Cartagine

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

Cartagine

Roberto Bartoloni

La mortale nemica di Roma

Cartagine (in punico Qart-Hadasht "città nuova") fu fondata alla fine del 9° secolo a.C. nelle vicinanze dell'odierna Tunisi da coloni fenici provenienti da Tiro. Grazie alla sua favorevole posizione geografica assunse ben presto una posizione di preminenza nel bacino del Mediterraneo centro-occidentale che la portò a scontrarsi dapprima con i Greci di Sicilia e poi con la nascente potenza di Roma. Fra questa e Cartagine sorse così ben più di una contesa politico-militare: piuttosto un odio inestinguibile, che non ebbe fine se non con la distruzione totale di una delle due

Da rifugio di transfughi a grande potenza

La fondazione della città di Cartagine deve essere ricondotta a un motivo differente da quello che ‒ a partire dall'11° secolo a.C. ‒ fu alla base della creazione di tutti gli altri insediamenti dei Fenici sulle coste del Mediterraneo centro-occidentale: vale a dire costituire una fittissima serie di empori e scali commerciali che formassero altrettanti punti nodali della ragnatela di traffici su cui si poggiava la ricchezza fenicia.

Come adombrato dalla tradizione letteraria, è probabile che la fondazione di Cartagine sia dovuta invece a transfughi di qualche rivolgimento politico accaduto nella madrepatria Tiro ‒ la più potente fra le città-Stato fenicie ‒ alla fine del 9° secolo. Qualunque sia il motivo, però, è certo che il luogo in cui si sviluppò l'insediamento cartaginese ‒ la parte meridionale di una penisoletta protesa all'interno del Golfo di Tunisi e protetta da una serie di alture nella sua parte settentrionale ‒ dimostra ancora una volta che occhio lungo avessero i Fenici nella scelta dei siti dove fondare le proprie colonie.

Strategicamente ben difesa, dunque, sia da eventuali attacchi delle popolazioni libiche dall'entroterra sia da incursioni dal mare, Cartagine col passar del tempo divenne da semplice scalo commerciale un insediamento florido e importante, tanto che alla metà del 7° secolo era già in grado di fondare a sua volta una colonia ‒ la prima di molte ‒ presso l'attuale Ibiza, nelle Baleari. In seguito alla conquista di Tiro da parte degli Assiri (573 a.C.) e alla conseguente sua decadenza politico-economica, Cartagine finì per prendere il posto della madrepatria nella sfera dei suoi vasti interessi, entrando così definitivamente a far parte dei centri più potenti del Mediterraneo.

Contro i Greci per il controllo del Mediterraneo

Subentrando a Tiro come principale centro dei traffici commerciali fenici, Cartagine ereditò anche il ruolo di guida politica di tutte le altre colonie fondate nelle regioni affacciate sul Mediterraneo centro-occidentale: per citare solo i centri più importanti, Nora, Sulci, Olbia e Tharros in Sardegna; Mozia, Palermo e Solunto nella Sicilia occidentale; Sabratha, Oea e Leptis Magna nell'Africa tripolitana (Libia) e, sulle coste atlantiche al di là delle Colonne d'Ercole, Cadice in Spagna, Tingis e Lixus in Africa. Cartagine si ritrovò in questo modo alla testa di un vero e proprio impero marittimo. In realtà i benefici di una tale situazione erano reciproci, perché se da una parte era vero che le colonie perdevano un po' della loro indipendenza, dall'altra parte rifugiarsi dietro le spalle dei Cartaginesi (conosciuti anche col nome di Punici) assicurava loro una non trascurabile protezione contro la pressione dell'espansione greca nella zona, che dall'8° secolo era divenuta fortissima. Avvalendosi anche delle risorse e delle flotte alleate, dunque, Cartagine riuscì efficacemente a resistere alla penetrazione dei Greci, impedendo loro l'apertura di rotte commerciali atlantiche verso le isole britanniche e arrestando i tentativi di intromissione in Sardegna e nella Sicilia occidentale.

A loro volta, però, i Punici non riuscirono a piegare sotto di sé i Greci stanziatisi nell'Italia meridionale ‒ la cosiddetta Magna Grecia ‒ e nella Sicilia orientale, specialmente dopo le sconfitte subite presso Alalia, in Corsica (540 a.C. circa), e Imera, in Sicilia (480 a.C. circa). Riuscirono invece, a spese delle popolazioni libiche e numidiche dell'entroterra, ad ampliare fino a parecchie decine di migliaia di chilometri quadrati il territorio metropolitano di Cartagine. Questo permise la nascita di un importante ceto di proprietari terrieri che andò ad affiancare il già esistente ceto di mercanti e armatori e che finì per rivestire una notevole importanza nella conduzione politica della città.

La forza politica e bellica di Cartagine

La creazione di una sorta di 'bipolarismo' economico (proprietari terrieri e mercanti-imprenditori) finì per riflettersi anche nella rappresentanza politica della città: l'aristocrazia terriera trovò i suoi punti di forza nei sufeti ‒ magistrati assimilabili ai consoli romani ‒ e nel senato, mentre il ceto imprenditoriale si riconosceva nei consigli preposti alle alte funzioni amministrative statali e nell'apparato giudiziario. A seconda della situazione economico-militare in cui si trovava la città, uno dei due partiti prendeva il predominio e cambiava le direttive di governo precedenti, ma in sostanza possiamo senz'altro dire che la costituzione politica di Cartagine era piuttosto democratica, tanto che fu oggetto di ammirazione persino da parte del grande filosofo greco Aristotele.

Militarmente, invece, Cartagine fu ben lontana da una strutturazione dell'esercito tipica di una vera democrazia (come era nel caso, per esempio, di Atene): le forze armate di terra, infatti, erano costituite in massima parte da mercenari e da contingenti forzatamente reclutati fra le popolazioni assoggettate, e solo in minima parte da cittadini punici e anche la marina da guerra, che costituiva la punta di diamante dell'apparato bellico di Cartagine, era per buona parte sostenuta dalle colonie sottomesse. Alla lunga, sarà proprio questa concezione di esercito non 'nazionale', e quindi privo di una profonda motivazione, a costituire il punto debole di Cartagine in occasione del suo scontro con Roma.

La prima e la seconda guerra punica

Fra il 4° e il 3° secolo a.C., infatti, insieme al decrescere dell'influenza greca, Roma si era rapidamente trasformata da piccola potenza locale italica ‒ con obiettivi di egemonia sull'Italia centrale ‒ in una forza politico-militare di notevole peso a livello mediterraneo. Naturale conseguenza fu la nascita di attriti con Cartagine, inizialmente smussati con trattati che regolavano le reciproche sfere d'influenza. I contrasti finirono per esplodere in un conflitto che aveva come posta il possesso della Sicilia e che è passato alla storia come Prima guerra punica.

Dal 264 al 241 a.C. le due potenze si affrontarono senza esclusione di colpi, ma se era prevedibile che Roma avrebbe avuto la supremazia negli scontri di terra, nessuno avrebbe scommesso sulle cocenti sconfitte che l'esperta marineria cartaginese subì a opera della giovane flotta da guerra romana. I Punici, dunque, persero il primo round, ma è bene sottolineare come le vittorie militari di Roma e le sconfitte di Cartagine fossero conseguenza della grande differenza politica fra i due Stati: il primo, leader di una confederazione di popoli italici liberi e paritari; il secondo, signore di un gruppo indistinto di popoli soggiogati, disomogenei e demotivati.

La lealtà degli alleati italici e la tenacia del Senato e degli eserciti dell'Urbe costituirono i punti di forza anche della Seconda guerra punica (218-202 a.C.): grazie a esse, infatti, Roma riuscì a resistere ai terribili anni dell'invasione dell'Italia da parte di uno dei più grandi geni militari della storia, Annibale, sotto la cui guida ‒ e prima di lui del padre Amilcare ‒ Cartagine era riuscita a costituire un vero e proprio impero territoriale in Spagna. Con l'ingresso sulla scena del generale romano Publio Cornelio Scipione, il futuro Africano, lo stato di stallo in cui il conflitto era finito venne ribaltato, e non solo Annibale fu respinto dall'Italia, ma la stessa Cartagine fu attaccata e costretta alla resa.

La terza guerra punica e la fine di Cartagine

Con la sconfitta, Cartagine aveva ceduto a Roma tutti i suoi domini ed era stata gravata di un pesante tributo; ma tutto questo alla fine non si sarebbe rivelato sufficiente per evitarle la distruzione. Con l'animo avvelenato dal timore di una ripresa economico-militare di Cartagine e dal rancore mai sopito per le umiliazioni ricevute nel corso della Seconda guerra punica, nel 149 Roma colse al volo il pretesto di una violazione cartaginese del trattato di resa per dichiarare guerra alla città, assediarla e ‒ nel giro di tre anni ‒ conquistarla e raderla al suolo. Nel 44 Giulio Cesare fondò sulle rovine di Cartagine una colonia romana, che col tempo crebbe, divenne florida e tornò a essere una delle città più illustri del Mediterraneo: non più però punica, ma appartenente all'Impero Romano.

CATEGORIE
TAG

Publio cornelio scipione

Bacino del mediterraneo

Italia meridionale

Isole britanniche

Colonne d'ercole