviazione con soda caustica e a un successivo lavaggio, e nel fargli poi subire il solito processo di sbianca. Di recente è stato anche proposto allo stesso scopo l'uso di alcuni solventi delle sostanze grasse, come il petrolio, la benzina e la tetralina; e d'altra parte si sono brevettati vari apparecchi che in altro modo, talora per via quasi unicamente meccanica, raggiungono lo stesso fine. Quando si tenda alla fabbricazione di carte o di cartoni di qualità buona, costante, si deve provvedere innanzi tutto a una cernita manuale molto accurata del materiale in arrivo, allo scopo di suddividere la cartaccia in varie classi, in relazione al colore, alla presenza d'inchiostro, al contenuto in pasta-legno, ecc. Per la fabbricazione di cartoni o di carte da impacco molto andanti questa cernita può essere più grossolana e limitata all'allontanamento dei pezzetti di legno, di ferro o di gomma e all'eliminazione delle pietruzze, della sabbia, ecc. Spesso conviene completare la purificazione, provvedendo all'eliminazione della polvere e delle altre impurità minute, mediante l'impiego di assortitori piani a scossa, muniti di ventilatore. La suceessiva lavorazione della cartaccia per via meccanica ha lo scopo d'isolare le varie fibre costituenti il foglio, evitando, per quanto possibile, la perdita delle sostanze collanti o di carica: questa sfibratura può essere eseguita con gli apparecchi più svariati (trinciatori, molazze, sfibratori, olandesi, ecc.), molti dei quali sono impiegati anche in altre lavorazioni. La molazza molto usata a questo scopo, e anche per la pasta di paglia e talvolta per cellulosa, consta (fig. 19) di due grosse pietre cilindriche A (mole), fissate allo stesso albero a, e rotanti sulla pietra P, che forma la parte centrale della vasca V. La pasta, spinta verso la periferia dalla rotazione delle mole, è ricondotta sotto questa da un'apposita paletta, e ad operazíone ultimata può essere scaricata da una porta praticata nella parete della vasca. La mezza pasta ottenuta viene poi usata per lo più mescolata in opportune proporzioni con quella di altri materiali (pasta di legno, cellulosa, cenci, ecc.).

Preparazione della tutta pasta (raffinazione) e degli impasti. - Preparate le mezze paste, il tecnico ha a sua disposizione la materia prima più importante, cioè la parte fibrosa, per la fabbricazione della carta. Per ottenere un prodotto con le qualità desiderate e nello stesso tempo a un costo conveniente, è indispensabile scegliere le mezze paste con le caratteristiche adatte, e mescolarle fra di loro nella giusta proporzione. Questa è la prima condizione essenziale per poter poi fabbricare qualsiasi tipo di carta con proprietà fisiche (resistenza, trasparenza, impermeabilità, collatura, peso, colore, ecc.) ben determinate.

Così, per carte che devono possedere un alto grado di resistenza alla rottura si userà di preferenza pasta di cenci di lino o di canapa, oppure cellulosa di conifera alla soda; tale è il caso, p. es., delle carte da lettera di lusso, carte da sigarette e carte da impacco finissime. Nei tipi da scrivere e da stampa fini entra in proporzione maggiore la cellulosa di conifera o la pasta di cenci di determinate qualità, mentre nei tipi più ordinarî, rinunciando alquanto alla resistenza e naturalmente anche all'apparenza, si usa, in maggiore o minor misura, la pasta-legno. Quando la caratteristica principale, come nel caso della carta per calcografie, fotoincisioni, ecc., deve essere la morbidezza, si ricorre di preferenza alla pasta di cenci di cotone, alla cellulosa di sparto e a quella di pioppo; la carta assorbente fine e quella che serve per la fabbricazione della pergamena si preparano, interamente o in parte, con stracci di cotone molto usati e snervati, mescolati eventualmente con cellulosa di conifere molto morbida. La carta da giornale, e in genere tutti i tipi di carta per i quali non è richiesta né apparenza esteriore né notevole resistenza alla luce e allo strappamento, e che d'altra parte devono essere venduti a basso prezzo, si fabbricano con materie prime poco costose, e cioè con forti percentuali di pasta meccanica di legno e con piccole quantità di pasta di cenci non imbianchita e di scarso valore, oppure con cellulosa di conifera.

Oltre alla composizione dell'impasto è di somma importanza anche la lavorazione delle mezze paste o raffinazione, la quale ha lo scopo di separare le fibre che si possono ancora trovare riunite in fasci e in grumi, sminuzzarle e trasformarle in modo da renderle adatte ad essere feltrate.

A questa ulteriore fase di lavoro servono le olandesi raffinatrici o raffinatori, nei quali si caricano nelle volute proporzioni le diverse qualità di materie fibrose, opportunamente diluite con acqua. Queste macchine differiscono poco dalle olandesi sfilacciatrici, già descritte. In generale però il cilindro dei rapinatori ha diametro maggiore e gira a una velocità più elevata; la platina è più larga e possiede un numero più rilevante di coltelli. Anche in queste olandesi è possibile alzare e abbassare per mezzo di un opportuno meccanismo il cilindro a lame; si può in tal modo regolare la pressione esercitata da quest'ultimo sulla platina e variare così il grado di raffinazione della pasta.

Questa può essere lavorata grassa o magra, come pure lunga o corta. Quando il raffinatore ha lame sottili e taglienti, in generale di acciaio speciale, e quando si lavora con pasta diluita e con forte carico sulla platina, vale a dire col cilindro completamente abbassato, si ottiene pasta magra, cioè composta in prevalenza di fibre stroncate con taglio netto; questa pasta perde facilmente l'acqua di diluizione e perciò, quando si trova sulla tela della macchina continua, si lascia facilmente disidratare, ma si feltra con difficoltà. Con lame ottuse, in generale di bronzo speciale e quasi sempre più larghe delle precedenti, con concentrazione spinta al massimo e con carico debole sulla platina, si ottiene invece più facilmente pasta grassa e cioè a fibre con le estremità non tagliate con taglio netto, ma suddivise in fibrille; questa ha la proprietà di trattenere più facilmente l'acqua, e perciò anche le materie di carica e la colla, e di feltrarsi facilmente. Per ottenere pasta grassa in un tempo minore e più facilmente, si sostituiscono spesso le lame metalliche con segmenti di lava di basalto. La carta fabbricata con pasta magra non è molto resistente allo strappamento, è soffice, morbida e adatta per stampa, per scrivere, ecc. Con pasta grassa, invece, si fabbricano carte di notevole resistenza e rigide.

I raffinatori che furono studiati e adottati per la lavorazione della pasta sono di forme e dimensioni molto diverse. Si tende in generale a risparmiare spazio e a ottenere il massimo lavoro da ogni singolo elemento. Così si trovano installati raffinatori a due cilindri, oppure con un solo grande cilindro e a doppia vasca. Di questo tipo è il raffinatore Huber (fig. 20). In esso il monte è foggiato a sella in modo che la pasta viene divisa e convogliata metà nel canale di destra e metà in quello di sinistra; immediatamente prima del cilindro la pasta si riunisce nuovamente e passa sotto di questo rapidamente, e senza aiuto di speciali apparecchi di sollevamento. Nell'intento di ottenere una più uniforme lavorazione della pasta, si studiarono tipi di raffinatori con vasca a sezione variabile, come p. es.. il raffinatore Thiry, o con circolazione speciale della pasta. Uno di questi tipi è il raffinatore Umpherston, nel quale la pasta si muove non lateralmente al cilindro, bensì in un canale disposto sotto la platina.

Talvolta, e più che altro per pareggiare le fibre, si procede a un'ulteriore raffinazione per mezzo di raffinatori a dischi oppure più comunemente con raffinatori conici che s'installano immediatamente prima della macchina continua, così che la pasta che alimenta quest'ultima viene prima pareggiata e in taluni casi ulteriormente raffinata, secondo le circostanze e le speciali esigenze della fabbricazione.

La pasta lavorata nei raffinatori viene scaricata nel mescolatore. Questo, in generale di capacità tale da poter contenere due o più cariche di raffinatore, è costituito da una vasca analoga a quella delle olandesi e da una pompa ad elica o da un meccanismo qualsiasi atto a mantenere la pasta in movimento. In questa macchina si aggiungono alla materia fibrosa, a seconda dei tipi di carta da fabbricare, le altre materie prime che servono a formare l'impasto completo e cioè: colore, colla e carica.

Anche nelle carte che usualmente si chiamano bianche si aggiunge una piccola quantità di sostanze coloranti allo scopo di correggere il fondo. Infatti le fibre che costituiscono la carta non sono molte volte bianchissime, e perciò, usate tal quali, darebbero alla carta un fondo tendente all'avorio, fondo che occorre correggere se il consumatore richiede un bianco-perla. Ciò si ottiene con l'aggiunta alla pasta di piccolissime quantità di colore azzurro. Nella maggior parte dei casi la coloritura della carta si fa in pasta, e cioè aggiungendo alla pasta, nel mescolatore, la necessaria quantità di colore, sciolto generalmente in acqua. La coloritura può essere anche fatta sulla carta finita per immersione in un bagno di colorante; è però un sistema usato solo in via del tutto eccezionale. Il metodo più pratico è certamente quello della colorazione in pasta. Si usano tanto terre colorate, finemente macinate, quanto colori d'anilina sciolti in acqua, con l'aggiunta, se bisogna, di un mordente.

La carta da scrivere, specialmente, deve essere inoltre collata, poiché altrimenti l'inchiostro penetra nei fori e fra gl'interstizî del tessuto asciugante. Anche la collatura, come la coloritura, può esser fatta sulla carta finita o in pasta. La collatura della carta finita (collatura superficiale o collatura in foglio), si fa immergendo il foglio o il nastro continuo in un bagno caldo di colla o gelatina, e facendo asciugare la carta all'aria libera, o in asciugatoi ad aria calda, o per mezzo di una batteria di essiccatori.

Con questo sistema la carta viene ricoperta da uno strato di gelatina che impedisce all'inchiostro di estendersi sulla superficie e di penetrare negli strati interni. Questi però non sono resi impermeabili, così che se si dovesse raschiare la carta, lo strato di gelatina si elimina e l'inchiostro spande nuovamente. La carta riesce più resistente e di aspetto migliore. Questo metodo non si usa quasi più integralmente, perché anche quei tipi che vengono poi gelatinati, come le carte da lettera filigranate e altre, si collano almeno parzialmente anche in pasta.

Inoltre, specialmente per carte da scrivere e da stampa non finissime, la collatura in pasta è più conveniente anche dal punto di vista economico. A questo scopo si usano generalmente resine vegetali - colofonia - dalle quali deriva appunto anche il nome di collatura vegetale o alla resina (metodo Illig) cioè col latte di resina, che è un liquido bianco, di aspetto lattiginoso e opaco, dovuto alle minutissime particelle di resina libera sospese nella soluzione del sapone di resina preventivamente preparato trattando la resina a caldo con una soluzione di soda Solvay o anche con soda caustica. Questo liquido viene aggiunto alla pasta nel mescolatore, in modo che le fibre vengano intimamente mescolate con esso. Aggiungendo poi una soluzione di solfato di allumina, la resina precipita e si fissa sulle fibre ricoprendole di uno strato leggerissimo. La collatura non è ancora completa, perché solamente sui cilindri essiccatori caldi della macchina continua le particelle potranno fondersi e formare una massa compatta omogenea e impermeabile all'inchiostro. Un processo nuovo col quale si saponifica a freddo e si prepara la colla quasi automaticamente e in continuo, è il processo Delthirna, già conosciuto e applicato - con buon successo - in Francia, in Italia e in Germania. Per rendere impermeabile la carta, e spesso per aumentare l'effetto della resina, si usano pure altre materie come per es. l'amido e la fecola.

Allo scopo di ottenere una superficie della carta più liscia, più bianca e più uniforme, e specialmente se per scrivere o per stampa, si usa caricore la carta, e cioè aggiungere alla pasta, a seconda del tipo di carta, una certa quantità di materie di carica, come gesso, caolino, talco, bianco fisso, barite, ecc., finemente macinate e depurate. La più usata è il caolino; il talco è più costoso, ma serve assai bene, specialmente per carte di maggior valore che devono venir satinate. Talvolta, come per es. nella fabbricazione della carta assorbente fina, è usata convenientemente l'asbestina, preparata con un processo speciale dall'amianto purificato.

Fabbricazione della carta. - Per fabbricare la carta basta diluire con molta acqua l'impasto così preparato e versarlo sopra una tela metallica sottoposta a un leggiero scotimento. Le fibre si dispongono irregolarmente, si sovrappongono, s'intrecciano le une con le altre, e cioè si feltrano. Eliminando poi con un mezzo meccanico e per asciugamento naturale o artificiale l'acqua che non è filtrata attraverso la tela, si avrà il foglio di carta finita. Questo lavoro può essere fatto a mano o con l'aiuto di macchine, e si avrà rispettivamente la carta a mano e la carta a macchina; un tipo intermedio è la carta a mano-macchina. La carta a mano è ormai un tipo di lusso e adatto solo per usi speciali; la sua fabbricazione diventa sempre più rara, perché costosa e difficile, e non sempre corrispondente alle esigenze del consumatore. È però ancora adottata per le carte-valori e specialmente per i biglietti di banca.

Carta a mano. - La pasta raffinata viene immessa nel tino, recipiente a sezione rotonda o quadra della capaciià di 1200-2000 litri, e diluita secondo il bisogno. Un agitatore a mano o meccanico la tiene costantemente in movimento, affinché non depositi.

Per la fabbricazione del foglio si usa la forma o modulo (fig. 21). Questo è composto di uno staccio metallico, a tessuto più o meno serrato, velino o vergato, filigranato o no, montato su un robusto telaio di legno, e di una leggiera cornice o casso mobile pure di legno. Questo, che l'operaio applica sulla forma al momento d'immergerla nel tino, è di spessore diverso secondo lo spessore del foglio che si vuole ottenere. La forma trattiene, cioè, una quantità maggiore o minore di pasta a seconda dello spessore della cornice, e quindi, cambiando questa, si ha un mezzo facile per ottenere carta del peso desiderato.

L'operaio immerge nel tino la forma e l'estrae ricoperta di pasta; la scuote quindi rapidamente in tutti i sensi in modo da feltrare le fibre e conferire al foglio una resistenza eguale e uniforme in tutti i sensi (fig. 22). Dipende dall'abilità e dall'accuratezza dell'operaio fare in modo che, nel breve tempo che l'acqua impiega a scolare attraverso lo staccio che forma il fondo della forma, il foglio risulti di resistenza uniforme, di spessore e peso costante e di eguale trasparenza in tutta la superficie.

Quando il foglio avesse proporzioni tali che un operaio non riuscisse a maneggiare la forma, per immergerla ed estrarla dal tino si usa la carrucola. Per il resto l'operazione procede come per i fogli di dimensioni normali, fatta eccezione per lo scotimento, il quale viene fatto in questo caso da due operai (fig. 23). La forma col foglio già formato, ma ancora pregno d'acqua, viene rovesciata sopra un feltro - o una flanella se si tratta di carte finissime - premendovela leggermente, così che il foglio si stacca dalla tela metallica e resta adagiato sul feltro. Il foglio si copre con un nuovo feltro; su questo si pone un altro foglio, e così di seguito fino a raggiungere una posta di un centinaio di fogli, che viene collocata sotto la pressa a piatto e sottoposta alla prima spremitura. Dopo aver così eliminata una gran parte dell'acqua contenuta nei fogli, questi vengono staccati dai rispettivi feltri, e, sovrapposti l'uno all'altro senza interposizione di feltri, vengono sottoposti alla seconda leggiera pressatura, e poi vengono asciugati o all'aria libera o in asciugatoio con riscaldamento a vapore.

La fase seguente è la collatura, che avviene come si è detto immergendo i fogli in un bagno caldo di colla animale (fig. 24); dopo pressatura i fogli così collati sono poi asciugati all'aria. Alla collatura seguono la satinatura, la scelta, la contatura e l'impacco.

Se la tela metallica, invece di essere perfettamente piana e a superficie irregolare, ha delle rientranze e delle sporgenze, è ovvio che lo strato di pasta preso dal tino risulterà di spessore maggiore in corrispondenza delle cavità, e minore in corrispondenza delle parti rialzate. Il foglio così ottenuto sarà pure di spessore diverso, e, guardato per trasparenza, risulterà più chiaro dove la pasta è più sottile, e più oscuro dove lo spessore è maggiore. Si sfrutta questa caratteristica per la fabbricazione delle carte filigranate. Basterà cioè che con un mezzo adatto - generalmente cucendovi lamine metalliche ritagliate o fili di ottone, oppure con l'aiuto di uno stampo e controstampo incisi - si producano sulla tela le lettere e i disegni in rilievo, per poter ottenere diciture e disegni (v. sotto: carte-valori).

Si sono fatti svariati tentativi per rendere automatico il lavoro di presa del foglio, la sua ponitura e la spremitura. Fra le macchine più pratiche e più semplici, ma sempre però di uso limitatissimo, meritano di essere menzionate la macchina Sembritzki e la macchina Dupont, quest'ultima adottata dalla Banca di Francia e dalla Banca d'Italia per la fabbricazione dei loro biglietti.

Carta a macchina. - La gran quantità di carta che si usa oggidì per gli usi più svariati è quasi tutta fabbricata sulla macchina continua in piano (fig. 25), la quale, salvo le necessarie riparazioni, il cambiamento di formato, di tipo e di colore, e le rotture inevitabili, potrebbe dare un nastro continuo di carta di larghezza uguale all'altezza utile di lavoro della macchina e di lunghezza infinita.

Dal mescolatore, la pasta si scarica in vasche di cemento, le "tine", generalmente in numero di due, nelle quali un aspo orizzontale o verticale, rotante lentamente su sé stesso, tiene la pasta in continuo movimento e impedisce che si depositi sul fondo. Nelle tine e all'uscita da queste, la pasta viene diluita nella proporzione che è richiesta dalle specifiche esigenze di fabbricazione. Una pompa o una ruota a tazze solleva la pasta dalle tine e la trasporta nel canale di arrivo del separa-sabbia. Questo è un apparecchio a grande sezione, nel quale, in causa della diminuita velocità della vena fluida, si depositano le impurità pesanti, che possono essere ancora contenute nella pasta. Questa arriva poi all'epuratore, nel quale la parte buona viene costretta a passare attraverso una superficie a fessure sottilissime, mentre le impurità, i grovigli e i grumi di pasta vengonoo trattenuti. Gli epuratori, a seconda che la superficie depurante è piana oppure avvolta su un tamburo rotante, si dicono epuratori piani oppure epuratori rotativi. Questi ultimi, di costruzione e tipi svariatissimi, sono oggidì preferiti. Nella macchina illustrata in figura l'epuratore è rotativo. Da questo la pasta arriva direttamente alla vera e propria macchina continua.

Questa è costituita di due parti principali: la parte umida, composta della tavola piana o di fabbricazione e delle presse a umido; e la parte secca, composta della batteria di essiccatori, della liscia a umido e della liscia a secco, dell'apparecchio umettatore e della bobinatrice o apparecchio arrotolatore.

L'organo principale della tavola di fabbricazione è la tela che è un tessuto senza fine, e cioè chiuso su sé stesso, composto di fili finissimi di bronzo fosforoso e mosso, sostenuto, teso e guidato da due cilindri e da una serie di rulli più piccoli. La tela, che con la sua parte superiore forma una superficie perfettamente piana, è mantenuta in movimento continuo e uniforme nel senso della lunghezza della macchina dal cilindro inferiore della pressa a manicotto, il quale è comandato direttamente dalla trasmissione della macchina.

La pasta, diluita e purificata, arriva in una conca dalla quale trabocca sulla tela all'inizio del tratto orizzontale. Il collegamento fra la conca fissa e la tela che sfugge, è ottenuto mediante una larga striscia di tessuto di gomma, il grembiule, il quale è fissato alla conca, ma è solo semplicemente appoggiato sulla tela sottostante. Superiormente al grembiule, e a distanza regolabile da questo e dalla tela, si trovano due o tre stecche ferma-schiuma, sotto le quali passa la pasta, e servono, oltre che a trattenere la schiuma, anche e principalmente a regolare lo spessore e il peso del foglio. Per impedire che la pasta si spanda sui lati della tela oltre il necessario, due grossi cordoni di gomma di sezione rettangolare - le centiguide - guidati da pulegge di ottone e trascinati dalla tela sulla quale riposano, limitano la larghezza del foglio sulla tavola piana.

Il complesso delle stecche ferma-schiuma, le fiancate che portano queste e le prime due coppie di pulegge delle centiguide, il meccanismo per variare il formato avvicinando e allontanando le fiancate e con esse le guide di gomma, sono detti il carro del formato. Questo resta molto semplificato nel sistema Voith di alimentazione con cassetto a battente, adatto specialmente per macchine velocissime; le stecche ferma-schiuma non sono più necessarie, perché la velocità d'uscita della pasta, e perciò anche il suo spessore, possono venir regolati con la massima precisione. La prima parte del tratto piano della tela riposa su una serie di rullini sgocciolatori vicinissimi l'uno all'altro, i quali, per la forza di adesione fra la loro superficie e l'acqua della tela, staccano l'acqua da questa, e favoriscono in tal modo la disidratazione della pasta sovrastante. Nel tratto di ritorno, la tela viene abbondantemente lavata con spruzzatori d'acqua. Poiché per l'effetto stesso del movimento della tela le fibre hanno la tendenza a disporsi parallelamente alla direzione di questa, con l'evidente conseguenza di una carta di resistenza molto maggiore nel senso longitudinale che non nel senso trasversale, si sottopone la tela a un leggiero moto oscillatorio, per far sì che le fibre si dispongano anche in senso trasversale, e diano così una carta di più uniforme resistenza. Lo scotimento, a seconda della fibra che si lavora e del grado di raffinazione della pasta, può essere lungo o corto, come pure lento o rapido.

Oltre che per gravità e per adesione con i rullini sgocciolatori, l'eliminazione dell'acqua si fa per mezzo delle cassette aspiranti che si trovano disposte nella seconda metà della tavola piana. Queste sono delle casse aperte superiormente e aderenti perfettamente alla faccia inferiore della tela metallica che porta il foglio continuo di carta in formazione, così da costituirne quasi il coperchio. Questi apparecchi sono collegati a una pompa aspirante e a un sifone che producono nel loro interno una depressione, e perciò un'aspirazione di acqua dalla carta che vi passa sopra. Dopo la prima o la seconda cassetta aspirante si trova quasi sempre il ballerino, un rullo leggiero, ricoperto di tela metallica, che appoggia più o meno sulla tela e viene da questa trascinato in movimento. Questo, esercitando sulla carta una leggiera compressione, assesta le fibre superiori del foglio e può imprimere le filigrane sulla carta ancora in formazione, quando sulla sua superficie si cuciscano i fili metallici o le lamine riproducenti le diciture e i disegni che si vogliono ottenere sulla carta.

All'estremità della tavola piana, e cioè dove la tela ritorna indietro, avviene la prima spremitura meccanica per mezzo della pressa a manicotto, composta di due cilindri metallici, il superiore dei quali, che è di diametro maggiore ed è rivestito di un tubo di feltro, grava col proprio peso, ed eventualmente con l'aiuto di opportuni contrappesi regolabili, sul cilindro inferiore rivestito di gomma, dal quale viene trascinato in movimento e sul quale è avvolta la tela. All'uscita dalla pressa a manicotto lo strato di pasta ha perduto già molta acqua e acquistato una consistenza tale da poter essere facilmente staccato dalla tela e inviato sul primo feltro piano di lana, il quale, opportunamente guidato e disteso su rulli metallici come quelli che servono per la guida della tela, vale di supporto e di aiuto per portare il foglio continuo ancora poco robusto sotto la prima pressa piana e nello stesso tempo per proteggerlo, con la sua sofficità e morbidezza, da una troppo robusta e dannosa spremitura alla quale verrebbe altrimenti sottoposto. Alla prima pressa ne seguono una o due altre e talvolta anche tre, tutte composte di due cilindri sovrapposti, di cui l'inferiore è generalmente rivestito di gomma speciale e il superiore è di pietra (granito o sienite), oppure di ghisa nuda o con camicia di rame. Ognuna di queste presse, come è già stato accennato, è pure provvista di un feltro piano, trascinato in movimento dalla pressa stessa, e sempre lavato da un opportuno apparecchio lava-feltro, e fatto eventualmente passare, prima di arrivare sotto la pressa, sopra una cassetta aspirante. L'ultimo gruppo però è un po' diverso come giro del feltro, per il fatto che, mentre nelle presse precedenti era sempre la faccia superiore del foglio di carta che veniva a contatto con la superficie della pressa, in questo invece si fa venir a contatto con la superficie liscia della pressa la faccia inferiore del foglio, che prima era a contatto del feltro. Questo viene rovesciato, e arriva sotto la pressa salendo dalla parte anteriore del gruppo; viene perciò chiamato filtro montante.

Un apparecchio che può sostituire qualche volta la pressa a manicotto, ma completamente diverso tanto per la sua costruzione quanto per il principio sul quale si basa il suo funzionamento, è il cilindro aspirante (sistema Millspaugh) costituito da un grosso tamburo di bronzo collocato al posto del cilindro inferiore della pressa a manicotto, con la superficie ricoperta di fori vicinissimi l'uno all'altro, e rotante intorno al suo asse. Nel suo interno, e solamente in corrispondenza della zona abbracciata dalla tela metallica, si trova una cassetta aspirante fissa, formante con i suoi bordi chiusura ermetica contro la superficie interna del cilindro. Nella cassetta, per mezzo di una pompa, si fa il vuoto, e così si aspira l'acqua della carta portata dalla tela. Naturalmente il cilindro superiore della pressa a manicotto non ha più ragione di esistere. Cilindri analoghi a questo trovano posto qualche volta anche solamente come cassette aspiranti sotto la tela.

Nella parte umida e con i mezzi descritti è possibile estrarre solamente la metà circa dell'acqua contenuta nella carta, perché se si volesse spingere più oltre la pressione o l'aspirazione, si correrebbe il pericolo di guastare la compagine e le caratteristiche della carta. Si ricorre perciò al riscaldamento al fine di eliminare l'acqua rimanente; a ciò serve la batteria degli essiccatori o seccheria. In questa, composta di un numero talvolta molto elevato di cilindri essiccatori di ghisa, riscaldati generalmente per mezzo del vapore che vi si fa passare attraverso, si porta la carta da asciugare direttamente a contatto con la superficie riscaldante, ottenendo così non solo una buona utilizzazione del calore, ma anche una leggiera levigatura della superficie della carta. Il nastro continuo, per evidenti ragioni pratiche di costruzione e di lavorazione, non può abbracciare che tre quarti al massimo della superficie dei cilindri.

Durante il processo di asciugamento, la carta tende a ritirarsi e a raggrinzarsi. Per evitare questo inconveniente, e anche per aumentare il rendimento della seccheria, si preme il nastro continuo contro i cilindri per mezzo dei feltri essiccatori di lana o di cotone, e ora anche di amianto. Questi, come i feltri piani, sono fortemente tesi e guidati su rulli di guida, e naturalmente ricevono il movimento dai cilindri essiccatori stessi sui quali sono avvolti. Poiché i feltri, durante il passaggio sui cilindri e per effetto dell'evaporazione dell'acqua assorbono una grande quantità di umidità, è necessario asciugarli per renderli nuovamente adatti all'assorbimento di vapore; si fanno perciò passare su cilindri asciuga-feltro molto riscaldati, eguali agli essiccatori, ma spesso di minor diametro.

Nel Canada è stato tentato - e sembra con buon successo - l'asciugamento nel vuoto secondo un brevetto di Ogden Minton. In questo sistema tutta la batteria degli essiccatori è racchiusa in un cassone metallico perfettamente chiuso, e munito di due soli dispositivi speciali a chiusura ermetica per l'entrata e l'uscita del foglio. Praticando il vuoto nell'interno del cassone, si ottiene l'asciugamento con grande economia di calore.

Prima degli ultimi cilindri essiccatori, si trova quasi sempre installata la liscia a umido, apparecchio calandratore a due o tre rulli di ghisa in conchiglia sovrapposti, attraverso i quali viene fatta passare la carta, specialmente quando questa può essere già finita sulla macchina continua, senza bisogno di ricorrere alla vera e propria calandratura per ottenere una forte lucidatura.

La carta che abbandona la seccheria viene messa a contatto, affinché si raffreddi, con la superficie di uno o due cilindri di rame percorsi nel loro interno da una corrente d'acqua fredda, la quale impedisce che la carta si raggrinzi e passi con difficoltà per la liscia a secco. Questa è pure un apparecchio lucidatore del tutto simile al precedente, ma con un numero di rulli generalmente maggiore. La carta viene introdotta superiormente fra il primo e il secondo rullo, e viene poi fatta passare attraverso gli altri, così che riceve man mano una lucidatura sempre maggiore. Questa può venir regolata diminuendo il numero di passaggi fra rullo e rullo, oppure aumentando o diminuendo per mezzo di opportuni contrappesi il carico sui cilindri.

Il nastro continuo di carta viene rifilato e molte volte tagliato in senso longitudinale in due o più nastri di larghezza minore. Per far ciò si usa l'apparecchio per il taglio longitudinale, costituito da tante coppie di coltelli circolari quanti sono i tagli da eseguire. Questi coltelli sono dotati di movimento rotatorio, così che eseguiscono il lavoro imitando il taglio ottenuto con una cesoia. Se la carta, per ottenere un lucido perfetto, deve venire susseguentemente calandrata, è necessario che essa sia precedentemente inumidita, e perciò si fa passare il nastro all'apparecchio umettatore, il quale serve appunto a polverizzare l'acqua e a farla cadere, in forma quasi di nebbia, sul foglio che vi scorre vicino. La carta è così completamente fabbricata. Per prepararla alle ulteriori operazioni di allestimento non resterà che avvolgerla in rotoli per mezzo dell'apparecchio arrotolatore.

Carte speciali che si fabbricano sulla macchina continua in piano munita di qualche apparecchio speciale, sono la carta monolucida e le carte pelures. La carta monolucida - p. es. quella per affissi - viene fabbricata su una macchina provvista di un cilindro essiccatore di grande diametro e a superficie perfettamente levigata, contro il quale la carta ancora umida viene fortemente pressata per mezzo di un cilindro rivestito di gomma, e asciugata completamente. La faccia a contatto con la superficie del cilindro risulta lucida, mentre l'altra rimane ruvida. Se il cilindro essiccatore munito dell'apparecchio monolucido è unico, la macchina è detta monocilindrica. Analoga a quest'ultima è pure la macchina a presa automatica, che si usa per la fabbricazione delle carte di peso inferiore ai 40 grammi per mq. In questa però la carta viene automaticamente levata dalla tela per mezzo di un feltro prenditore passante sul cilindro superiore della pressa a manicotto e portata sotto il cilindro essiccatore, dove un secondo cilindro la preme contro la sua superficie.

Oltre che sulla macchina continua in piano la carta si può fabbricare anche sulla macchina in tondo (fig. 26).

La forma della lavorazione a mano, o rispettivamente la tavola piana della macchina continua, è qui sostituita da un tamburo creatore, costituito da uno scheletro cilindrico metallico ricoperto di tela finissima di bronzo fosforoso, sulla quale si possono eventualmente cucire o punzonare i disegni per le filigrane. Il tamburo, girevole attorno al proprio asse orizzontale, è immerso per circa tre quarti in una vasca alimentata continuamente dalla pasta. Le sue testate sono aperte e comunicano con l'esterno, ma sono chiuse ermeticamente contro la vasca. A causa della differenza di pressione che si produce fra l'interno e l'esterno del tamburo, l'acqua penetra attraverso le maglie della tela nell'interno di questo e si scarica poi attraverso le testate, mentre le fibre e le sostanze solide vengono invece trattenute sulla superficie, formando così un velo di pasta più o meno leggiero secondo la sua densità e secondo la velocità del tamburo. Sopra di questo si trova adagiato un cilindro di legno sul quale scorre un feltro levatore, che passa poi anche sotto due presse piane, e dal quale viene staccato il foglio che si è formato sul tamburo sottostante. Il foglio passa sotto le presse fra il feltro levatore inferiore e un altro feltro superiore, detto il feltro montante, così che la carta non viene a diretto contatto con la superficie liscia delle presse. Per il resto, la lavorazione procede in modo quasi analogo a quella della macchina in piano.

Sulla macchina in tondo, la quale è ordinariamente provvista di vasca gelatinatrice, si può fabbricare carta in nastro continuo che poi viene arrotolato, oppure carta in fogli. Questi che costituiscono la cosiddetta carta a mano-macchina possono essere formati separatamente l'uno dall'altro sul tamburo, applicando su questo delle strisce di tela cerata, in modo da limitarne il contorno filtrante alle dimensioni desiderate. Un altro metodo consiste nel disporre trasversalmente al mantello del tamburo, e alla distanza desiderata, dei cordoncini di cotone per ottenere in corrispondenza di questi uno strato di pasta molto sottile. I fogli attraversano tutta la macchina, uniti fra loro da queste leggiere zone di pasta, e vengono poi facilmente staccati l'uno dall'altro dopo la gelatinatura.

Con la macchina in tondo si fabbrica della carta tipo mano molto fine e con buoni effetti di filigrana.

Allestimento della carta. - Per alcuni usi la carta può essere adoperata anche come esce dalla macchina continua; così ad es. alcune carte da stampa, le quali vengono tagliate in fogli dai rotoli originali provenienti dalla continua, impaccate e spedite. La carta che viene adoperata sulle macchine rotative e sulle macchine Duplex per la stampa dei giornali non viene tagliata, ma solamente ribobinata, affinché il rotolo sia più regolare e senza interruzioni.

Molti tipi, però, come ad es. la massima parte delle carte da scrivere, da stampa e da involgere, non possono venire utilizzati come vengono dalla macchina, ma devono essere prima lucidati. La lucidatura consiste nel pressare, e qualche volta anche nel far slittare su una superficie molto liscia, il foglio di carta precedentemente inumidito con l'apparecchio umettatore, in modo da comprimervi le fibre che sporgono dalla superficie e renderla così omogenea e più liscia.

Per eseguire questa operazione sul rotolo di carta, si usa la calandra, (v. Tav. LVII) che è un sistema di rulli di ghisa fusi in conchiglia, alternati con rulli di carta - in totale fino a sedici - sovrapposti l'uno all'altro, in modo da gravare sui sottostanti, e trascinati in rotazione da uno dei rulli intermedî, che è comandato. Un porta-rotoli e un apparecchio arrotolatore completano la macchina. La carta, come nella liscia a secco, viene fatta passare attraverso le zone di contatto dei rulli, e ne esce lucidata più o meno, a seconda della pressione su di essa esercitata e del numero dei passaggi.

La carta, specialmente se si tratta di tipi filigranati che non devono ricevere un forte grado di lucidatura, può essere anche lucidata in fogli per mezzo della satina, che è un apparecchio lucidatore a due cilindri sovrapposti che possono venir pressati, l'uno contro l'altro, per mezzo di opportuni contropesi. I fogli di carta da satinare si alternano con lastre di zinco, fino a raggiungere una posta di 2 o 3 cm. di spessore, la quale poi s'introduce fra i due cilindri. L'operazione viene ripetuta un numero di volte sufficiente a ottenere la satinatura desiderata.

Il taglio in fogli si eseguisce sulle taglierine, sulle quali si collocano anche dodici o più rotoli contemporaneamente, e che si possono classificare di due tipi: le taglierine tipo Verny, nelle quali il coltello è a ghigliottina e la carta avanza con moto intermittente, e le taglierine tipo americano, a coltello rotante e ad avanzamento continuo della carta.

L'allestimento della carta viene completato con la scelta e la contatura, operazioni che vengono eseguite da operaie le quali fanno passare i fogli a uno a uno, osservandoli eventualmente contro luce, tolgono quelli sporchi, stracciati, piegati, raggrinziti, e li suddividono in due o tre qualità - prima e seconda scelta, cernaglia - come pure mettono a parte quelli che risultassero di peso e colore diversi dai prescritti. Molto spesso la carta viene impaccata in risme di 500 fogli e messa in casse; o più spesso viene imballata per mezzo di una pressa idraulica, involgendo i pacchi o i fogli sciolti in carta ordinaria, e chiudendoli poi fra due telai di legno con regge di ferro.

La carta può essere sottoposta a diverse lavorazioni dai cartotecnici. Alcune di esse si eseguono talvolta nelle cartiere stesse.

Filigranatura a secco. - Le filigrane a secco sono imitazioni di quelle eseguite sul foglio in formazione e si ottengono facendo passare attraverso una satina il 10glio leggermente inumidito e collocato sopra un cartone molto duro, sul quale, con fili, gelatina e altro, è disegnata in rilievo la dicitura o la figura da riprodurre più in chiaro sulla carta.

Telatura. - Si conferisce alla carta l'aspetto del tessuto passando i fogli alla satina, ma inserendo tra foglio di carta e lastra di zinco un foglio di tela, il quale, data la forte pressione, imprime nella carta la sua struttura, così da farla assomigliare a un tessuto vero. Si può ottenere lo stesso efíetto anche con una macchina goffratrice.

Gofratura. - È l'operazione mediante la quale, facendo passare il foglio attraverso una satina speciale nella quale il rullo superiore è di acciaio inciso e l'inferiore di carta, s'imprime sulla carta o sul cartone un disegno qualsiasi.

Regatura. - Viene eseguita in foglio, su macchine rigatrici a uno o più calamai, e su una o su ambedue le facce in un solo tempo di lavoro, così che con due soli passaggi si possono eseguire le più svariate e compli-. cate rigature, nel senso tanto longitudinale quanto trasversale del foglio.

Fabbricazione di buste. - Coi mezzi più comuni le buste si fabbricano in due tempi. Dapprima si tagliano da un mazzo di fogli, che si colloca sotto il piatto di una fustellatrice, i foglietti sagomati che s'introducono poi nella vera macchina per buste. Questa, agendo automaticamente, prende a uno a uno i foglietti, li ingomma, li piega e li trasforma in buste che scarica poi completamente finite e impaccate. Talvolta, come le bustine per medicinali, per buste-paga, ecc., si possono preparare direttamente dal rotolo con macchine automatiche, speciali, che stampano eventualmente anche l'intestazione, la dicitura o i disegni a uno o più colori in un unico ciclo di lavoro.

Quaderni e blocchi. - La cucitura dei fogli, che è l'operazione fondamentale della confezionatura dei quaderni, si fa con macchine cucitrici, generalmente a filo metallico continuo e con formazione automatica degli arpioni. La cucitura si può fare attraverso la piega (quaderni) oppure in piano (blocchi). Di altre lavorazioni sarà detto più innanzi.

Cartoncini e cartoni. - Non esiste distinzione netta fra carta, cartoncino e cartone. Approssimativamente si può definire come cartoncino una carta che abbia un peso per mq. oscillante fra 150 e 400 grammi, e col nome di cartone quella che oltrepassa i 400 grammi.

Le materie prime che compongono i cartoncini e i cartoni sono le stesse che si adoperano per la fabbricazione della carta. Poiché però, dato il loro notevole spessore, i cartoni possiedono già una rilevante resistenza, le mezze paste che li compongono possono essere di qualità inferiore. Esclusi naturalmente certi tipi fini, per la fabbricazione del cartone si usano preferibilmente materie prime di basso prezzo, come cartaccia, pasta-paglia, cordame di manilla, o di canapa, sacchi vecchi, cellulosa scheggiosa, pasta di legno bruna per i cartoni cuoio, pasta di legno grossa, pasta di stracci ordinaria, generalmente non imbianchita. Anche i cartoni e i cartoncini, se occorre, si possono naturalmente tingere, collare e caricare.

La loro fabbricazione si fa ora quasi esclusivamente a macchina. Con la macchina continua in piano, precedentemente descritta, si possono fabbricare in nastro continuo cartoncini del peso non superiore, generalmente, ai 300 grammi. Per valersi di questa macchina, nella fabbricazione di cartoni più pesanti, bisogna usare certi accorgimenti e munirla di dispositivi adatti.

La tavola piana non è generalmente dotata di scotimento. La pasta che arriva sulla tela è molto densa e quindi diffìcilmente disidratabile; si deve quindi operare con precauzione per non guastare il foglio in formazione. Per questo motivo (e qui sta la differenza sostanziale fra questa macchina e la continua ordinaria) prima della pressa a manicotto, e vicinissime fra loro, si trovano cinque o sei presse premanicotto, del tutto simili, ma più piccole, alle presse piane ordinarie. Attraverso a queste, oltre alla tela metallica principale, passa un'altra tela - la sopratela - anche questa tesa e guidata su rulli che sono fissati nell'incastellatura superiore della macchina. Racchiuso fra queste due tele, il grosso strato di pasta ancora molto umido attraversa le presse premanicotto, le quali hanno l'ufficio di spremere gradatamente l'acqua dal foglio, in modo che questo possa oltrepassare, senza rompersi, la pressa a manicotto. Seguono due o tre presse piane, le quali, oltre che dal feltro piano inferiore, sono - almeno le prime due - munite anche di feltro superiore o montante. La seccheria, nelle sue linee essenziali, non differisce dalla ordinaria parte secca della continua.

La macchina che più si presta alla fabbricazione dei cartoni è però la macchina in tondo, con le sue derivazioni. Sul tamburo della macchina in tondo già precedentemente descritta, mancando l'effetto dello scotimento, le fibre si dispongono preferibilmente nel senso del movimento del tamburo, e di conseguenza la carta risulta meno resistente in direzione trasversale. Per eliminare in parte questo inconveniente, quando si fabbricano cartoni con la macchina in tondo, si usa formare strati sottili sul tamburo e poi sovrapporli e pressarli insieme, mentre sono ancora allo stato umido, in modo da ottenere un unico strato perfettamente collegato e relativamente più resistente.

L'ordinaria macchina-cartoni è appunto costruita e lavora in base a questo concetto. In sostanza non si tratta che d'una macchina in tondo con una sola pressa. Lo strato di pasta di 50-70 grammi per mq. viene staccato dal tamburo per mezzo del feltro levatore e portato sotto la pressa. Il cilindro superiore di questa è nudo e libero, mentre sull'inferiore scorre il feltro levatore, il quale, dopo essere stato lavato, ritorna verso il tamburo per ricoprirsi nuovamente di pasta. La pressione esercitata dalla pressa fa sì che il leggiero strato di carta umido aderisca al cilindro superiore - il cilindro del formato - e su questo si avvolga continuamente. Un campanello, azionato automaticamente dalla pressa stessa, dà poi il segnale di raggiungimento dello spessore voluto, e allora il cartone così formato viene staccato con un colpo di coltello, il quale può essere manovrato a mano oppure azionato automaticamente dalla macchina stessa. In altre macchine il cilindro del formato è provvisto di una scanalatura longitudinale, nella quale si annida un robusto filo metallico fissato a un'estremità. Quando il campanello suona, l'operaio tira il capo libero del filo; il tubo umido di cartone che avvolge il cilindro superiore resta allora tagliato in tutta la sua lunghezza, si apre e cade sulla tavola d'uscita.

I fogli così fabbricati e deposti l'uno sopra l'altro, vengono poi pressati per mezzo di una potente pressa idraulica e asciugati all'aria libera o in asciugatoi riscaldati artificialmente. I cartoni cuoio, i cartoni legno per scatolifici, i cartoni cenere per legatorie e anche molte qualità speciali di cartone, come p. es. quelli per macchine Jacquard e i cartoni presspan, sono ordinariamente fabbricati in questo modo.

Si è seguito lo stesso concetto della fabbricazione del cartone per sovrapposizione di singoli strati nell'adozione della macchina a più tamburi. Questa è composta di una serie di sei o otto tamburi creatori immersi nelle relative vasche. I singoli strati vengono staccati dai diversi tamburi da un unico feltro levatore speciale, sul quale si sovrappongono e formano lo spessore di cartone voluto. Ogni tamburo può essere alimentato separatamente dagli altri, ed è quindi possibile comporre un nastro continuo di cartone con strati di pasta diversi; gli strati interni si fanno cioè di materiale oriinario e non tinto in pasta, mentre i due strati esterni si compongono di solito con materie prime più fini ed eventualmente anche colorate. Anche qui come nelle macchine per cartoni in piano, sono disposte le presse premanicotto attraverso le quali viene fatto passare il foglio, racchiuso però non più fra le due tele, ma fra due feltri, e cioè il levatore e un feltro inferiore. Prima di questa serie di presse si dispongono talvolta uno o due cilindri aspiratori sistema Millspaugh. Alla pressa a manicotto seguono poi altre due o tre presse piane, ognuna munita del proprio feltro piano e la prima anche di feltro montante. La parte secca è del tutto analoga a quella della macchina continua. È generalmente provvista di apparecchio per il monolucido, di una o due lisce a secco, come pure, oltre all'apparecchio per il taglio longitudinale, anche di taglierina trasversale, cosicché, all'occorrenza, i fogli possono venir tagliati già in macchina nella misura desiderata.

La macchina a uno o più tamburi, per certe speciali lavorazioni, viene anche talvolta accoppiata con una macchina in piano, per riunire così in un solo cartone i pregi di entrambi i metodi di fabbricazione (fig. 27). Le macchine sono in generale sovrapposte, e l'accoppiamento è ottenuto riunendo sotto le presse premanicotto, oppure prima della prima pressa piana, i due nastri continui. Allo stesso modo si possono riunire anche due e persino tre macchine piane, disponendole l'una sopra l'altra, e riunendo i rispettivi nastri continui prima della pressa a manicotto. Con i metodi sopraccennati si fabbricano, p. es., i cartoni duplex e triplex.

Oltre che nei modi predetti, i cartoncini e i cartoni possono essere fabbricati anche incollando fra loro due o più fogli o nastri di carta con colla di fecola o simili. Si hanno in tal modo i cosiddetti cartoncini Bristol. Se l'operazione è fatta incollando i fogli si usa una semplice incollatrice a due rulli incollatori sovrapposti, attraverso i quali, secondo che la colla deve venir applicata su due o su una sola faccia, si fanno passare i fogli ad uno oppure a due per volta. Si possono in tal modo raggiungere i più forti spessori. Naturalmente i fogli interni sono in generale di materiale più scadente.

Quando si vogliono ottenere cartoni di non forte spessore si usa la macchina accoppiatrice sulla quale trovano posto due, tre o anche quattro rotoli; i nastri di carta vengono opportunamente spalmati di colla, riuniti fra loro, pressati e asciugati direttamente nella stessa macchina su una batteria di essiccatori, oppure, tagliati in fogli, su un asciugatoio ad aria calda, come gli altri cartoni.

I cartoncini e i cartoni allestiti in fogli con uno dei metodi precedenti, vengono - se occorre - lisciati e spianati per mezzo di presse speciali, oppure lucidati. A questo scopo si possono usare le satine come nella fabbricazione della carta oppure calandre a due rulli, nelle quali si fa passare foglio per foglio, oppure anche calandre a fogli, in tutto uguali alle solite calandre, ma munite di guide speciali, in modo che i fogli sono costretti ad attraversare tutte le zone di contatto dei cilindri. Molte volte queste calandre a fogli sono doppie e cioè se ne installano due congiunte mediante nastri trasportatori di canape, i quali hanno l'ufficio di prendere i fogli che escono dalla prima e portarli alla seconda, in modo che la lucidatura può avvenire in un solo ciclo di lavoro, con notevole risparmio di tempo e con minor scarto.

La scelta, la contatura e l'imballo avvengono come per la carta.

Tipi di carte e loro usi.

Agli usi principali cui la carta era adibita anticamente, altri svariatissimi se ne aggiunsero col tempo, cosicché i tipi ora fabbricati sono innumerevoli e riuscirebbe difficilissimo classificarli tutti in modo completo e preciso.

I criterî sui quali si basa la classificazione praticata generalmente nell'industria e nel commercio cartario, sono specialmente: l'uso, la qualità, ed il prezzo; dall'uso, in particolar modo, deriva la denominazione dei singoli tipi di carta, in relazione alle loro proprietà, per quanto qualità diverse di carte, destinate allo stesso uso, possano differire profondamente per lavorazione ed impasto. Così, per es., le carte da stampa di migliore qualità sono fabbricate con cenci e con buone cellulose, mentre quelle di qualità più scadente, e a buon mercato, sono prodotte con miscele contenenti percentuali più o meno elevate di pasta meccanica di legno.

In riferimento agli usi più comuni e diffusi, le carte si possono classificare in tre grandi categorie: 1. carte da impressione, nel senso più ampio della parola, ossia carte da scrivere, da disegno, da stampa, ecc.; 2. carte assorbenti, comprendenti le carte asciuganti, quelle per copie e quelle da filtro; 3. carte da involti, nella quale categoria si comprendono le carte da impacco, quelle per copertine, per involucri, ecc. In un gruppo a parte si possono poi riunire le carte speciali, le quali devono subire, per lo più, trattamenti particolari prima di giungere al consumatore; fra queste ricordiamo gli svariati tipi di carte patinate, oleate, paraffinate, pergamenate, carte sensibili, carte a smeriglio, carte da parati, ecc.

In base al valore, e quindi indirettamente alla qualità delle materie prime impiegate, le carte si distinguono in fini, mezzo-fini, e andanti. I tipi migliori sono quelli costituiti da cenci di prima qualità, razionalmente trasformati in pasta; in ogni caso, le carte fini devono possedere ottimi requisiti di lavorazione e contenere materiali fibrosi, atti a garantirne la durata. Le carte mezzo-fini, che sono le più usate, contengono impasti costituiti nelle più disparate proporzioni da miscugli di pasta di cenci e di cellulosa di diversa natura. I varî tipi di carte ordinarî e andanti contengono sempre quantità più o meno grandi di pasta di legno e di altre fibre lignificate; al loro minor costo fanno riscontro aspetto e proprietà intrinseche parimenti inferiori a quelle fabbricate con cellulosa e con cenci di buona qualità. Le carte contenenti, p. es., pasta meccanica di legno, si alterano rapidamente col tempo, come accade per la carta da giornali, che, molto adatta per l'uso effimero a cui è destinata, ingiallisce alla luce in un periodo molto breve, perdendo parte della sua tenacità, gia limitata. Anche la presenza di notevoli quantità di sostanze minerali, che influiscono sulla resistenza, diminuisce il valore del prodotto, per quanto l'impiego di materiali di carica sia indispensabile per certi tipi, anche fini, quando si voglia ottenere una carta opaca, a superficie liscia, a spera unita, e adatta per la stampa.

Ciascuna delle categorie sopra menzionate comprende innumerevoli tipi e qualità di carta.

Alla categoria delle carte da impressione appartengono le carte da scrivere, da disegno, da stampa e in generale tutte le carte che debbono ricevere segni o figure, siano questi prodotti con liquidi acquosi colorati, oppure con colori pastosi, o anche per mezzo di matite nere o colorate. Naturalmente ai varî metodi coi quali vengono prodotti i segni sulla carta devono corrispondere caratteristiche diverse della carta stessa, in rapporto alla natura della sostanza colorante da impiegare, e al modo di fissarla sul foglio. Così per le carte destinate all'impressione con matite non hanno importanza la compattezza e il potere assorbente verso i liquidi (grado di collatura), mentre, invece, si richiede da esse una certa ruvidezza, e una sufficiente resistenza alla pressione delle matite dure.

Nelle carte da scrivere ha invece molta importanza la resistenza alla penetrazione di sostanze acquose coloranti o inchiostri, poiché si deve evitare che questi liquidi si spandano o passino dalla parte opposta del foglio: a tale scopo tende appunto la collatura. Minore interesse riveste invece quest'ultima per le carte da stampa, poiché gl'inchiostri adoperati in questo caso. vengono applicati dai caratteri, sotto forma di uno strato quasi superficiale e penetrano più difficilmente nella carta; anzi, è spesso desiderabile che le carte da stampa possiedano un certo potere assorbente. La carta da scrivere oltre a un determinato grado di collatura, esige una superficie piana e liscia per evitare che il pennino scorra con difficoltà, trascini delle fibre o spruzzi l'inchiostro. La collatura si basa sul riempimento o sulla chiusura dei pori e dei canali del feltro di carta, per mezzo di sostanze capaci di impedire la penetrazione capillare dell'inchiostro. La levigatura si ottiene, invece, con la pressione alle calandre. La carta da scrivere deve anche resistere alla raschiatura, e alla cancellatura, nel senso di permettere di riscriveie sulle parti cancellate, senza che l'inchiostro si spanda. Esistono numerosissimi tipi e qualità di carte da scrivere, da quelle per documenti, a quelle per registri e da lettere, ecc. Le carte per documenti devono offrire garanzia di lunga durata e di elevata tenacità, poiché vengono conservate per molti anni, talora per secoli, e maneggiate di frequente a scopo di consultazione. Le carte per registri, adoperate comunemente nelle aziende per libri di grande formato, devono possedere un elevato grado di collatura e una forte resistenza allo strappo, e quindi essere costituite da fibre di notevole resistenza; devono inoltre prestarsi contemporaneamente alla scrittura e alla stampa. Le caratteristiche delle carte da lettere non corrispondono solamente al loro pratico uso, ma anche al gusto personale del consumatore, per quanto riguarda il formato, il peso, lo spessore, la levigatura, la tinta, la filigrana, ecc.; ma in ogni caso esse devono essere opache, ben collate e di peso limitato, per consentire l'invio di lunghe lettere, senza oltrepassare le spese minime di affrancatura. Le carte per scrivere a macchina esigono requisiti simili a quelli della carta da stampa, poiché effettivamente questo processo d'impressione si avvicina molto a quello della stampa: la collatura può essere ridotta, ma non soppressa, per rendere possibili brevi scritture a mano, quali correzioni e firma; queste carte devono poi essere molto sottili, sì da permettere l'esecuzione di più copie contemporanee, mediante l'uso di un corrispondente numero di fogli di carta-carbone. Dalla carta per buste si richiedono specialmente resistenza, buona collatura e opacità, in modo che non traspaia lo scritto dei fogli inclusi; le caratteristiche di queste carte, che devono rispondere, in generale, a quelle delle carte da scrivere e a quelle delle carte da involto, sono in relazione alla natura degli oggetti che devono essere contenuti nella busta, come lettere, documenti, campioni, ecc. Alla vasta categoria delle carte da scrivere appartengono anche i tipi per minute, per quaderni da scuola e per musica.

Gl'innumerevoli tipi di carta da stampa possiedono requisiti comuni alle altre varietà di carta, oltre a caratteristiche particolari che li rendono specialmente idonei allo scopo cui sono destinati. L'adattabilità alla stampa e la possibilità di trattenere l'inchiostro tipografico, è tanto maggiore quanto maggiori sono la morbidezza e la porosità del foglio; perciò la collatura per carte destinate esclusivamente alla stampa, è sempre molto ridotta, o manca addirittura. Molte volte però la carta stampata deve servire contemporaneamente per manoscritti e possedere quindi un sufficiente grado di colla. Gli svariati tipi di carta da stampa sono costituiti da impasti fibrosi di diversa natura, e nelle più disparate proporzioni: si passa così da impasti di soli cenci, per i tipi più fini, a quelli costituiti da ¾, di pasta meccanica e ¼ di cellulosa di legno, per i giornali quotidiani. Fra gl'innumerevoli tipi di carta da stampa ricordiamo quelli per documenti, per giornali, per affissi, per incisioni, per edizioni, per carte-valori, ecc. Le carte per incisioni, di spessore e compattezza uniformi devono possedere una superficie perfettamente piana e levigata; su carta ruvida le incisioni risultano generalmente poco unite, per quanto recenti innovazioni abbiano ovviato quasi del tutto a questo inconveniente.

Per litografia e per illustrazioni, da ottenersi con processi fotomeccanici è indispensabile una grande uniformità della superficie del foglio: si adoperano quindi molto, a questo scopo, le carte patinate (v. sotto) e anche altri tipi che, pur non essendo patinati, per il loro elevato contenuto in sostanze minerali, presentano una superficie liscia e lucida, simile a quella delle carte patinate. L'Enciclopedia Italiana è stampata su carta leggermente patinata, nel cui impasto entra anche la cellulosa di sparto. Le carte per edizioni sono a mezza colla, oppure a tre quarti di colla.

La caratteristica fondamentale dei varî tipi di carte assorbenti è la porosità, ottenuta mediante l'impiego di materie prime appr0priate e di idonei metodi di lavorazione; durante la fabbricazione di queste carte si devono accuratamente evitare tutte quelle operazioni che possono in qualche modo diminuire la capillarità del foglio.

Alla categoria delle carte assorbenti appartengono le carte asciuganti, le carte da filtro, le carte per copialettere e le carte per sigarette.

Le carte asciuganti sono destinate ad allontanate l'eccesso d'inchiostro dalle scritture recenti, senza dar luogo a macchie o a spandimenti: la caratteristica più importante di queste carte è la rapidità con cui assorbono i liquidi, ossia il loro grado di assorbimento, mentre invece la resistenza ha un'importanza secondaria. La materia prima più idonea per la loro preparazione è lo straccio di cotone, ma anche la cellulosa alla soda e la pasta di legno vengono talvolta impiegate al medesimo scopo.

Le buone carte da filtro devono possedere essenzialmente due requisiti: elevato potere filtrante, ossia capacità di trattenere anche precipitati finissimi, ed elevata velocità di filtrazione. Queste due proprietà, dipendenti entrambe dalle dimensioni e dal numero dei pori, sono parzialmente contrastanti, perché un elevato potere selettivo verso i precipitati si può otteneie solo a parziale scapito della velocità di filtrazione. Per ogni determinato scopo si sceglierà la carta da filtro più particolarmente indicata. Fra le carte da filtro meritano speciale menzione quelle tarate o senza ceneri, molto usate nei laboratorî per l'analisi chimica quantitativa. Esse sono ottenute da buoni stracci di cotone convenientemente lavorati, la cui pasta viene in particolar modo epurata di quasi tutte le sostanze minerali naturali della fibra. Anche la piccolissima percentuale di ceneri, che rimane dalla loro combustione, è esattamente stabilita.

La carta per copialettere deve possedere un potere assorbente che permetta di trattenere l'inchiostro anche nei tratti fini della scrittura, e al tempo stesso una trasparenza così elevata da consentire la chiara lettura dello scritto dal viso opposto del foglio. Questi requisiti, strettamente dipendenti dalla struttura del foglio stesso, si ottengono con l'impiego di materiali fibrosi, che si lascino ridurre, con una lunga lavorazione, in fibrille finissime. Lo straccio rappresenta la materia prima ideale per questa lavorazione, per quanto venga spesso sostituito per tipi meno fini con la iuta o con la cellulosa di paglia.

Le carte da sigarette costituiscono un tipo speciale di carta non collata. Si fabbricano diversi tipi, da quelli finissimi a quelli andanti, secondo le esigenze dei mercati e con requisiti speciali particolarmente per quanto riguarda il loro modo di comportarsi alla combustione. I requisiti meccanici richiesti dall'uso particolare a cui queste carte vengono destinate, sono tutt'altro che piccoli: esse devono essere fabbricate con fibre resistenti, fra cui, specialmente indicate per i tipi fini, quelle del lino e della canapa. Si impiegano anche per altri tipi la cellulosa di legno e di paglia. È indispensabile che i prodotti di combustione non producano un gusto sgradevole al palato e che la carta sia assolutamente priva di sostanze capaci di sviluppare cattivi odori durante la combustione. Per rendere questa più rapida e completa, si aggiungono nell'impasto sosianze speciali, particolarmente carbonato di magnesio, carbonato di calcio, o speciali perossidi.

Le carte da involgere comprendono tipi numerosissimi, in relazione all'uso specifico cui sono destinate e all'impasto che le compone. Le carte da involgere sono in gran parte colorate e, salvo tipi speciali, fabbricate con materie prime di scarso valore, come cartaccia e cascami più o meno impuri (tela da sacco, spaghi catramati, scarti di filatura, ecc.), anche le paste gialle di paglia e la pasta bruna di legno trovano largo impiego in speciali tipi di carta da involgere.

Le carte da imballo destinate unicamente a proteggere la merce, devono per lo più possedere elevate caratteristiche di solidità e di resistenza; ma per una semplice azione protettrice dalla polvere possono in alcuni casi servire carte di minor resistenza, come quelle di paglia. Fra le più resistenti sono le carte Manilla, che, oltre alla canapa omonima contengono spesso nel loro impasto notevoli quantità di iuta. Altro tipo ad alta resistenza, indicatissimo per sacchi da cemento, è quello della cosiddetta carta Kraft, fabbricata con cellulosa alla soda molto resistente.

Anche le carte cuoio, costituite di pasta bruna di legno, occupano un posto importante nella categoria delle carte da imballo. La carta da zucchero, largamente adoperata per l'impacco di questa deriata, contiene fortissime quantità di materiale di carica (sin oltre il 50%) e possiede un caratteristico colore azzurro, più o meno scuro.

Nei tipi fini di carta da involgere si dà molta importanza anche ai caratteri esteriori; essi sono di tinte belle e vivaci e se bianchi, di un grado di bianchezza molto spiccato e nitido. Per alcune merci, come generi di pasticceria, si usano carte da involgere di lusso.

Alcuni tipi di carta da involgere possono essere compresi, per il loro uso, anche in altre categorie; p. es. le carte per buste che sono carte da involgere e da scrivere, e devono quindi possedere determinati requisiti di resistenza e di collatura. Altri tipi sono compresi anche fra le carte da stampa, p. es. le carte per copertine di libri e riviste.

Fra le carte da involgere, alcune devono possedere particolari caratteristiche. Così le carte per involgere metalli come le carte per aghi, tinte in nero. Per queste carte si esige che non contengano sostanze che direttamente o indirettamente possano produrre ossidazione o altre alterazioni del metallo; esse devono essere preparate accuratamente.

Fra le carte per avvolgere sostanze alimentari si annoverano le cosiddette carte pergamine, trasparenti, impermeabili ai grassi, sottili, sia bianche sia, come accade più spesso, colorate nelle più svariate tinte; per certi usi possono sostituire la carta pergamenata (v. più oltre). L'impasto delle carte pergamine è costituito da cellulosa al solfito, e le caratteristiche di dette carte si ottengono mediante lavorazione speciale della cellulosa che dev'essere raffinata a lungo in olandese con lame smussate del cilindro operatore e della platina; la platina e il cilindro di lava o di basalto si prestano molto bene per questa lavorazione grassa. La carta quale esce dalla batteria degli essiccatori della macchina viene poi umettata e sottoposta a una calandratura energica.

Le carte-valori comprendono quelle carte sulle quali si stampano titoli di stato, cartelle di prestiti, francobolli, obbligazioni o azioni di società anonime, istituti di credito, ecc., e in modo speciale i biglietti di banca. Esse appartengono alla grande categoria delle carte da impressione.

Le materie prime più comunemente usate per la fabbricazione delle carte-valori sono gli stracci di lino e di canapa nuovi, il ramiè e qualche altra fibra esotica. Le diverse materie fibrose, raffinate con i soliti sistemi, ma seguendo certe precauzioni speciali, conferiscono alla carta non solo la resistenza richiesta dall'uso specialissimo cui essa è destinata, ma anche un aspetto esteriore caratteristico e facilmente riconoscibile, specialmente al tatto.

Le carte-valori si possono fabbricare a mano o a mano-macchina, sulla macchia a tamburo. Si adotta il primo sistema per la fabbricazione dei biglietti di banca e delle carte-valori più preziose, mentre invece le carte per azioni obbligazioni, ecc., si fabbricano piu frequentemente sulla macchina in tondo. Come è già stato accennato, esistono macchine che imitano le operazioni della formazione del foglio eseguita a mano dall'operaio; con questo metodo la Banca d'Italia produce la carta per i suoi biglietti.

Per salvaguardarsi dalla falsificazione della carta-moneta si ricorre ad accorgimenti speciali nella scelta del disegno e del sistema d'impressione, formando il cosiddetto fondo di sicurezza, che si stampa sulla carta con colori speciali quasi refrattarî alla riproduzione fotografica. Oltre a ciò la carta stessa offre un mezzo forse ancora più sicuro per poter individuare la falsificazione consistente nella filigrana, la quale rappresenta il più grande ostacolo che si possa opporre all'imitazione della moneta cartacea. Già la preparazione della forma per fabbricare le carte filigranate richiede una tale abilità da parte di numerosi specialisti e una così lunga serie di operazioni che un'imitazione abbastanza fedele della carta-moneta è molto difficile (v. filigrana).

Trattando della fabbricazione della carta a mano è già stato parlato in generale delle filigrane. Quelle per la carta-moneta però riproducono disegni e figure non semplicemente a contorni di chiaroscuro, ma a sfumature graduali riproducenti gli effetti di un dipinto ad acquarello. E poiché la tecnica di questa lavorazione è frutto di decennî di esperienze e di prove difficili e laboriose, ed è affidata a persone, le quali, nel loro genere, devono possedere qualità artistiche e abilità non comuni spesso trasmesse di padre in figlio, la fabbricazione di queste carte filigranate è proprietà quasi esclusiva di pochissime cartiere appositamente attrezzate; in Italia la cartiera P. Miliani di Fabriano si è specializzata nella loro fabbricazione ed è fra le prime del mondo.

La prima operazione nella preparazione della filigrana è l'incisione della cera. Preparato un foglio di cera speciale molto spesso, il personale specializzato scava su di esso con attrezzi appositi, più o meno profondamente, i tratti della figura da riprodurre. Questa è certamente la fase più delicata e difficile, perché lo spessore e la tinta della cera devono essere scelti in modo che il disegno in chiaroscuro che apparirà sul foglio di cera usato per trasparenza, e che sarà del tutto eguale alla figura che si vuole riprodurre, corrisponda alle sporgenze e alle rientranze della tela metallica che darà poi la carta filigranata.

Il bassorilievo di cera viene collocato in un bagno galvanico e riprodotto in rame; per dare consistenza allo stampo così ottenuto, si riempie il "retro" con piombo fuso. Procedendo allo stesso modo, ma servendosi ora dello stampo invece che della cera, si ottiene il controstampo. Si lha così il punzone, il quale, debitamente ritoccato, servirà a modellare la tela che poi terrà distesa sulla forma e riprodurrà in filigrana il disegno desiderato. Le parti che nella cera erano incavate, e risultavano perciò chiare, riescono sporgenti sulla tela, e poiché, come è stato detto, i varî effetti di chiaroscuro non dipendono che da varî gradi di spessore del foglio, apparirà sulla carta la figura che aveva servito da modello al filigranista nell'incidere la cera.

Per rendere sempre più difficile la contraffazione della carta-moneta si sono escogitati tarî sistemi e processi speciali di fabbricazione. Fra questi merita di essere menzionato un sistema di filigrana della cartiera P. Miliani, detto a doppio effetto. Consiste nella sovrapposizione di due fogli, spesso di colore e qualità molto differente, così che ne risulta una carta a doppio viso. Uno dei fogli fa da supporto e l'altro, superiore, è filigranato. La filigrana è resa visibile anche in piano e, guardata per trasparenza, dà effetti di chiaroscuro molto più marcati. Oltre a ciò la carta così prodotta ha una resistenza notevolissima e superiore a quella delle altre carte filigranate. In Germania è stato adottato il sistema Wilcox, delle fibre localizzate, consistente nel lasciar cadere su un lato del foglio in formazione delle fibre sottilissime, le quali, incorporate alla superficie, appaiono come tratti di penna disposti irregolarmente, ma denotano chiaramente la loro vera origine quando, toccate con uno spillo o con la punta di un temperino, si staccano dalla carta.

Carte speciali. - Come sè già detto, la carta in molti casi, prima di arrivare al consumatore, è sottoposta a svariate lavorazioni per renderla adatta all'uso cui deve essere adibita. In questi casi la carta greggia, che deve possedere requisiti speciali in rapporto alle lavorazioni che deve subire, rappresenta per lo più come un supporto sul quale si applicano altre sostanze o per mezzo di una patina sulla superficie o per impregnazione nell'interno della carta.

Carte patinate. - La patinatura della carta consiste nello spalmare su una o ambedue le facce una sostanza capace di riempire i pori e gli interstizî tra fibra e fibra, in modo da formare una superficie perfettamente piana ed eguale. Lo scopo principale della patinatura è quello di rendere la carta meglio adatta a ricevere la stampa, specialmente se si tratta di carte che servono per illustrazioni artistiche e pubblicazioni di lusso, così in tipografia come in cromo e litografia.

In origine si usava spalmare sulla carta una patina molto leggiera, composta di materie minerali e di un fissatore per fare aderire sulla carta queste sostanze di riempimento. In seguito si esagerò nella quantità di patina e si ebbero così dei tipi di carta pesante, facilmente screpolabile e di un lucido eccessivo, quasi speculare.

La patinatura si fa oggi quasi esclusivamente a macchina in nastro continuo su una delle facce della carta, oppure, all'occorrenza, con macchine che eseguiscono la patinatura contemporaneamente su ambedue le facce. Per carte patinate bianche la miscela da applicarsi sulla carta è costituita da caolino, bianco fisso, bianco satin, da soli o mescolati assieme in diverse proporzioni. Il fissatore è costituito da colla animale, specialmente caseina: esso viene intimamente mescolato alla sostanza minerale. A seconda dei casi possono essere ancora aggiunte alla miscela sostanze ausiliarie, come cere, saponi, ecc. Per carte patinate colorate il colore è costituito dalle sostanze minerali suindicate con l'aggiunta di coloranti d'anilina, oppure da lacche colorate, impiegando sempre in ogni caso come fissatore la colla animale o la caseina, intimamente mescolate.

La macchina più comunemente usata per la patinatura su un sol viso è composta (fig. 28) essenzialmente di un grosso tamburo metallico e di un feltro che scorre su un cilindro di rame il quale pesca in una bacinella contenente la patina. Questa viene così applicata dal feltro sul nastro di carta proveniente dal rotolo che non è indicato in figura. Le otto spazzole disposte lungo la periferia del tamburo, delle quali quattro fisse e quattro dotate di movimento di va e vieni, servono a meglio distendere e a far aderire la patina sul foglio. Il feltro è sostituito talvolta da una spazzola rotatrice. L'asciugamento viene eseguito generalmente all'aria facendo passare il foglio continuo a festoni in un ambiente riscaldato. La fig. 29 rappresenta un impianto completo di patinatura. In questo il foglio continuo di carta patinata, dalla macchina A, simile a quella ora descritta, passa a velocità costante attraverso l'apparecchio tenditore B e viene automaticamente disposto su aste di legno C. Queste sono sollevate e traspoitate in alto da catene sOeciali e rimesse ad altre catene D che guidano lentamente la carta attraverso lo stenditoio. La velocità delle catene e la distanza delle aste l'una dall'altra sono regolate in modo che il nastro continuo di carta si dispone a festone. All'uscita dallo stenditoio i bastoni, trasportati dalla catena si accumulano in F e ritornano in circolazione, mentre la carta, attraverso la guida I viene arrotolata mediante la bobinatrice K.

Con macchine simili si fabbricano pure le carte patinaie a due visi patinando prima da una parte e poi dall'altra. Carte con patinatura più complicata richiedono naturalmente una lavorazione speciale e trattamenti diversi secondo gli effetti che si desiderano.

Le carte spruzzate, che servonoo per legatoria, copertine di quaderni, ecc., si ottengono spruzzando meccanicamente sul foglio appena patinato delle gocce di tinta diversa.

Le carte marmorizzate, a iride, a pettine, o comunque con disegni fantasia, si eseguiscono a mano, foglio per foglio, preparando anzitutto un fondo in una bacinella capace di contenere disteso tutto il foglio. Il fondo è formato da un liquido denso di sostanza gelatinosa sul quale si applicano i diversi colori, disponendoli, con l'aiuto di pettini, spazzole, pennelli e attrezzi speciali, a lunette, a onde, a chiazze, in modo da ottenere i disegni e gli effetti di marezzatura e di venatura che si desiderano. Ciò è possibile perché il fondo è formato da un liquido denso, sul quale i colori possono galleggiare. Sulla superficie così preparata si distende con precauzione il foglio imprimendogli eventualmente un leggiero movimento ondulatorio per aumentare la varietà e l'effetto delle venature; si leva poi subito e si distende per farlo asciugare.

Tutte le carte patinate, sia a mano sia a macchina, hanno un aspetto tipaco; se si vogliono rendere lucide si lisciano sulle comuni calandre oppure su calandre a frizione o su satine ad agata.

Esistono molte altre varietà di carte sulle quali, come per le carte patinate, vengono applicati colori e disegni, o che si spalmano di sostanze speciali per renderle adatte a determinati scopi. Le principali sono:

Carte venate. - Esse sono provviste di un disegno imitante le venature del legno. Servono anche queste, come le patinate, per legatoria, confezione di scatole, ecc. Si usano generalmente carte già precedentemente patinate a un colore: la stampa viene eseguita in continuo facendo passare il nastro attraverso a due cilindri, uno dei quali è di gomma e porta inciso in rilievo il disegno da riprodurre. Un calamaio provvede a fornire al cilindro la patina occorrente.

Carte uso pelle. - Servono per legatoria e per ricoprire scatole per gioielli, mercerie, ecc. La carta viene patinata a macchina da un sol lato, con miscele di sostanze minerali, lacche colorate, sostanze collanti e prodotti speciali per rendere la carta flessibile e morbida come la pelle. Per fissare la patina e renderla impermeabile si aggiungono sostanze adatte alla miscela costituente la patina oppure si applica un substrato di vernice costituita da gomma lacca o caseina che impartisce anche il lucido. Scegliendo opportunamente il tipo di carta e producendo sulla carta patinata un'impressione per mezzo della macchina a goffrare si imita la grana della pelle.

Carte metallizzate. - Si usano per ricoprire scatole di lusso, bomboniere, e per scopi ornamentali. Si fabbricano sulla macchina da patinare usando polvere di bronzo ordinaria, colorata con sostanze speciali, oppure anche polvere di bronzo d'alluminio, tinta con colore d'anilina.

Carte vellutate. - Imitano i tessuti di lana e sono usate specialmente in tappezzeria. Si ottengono col far passare il nastro continuo di carta sotto un setaccio dotato di moto oscillatorio e contenente fibre di lana colorate e minutissime che cadono e si fissano sul foglio precedentemente gommato sulla faccia superiore. Una spazzola meccanica toglie poi l'eccesso di fibra e pulisce la superficie.

Carte pamffinate. - Si usano per involgere grassi alimentari, per bustine da medicinali, per confetti, ecc. Si preparano a freddo o a caldo facendo passare il foglio continuo in un bagno di paraffina sciolta in un solvente, o fusa, e sottoponendolo poi all'asciugamento. Se la paraffinatura deve venir eseguita su una sola faccia, la macchina è sìmile a quella adottata per le carte venate.

Carte oleate. - Possono sostituire in certi casi le precedenti. Non servono però per involgere generi alimentari dato il loro odore sgradevole. Si fabbricano allo stesso modo delle carte paraffinate.

Carte impermeabili all'aria e alla luce. - Servono per involgere pellicole cinematografiche, carte fotografiche, ecc. Si ottengono tingendo la carta fortemente in pasta e poi impregnandola di un preparato speciale.

Carta-carbone. - È usata per tirare copie sulla macchina da scrivere. Si ottiene applicando su una carta leggiera, compatta e priva di nodi una massa grassa colorata in nero o azzurro; si usano macchine simili a quelle da paraffirnare.

Carta increspata. - Oltre che sulla macchina continua questo tipo di carta si può ottenere durante l'operazione di coloritura in bagno, e cioè facendo passare il nastro ancora umido attraverso una pressa con un cilindro riscaldato. Il foglio continuo viene staccato dal cilindro per mezzo di una raschia speciale, opportunamente disposta in modo da ottenere la pieghettatura desiderata.

Carta ondulata. - Generalmente è di carta di paglia. Serve per imballi di oggetti che non devono subire colpi violenti (apparecchi scientifici, fotografici, libri, lampade elettriche). La macchina assomiglia all'accoppiatrice, con la differenza che un foglio viene prima ondulato, indi incollato e poi pressato contro altro foglio, che resta piano. Altre carte sono costituite da tre fogli, di cui l'interno è ondulato e i due esterni piani.

Carta pergamenata. - La carta greggia, destinata alla fabbricazione di questo prodotto, è ottenuta con stracci di cotone, mescolato molte volte, e in varia proporzione, a cellulosa di conifere, al solfito, e anche con impasto di tutta cellulosa. Le carte pergamenate fini, quelle per osmosi, l'opalina, si fabbricano esclusivamente con straccio di cotone debole, floscio, ben cotto e qualche volta anche macerato.

A differenza delle carte "pergamine", le cui caratteristiche sono ottenute durante la fabbricazione della carta, per la preparazione della carta pergamenata occorre sottoporre la carta finita a un'ulteriore lavorazione e precisamente a un trattamento con acido solforico in determinate condizioni. Il processo di pergamenizzazione ha luogo in una vasca, contenente acido solforico a circa 56° Bé, in cui si fa passare il nastro di carta svolgentesi dal rotolo originale; la maggior parte dell'acido viene allontanata dal foglio all'uscita dalla vasca, mediante cilindri rivestiti di gomma, seguiti da vasche di lavaggio e da altre presse. Le ultime tracce si eliminano facendo passare la carta in una vasca, contenente una soluzione ammoniacale o una soluzione calda di soda Solvay, munita della relativa pressa. Dopo un ultimo lavaggio, il nastro passa ai cilindri essiccatori ed eventualmente a una liscia a secco, da cui è poi condotto alla tagliatrice e alla bobinatrice.

Fra le carte speciali sono pure a considerarsi le carte sensibili in genere, le carte fotografiche, la carta vulcanizzata o fibra vulcanizzata che s'impiega per la confezionatura di valige, bauli, oggetti varî, compresi quelli isolanti per elettrotecnica.

Tessuti di carta. - Specialmente durante la guerra quest'utilizzazione delle carte ebbe un grande sviluppo per la confezione d'indumenti, di forniture belliche, di sacchi da trincea, ecc.

Si fabbrica il filato ritagliando dapprima delle strisce di carta della larghezza da 2 a 10 mm. sia ad umido sia a secco dal rotolo già fabbricato, mediante una macchina provvista di coltelli circolari a disco. Le strisce vengono inumidite abbondantemente per poter essere facilmente ritorte su macchine speciali, simili a quelle usate per la preparazione dei filati di cotone o di lana. Secondo un altro sistema, invece, e usando altre macchine provviste d'imbuti opportunamente sagomati, le strisce vengono semplicemente ripiegate due o più volte su sé stesse, ottenendosi così un filo piatto.

Il filato, che può essere anche imbianchito o tinto, è così pronto per passare al telaio ed essere tessuto.

Varî tipi di cartone. - Benché i cartoni vengano fabbricati seguendo sempre lo stesso sistema fondamentale, tuttavia, secondo l'uso cui devono servire, sono composti di materie prime diverse e subiscono qualche lavorazione speciale che conferisce loro le qualità che sono richieste. I cartoni si possono suddividere in quattro gruppi principali, con i relativi sottogruppi:

1. Cartoni grigi. - Servono spesso per lavori di legatoria e per scatolame. La materia prima più usata è la cartaccia di qualità scadente, non decolorata e lavorata nel modo solito. Si fabbricano su macchina in tondo ad uno o più tamburi, oppure anche su macchina in piano.

2. Cartoni-legno. - Si suddividono in cartoni di legno bianchi e cartoni-cuoio; i primi sono fabbricati esclusivamente con pasta-legno bianca, generalmente di abete, e si usano per imballaggio di generi alimentari, per la fabbricazione di sottocoppe, ecc. I cartoni-cuoio si fanno invece; oltre che con scatolame usato e ritagli di cartone, con pasta-legno bruna. Una qualità essenziale che devono possedere questi cartoni è che non devono sfaldarsi o aprirsi. Trovano largo impiego nella fabbricazione delle scatole per manufatti di lana, di cotone, per mercerie, ecc.

3. Cartoni paglia. - Si usano per scopi svariatissimi, specie per fabbricare scatole. Di solito si fabbricano su macchina in tondo a più tamburi, così che è possibile fare lo strato esterno con pasta di qualità migliore. Si ottiene in tal modo un cartone più apprezzato (cartoni duplex e triplex).

4. Cartoni speciali: a) Cartoni duri. - Si usano come surrogati del cuoio e della fibra vulcanizzata e per diversi usi tecnici. Non devono sfaldarsi, ma essere resistenti ed elastici.

b) Cartoni per calzature. - Sono una varietà dei precedenti. Devono soprattutto avere la proprietà di non alterarsi e mantenere la forma che viene loro data durante la lavorazione. Si devono collare con cura.

c) Cartoni presspan. - Anche questi sono una varietà dei cartoni duri. Si usavano per la pressatura dei tessuti dopo l'appretto; da questo impiego deriva il loro nome. Devono essere lucidissimi, di spessore uniforme, privi di nodi e di macchie di colore, esenti da impurità e da sostanze chimiche dannose. Si richiede una superficie omogenea e piana e che non s'incurvi. Ora vengono usati largamente in elettrotecnica. Per la pressatura a caldo dei tessuti dopo l'appretto si usano cartoni da pressa molto spessi (fino a 1 cm.) che si ottengono accoppiando parecchi fogli di cartoni più leggieri.

d) Cartoni per Jacquard. - Analoghi ai precedenti, devono però possedere qualità specialissime: non devono cioè deformarsi e nemmeno allungarsi o restringersi e nello stesso tempo devono offrire una certa resistenza e avere una struttura tale da non slabbrarsi durante la fustellatura dei fori, ma rimanere a contorno intero anche durante l'uso; non devono essere igroscopici.

e) Cartoni per imbottitura. - Servono per la confezionatura di scatole di lusso, per profumi, sigarette, ecc. Devono essere morbidi, flessibili, plasmabili, e mantenere la forma loro data durante il lavoro di imbottitura. Non devono screpolarsi o sfaldarsi. Si fabbricano usando cartaccia fina e pasta di stracci forte, talvolta anche pasta di legno bruna, generalmente su macchina piana e in rotolo.

f) Cartoni per legatoria. - Sono simili ai cartoni grigi. Devono offrire buona presa alla colla, non incurvarsi quando vengono bagnati, ed essere inoltre abbastanza resistenti da poter garantire una lunga durata.

g) Cartoni per tetti. - Si richiede che siano molto assorbenti per essere impregnati facilmente di catrame. Come materie prime si adoperano stracci scadenti, sottoprodotti dell'industria tessile e cartaccia. Sono senza colla, non si tingono e non si caricano. Si fabbricano su macchina in piano con tela molto lunga e sopratela.

h) Cartoni per pavimenti. - Vengono disposti sui pavimenti delle stanze per toglierne le asperità e offrire così un appoggio adatto ai tappeti e ai fogli di linoleum. Si fabbricano con mezze paste scadenti.

i) Cartoni ad uso scolastico. - Sono tinti in pasta con colore nero e coperti con uno strato di vernice pure nera. Si usano in sostituzione delle lavagne. Devono perciò resistere all'umidità senza incurvarsi.

l) Cartoni per cartelle. - Devono possedere: grande tenacità, pieghevolezza, durezza, e spessore uniforme. Spesso servono a questo scopo anche i cartoni-cuoio.

m) Cartoni patinati e goffrati. - Il cartone originale deve essere adatto allo scopo cui deve servire il prodotto finito. Dopo la patinatura, che si fa in foglio, i cartoni vengono passati alla calandra per lucidarli. La goffratura si fa su satine speciali con cilindro inciso.

n) Cartoni per valige. - Devono essere di lunga durata e tenacissimi per sopportare le operazioni di imbottitura, fustellatura, piegatura, occhiellatura, ecc. Si fabbricano con mezzepaste di lino, corde, cellulosa dura, ecc., senza pasta-legno né carica. Per renderli resistenti all'acqua si collano in pasta e s'impregnano eventualmente di colla animale.

o) Cartoni per fustellare. - Servono di appoggio al pacco di fogli durante l'operazione di fustellatura, affinché il ferro non penetri nel ceppo di legno. Devono perciò essere duri, elastici, a fibra lunga. Si fanno ordinariamente sulla macchina in tondo.

p) Cartoni operati. - Hanno una o tutte e due le facce colorate, disegnate o impresse direttamente in macchina e si usano in sostituzione dei cartoni ricoperti e per certi usi speciali.

q) Cartoni di cascami di cuoio. - In molti casi sostituiscono il cuoio; vengono fabbricati con processi speciali tenuti segreti. Sono prodotti generalmente con la macchina in tondo.

r) Cartoni per stereotipia. - Devono essere morbidi, pastosi e resistere alle alte temperature. Devono piegarsi con facilità senza rompersi.

s) Cartoni d'amianto. - Si usano quali isolanti termici e per altri scopi industriali. Si fabbricano con amianto in fibra, trattato con metodi speciali e con l'aggiunta di sostanze di carica e di collegamento.

Analisi della carta. - Come già si disse, numerosissimi sono gli usi ai quali la carta può essere adibita. A ciascuno devono corrispondere requisiti speciali, che si ottengono con determinati impasti, e appropriati metodi di lavorazione. Molte volte è impossibile, anche a un esperto, stabilire solo dall'aspetto se un tipo di carta è adatto a un determinato uso. L'analisi invece permette non solo di accertarne le caratteristiche, ma fornisce anche gli elementi per determinare la composizione di campioni da imitare.

Ogni materia fibrosa ha proprietà speciali e si comporta in modo particolare nelle operazioni che deve subire, per essere trasformata in pasta da carta. Il tecnico deve quindi conoscere quali siano le caratteristiche dei materiali fibrosi per sapersi regolare nella composizione degl'impasti.

L'esame della carta comprende la determinazione dei caratteri esteriori o organolettici, e quella dei caratteri intrinseci che si stabiliscono con l'analisi microscopica e chimica e le determinazioni fisicomeccaniche.

I caratteri esteriori riflettono l'aspetto della carta in relazione al grado di bianchezza o alla tinta, al grado di levigatura, all'uniformità di spera, alle impurità superficiali, ecc. Caratteri questi che sono più o meno considerati, in rapporto al tipo di carta.

L'analisi qualitativa e quantitativa del materiale fibroso sí effettua con il microscopio, poiché le fibre si riconoscono dalle loro caratteristiche morfologiche e dalla colorazione (comune per determinati gruppi di fibre) che assumono con i reattivi microchimici. Solo la pasta meccanica di legno e in genere le fibre lignificate si possono riconoscere macroscopicamente con alcuni reattivi, fra i quali sono usati specialmente la floroglucina, il solfato di anilina e pochi altri. Con la soluzione di floroglucina la carta contenente fibre lignificate si colora in rosso e con quella di solfato d'anilina in giallo. L'intensità della colorazione è in rapporto alla quantità di fibre lignificate e al loro grado di lignificazione.

Queste reazioni macroscopiche sono talvolta incerte e occorre allora accertarsi della presenza delle fibre lignificate con l'ausilio dell'esame microscopico.

L'analisi microscopica della carta ha lo scopo di stabilire la natura e la quantità delle fibre costituenti l'impasto e il loro grado di lavorazione. Il riconoscimento delle singole fibre viene facilitato dall'uso di appropriate soluzioni coloranti. In base alla colorazione che assumono con questi speciali reattivi, le fibre sono riunite in gruppi, ciascuno dei quali comprende quelle che, col medesimo reattivo, hanno la stessa colorazione. Ma nell'ambito di uno stesso gruppo, il solo criterio per il riconoscimento delle varie fibre è quello dei caratteri morfologici che talvolta, però, in impasti molto lavorati, non sono facilmente distinguibili. I reattivi microchimici più comunemente impiegati sono la soluzione di iodio in ioduro potassico e quella di cloroioduro di zinco.

L'esame microscopico di una carta richiede un'appropriata preparazione del campione allo scopo d'isolare le singole fibre che la compongono. Il preparato di queste fibre umettate col reattivo viene esaminato al microscopio.

Le paste meccaniche di legno sono facilmente riconoscibili alla colorazione gialla caratteristica che assumono con i reattivi iodurati. La pasta bianca comune è costituita da frammenti di fibre e di fasci di fibre, talvolta così grossi da essere riconoscibili a occhio nudo sulla carta. Queste fibre, più o meno larghe, sono attraversate da raggi midollari e sono muniti di pori. La pasta di latifoglia (pioppo, betulla, faggio, tiglio, ece.) si distingue da quella di aghifoglia (pino, abete, ecc.) per la minor larghezza di fibra e la diversa forma dei pori nonché per la presenza di vasi caratteristici. Le fibre della pasta bruna, sono, a differenza di quelle della pasta meccanica comune, intere e separate le une dalle altre.

Le fibre di iuta non sbiancata si comportano come fibre lignificate colorandosi in giallo con i reattivi sopra indicati. Le fibre sono ordinariamente riunite in fasci; quelle isolate, si riconoscono per la grande disuniformità del canale interno. Le fibre di iuta, ben lisciviate e sbiancate, si colorano invece, coi reattivi iodurati, come le cellulose.

Nelle cellulose di legno le fibre non si trovano più a fasci, come nelle paste meccaniche, ma separate fra loro, non rotte e prive dei raggi midollari. Con i reattivi iodurati le fibre di queste cellulose, come pure di quelle di paglia e di sparto, si colorano in bruno-grigiastro o in blu sino al violetto. A seconda della natura del legno dal quale la cellulosa è stata preparata le fibre presentano speciali caratteri morfologici. A differenza delle cellulose di aghifoglie quelle di latifoglie, oltre alle fibre, presentano degli elementi e vasi di varia forma secondo la varietà di latifoglia impiegata.

La cellulosa di paglia (di frumento, segala, riso, ecc.) è costituita da fibre corte, fini e regolari, accompagnate da elementi cellulari epiteliali di forma rettangolare con pareti dentellate a guisa di sega; da fibre liberiane, sottili, allungate, munite di canale interno e di numerosi pori; da cellule del parenchima a forma tondeggiante.

La cellulosa di sparto possiede fibre molto simili a quelle della cellulosa di paglia, dalla quale si differenzia essenzialmente per la forma delle cellule epiteliali dentellate e per la mancanza degli elementi del parenchima; quella di sparto lygeum si differenzia da quella di sparto stipa o alfa per la presenza di certi elementi speciali detti papille, elementi oblunghi arrotondati alle parti e aventi una sporgenza a terminazione pure arrotondata che si eleva nel mezzo.

Le fibre della canapa di Manilla (lisciviata a fondo) presentano una notevole rassomiglianza morfologica con quelle della iuta, ma con striature trasversali più nitide e numerose. Caratteristiche sono le cellule ispessite del parenchima, e gli elementi silicizzati detti stegmate.

Con i reattivi iodurati le fibre vegetali dei cenci si colorano in bruno più o meno scuro o in rosso-vino. Al microscopio le fibre di cotone si presentano isolate, rivoltate a forma di nastro, e con canale largo. Le fibre lavorate tendono a sfibrarsi specialmente alle estremità, a forma di ciuffo.

Le fibre del lino sono abbastanza regolari, a forma di tubo leggermente conico, con estremità appuntite; il canale interno è lineare. La fibra presenta delle striature longitudinali e, ciò che è più caratteristico, delle striature trasversali, degl'ispessimenti più o meno regolari ed equidistanti (nodi), tali da conferire alla fibra l'aspetto d'una canna di bambù. Alla lavorazione per pasta da carta hanno maggior tendenza a sfibrarsi delle fibre di cotone; le estremità delle fibre lavorate si presentano a ciuffi più o meno larghi a seconda del grado di lavorazione.

Le fibre della canapa assomigliano molto a quelle del lino; anzi, nelle carte molto lavorate, le differenze anatomiche tra queste due fibre non sono quasi mai percepibili. La fibra di canapa è più lunga e più grossa di quella del lino. Anche le fibre della canapa, se molto lavorate, si suddividono più o meno in fibrille. La lana, che s'impiega solo in alcune carte speciali, si distingue dalla forma caratteristica cilindrica, a squame, della sua fibra, e dalla colorazione gialla che assume coi reattivi iodurati.

Le sostanze minerali presenti nella carta e costituenti le ceneri provengono in parte dalle materie prime fibrose impiegate, in parte dalle sostanze usate per la collatura e particolarmente dalle sostanze che, per lo più, sono aggiunte come materie di carica. Le ceneri naturali della fibra raggiungono all'incirca la proporzione del 2%; quelle introdotte con il processo della collatura, e costituite principalmente da composti di alluminio, possono arrivare sino all'1%. Una carta collata viene considerata quindi priva di carica minerale, tutte le volte che le sue ceneri sono inferiori al 3%.

La qualità della collatira si riconosce mediante alcune reazioni speciali. La gelatina (collatura animale) si rivela principalmente dal precipitato bianco che l'estratto acquoso della carta dà con acido tannico. La reazione è comune però anche alle sostanze amidacee; in presenza di queste è quindi indispensabile procedere alla loro eliminazione, precipitandole sotto forma di ioduro d'amido. La reazione più sensibile della resina è quella di Morawski, consistente nella formazione d'un anello colorato in rosso-violaceo al contatto dell'estratto acetico della carta con acido solforico. Si riconosce anche la resina umettando la carta con qualche goccia di etere etilico che, in carte che non sono anche collate alla gelatina, lascia all'evaporazione un'aureola giallognola. La caseina con acido tannico si comporta come la gelatina. Facendo bollire la carta con soluzioni molto diluite di borace o di ammoniaca e acidificando poi lievemente con acido acetico diluito il liquido filtrato, la presenza di caseina si denota dalla formazione di un precipitato. La presenza di sostanze amidacee nella carta si riconosce dalla colorazione azzurra all'umettamento con soluzione di iodio con ioduro di potassio.

Per la determinazione del grado di collatura della carta, s'impiega un inchiostro normale; nelle prove di cartiera è invece più conveniente usare tipi diversi d'inchiostri del commercio. Il saggio può essere eseguito tracciando sul foglio, col pennino o col tiralinee, dei tratti incrociati di vario spessore o facendo galleggiare la carta sull'inchiostro. Con tratti di ¾ di mm. in carte da scrivere ben collate l'inchiostro non deve passare dalla parte opposta né spandere, e per galleggiamento l'inchiostro non deve passare prima di 10 minuti.

Altre determinazioni che si eseguiscono, secondo i tipi di carta da esaminare, sono quelle dell'impermeabilità ai grassi, del potere assorbente, del potere filtrante, del grado di trasparenza, della permeabilità all'aria, ecc.

Svariate sono innltre le analisi chimiche che si possono eseguire secondo lo scopo delle ricerche: p. es. per stabilire la natura delle materie di carica e delle materie coloranti, la presenza o meno di sostanze speciali e la loro quantità, ecc. Fra le varie determinazioni va ricordata quella del peso per metro quadrato, per la cui esecuzione su piccoli campioni, si impiegano speciali bilance che con un quadratino di carta di determinata superficie indicano direttamente il peso per metro quadrato.

Per la determinazione dello spessore del foglio, s'impiega generalmente il micrometro automatico Schopper; anche i comuni calibri o palmer possono servire allo scopo, se pure in modo meno comodo e preciso.

Per riconoscere se una fíligrana è stata prodotta a secco o a umido, si fa bollire la carta con acqua, lasciandola poi per qualche tempo a macerare: le filigrane impresse a secco scompaiono, o si indeboliscono, in seguito al rigonfiamento delle fibre compresse; quelle a umido, dovute a differenti quantità di sostanza fibrosa, rimangono inalterate.

Tra le determinazioni fisico-meccaniche è importante quella della resistenza alla trazione, che generalmente è differente nelle due direzioni del foglio, specialmente nelle carte a macchina. Essa è massima nella "dii-ezione di macchina" e minima nella direzione trasversale; l'opposto accade, invece, per l'allungamento sotto la trazione. Anche l'umidità relativa dell'ambiente esercita una grande influenza sulla resistenza della carta. Poiché l'umidità prevalente nei climi temperati è del 65%, si è convenuto di eseguire sempre le prove di resistenza in queste condizioni di umidità, a temperatura normale (18°-20°), o di rapportarvi i dati dinamometrici, moltiplicando per opportuni fattori (fattori di correzione di umidità, a temperatura normale). Il carico di rottura viene determinato dagli apparecchi detti dinamometri; il più usato è quello di Schopper (fig. 30) con il quale si esperimentano, generalmente, strisce della larghezza di 15 mm. e della lunghezza di 180 mm. fra le due morsette. Di regola nelle determinazioni dinamometriche si ripetono le prove su 5 fogli e, per ciascun foglio, in entrambe le direzioni. Dal carico di rottura, dato dal dinamometro, si può calcolare la lunghezza di rottura, che rappresenta in metri la lunghezza teorica della striscia, di qualsiasi larghezza, che, sospesa a un estremo, si rompe per effetto del proprio peso. La lunghezza di rottura della carta è del tutto indipendente dallo spessore e dalla grammatura del foglio e fornisce da sola un criterio sulla qualità di una carta.

La resistenza allo sgualcimento si determina con la pieghettatrice Schopper (fig. 31), apparecchio generalmente adottato per questa determinazione. Una striscia di carta della precisa larghezza di 15 mm. e della lunghezza di 10 cm., fissata agli estremi entro morsetti snodati e spostabili a molla, si trova infilata a metà e per tutta la sua larghezza nella fenditura di un lamierino, al quale si fa impartire un movimento di va e vieni nel piano normale a quello della striscia. Questa, trasportata dal moto del lamierino fra due coppie di rullini di guida, subisce delle piegature ad angolo costante e alternate, prima in un senso e poi nell'altro e sempre nello stesso punto, sino a che si rompe. La resistenza allo sgualcimento viene espressa dal numero di doppie piegature che si legge direttamente sul contagiri, di cui è munito lo strumento. La prova si eseguisce di solito con una tensione di striscia di 1000 gr., ma per certi tipi di carta anche a tensioni minori. Anche la resistenza alla pieghettatura varia con la direzione del foglio; in generale essa è massima in direzione di macchina, ma non sono rare le eccezioni. Come per la prova alla trazione, si fanno di solito 5 prove in direzione di macchina e 5 trasversalmente, prelevando le strisce da 5 fogli diversi. Vi sono pure pieghettatrici speciali per pélures e per cartoni.

La resistenza allo scoppio si stabilisce con l'apparecchio Mullen (fig. 32). Nel centro del tavolino, su cui poggia il foglio in esame, è praticata un'apertura circolare, chiusa da una membrana di gomma che si può comprimere dal di sotto e quindi gonfiare. Questa apertura combacia perfettamente e solidamente con un robusto anello sovrastante, spostabile verticalmente per mezzo di una leva, che serve per fissare la carta al tavolino, senza che avvengano scorrimenti del foglio durante la prova. La pressione è trasmessa alla gomma da un liquido poco compressibile (generalmente glicerina), chiuso in un corpo di tromba con stantuffo orizzontale, il quale si può spostare con una manovella. Il corpo di tromba comunica con un manometro di precisione. Applicato e fissato il foglio, si muove la manovella con una velocità di circa 120 rotazioni al minuto, finché la carta, gonfiandosi sotto la pressione della membrana di gomma, gi rompe. La pressione di rottura per cmq. o per pollice quadrato si legge sul quadrante del manometro, in chilogrammi nel primo caso e in libbre nel secondo. Girando la manovella in senso contrario, si rimette a zero l'apparecchio.

In molti stati esistono laboratorî specializzati per lo studio e l'analisi della carta. In Italia ricordiamo il laboratorio di saggi per la carta presso la R. Scuola d'ingegneria di Torino e la R. Stazione sperimentale per l'industria della carta e lo studio delle fibre tessili vegetali, di Milano, dotata di laboratorî d'ogni genere, atti a eseguire qualsiasi ricerca sui prodotti e materie prime dell'industria della carta e studî riflettenti il progresso dell'industria stessa.

Formati.- Quando la carta si fabbricava esclusivamente a mano, i formati erano limitati e ciascuno si ricavava soltanto da una forma di determinate dimensioni. I formati erano contraddistinti da denominazioni ancora oggi parzialmente usate e anche da filigrane speciali.

Prima dell'invenzione della stampa sorsero i formati grandi, preferiti per gli atti pubblici; altri formati entrarono poi in uso, le cui denominazioni indicano che sono derivazione o riduzione dei primi. L'estensione della fabbricazione a macchina ebbe una notevole influenza sui formati, e, secondo il capriccio dei clienti, sorsero accanto ai formati comuni dei formati ibridi il cui numero andò sempre aumentando. Per frenare questo continuo aumento sorse un movimento per l'unificazione con la proposta di eliminare i formati intermedî e di semplificare così i tradizionali, regolando i multipli e sottomultipli con una norma unica.

In Italia, il governo, con un decreto del 1917, fissava i formati dei fogli destinati alla pubblicazione degli atti ufficiali dello stato. Nel 1921, poi, l'Associazione fabbricanti carta compilò un prospetto unificatore che da allora è ammesso generalmente.

I formati italiani secondo il prospetto pubblicato nell'Annuario delle cartiere italiane (1921) sono i seguenti:

Anche in Francia, negli Stati Uniti e in Inghilterra si procurò di addivenire a una semplificazione. In Germania, dal Deutsche Industrie Normenausschuss furono proposti per l'unificazione i formati Din i quali sono attualmente 46. L'istituzione di questi formati è basata sul concetto di una rigorosa unificazione, cioè un solo formato base dal quale derivano tutti gli altri ottenuti da successivi dimezzamenti del foglio nel senso dell'altezza in modo che i lati stiano sempre nel rapporto 1,414 = √2. Sono contemplate 4 serie di cui la prima è considerata come preferenziale e le altre tre come aggiuntive, poiché, ritenendosi impossibile di ottenere l'abbandono spontaneo dei formati tradizionali per sostituirli con i formati Din, si volle lasciare adito ai consumatori di trovare nelle serie aggiuntive il formato avvicinantesi a quello tradizionale da essi preferito. Anche in queste tre serie è conservato fra i lati il rapporto 1,414 e ciascuna di esse è suddivisa in classi di formati mediante il successivo dimezzamento.

Le dimensioni del formato fondamentale della serie preferenziale sono state fissate in mm. 841 di larghezza per 1189 di altezza (1189 = 841 × 1,414) allo scopo di avere nel foglio una superficie approssimantesi al metro quadrato (841 × 1189 = 999.949 mm.). Gli altri formati sono esattamente 1/2, 1/4, 1/8, 1/16, ecc., del forrnato fondamentale.

I formati Din hanno già trovato applicazione in Germania presso le amministrazioni statali e anche presso amministrazioni di altri stati, ma finora la propaganda Din, più che di unificazione, si può considerare opera di razionalizzazione; una vera unificazione si otterrà solo quando i formati tradizionali siano completamente abbandonati e si mantenga unicamente la serie originale considerata ora come preferenziale.

Carte normali. - Il problema dell'istituzione delle carte normali è in stretta relazione con la razionalizzazione e la specializzazione dell'industria della carta. La Prussia, sin dal 1886, introdusse la prima normalizzazione con prescrizioni che furono poi modificate con successivi decreti, sino a quello del 10 gennaio 1926 riflettente le norme per le forniture di carta alle amministrazioni statali prussiane.

Le carte normali furono create allo scopo di avere la garanzia della loro adattabilità all'uso cui sono destinate. Esse sono quindi carte con caratteristiche normalizzate e fisse per i singoli tipi, cioè carte per documenti importanti, carte per scrivere, per stampa, per macchina da scrivere, per registri, per buste, per impacco, per copertine.

Le carte sono suddivise in diverse classi per ciascuna delle quali sono stabilite le proprietà che devono possedere e cioè: la composizione dell'impasto, la resistenza alla frazione e allo sgualcimento, la collatura, il peso per metro quadrato, il formato. Salvo per carte molto andanti, le carte normali portano una filigrana, riconoscibile facilmente in trasparenza, indicante la fabhrica produttrice e il numero della classe normale alla quale la carta deve appartenere. Prescrizioni speciali sono fissate per la fornitura di queste carte e per il loro esame che viene eseguito sistematicamente dall'ufficio statale per le prove dei materiali di Berlino-Dahlem.

Produzione.

La produzione di carta e cartone nel mondo era (F. Radice) calcolata venti anni fa a 78 milioni circa di quintali, e allo scoppio della guerra a 96 milioni circa. La produzione attuale è valutata a 145 milioni circa e l'incremento è dovuto soprattutto all'America del Nord (Stati Uniti e Canada), che in un ventennio aumentò la produzione da 31 a 80 quintali, mentre in Europa l'aumento fu da 43 a 60 milioni di quintali. Si ebbe pure, a causa dell'impiego dei succedanei, una rivoluzione nella distribuzione economica dell'industria mondiale. Paesi dapprima in condizioni di produzione per materie prime e perfezione di prodotti si trovarono a mal partito, mentre in altri paesi, ricchi di riserve boschive, l'industria si sviluppò rapidamente, particolarmente nell'antico Impero austro-ungarico, in Germania, Scandinavia, Stati Uniti, Canada, distanziando l'Italia, la Francia e l'Inghilterra.

Nel 1830, e più ancora dal 1840 al 1880, i maggiori paesi produttori di carta furono in grado di costituire la loro grande industria attuale con crescendo continuo, così da rendere difficile agli altri paesi, non favoriti dalle condizioni di natura, di emularli. La rapidità dell'evoluzione è dimostrata dalla scomparsa graduale dei tini per la fabbricazione delle carte a mano, e corrispondentemente dall'aumento delle macchine da carta. L'industria germanica, p. es., nel 1840 aveva 1500 tini contro 25 macchine da carta; la sostituzione del legno allo straccio fece salire in sei anni le macchine a 117 e diminuire i tini a 1034; nel 1924 le macchine da carta erano salite in Germania a 792 mentre i tini erano ridotti a 50. Evoluzione analoga si ebbe anche negli altri paesi, e ora si calcola che il numero dei tini esistenti in tutto il mondo sia ridotto a soli 700.

In Europa il trapasso dalla fabbricazione della carta a mano alla fabbricazione a macchina si attuò dal 1820 al 1845, negli anni cioè in cui l'Italia si preparava a riacquistare la sua indipendenza nazionale e a stento poteva provvedere a migliorare le condizioni tecniche ed economiche della propria industria. Perciò l'industria cartaria italiana, che era stata apprezzata in tutta Europa, venne a trovarsi in posizione d'inferiorità rispetto a quella di altre nazioni, sia perché sprovvista delle essenze legnose per carta, sia perché mancante di carbon fossile diventato così necessario dopo la sostituzione dell'asciugamento ad aria della carta con quello a vapore. Nel riassestamento economico del primo periodo dell'unità, l'industria della carta non poté rifiorire subito; ma in seguito riuscì a risollevarsi e, sormontati i varî ostacoli, si organizzò in guisa da corrispondere ai bisogni della nazione, sviluppandosi continuamente tanto che essa attualmente occupa uno dei primi posti nel bilancio dell'economia nazionale.

Lo sviluppo graduale della fabbricazione a macchina si rileva dal seguente prospetto che mostra, col progressivo aumento del numero delle macchine, il progressivo decrescere dei tini per la fabbricazione della carta a mano.

Questi dati non sono da ritenersi assoluti, ma servono a formarsi un chiaro concetto della trasformazione avvenuta col decorrere degli anni nella nostra industria della carta. In relazione alle variazioni del macchinario stanno le variazioni della maestranza. I dati statistici del 1876 davano una maestranza complessiva di 17.312 operai, ridottisi dopo un ventennio a 15.766, riduzione spiegabile con la riduzione del numero dei tini. Con la sostituzione della fabbricazione a mano con quella a macchina e con la conseguente maggior produzione di carta, crebbe il numero degli operai per ogni unità produttiva, ma diminuì d'assai proporzionalmente alla quantità del prodoito.

Il passaggio dalla fabbricazione a mano a quella a macchina, avvenuto verso il 1876, segna la ripresa ascensionale della maestranza. Nel 1903 risultavano impiegati approssimativamente 19.088 operai: 24.384 nel 1905, e 28.000 nel 1911. Si ebbe poi una diminuzione durante la guerra e la lunga crisi del 1921; nell'anno 1927 le statistiche davano 26.243 operai: per il 69% uomini e per il 31% donne e fanciulli.

L'evoluzione avvenuta nei metodi di fabbricazione portò di conseguenza delle variazioni nel numero delle ditte italiane. Nel 1876 esse erano 521; nel 1896, 424; nel 1903, 405; nel 1910, 423; nel 1913, 437 di cui, però, 38 ferme. Nel 1925 risultavano 337 ditte con 403 stabilimenti; secondo i dati più recenti sarebbero ora 381. Si nota dunque con una sensibile discesa nel numero delle aziende e con l'aumento del numero delle macchine un moderato ma progressivo movimento di concentrazione, accentuatosi particolarmente in questo ultimo decennio. In Italia esiste attualmente un gruppo di 17 aziende che eserciscono circa 100 macchine continue moderne e di grande produzione; occupano da 13 a 14.000 operai e impiegati. Altre 35 aziende rappresentano circa 70 macchine e da 5500 a 6500 fra operai e impiegati.

La tabella seguente dimostra chiaramente lo sviluppo della produzione e del consumo di carta dei varî stati. Dati di confronto assolutamente precisi non è possibile avere. Rispetto agli altri principali paesi produttori di carta l'Italia negli ultimi venti anni è passata dal nono al settimo posto;

La produzione italiana sarebbe salita da quintali 239.950 (compresi il Trentino e lo Stato pontificio) nel 1862 a 1.150.000 nel 1903. Per gli anni dal 1909 al 1915 si hanno dati forniti dal servizio statistica dell'Associazione dei fabbricatori di carta. Le cifre estreme sono le seguenti: dai quintali 2.435.771 del 1909 la produzione è salita progressivamente ai 2.967.876 del 1915; una lieve diminuzione si nota nel 1911.

La produzione del dopoguerra venne induttivamente valutata sul consumo delle materie prime fibrose in quintali 2.650.000 nel 1920 e 2.150.000 nel 1921, anni questi che risentivano ancora delle limitazioni anteriori e della crisi sopravvenuta. La produzione del 1927 dedotta dalla Federazione fascista dell'industria della carta da elementi positivi è risultata di q. 3.657.000, cioè quindici volte superiore a quella del 1862.

Nel 1913 l'industria cartaria italiana contava già 55 mila cavalli di forza elettrica e idraulica, un capitale investito di circa 82 milioni di lire e di 160 milioni compreso il capitale circolante, con una produzione del valore di circa 110 milioni di lire. Attualmente i cavalli di forza devono essere aumentati del 50% almeno e il solo capitale sociale nominale di 28 cartiere supera i 240 milioni; la produzione è aumentata del 35% e il valore non deve quindi essere al di sotto dei 700 milioni.

Per quanto riguarda le materie prime per carta, la seguente tabella riguardante il consumo della cellulosa e della pasta meccanica di legno in Italia mostra che per la cellulosa siamo ancora tributarî quasi completamente dell'estero; mentre per la pasta meccanica di legno la produzione nazionale sopperisce quasi al fabbisogno.

Prima della guerra le cellulose provenivano in Italia per due terzi dalla Germania e dall'Austria-Ungheria, per un sesto dalla Scandinavia, e per l'altro sesto da altri paesi fra i quali la Svizzera e la Romania. Le tele metalliche per le macchine continue provenivano tutte dall'estero (Germania, Austria e Francia). I caolini provenivano in gran parte dall'Inghilterra e in quantità minori dall'Austria-Ungheria e dalla Germania; la resina in grande preponderanza dagli Stati Uniti e in quantità minima dalla Francia e dalla Grecia; la fecola per lo più dall'Olanda e un po' anche dalla Germania. Il solfato di alluminio era fornito in preponderanza dalla Germania; il cloruro di calcio, di cui una parte era già di produzione nazionale, si faceva arrivare anche dalla Germania e dalla Francia; la soda, dalla Francia, dalla Germania e dall'Inghilterra. Esclusivamente dalla Germania provenivano le materie coloranti; il carbone veniva dall'Inghilterra e pure dall'estero proveniva il macchinario. Un sensibile miglioramento si ebbe in seguito nell'approvvigionamento dei prodotti nazionali, tanto per il macchinario quanto per le materie prime. È vero bensì che il macchinario proviene ancora dall'estero, ma lodevoli iniziative sorsero in Italia per produrre in paese il macchinario da carta, e attualmente esistono alcune fabbriche in grado di costruire anche grandi macchine da carta, oltre a parecchie officine per piccole forniture e riparazioni. Le cartiere italiane possono così ricorrere per il macchinario all'industria nazionale, ma la più importante fornitrice rimane sempre la Germania. L'uso del carbone è ormai limitato quasi esclusivamente all'asciugamento; per il resto si adopera energia idraulica ed elettrica.

L'industria italiana si è affermata nella produzione dei feltri per cartiere; così pure per il talco, il gesso, il solfato di alluminio, il cloruro di calcio, la soda, il bianco fisso, la caseina e altri prodotti generalmente usati nell'industria della carta. Anche per le materie coloranti l'industria chimica italiana ha fatto notevoli progressi. Con la produzione cresce proporzionalmente il consumo di paste nazionali; difatti, per la produzione di carta del 1927 che in rapporto a quella del 1907 è del 182%: l'impiego di paste nazionali fu del 53,50% contro il 47% del 1907 e del 41% del 1913. Nella produzione italiana di carta si è aumentata la percentuale di pasta meccanica, che, pure dando carta di qualità inferiore, si addice per i numerosi tipi di grande consumo non destinati a lunga conservazione.

Per l'industria cartotecnica, che provvede non solo all'allestimento della carta e cartoni (lavorazioni che in parte vengono eseguite talora nelle cartiere stesse) ma specialmente alla preparazione di buste e registri e alla patinatura, coloritura, paraffinatura, nonché alla produzione di cartonaggi, confezione di oggetti varî, recipienti, involucri, ecc., dalle 230 ditte del 1903, con 4481 operai, si è saliti alle 452 del 1928, con 10.839 dipendenti, al contrario di quanto è avvenuto nelle cartiere, la percentuale delle donne e ragazzi è salita negli ultimi 25 anni dal 54,30 al 69,28.

Le fabbriche italiane di carta sono in maggior numero nelle provincie di Lucca (92), Genova (43), Salerno (17), Roma (16), Como (14), Brescia (13), Savona, Torino, Frosinone (12), Novara (11), Cuneo, Udine (8), ecc.; ma il numero delle cartiere non è però in rapporto all'entità della produzione. P. es., nelle provincie di Cuneo, Milano e Frosinone, nelle quali esistono rispettivamente 8, 5, 12 fabbriche, la produzione media giornaliera è fra 1001 e 1250 quintali, mentre nella provincia di Lucca, con 92 fabbriche, la produzione giornaliera è fra 201 e 500 quintali.

Milano è il centro principale d'affari, e di notevole importanza sono pure i mercati di Roma, Torino, Genova, Firenze, Napoli, Palermo, nonché quello di Trieste, particolarmente per il commercio di esportazione. Il commercio cartario è regolato da norme apposite raccolte dall'Associazione dei fabbricatori carta in un Codice di norme ed usi nell'industria e nel commercio della carta.

Il movimento d'importazione ed esportazione della carta e cartoni è indicato nella seguente tabella.

Diverse nostre cartiere si sono affermate, per la bontà dei loro prodotti, nei mercati esteri: l'esportazione italiana è rivolta particolarmente al tipo fino e si tende a portarla anche al tipo di grande produzione come la carta da giornale.

V. tavv. LVI-LX.

Bibl.: C. Hofman, Handbuch der Papierfabrikation, Berlino 1891; M. Schubert, Die Papierverarbeitung, Berlino 1900-1901; G. Clapperton, Practical Paper Making, Londra 1905; E. Garuffa, Tecnologia delle industrie meccaniche, V, parte 1ª e 2ª, Milano 1906; C. G. Schwalbe, Die Chemie der Cellulose, Berlino 1911; E. Kirchner, Das Papier, Biberch 1897-1912; Ch. Christiansen, Über Natronzellstoff, Berlino 1923; G. Rohn, Papiergarn, seine Herstellung und Verarbeitung, Lipsia 1918; C. Levi, L'industria della cellulosa, Milano 1919; E. Sutermeister, Chemistry of Pulp and Paper Making, New York 1920; L. E. Andès, Papierspezialitäten, Vienna e Lipsia 1922; W. Hess, Die Praxis der Pappenverarbeitung, Berlino 1922; L. Sartori, L'industria della carta, Milano 1923; C. Hofmann, Praktisches Handbuch der Papierfabrikation. Leimen, Füllen, Färben des Papierstoffs, Berlino 1923; P. Klemm, Handbuch der Papierkunde, Lipsia 1923; B. Dieckmann, Sulfitzellstoff, Berlino 1923; M. Schubert, Die Cellulosefabrikation, Berlino 1924; M. Schubert, Die Holzschliff-Fabrikation, Berlino 1925; C. Levi, Lo sparto libico, Roma 1926; A. Bosso, Relazione sulla fabbricazione della cellulosa al cloro in Italia, Polonghera 1926; U. Pomilio, Lo sparto libico e la fabbricazione della cellulosa in Italia, Napoli 1926; C. Hofmann, Praktisches Handbuch der Papierfabrikation; Holzschleiferei, Berlino 1926; E. Hägglund, Natronzellstoff, Berlino 1926; F. Hoyer, Die Cellulosefabrikation, Berlino 1926; E. Kirchner, Lehr- und Handbuch der Pappenfabrikation, Biberach 1926; W. Herzberg, Papierprüfung, Berlino 1927; H. Wenzl, Zellstofferzeugung mit Hilfe von Chlor, Berlino 1927; H. Wenzl, Zellstofferzeugung mit Hilfe von Chlor, Berlino 1927; A. Weichelt, Buntpapier-Fabrikation, Berlino 1927; F. Radice, Sviluppi e problemi dell'industria della carta in Italia, Milano 1928; F. Müller, Die Papierfabrikation und deren Maschinen, Biberach 1926-1928; E. Opfermann, Die Geschichte des Papiers, die Rohund Halbstoffe, Berlino 1929; The Manifacture of Pulp and Paper, cfr. specialmente, i voll. III-IV, New York 1927 segg.

Riviste: L'industria della carta e delle arti grfiche, Milano; Bollettino della R. Stazione sperimentale industria carta e fibre tessili, Milano; Le papier, Grenoble; La Papeterie, Parigi; L'industrie papetière, Grenoble; The Paper Maker's monthly Journal, Londra; Paper Making, Londra; Paper Trade Journal, New York; Pulp and Paper Magazine of Canada, Gardenwale, Quebec; Wochenblatt für Papierfabrikation, Biberach; Der Papierfabrikant, Berlino; Papier Zeitung, Berlino; Zellstoff und Papier, Berlino.

La carta in diplomatica.

Charta. - Per il Medioevo, charta (carta, chartŭla, cartŭla) designa in genere il documento dispositivo, che, redatto nelle forme volute per assicurarne l'autenticità, compie e rende valido un negozio giuridico, ne costituisce testimonianza autentica, e come tale può essere prodotto in giudizio dalla parte interessata, mentre più propriamente è chiamato notitia (breve, memoratorium), il documento probativo, redatto soprattutto per conservare ricordo di un negozio giuridico, che al momento della sua redazione è già perfetto e valido. Anche in questo, continuità della tradizione romana: la charta deriva dal chirographum e dall'epistola, che, dal sec. III in poi, avevano avuto valore di documento dispositivo; la notitia deriva dal documento testimoniale, che, più anticamente, il destinatario faceva redigere a ricordo di un negozio giuridico. Nell'uso dei formularî medievali non troviamo però sempre rispettata una simile distinzione di significato tra charta e notitia. Da charta proviene il nome di chartularia (cartularia) alle raccolte di documenti, che con tanto fervore, specie nei secoli XII e XIII, curarono chiese e monasteri per la tutela dei proprî interessi. Naturalmente diverse erano le persone da cui erano emanate le carte, che perciò dal Mabillon furono classificate in ecclesiasticae, regales o regiae e pagenses (scritture private); e diversi i negozî giuridici argomento delle carte stesse, onde si ebbero c. venditionis, convenientiae, traditionis, commutationis, libertatis, confirmationis, iudicati ecc. Talora sulla stessa pergamena veniva scritto il testo in tanti esemplari quante erano le parti; la pergamena era poi tagliata negli spazî rimasti tra i diversi esemplari, che potevano così essere ritirati dalle singole parti. Si avevano in tal caso le c. divisae o partitae, o excisae, o indentatae. Oggi gli studiosi applicano il termine carta solitamente ai documenti medievali; ed École des Chartes fu il nome posto all'istituto francese creato da Luigi XVIII a Parigi nel 1821 perché a questo campo indirizzasse la sua attività scientifica, e che è tuttora centro fiorente di tali studî. Le carte vengono distinte in pubbliche, se emanate da autorità pubbliche, e private, se di autori e di carattere privato. Lo studio delle carte medievali è compito della paleografia e della diplomatica.

Bibl.: Tra i numerosi manuali di diplomatica, si vedano specialmente: A. Giry, Manuel de diplomatique, Parigi 1894 (ristampa 1925); C. Paoli, Programma scolastico di paleografia latina e di diplomatica, III: Diplomatica, Firenze 1898; H. Bresslau, Handbuch der Urkundenlehre, I, 2ª ed., Lipsia 1912; R. Heuberger, Allgemeine Urkundenlehre, Lipsia-Berlino 1921 (con abbondante bibliografia); A. De Boüard, Manuel de diplomatique française et pontificale: Diplomatique générale, Parigi 1929.

La carta nel diritto pubblico.

Carta costituzionale. - Nel diritto pubblico del periodo feudale col nome di carta s'indicava un atto scritto (documento), col quale il re concedeva o confermava diritti a singoli o a comunità. Nel campo particolare dei rapporti costituzionali, mediante simili atti (denominati anche capitolazioni, lettere e simili) il re, spesso a conclusione di un lungo conflitto coi proprî vassalli, confermava ai medesimi i loro diritti feudali o ne concedeva di nuovi, avendone in cambio la conferma dei loro obblighi feudali o l'assunzione di nuovi obblighi. Fra queste carte costituzionali divenne celebre la Magna Charta, rilasciata da re Giovanni d'Inghilterra a Runnymede il 15 giugno 1215: nei secoli successivi essa fu considerata come il prototipo degli atti di garanzia delle libertà individuali. Il suo nome originario era Charta libertatum o Charta baronum. Fu detta Magna Charta per contrapposto a una Parva Charta o Charta foresta del 1217, relativa al diritto di caccia. Nella sua forma esteriore essa si presenta come un atto unilaterale di concessione da parte del re, ma nel suo contenuto si rivela quale un contratto fra il re e i baroni per il riconoscimento dei reciproci diritti. Essa perciò non differisce dagli altri simili atti, coi quali nel periodo feudale si regolavano i rapporti reciproci fra il re e i vassalli e non è rivolta a sanzionare la libertà dei cittadini inglesi, ma soltanto dei baroni. Tuttavia l'originario riferimento a essa delle moderne libertà individuali inglesi si giustifica storicamente per la progressiva e insensibile evoluzione verificatasi in Inghilterra, per cui le istituzioni politiche feudali, quali erano consacrate anche nella Magna Carta, si trasformarono nelle istituzioni politiche costituzionali moderne.

Sotto l'inlluenza della Magna Carta inglese, nella dottrina costituzionale moderna si adottò la denominazione specifica di carte, per indicare le costituzioni in senso strumentale (v. costituzione), emanate unilateralmente dal monarca assoluto nell'esercizio del proprio diritto di sovranità (costituzioni "ottriate", franc. octroyées) anche se in base a previo accordo con la rappresentanza popolare. In contrapposto si dissero costituzioni (in un senso specifico della parola, quasi costituzioni per antonomasia) le costituzioni in senso strumentale deliberate dal popolo (direttamente o a mezzo dei suoi rappresentanti). Così assunsero anche testualmente l'intitolazione di carte la costituzione francese del 4 giugno 1814 e quella del 14 agosto 1830, che fu una revisione della prima (però approvata dalle camere e successivamente accettata e giurata dal nuovo re), nonché la costituzione portoghese largita da don Pedro il 29 aprile 1826. Al contrario si chiamarono costituzioni la successiva costituzione francese del 4 novembre 1848 e l'anteriore costituzione portoghese deliberata dalle camere il 23 settembre 1822. Al concetto di carta si riconducono la maggior parte delle costituzioni degli stati tedeschi nel periodo dal 1814 al 1848, la costituzione olandese del 24 agosto 1815, quella polacca del 25 dicembre 1815, quella spagnola del 10 aprile 1834, il nostro Statuto, la costituzione prussiana del 31 gennaio 1850 e altre.

Per trasposizione del suo significato costituzionale, la denominazione di carta si trova talora applicata a documenti, che si rivolgono a proclamare fondamentali garanzie politiche, ma che per il contenuto o per la forma o insieme per l'uno e l'altro elemento propriamente non sono costituzioni. Così s'intitolò Carta del popolo (People's Charter) il programma di riforme approvato dai rappresentanti delle classi operaie inglesi il 4 febbraio 1839: donde il movimento prese il nome di Cartismo (v.).

Quanto alla Carta del lavoro, i suoi principî, in relazione con le disposizioni che provvedono alla loro attuazione, vengono a formare una parte essenziale della costituzione italiana.

Bibl.: V. bibliografia relativa alla voce costituzione.

La Carta del lavoro. - Complesso di principî costituenti lo statuto politico-giuridico dei produttori nella società nazionale italiana. L'idea di una carta del lavoro nacque subito dopo la promulgazione della legge sindacale 3 aprile 1926. In un primo tempo si pensò alla formulazione di norme nazionali unitarie valevoli per ogni caso e tipo di rapporto di lavoro, a una specie, insomma, di contratto collettivo nazionale, generale. Quest'idea fu però da Mussolini ampliata notevolmente, sì che la Carta del lavoro, tracciata secondo le direttive da lui date e in alcune delle sue principali "dichiarazioni" da lui stesso redatta, è venuta a costituire lo statuto di ogni specie di attività produttiva nel quadro della nazione e nei rapporti con lo stato (cosiddetto "stato corporativo" in quanto basato sull'organizzazione sindacale-corporativa di tutte le forze concorrenti alla produzione).

Il procedimento per la formazione della Carta è stato rapido, ma intenso. Il 6 gennaio 1927 il Gran Consiglio fascista votò un ordine del giorno col quale "accoglieva l'idea della Carta del lavoro e ne deliberava lo studio secondo i seguenti criterî: 1. dichiarazione della solidarietà tra i varî fattori della produzione nell'interesse supremo della nazione; 2. coordinamento organico delle leggi per la previdenza e l'assistenza ai lavoratori; 3. coordinamento e aggiornamento delle leggi protettive del lavoro; 4. norme generali sulle condizioni contrattuali del lavoro". In data 11 febbraio 1927 il sottosegretario al Ministero delle corporazioni, Giuseppe Bottai, comunicò i "punti di massima" fissati da Mussolini per l'elaborazione da parte degli esperti del testo della Carta. Su tali punti vennero chiamate a pronunziarsi le grandi organizzazioni sindacali e con esse gli enti e uffici particolarmente interessati e competenti, e singoli studiosi ed esperti. Questo materiale, raccolto, elaborato e coordinato dal Ministero delle corporazioni (che, costituito da poco, inaugurava con quest'opera la sua importante e singolare attività), fu utilizzato per la compilazione di un complesso di "dichiarazioni", che, sottoposto a revisioni successive, sotto la personale direzione del Capo del governo e del sottosegretario alle Corporazioni, venne finalmente portato all'esame del Gran Consiglio fascista nella seduta del 21 aprile 1927.

La deliberazione del Gran Consiglio, preceduta da una relazione di Giuseppe Bottai e da un'intensa discussione, nel corso della quale vennero apportate modificazioni al testo proposto, si accompagnò a due ordini del giorno, dei quali è particolarmente importante il primo; in esso infatti si dichiara la Carta del lavoro documento fondamentale della rivoluzione fascista, in quanto stabilisce i doveri e i diritti di tutte le forze della produzione.

La Carta del lavoro si compone di 30 dichiarazioni, raggruppate sotto quattro titoli: 1) dello stato corporativo e della sua organizzazione; 2) del contratto collettivo di lavoro e delle garanzie del lavoro; 3) degli uffici di collocamento; 4) della previdenza, dell'assistenza, dell'educazione e dell'istruzione. Grosso modo, la materia può però essere divisa in due parti: una prima parte, costituita delle dichiarazioni I a X, dedicata a tracciare i principî fondamentali e le norme di organizzazione dello stato fascista e degli organi e istituti destinati a presiedere alla disciplina politico-amministrativa e giuridico-economica dei produttori; una seconda parte, invece, costituita delle dichiarazioni XI a XXX, dedicata a porre le norme per i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori e per la protezione di questi ultimi.

Il primo gruppo di norme è indubbiamente il più importante perché investe tutta la vita nazionale e il suo ordinamento e contiene le grandi direttive della politica sociale del regime fascista. La prima dichiarazione traccia addirittura la fisionomia e la dottrina dello stato fascista e giustamente è considerata come una delle affermazioni di principio più grandiose della storia sociale moderna: "La nazione italiana", essa così si esprime, "è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli degli individui divisi e raggruppati che la compongono. È una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello stato fascista". Scaturiscono, come si vede, da questa dichiarazione i principî della "organicità" e "unitarietà" del complesso nazione e della sua "superiorità" d'interessi e di poteri sull'individuo, che sono i dogmi caratteristici della dottrina fascista dello stato.

Non meno importante è la dichiarazione II, che proclama il lavoro come "dovere sociale", accomunando nella concezione di "lavoro" tutte le forme di attività produttiva e affermando che solo a tal titolo, cioè in quanto "dovere sociale", è tutelato dallo stato. E, sempre nella dichiarazione II, è affermato il principio dell'unitarietà del "complesso della produzione" dal punto di vista nazionale, identificandone gli obiettivi con il "benessere dei singoli" e con lo "sviluppo della potenza nazionale": applicazioni queste dei principî della dichiarazione I nel campo della produzione economica e fondamento, al tempo stesso, di tutte le altre dichiarazioni della Carta.

Sempre in ordine d'importanza vanno segnalate le dichiarazioni VII e IX: la prima afferma che "lo stato corporativo considera l'iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più efficace e più utile nell'interesse della nazione", così impedendo ogni possibilità di deformazione dell'ordinamento corporativo fascista verso sistemi di economia di stato o di economia collettivista; però al tempo stesso, in armonia con i principî posti nelle dichiarazioni I e II, è affermato che l'organizzazione dell'impresa è responsabile dell'indirizzo della produzione di fronte allo stato. Affermazione questa di grande rilievo, specie perché attribuisce implicitamente allo stato la funzione di supremo disciplinatore della produzione economica nazionale che le dottrine liberali gli negavano, e costituisce, come vedremo, la base della dichiarazione IX.

Sempre nella dichiarazione VII è contenuta la norma-base per i rapporti tra capitale e lavoro: la funzione del lavoratore ("tecnico, impiegato e operaio") è elevata a funzione di "collaborazione attiva" nell'impresa, così superandosi ogni sopravvivenza di concezioni del rapporto di lavoro come rapporto di locazione pura e semplice di energie al datore di lavoro; ma al tempo stesso è frenata ogni opposta tendenza a dare ai lavoratori posizioni di dominio nell'impresa, con l'affermazione recisa che la direzione di questa "spetta al datore di lavoro, che ne ha la responsabilità".

La dichiarazione IX sviluppa, come abbiamo detto, il principio della responsabilità dell'organizzazione dell'impresa verso lo stato per l'indirizzo della produzione, al duplice fine di affermare il diritto dello stato a intervenire nelle private gestioni economiche, e di limitare al tempo stesso questo diritto d'intervento in confini rigorosi, per evitare che esso conduca a compressioni dannose dell'iniziativa privata, in contrasto con il principio della dichiarazione VII. "L'intervento dello stato nella produzione economica", è detto, "ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l'iniziativa privata o quando siano in giuoco interessi politici dello stato. Tale intervento può assumere la forma del controllo, dell'incoraggiamento e della gestione diretta".

Le altre dichiarazioni del primo gruppo sono quelle sulla "organizzazione dello stato corporativo", in quanto disciplinano gli organi e gl'istituti fondamentali del regime dei produttori; infatti, in gran parte di esse si ritrovano, sovente ampliate o modificate, le norme della legge 3 aprile 1926 e del r. decr. 1 luglio 1926, cioè delle cosiddette leggi corporative. La dichiarazione III traccia le funzioni del sindacato legalmente riconosciuto. Notevole, in essa, l'affermazione che "l'organizzazione sindacale o professionale è libera". La dichiarazione VIII la integra. La dichiarazione IV delinea invece la funzione economico-sociale del contratto collettivo di lavoro, la V e la X quella della magistratura del lavoro e il regime in genere delle controversie di lavoro, e la dichiarazione VI traccia le funzioni delle corporazioni.

Nel secondo gruppo di norme possiamo distinguere tre sottogruppi. Il primo d'essi, costituito dalle dichiarazioni XI a XXI, disciplina nei particolari il contratto collettivo di lavoro e pone le norme principali del contratto individuale di lavoro. Notevoli sono: il primo comma della dichiarazione XI, che costituisce "l'obbligo" dei sindacati riconosciuti di "regolare mediante contratti collettivi i rapporti di lavoro fra le categorie di datori di lavoro e di lavoratori che rappresentano" e l'ultimo comma che richiede, sotto pena di nullità, che ogni contratto collettivo contenga norme sulla disciplina d'azienda, sul periodo di prova, sulla misura e sul pagamento della retribuzione e sull'orario di lavoro. Ancor più notevole è la dichiarazione XII sul salario: è esclusa ogni norma generale, così rifiutando in linea di principio ogni sistema di tariffazione legale dei salarî o dei minimi di salario, e viceversa è affermato che la misura di questo deve corrispondere a tre elementi fondamentali: esigenze normali di vita del lavoratore, possibilità della produzione, rendimento del lavoro. Gli aspri problemi della cosiddetta economia salariale vengono così a trovare sufficienti direttive per sottrarsi a ogni speculazione o deformazione politica, mentre dal principio così affermato affiorano le direttive di quella "economia corporativa", il cui avvento Mussolini ha categoricamente preannunziato. Le dichiarazioni XIV a XX sono dedicate a porre le norme fondamentali del contratto di lavoro: retribuzione (XIV), riposo settimanale (XV), ferie annuali (XVI), licenziamento (XVII), trapasso d'azienda, malattia del lavoratore e richiamo alle armi (XVIII), disciplina d'azienda (XIX), periodo di prova (XX). Sono norme che rappresentano tutto un complesso formidabile di vere conquiste dei lavoratori italiani, in quanto la maggior parte dei diritti con esse attribuiti a tutti i lavoratori senza alcuna differenza di classe, di categoria e di posizione sociale, erano fin'oggi goduti, e tutt'ora lo sono negli altri paesi, solamente da poche categorie di essi o da nessuna; è importante, pure, l'unificazione, nei riguardi di questo regime, dei lavoratori manuali e di quelli intellettuali. La dichiarazione XXI, infine, estende le norme del contratto collettivo al lavoro a domicilio.

Il secondo sottogruppo è costituito dalle dichiarazioni XXII a XXV e tratta della disoccupazione e occupazione della mano d'opera (XXII e XXIII), il cui accertamento e controllo dichiara spettante allo stato; è tracciato in esso lo schema, poi legisticamente attuato, degli uffici di collocamento; è dichiarato l'obbligo dei sindacati di "esercitare un'azione selettiva fra i lavoratori, diretta ad elevarne sempre più la capacità e il valore morale" (XXIV); è assegnata agli organi corporativi la sorveglianza sull'applicazione delle leggi, prevenzione degl'infortunî e polizia del lavoro (XXV).

Il terzo sottogruppo, infine (dichiarazioni XXVI a XXX), tratta della previdenza, dell'assistenza, dell'educazione e dell'istruzione. Notevoli sono le dichiarazioni XXVI e XXVII, nelle quali è tracciato il programma che il regime fascista si propone nel campo delle assicurazioni sociali. La dichiarazione XXVIII fa obbligo ai sindacati di lavoratori di assistere i loro rappresentanti nelle pratiche amministrative e giudiziarie relative all'assicurazione infortunî e alle assicurazioni sociali, e stabilisce la costituzione delle casse mutue di malattia; le dichiarazioni XXIX e XXX, infine, affermano il dovere dei sindacati di svolgere azione diretta di assistenza, educazione e istruzione.

Il testo della Carta del lavoro è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del Regno del 30 aprile 1927. Ciò non le ha tuttavia conferito il carattere di legge, non avendone evidentemente i requisiti. E, infatti, su deliberazione 21 settembre 1928 del Gran Consiglio fascista, è stata promulgata la legge 13 dicembre 1928, che autorizza il governo del re a "emanare disposizioni per la completa attuazione della Carta del lavoro". E la consacrazione legislativa del grande documento va svolgendosi con ritmo intenso, sì da poter prevedere prossimo il momento in cui tutto il suo contenuto di carattere normativo sarà tradotto in norme di diritto positivo (v. nel volume Bottai-Turati, cit. qui sotto, il capitolo Le attuazioni legislative della Carta del lavoro, p. 487 segg.).

Ad onta, però, che la Carta di per sé stessa non abbia natura né valore di legge, le sue norme sono state immediatamente adottate e diuturnamente lo sono specialmente nella stipulazione dei Contratti collettivi di lavoro: ciò in forza del valore politico e morale che il documento esprime e della salda disciplina politica e nazionale delle organizzazioni sindacali fasciste. Non solo, ma una autorevole dottrina, convalidata da numerose decisioni giudiziarie, tra cui una della stessa corte di cassazione, ha affermata l'efficacia giuridica immediata e diretta delle norme della Carta del lavoro, sia come principî generali di diritto da valere per l'interpretazione della legislazione sociale, sia come norme indicatrici delle soluzioni di equità nei casi in cui il giudice debba appunto l'equità applicare: efficacia derivante dalla natura dell'organo che ha deliberata la Carta, cioè il Gran Consiglio fascista, che, assommando nel suo seno le rappresentanze di tutti gl'interessi e ordini della società nazionale, può ritenersi vera e legittima espressione della coscienza nazionale

Bibl.: Ricchissima è la letteratura fiorita, in Italia e all'estero, sulla Carta del lavoro. Ci limitiamo perciò a citare le opere di carattere specifico: G. Bottai, La Carta del lavoro, Roma 1927; id. e A. Turati (e altri 31 commentatori), La Carta del lavoro illustrata e commentata, Roma 1929 (che riporta tutti i documenti preparatorî e le attuazioni legislative); E. Ranelletti, La Carta del lavoro, Milano 1928; A. Asquini, La Carta del lavoro, nella serie Le conferenze sul corporativismo, n. 8, Roma 1929; G. Napolitano, Corso di economia politica svolto sui principî della Carta del lavoro, Roma 1928; Quaderni delle corporazioni, n. 6. Che cosa è la Carta del lavoro, Roma 1928.

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