CASA

Enciclopedia Italiana (1931)

CASA (dal lat. casa "capanna"; fr. maison; sp. casa; ted. Haus; ingl. house)

Giulio FARINA
Ranuccio BIANCHI BANDINELLI
Giovanni PATRONI
Plinio MARCONI
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Paola ZANCANI MONTUORO
Romeo Vuoli

È una costruzione elevata dall'uomo a scopo di abitazione, diversa nel materiale, nelle proporzioni o nella disposizione degli ambienti, nell'ornamento esterno come nell'arredamento interno, a seconda delle epoche e dei popoli e a seconda della classe di abitatori per cui è costruita. Alle volte, particolari caratteristiche nella sua costruzione e nella sua destinazione fanno che essa si chiami castello, palazzo, villa. Nei tempi moderni col termine casa si designano spesso edifizî non destinati ad uso di normale abitazione (casa di salute, casa di riposo, casa di correzione, casa di pena), mentre altri edifizî destinati ad abitazione di particolari categorie di persone assumono denominazioni diverse: albergo, carceri, caserma, collegio, convento. Nella sua accezione particolare, la casa moderna è l'edifizio destinato nei centri abitati ad abitazione di più famiglie che generalmente ne prendono in affitto (v. locazione) ciascuna una parte (appartamento), laddove in epoca anteriore alla nostra la casa era generalmente abitata da una sola famiglia che l'aveva in proprietà.

Nella voce abitazione si tratta, oltre che dell'abitazione presso i popoli primitivi (I, pp. 79-89), anche dello sviluppo storico della casa presso i popoli civili dall'antichità ai giorni nostri (I, pp. 89-96). Prima quindi di esaminare la casa contemporanea nella sua struttura architettonica e in rapporto alle condizioni economiche e sociali dei suoi abitatori, non rimarrà che considerare alcuni tipi storici di casa, che, per i problemi molteplici relativi alla loro configurazione e per l'interesse storico archeologico che essi presentano, meritano una trattazione particolare. Per gli altri tipi, si dà qui solo qualche documento figurativo, complemento di quelli dati nelle voci abitazione e architettura. Per l'igiene della casa vedi: ingegneria sanitaria.

La casa egiziana. - Per il periodo preistorico furono rilevate tracce di buchi per pali che dovevano sorreggere frascami, forse spalmati di mota. Ma già sulla fine di quel tempo si trovano resti di abitazioni con mattoni crudi. Un modello in terracotta mostra una pianta rettangolare, la porta sormontata da un architrave di legno aperta in uno dei lati minori; sull'opposto, la finestra. Per il regno antico, documenti archeologici mancano. Naturalmente le case differivano secondo le condizioni economiche. In Illāhūn, allo spazio occupato da 200 o 250 abitazioni operaie corrispondono all'incirca 10 o 11 abitazioni nobili. Di queste una, ad esempio, misura 45 m. per 60 e tra camere, corridoi, annessi ne furono contati 70. Il centro era costituito da un cortile a colonne che serviva per sala di ricevimento; le abitazioni private del padrone e delle donne stavano ai lati. Oltre alle camere da letto, c'era la sala per mangiare, il cortile della cucina, dove non solo si preparavano le vivande, ma si macellava, si cuoceva il pane, si allestiva la birra. Non manca il piccolo altare davanti al quale si pregava. Sappiamo dell'esistenza di camere da bagno, ma nel medio regno non se ne sono rilevate. Separate dal resto erano le abitazioni della servitù e i magazzini. I pavimenti erano di terra del Nilo battuta; le mura talvolta venivano dipinte; il soffitto in genere era di legno. Si trovano pure piani superiori. Alcune villette mostrano facciate ornate di colonne che dànno sul giardino. Nel nuovo regno, come si osserva a Tell el-‛Amārna, la sala dei ricevimenti è coperta; il soffitto è sostenuto da una colonna centrale. Essa è preceduta da un'anticamera che in certo modo la sottrae agli sguardi indiscreti della via; i bagni mostrano le loro vasche. L'arredamento indispensabile anche ad un modesto cittadino era costituito dal letto di legno a quattro gambe, piuttosto basso; dal poggiatesta semilunare poggiato su una colonnina, cuscini, seggiole e sgabelli di varie fogge; da tavole basse per mangiare, stuoie, cofani di legno per riporre oggetti, ecc.

Bibl.: Sulla casa egiziana: L. Borchardt, Das altäg. städtische Wohnhaus, in Centralblatt der Bauverwaltung, XIII, p. 517 segg.; id., Über das altäg. Wonhaus mit besonderer Berücksichtigung der Innendecoration, in Deutsche Bauzeitung, XXVIII, p. 200 segg.; N. de G. Davies, The Town House in ancient Egypt, in Metropolitan museum studies, I, 1929; A. Erman, Ägypten und äg. Leben im Altertum, Tubinga 1885-87, voll. 2; F. Maspero, l'archéologie égyptienne, nuova ed., Parigi 1907; I. Rosellini, Monumenti dell'Egitto, Pisa 1833-44, II, ii, p. 378 segg.; M. Uhlemann, Handbuch ägypt. Altertumskunde, Lipsia 1857-58; A. Wiedemann, Das alte Ägypten, 1920, p. 162 segg. Cfr. anche: H. H. Nelson e U. Hölscher, Medinet Habu 1924-28; U. Hölscher e J. A. Wilson, Medinet Habu Studies 1928-29, in The Or. Inst. of the Univ. of Chicago.

La casa greca. - La casa greca, attraverso tutto il vasto ambito cronologico del suo sviluppo e le sue fasi successive, presenta una certa uniformità e continuità di tipo dalle origini neolitiche fino a tutta l'età ellenistica: una stanza principale, dove la famiglia mangia, s'intrattiene e riceve gli ospiti intorno al focolare, preceduta da un cortile. Questo schema fondamentale persiste attraverso i secoli presso che immutato, se pur modificato o reso meno evidente per le numerose aggiunte di locali accessorî.

Due sono le forme primitive che compaiono nell'oriente ellenico: la casa rotonda, che riproduce il tipo originario della capanna circolare ed è quindi più proprio di genti che, pure stanziandosi, hanno serbato le consuetudini della vita nomade, e la casa a pianta rettangolare o quadrata (megaron). La'prima prevale sul continente, la seconda nell'Egeo; ma i paletnologi non sono d'accordo sulla genesi di questi due tipi, giacché alcuni ritengono che il megaron sia stato creato nei freddi climi settentrionali e da nordiche genti importato poi a sud-est, e che il tipo circolare sia stato invece introdotto dall'Oriente attraverso l'Egeo, dove appunto, più presto compiutasi la sua evoluzione, sia scomparso interamente; mentre altri al contrario considerano europeo soltanto il tipo circolare, che per il suo tetto conico sarebbe stato più adatto ai climi piovosi, e orientale invece il megaron, che sarebbe passato sul continente col diffondersi della civiltà cretese. Certo è che la sostituzione di materiali più solidi (pietre, argilla, ecc.) ai tronchi e ai rami primitivi segna la prima tappa dello sviluppo architettonico della casa a forma di capanna.

Già nel primo strato di Orcomeno in Beozia, i cui resti risalgono allo scorcio del III millennio a. C., troviamo case circolari, che hanno fino a 6 metri di diametro interno, e sono formate da un basamento di pietre rozzamente squadrate, sovrapposte in più filari e connesse a secco (altezza m. 0,50-1, larghezza circa m. 1), e da un ampio tetto conico di mattoni cotti al sole; uno strato d'argilla battuta segna il pavimento e si può supporre che la cupola raggiungesse un'altezza massima di m. 7 (fig. 6); tipo rudimentale di abitazione. che trova perfetti paralleli moderni nelle capanne del Kurdistan e dell'Africa meridionale, e le cui tracce ricompaiono in altri luoghi (Sesklo in Tessaglia) del continente greco, ma che possiamo credere adoperato anche nel bacino dell'Egeo, riconoscendone l'immagine in un'urna votiva dell'isola di Amorgo, e considerando le tombe a cupola cretesi e micenee come rituale sopravvivenza millenaria della più antica forma di abitazione. È infatti oltremodo probabile che il sepolcro ripetesse lo schema della casa, tradotto in materiali più durevoli e, persistendo poi tradizionalmente immutato, con mezzi tecnici ben più perfetti. Del resto tutta la civiltà neolitica nel bacino occidentale del Mediterraneo offre l'analogia di costruzioni rotonde in pietra a cupola, così funerarie come domestiche.

Questa fomma non consentiva, dato il sistema di copertura, né suddivisioni né ingrandimenti: si dové quindi ricorrere alla giustapposizione di più case simili intorno a un cortile centrale per conciliare le maggiori esigenze, come appare da un'urna di Melo (fig. 7) e meglio risulta dal confronto con attuali civiltà primitive dell'Africa (v. abitazione, figg. 1-13); ma lo sviluppo del tipo costruttivo avviene col passaggio dalla forma circolare alla ovale, più spaziosa e più facilmente divisibile con muri interni, che appare nel secondo strato di Orcomeno, a Olimpia, a Rhini in Tessaglia (fig. 8 a, b); a Thermos in Etolia troviamo due case ellittiche unite fra loro ad angolo retto; a Chamaizi in Creta vediamo invece una grande abitazione ellittica (m. 14,50 × 22,20), databile agl'inizî del II millennio, suddivisa con muri trasversali in molti vani irregolari, non comunicanti fra loro, ma ai quali si accedeva da un cortile centrale, che doveva essere scoperto per dar luce agli interni (v. capanna, p. 827). Allungandosi in pianta l'ellissi, i muri laterali diventavano sempre meno curvi, mentre, acquistando importanza la porta d'ingresso, veniva a schiacciarsi sempre più uno degli estremi, finché si arrivò a ottenere una forma rettangolare absidata (Orcomeno, Olimpia, Tirinto) con muri interni paralleli alla facciata (isole di Siro e Paro, Rachmani in Tessaglia, Thermos, Korakou presso Corinto), evoluzione che facilmente si segue sulle piante riprodotte nelle figg. 8-10. Durante questa fase è presumibile che il tetto, modificandosi secondo l'edificio, sia venuto ad acquistare i due pioventi sui lati lunghi con l'esser sostenuto da una travatura orizzontale, mentre sull'abside postica sussisteva la forma di mezza cupola e sull'ingresso risultava forse il timpano frontonale. Infine l'abside finì per essere eliminata e ci appare da ultimo qui segmentata (Rachmani), lì poligonale (Lianokladi in Tessaglia): si giunge quindi a un edificio rettangolare, tripartito in lunghezza, di cui possiamo immaginare che il vano anteriore fosse il vestibolo, l'ultimo il talamo, mentre la sala mediana più vasta accentrava intorno al focolare tutta la vita domestica e sociale.

Già dall'età neolitica, a Magasa e Tripiti in Creta, appare il tipo di casa rettangolare o quadrata (fig. 9), che si diffonde poi con variazioni locali nelle altre isole (Phylakopi in Melo, Thera), sulle coste asiatiche (Troia) e sul continente (Dimini, Sesklo e Tsangli in Tessaglia, Zygouries e Korakou in Argolide); forma che al suo sorgere non presenta nessuna caratteristica notevole, mentre assume un aspetto tipico fin dalla prima età del bronzo, età alla quale risale il secondo strato di Hissarlik (2000 a. C. circa): il megaron è qui un rettangolo stretto e allungato (fig. 10 a), scompartito in due o tre vani successivi, di cui il maggiore contiene il focolare rotondo; i muri son costituiti da un basamento a scarpa di rozze pietre cementate con terra, e da un elevato di mattoni crudi intramezzati e sostenuti alle estremità da assi di legno, mentre tavole di legno rivestivano le testate dei muri (antae) e completavano l'architettura. Il megaron più tardo, quale troviamo nel sesto strato di Hissarlik, che è da identificarsi con la Troia omerica, e negli altri luoghi coevi (Phylakopi, acropoli di Micene, ecc.), ha forma più quadrata, cioè costituisce un rettangolo più allargato (figg. 10 c, 10 b). Con l'ingrandirsi delle costruzioni divenne necessario sostenere la travatura del tetto (sia la trave maestra longitudinale, se il tetto aveva i due pioventi, sia i correnti trasversali nella copertura a terrazza), e così furono aggiunti pilastri di pietra o colonne lignee in unico o duplice filare al centro delle sale, quando la loro ampiezza lo richiese (Thera, Zygouries, Korakou, ecc.). Infine appaiono due colonne fra le ante del vestibolo a costituire il portico anteriore del megaron, che raggiunge così la sua tipica forma definitiva (Dimini e Sesklo in Tessaglia, palazzo di Tirinto, fig. 11, ecc.), tradizionale in tutta l'antichità, da cui prenderà le mosse più tardi lo sviluppo del tempio greco classico e che persisterà anche nell'architettura domestica fino a tutto l'ellenismo. Ma col fiorire della grandiosa civiltà cretese-micenea si ebbero strutture monumentali e costruzioni complesse, alle quali le case private del genere comune servirono di modello (e già i megara del secondo strato di Hissarlik sono allineati e compresi in un recinto a costituire un insieme) e delle quali il megaron col focolare rappresenta il nucleo tradizionale e l'intimo centro. Peraltro, col progresso dei mezzi tecnici e col manifestarsi del bisogno di addensare le abitazioni in aree relativamente limitate - necessità di tutti i centri popolosi -, già da tempo si era aggiunto un altro piano superiore, e anche due, e persino un attico; di tali case a pianta complicata, che spesso lascia dedurre l'esistenza di un secondo piano, non mancano resti nelle isole egee (Paleocastro, Cnosso, Vasiliki, ecc. in Creta, Psira, Melo, ecc.) e sul continente (Micene, Tirinto), ma una precisa idea della perfezione raggiunta dall'architettura cretese fin da prima del sec. XVII a. C. si può avere dalle facciate riprodotte su tavolette di maiolica policroma trovate a Cnosso: prospetti meravigliosi per la compiutezza della loro struttura e decorazione, con i varî piani, le numerose finestre e altri particolari, che dànno un'impressione di modernità (fig. 12).

Della casa omerica si dava, prima delle scoperte archeologiche, una ricostruzione teorica fondata sui dati dei poemi (fig. 13), oggi non più accettabile, mentre si può sommariamente dire che i grandiosi edifici dei quali persiste un riflesso poetico nell'epica più antica sono i palazzi della civiltà egeo-micenea, e che dai più il palazzo di Gla sul lago Copaide in Beozia viene identificato con l'omerica Arne. Le parti principali della casa omerica sono la corte (αὐλή) con l'ara di Zeus Herkeios, circondata da un portico (αἴϑουσα), e il megaron o sala principale, cui si accedeva dalla corte attraverso un propileo (πρόδομος) e dove, intorno al focolare (ἐσχάρα), si svolgeva la vita, e infine il quartiere delle donne (γυναικωνῖτις). A questi elementi principali si aggiungevano gli accessorî, come le stanze da letto (ϑάλαμοι); è da ritenere che nei tipi meno complessi la famiglia dormisse nel megaron e gli ospiti alloggiassero nel portico.

Le successive ondate di genti barbariche che si riversarono sulla regione greca determinarono il ripetersi di tutto il ciclo di sviluppo della casa dalla forma circolare alla rettangolare, giacché ciascuna tribù portava seco la tradizione della capanna primitiva: così, mentre seguiamo l'evoluzione negli strati di Orcomeno, che hanno per noi il pregio della continuità indiscutibile, abbiamo il riflesso del ciclo compiuto nelle tombe "achee"; infine l'ultima ripetizione dello stesso fenomeno si ha nel Medioevo greco, dopo la fine della civiltà cretese-micenea e all'alba dell'età classica.

Delle case di età classica non sopravvivono disgraziatamente che miseri avanzi, affatto insufficienti per tracciarne con sicurezza la pianta, o, almeno, per seguirne l'evoluzione. Certo è che l'architettura privata non ebbe importanza presso i Greci fino a tutto il sec. V. a. C.; le abitazioni furono semplici e modeste, serbandosi del tutto accentrate e concluse in loro stesse, in antitesi con la concezione moderna delle case che sorgono in rapporto alla strada.

Tale principio è giustificato e dal clima e dai costumi; infatti la vita si svolgeva in gran parte all'aperto, sicché il padrone rientrava soltanto per i pasti e per dormire nella casa, dove si trattenevano invece le donne: era dunque necessario isolare dal diretto contatto con la strada l'intimità delle poche stanze richieste, anche per evitare nell'interno l'eccesso di sole e di caldo: ciò spiega la generale adozione del cortile centrale (arricchito da peristilio nelle case più cospicue), il quale dava aria e luce alle singole stanze, che, prive di finestre esterne, si aprivano su di esso tutto intorno. L'edificio era generalmente a un sol piano, costruito con mattoni crudi, intramezzati e sostenuti da assi di legno, su uno zoccolo di pietra. Basti ricordare le case scoperte nei quartieri occidentali d'Atene fra l'Acropoli, l'Areopago e la Pnice, appartenenti ai secoli VI, V e IV: alcune consistono in un sol vano, altre di due o tre aggruppati, altre infine, giù nel piano, sono meno limitate, ma tuttavia di proporzioni molto esigue. Eppure sappiamo che nel quartiere di Melite ebbero le loro dimore cittadini illustri come Temistocle, Focione e, più tardi, Epicuro, anche se dobbiamo considerare in massima parte popolari questi quartieri, la cui precisa identificazione topografica è per altro malsicura; le abitazioni vi sono spesso appoggiate alla roccia, che è utilizzata come parete.

Una profonda trasformazione nei costumi si verificò tra il secolo V e il IV, quando col declinare della religiosità, che aveva polarizzato tutta l'arte, questa si volse anche a scopi pratici, acquistando gradatamente carattere decorativo, mentre già i gusti e le tendenze si erano modificati, temperandosi la rigorosa sobrietà primitiva. Senofonte (Oecon., III, 1) e Demostene (Ol., III, 25; XXI, 158; XXXIII, 207) deplorano il crescente lusso delle abitazioni private, anzi l'oratore osserva che i grandi personaggi dei secoli precedenti, che pure avevano favorito lo sviluppo delle arti, così da far giungere l'architettura pubblica a perfezione insuperabile, dimoravano in case per nulla dissimili da quelle dei loro modestissimi vicini. Da varî scrittori sappiamo che Alcibiade aveva fatto decorare la sua casa con pitture murali da Agatarco. E una rivoluzione portarono nelle costruzioni urbane i criterî d'Ippodamo da Mileto (seconda metà del sec. V), che per primo si preoccupò del piano regolatore della città (v. città). Ad Atene appositi funzionarî ebbero l'incarico di sorvegliare la manutenzione delle case, che ai tempi di Senofonte eran più che diecimila (Mem., III, 6, 14; Oecon., VIII, 22); e d'altra parte, diffondendosi il gusto dell'abitazione ampia e lussuosa, aereata e ben orientata, i ricchi elevarono alla periferia le loro dimore (Thuc., II, 65; Isocr., Areop., 52). In conclusione è da ritenersi che la casa d'età classica risultasse di un numero vario di camere disposte intorno a un cortile spesso arricchito da portici, e che il quartiere delle donne fosse isolato dal diretto contatto della strada con l'essere relegato o al piano superiore o nella parte postica; per altro non è accettabile la convenzionale della casa greca, con due cortili distinti per gli uomini e per le donne, non suffragata né dalla testimonianza degli scrittori antichi né dai monumenti superstiti, ma verosimilmente derivata da falsa interpretazione del testo, poco chiaro, di Vitruvio (De archit., VI, 10): la fig. 14 è una pianta costruita idealmente sulla scorta delle varie testimonianze letterarie. Dopo il sec. IV e per tutta l'età ellenistica la casa privata va acquistando importanza sempre maggiore, diviene più spaziosa e accurata così per struttura architettonica come per decorazione, e ci è assai meglio nota per i molti esempî che ne sono stati ritrovati, principalmente a Priene e a Delo (secoli III-II a. C.).

Queste case hanno tutte una fisionomia comune, allineate come sono su strade diritte e lunghe, interamente illuminate dal cortile centrale, con un ingresso molto meschino, aperto in genere su vie secondarie. La pianta normale è molto semplice e consiste in uno stretto corridoio d'accesso, che forma vestibolo (πρόϑυρον) e donde si passa nella corte, intorno alla quale si aprono le stanze destinate ai varî usi domestici, mentre sul lato settentrionale, e cioè orientata a mezzogiorno, si apre la sala principale più vasta e adorna, talvolta preceduta da un'esedra. Abbiamo qui una chiara sopravvivenza del megaron, e questo tipo di casa prevale negli esempî meno recenti, come quelli del sec. III a Priene; ma tale semplice schema ammette molte variazioni ed estensioni: infatti nel sec. II il cortile centrale ha quasi sempre il peristilio e via via si tende ad aumentare il numero dei locali e ad arricchirli secondo le esigenze di una civiltà più raffinata. Un tipico esempio delle lussuose abitazioni ellenistiche si ha in una casa di Delo (fig. 16) molto ben conservata, coi suoi due ingressi, l'ampio peristilio, la spaziosa sala (ἀνδρών) riccamente decorata e tutte le altre camere sviluppate intorno alla corte. La già menzionata descrizione che Vitruvio dà della casa greca concorda nella prima parte con le rovine di queste case più recenti, mentre nella seconda parte si riferisce alle più pretensiose aggiunte fatte in età più tarda (come documentano le case pompeiane), quando fu adottato l'uso del secondo cortile, generalizzato, a quanto pare, presso i Greci e i Romani solo dopo il sec. II a. C.

Bibl.: Sulla casa greca: P. Monceaux, Domus, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, II, i, Parigi 1895, p. 337 segg.; E. Fiechter, Haus, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., VII, ii, co. 2523 segg.; B. C. Rider, The greek house, its history and development from the neolithic period to the hellenistic age, Cambridge 1916; W. Lange, Das antike griech.-röm. Wohnhaus, Lipsia 1878; F. Ölmann, Haus und Hof im Altertum, Berlino 1927. Per le costruzioni primitive e preclassiche: H. Bulle, Orchomenos, in Abhandlungen Bayer. Akademie, XXIV, ii, Monaco 1907; F. Noack, Ovalhaus und Palast in Kreta, Lipsia 1908; per le successive scoperte: W. J. Anderson, R. Ph. Spiers, W. B. Dinsmoor, The architecture of ancient Greece, Londra 1927, p. 12 segg., dove è anche una bibl. sistematica (p. 201 segg.).

La casa etrusca. - Per le età primitive l'abitazione etrusca si identifica, allo stato delle nostre conoscenze, con la capanna italica di legno e di frasche (v. abitazione). Un ricordo dell'unico ambiente compreso nella capanna si potrebbe ravvisare nell'atrium che era la parte principale della casa romana e derivava, secondo gli scrittori antichi, da quella corrispondente etrusca (atrio tuscanico, v. più avanti, La casa romana), ma l'atrium si può ritenere anche una tarda derivazione dal megaron della casa preellenica-micenea.

Resti di case etrusche si sono trovati negli scavi di Vetulonia, di Marzabotto e di Veio; ma questi ultimi, che sembrerebbero riferirsi all'età più antica (sec. VII a. C.?) sono troppo esigui per fornire elementi di conoscenza. A Vetulonia le case scoperte sono piccole e povere, e non vi è traccia di atrio, il quale probabilmente nella sua forma compiuta si trovava solo nelle case signorili. Vi è stato riconosciuto l'uso di pani di argilla imperfettamente cotti, che dovevano formare le pareti delle case poggiando sopra una costruzione in pietra da taglio. Le pareti dovevano essere però sovente anche in legno, con o senza rivestimenti di lastre di terracotta, analogamente a quanto ci è testimoniato per i templi. Edifici interamente in pietra dovettero essere rari e, ad ogni modo, tardi. Anche a Marzabotto non si sono trovate che le fondamenta; nell'isolato IX, si credette di poter riconoscere un esempio di atrio, ma si è poi dovuto ammettere che si tratta di un cortile attorno al quale erano disposte abitazioni minori aperte sulla via decumana, giacché non sembra ammissibile l'esistenza, tra il sec. V. e IV a. C., di un atrio così vasto (m. 27 × 19) assai superiore a quelli delle case di Pompei. Data tale scarsezza di residui monumentali, dobbiamo cercare elementi per la migliore conoscenza della casa nelle tombe a camera e nella forma delle urne cinerarie, alle quali presiede quasi generalmente il concetto che il sepolcro sia l'abitazione del defunto. Particolarmente la tomba Mercareccia di Tarquinia, intagliata nel tufo, riproduce l'interno di un atrio displuviato. Molte tombe riproducono in pianta un atrio seguito o da un solo tablinum o anche da altre camere e, in genere, è in queste e nel tablino che si trovano i banchi funebri, disposti a triclinio come letti conviviali, mentre l'ambiente centrale, cioè l'atrio, viene inteso come luogo di riunione.

Come esemplari caratteristici di varia epoca possono essere addotte le piante delle seguenti tombe: Veio, Grotta Campana, secolo VII a.C., con atrio e tablino; Cortona, il Melone di Camucia, secolo VII-VI a. C., con atrio, doppio tablino e ambienti laterali; Chiusi, Tomba della scimmia e altra di Poggio Renzo, seconda metà del secolo V a. C., con atrio, tablino e due camere laterali disposte in croce; Vulci, tomba dei pilastri scanalati, sec. V a. C., con pianta resa complessa per aggiunte successive di ambienti, che fornisce già un esempio del particolare genio degli Etruschi all'adattamento dello spazio ambientale; Cerveteri, Tomba delle sedie e degli scudi, sec. IV a. C., con un atrio allungato e tre ambienti di fondo, cioè tablino e due camere laterali, come poi avranno le case pompeiane. A Vulci la tomba François, della geconda metà del secolo IV a. C., mostra già l'atrio fornito di alae, cioè di due brevi prolungamenti laterali; si giunge così alla tomba dei Volumnî a Perugia (metà del secolo II a.C.), con atrio fornito di alae sul quale si aprono, oltre al tablino, altre sei camere, con una corrispondenza perfetta alla pianta di una casa pompeiana il cui alzato risulta simile a quello della fig. 37 del vol. I, p. 91.

Per la ricostruzione dell'alzato della casa etrusca poco servono in realtà le facciate di tombe rupestri "a dado" dell'Etruria meridionale e gli analoghi cippi, ai quali si è data troppa importanza in questo senso; il loro coronamento non riproduce che affatto eccezionalmente il tetto di una casa e le deduzioni che se ne erano tratte riposano su erronee interpretazioni, spesso dovute al cattivo stato di conservazione. Le più attendibili riproduzioni rupestri, che ci mostrano tipi di casette a tetto displuviato, si trovano a Bieda (Röm. Mitteil., 1918, figure 35, 36); ad esse corrispondeva nella realtà un interno simile a quello di una tomba di Cerveteri riproducente un tetto stramineo (Studi Etruschi, I, tav. XXIII). Alcune di queste tombe ci possono però fornire la conoscenza di particolari architettonici: cornici di porte, sicuramente lignee (Rosi, in Journal of Roman Studies, XV, fig. 46, p. 53) o decorate di maschere (ibid., figure 54, 53); o sistemi di pareti con porte e finestre (Studi Etruschi, I, tav. XLVI, a); o soffitti a lacunari (Braun, Monum. Istit., V, tav. XXXII segg.; Bianchi-Bandinelli, Sovana, Firenze 1929, figg. 34, 35, tav. XVIII). Per l'aspetto esteriore di case etrusche, le uniche rappresentazioni d'insieme sono fornite da tre urnette, forse tutte provenienti da Chiusi: la prima, al Museo di Berlino (Rumpf, Katalog, 1928, tav. 56), in arenaria, con tetto displuviato a larga gronda e il cui alzato ricorda in parte quello della casa pompeiana (v. vol. I, p. 91, fig. 37). La seconda, al Museo archeologico di Firenze, è in terracotta e mostra un caratteristico loggiato esterno sotto il tetto, retto da colonnette e pilastrini tuscanici. La terza, pure allo stesso museo, riproduce un edificio costruito sicuramente in pietra, con mura a bugnato, e loggiato a pilastrini ionici, che ricorda singolarmente le caratteristiche dei palazzi fiorentini del Rinascimento (cfr. G. Patroni, in Historia, luglio-settembre 1927, pag. 25 segg.).

Bibl.: Sulla casa etrusca: J. Durm, baukunst d. Etrusker u. Römer, Stoccarda 1905; P. Ducati, Etruria antica, II, Torino 1925, p. 93 segg.; id., Storia dell'arte etrusca, Firenze 1927, p. 377 segg.; F. Studniczka, Das Wesen d. tuskanischen Tempelbaus, in Die Antike, IV (1928), p. 176 segg.

La casa romana. - Il nome che i Romani davano alla loro casa (domus), sembra che avesse in sé il concetto della proprietà, e non soltanto di quella dell'abitazione, ma altresì di un terreno annesso ad essa, ove si allevavano animali domestici e si coltivavano piante per la mensa di famiglia Non doveva però essere la casa romana primitiva quel che si dice propriamente una casa di campagna: 1°, perché quando i Romani possedettero una campagna fuori della città la dissero rus, in una certa opposizione con domus; 2°, perché i modi di dire assai arcaici domi militiaeque o bellique mostrano di risalire ad un'età in cui non usava ancora recarsi in campagna per passarvi alcuni mesi dell'anno, e pertanto, se il cittadino non si trovava a casa sua, voleva dire che era alla guerra o per lo meno in servizio militare. Case di contadini, dunque, ma riunite in piccole città primitive, in villaggi, e non già sparse per la campagna: il che concorda bene con quanto sappiamo dei Villanoviani immigrati nel Lazio.

I Villanoviani abitavano in capanne di pali e frasche, generalmente rotonde o ellittiche, di cui si trovarono scarsi avanzi (fondi o suoli) nel terreno, ma che conosciamo nel loro aspetto da modelli in terracotta usati come urne cinerarie. Questa forma, del tutto rustica, non si presta a combinazioni architettoniche; perciò la casa non doveva consistere se non in una capanna, con terreno attorno circondato da siepe. Tutt'al più, se una famiglia aveva bisogno di più capanne, poté costruirne due o tre entro il proprio terreno cintato. A vere e proprie coordinazioni si prestavano solo le forme rettangolari, che troviamo sporadicamente; ma né dalle imitazioni, né dagli avanzi di capanne della Bologna villanoviana (ove se ne scoperse un certo numero in approssimativi allineamenti) risulta mai che si giustapponessero due o tre capanne rettangolari, in modo da formarne come le stanze d'una medesima casa, né tanto meno che si disponessero attorno a una corte comune.

Tutt'altra cosa è la casa romana dei tempi storici, per quanto arcaici, ma non più primitivi: essa è una costruzione architettonica in muratura, con buona e simmetrica distribuzione di locali in fondo e sui lati di una corte (atrio), la quale è scoperta al centro, ma protetta all'ingiro da una tettoia. Di tali case arcaiche non troviamo più esempî a Roma, sia per la intensa vita e i continui rinnovamenti dell'Urbe, sia perché a Rorma si durò a lungo, sino ai tempi d'Augusto, a costruire le case in mattoni crudi. Ma in Campania, ove, secondo ogni probabilità sotto la spinta e il magistero degli Etruschi, già da parecchi secoli prima dell'èra volgare si era sostituita anche per le case private la buona muratura in pietra alla struttura di arcaici lateres, qualche esempio ce ne conserva Pompei, dei quali il meglio riconoscibile, per non aver subito se non qualche modificazione che lascia intendere la forma originaria, è la Casa del chirurgo, appartenente al periodo degli atrî detti calcarei, dall'uso del calcare di Sarno. Le forme e disposizioni caratteristiche di tali atrî sono conservate e ripetute nella parte anteriore delle case appartenenti al successivo periodo del tufo (detto così dall'uso del tufo di Nocera). La loro perfetta corrispondenza con i dati delle fonti classiche e le prescrizioni di Vitruvio non lascia alcun dubbio che anche i Romani, sotto le medesime influenze subite in Campania dagli Osco-Sanniti, abbiano adottato il medesimo tipo di abitazione; e del resto i dotti romani riconoscevano esplicitamente che tali case non spettavano ai loro prischi padri, ma questi le avevano ricevute dagli Etruschi. In esse, in fondo all'atrio e dirimpetto all'ingresso, si trovava la stanza principale (tablinum); le testimonianze monumentali (segni della mensa e dei letti tricliniari nei pavimenti e alle pareti di alcuni tablini pompeiani ove sopravviveva l'uso antico) concordanti con quelle letterarie ci dicono come i prischi Romani non solo vi cenavano, ma vi collocavano il letto maritale del padre e della madre (lectus genialis), che il visitatore entrando si trovava di fronte, e perciò era detto adversus. Quindi è errata la ricostruzione della casa arcaica nella quale il tablino rimane interamente aperto nel lato posteriore per dare passaggio all'hortus; ciò si fece, talora ma non sempre, quando la casa ebbe nella parte posteriore l'aggiunta del cosiddetto peristilio e la vita domestica passò in quella parte posteriore; ma anche allora spesso è aperta solo la vista sul peristilio, e il passaggio, precluso dal tablino mediante un parapetto, avviene invece attraverso le stanze, o per un apposito corridoio, sui lati. Che poi l'atrio fosse semplicemente un cortile antestante è provato dalla sua denominazione tecnica di cavaedium, che implica lo scoperchiamento almeno del centro, e dalla definizione che ne dà una fonte arcaica usata da Verrio Flacco e trascritta da Festo (p. 13): genus aedificii ante aedem continens mediam aream in quam collecta ex omni tecto pluvia descendit (per la interpretazione di questo luogo v. G. Patroni, Due stadi dello sviluppo della "domus", in Rendic. del R. Istit. Lomb., 1930, e altri scritti ivi citati). Ai lati dell'atrio stavano i cubicoli, piccole camere per dormire, o celle chiuse d'altra destinazione, e dopo di essi le ale, spazî rettangolari simmetrici, non chiusi né da parete né da porta. Ai lati del tablino due altre stanze: dietro, l'orto, accessibile da una delle stanze laterali o dal corridoio.

In favore della derivazione della casa dei prischi Romani e dei più antichi Osci dall'architettura etrusca, in contrasto con la teoria che la faceva derivare direttamente dalla capanna villanoviana, stanno molti dati, e principalmente: a) un'etimologia varroniana che deriva atrium dagli Atriates Tusci, falsa in sé, ma buona come indizio storico di derivazione etrusca; b) il nome della forma di gran lunga più usitata dell'atrio o cavedio, il tuscanicum; c) l'urna mentovata a proposito della casa etrusca, trovata a Poggio Gaiella presso Chiusi; d) alcune tombe a camera, specie tarquiniesi, imitanti nel soffitto l'atrio con apertura centrale (in queste tuttavia, per dare un cielo alla camera, è stata invertita l'inclinazione del compluvio, facendone invece un displuvio a quattro acque, certo ben raro nella pratica e biasimato giustamente da Vitruvio, per il fatto che esso mandava l'acqua sui muri perimetrali); e) varie tombe etrusche, imitanti approssimativamente nella pianta la disposizione dei locali attorno all'atrio; f) il carattere etrusco dell'edilizia pompeiana più antica, provato dall'esistenza di una vetusta colonna tuscanica miceneizzante in tufo nocerino, dal tempio etrusco normale, che precedette la ricostruzione sannitica del tempio di Giove sul Foro, e da alcuni capitelli dello stesso materiale della colonna, anch'essi di sagoma affatto etrusca e per nulla greca, spettanti per lo meno al periodo degli atrî calcarei: quello stesso carattere è confermato dalla presenza in Pompei di nobili famiglie etrusche, tra cui la principesca gens Holconia. È sperabile che scavi di città etrusche, specialmente nell'Etruria meridionale, ci diano anche avanzi di case ad atrio, disposizione non più verificabile negli scarni avanzi di Marzabotto. Ma la sistemazione definitiva della casa architettonica e l'invenzione dell'atrio tuscanico potrebbero forse essere anche avvenute fra gli Etruschi della Campania nella loro capitale Capua; ovvero addirittura sotto il magistero etrusco, ma nelle città italiche succedute ai villaggi di contadini e conservanti un carattere campagnolo; mentre gli Etruschi avevano come propria casa di città il tipo a tetto displuviato e frontoni, sviluppabile in altezza a guisa di palazzo, e da cui sorsero le insulae della Roma imperiale e le case del tipo ostiense.

Tipologicamente la casa dei prischi Romani, che ormai possiamo dire etrusco-italica, è una varietà della casa mediterranea e orientale che si svolge attorno a una corte. Gli elementi fondamentali di essa sono due: il tablino e l'atrio, ossia, secondo la fonte di Verrio Flacco riferitaci da Festo, l'aedes e l'aedificium ante aedem. Le analogie tra il tablino e il megaron sono: la situazione di fronte all'ingresso della corte, l'essere a un livello più alto di questa di qualche gradino, la presenza del focolare, che dalle fonti scritte si ricava essere stato nella casa arcaica se non dentro il tablino certo sul davanti di esso, e non lungi dal cartibulum, tavola rettangolare di pietra su cui erano deposti vasi ed utensili di cucina, che secondo Varrone (De l.l., V, 125) stava ad compluvium, e che nelle case pompeiane si trova ancora dietro l'impluvium, benché da secoli non si facesse più cucina nell'atrio. Il cui nome, che fu anche spiegato da atrum ex fumo (v. atrio), insieme con l'usanza di desinare nel tablino, completa il riscontro col megaron, ove gli eroi d'Omero sedevano a banchetto e che era pieno dell'odor di grasso bruciato dei montoni arrostiti allo spiedo. Sicché si poté stabilire che megaron + aulé = tablinum + atrium. Somiglianza tutt'altro che generica, bensì specifica, anzi singolare, perché in contrasto con Creta, con l'Egitto, con l'Asia e con tutto il resto del Mediterraneo, e collegante l'architettura etrusca alla sola zona micenea a rocche munite.

Benché la casa romana arcaica fosse, come tipo costruttivo, uguale alla micenea a megaron, tuttavia essa rappresentava uno stadio di sviluppo più antico, e costumi familiari ben differenti. La divisione delle donne dagli uomini, già presso i Protoelleni, aveva ridotto il megaron a sala di banchetto e di trattenimento per questi soli; tale separazione non esisteva tra gli Etruschi, né a Roma, ove la materfamilias era la regina della casa; pertanto il tablino era non solo la sala da pranzo della famiglia, ma altresì la camera nuziale. Ciò rammenta i tempi preistorici, quando la capanna villanoviana era l'unico ambiente disponibile.

Così si spiega, probabilmente, l'inclusione dell'hortus nella casa, che non ha riscontro nella casa micenea e ricorda invece il terreno cintato includente le capanne preistoriche; e così soprattutto il persistere e il rafforzarsi presso i Romani del concetto padronale di domus. Quelli che sono ospiti di Roma, ma non Romani, vengono relegati nelle soffitte, adattate man mano a cenacoli. Col tempo si costruiscono anche apposite, e talora alte case d'affitto, ma non si chiamano domus, bensì insulae. Il carattere tipico di queste insulae era quello di sopprimere la vita al pian terreno, tanto cara agli antichi cittadini di Roma e delle minori città italiche, che erano a un tempo abitatori e padroni, e godevano dell'atrio e dell'orto, più tardi anche del peristilio che vi si aggiunse; e di sovrapporre piano a piano, o sopprimendo il cortile o riducendolo a semplice pozzo d'aria e di luce. Vi era certamente, nella distinzione di nomenclatura, un superbo disprezzo per gl'inquilini degli appartamenti delle isole, così sospesi in aria; apparivano quelli come degli esclusi dal godimento di una vera e propria casa.

In età posteriore, e a Pompei nel periodo sannitico o del tufo, si aggiunse alla casa arcaica una seconda parte, che le dava maggiore sviluppo nel ienso dell'asse e s'interponeva tra i locali dell'atrio e l'orto, dietro il tablino: il così detto peristilio. È questo in realtà il giardino d'abbellimento, viridariun, che si aggiunge all'orto ove si coltivano le piante utili, e talora lo sostituisce; non di rado ha al centro una piscina; qualche grande casa ha due peristilî successivi. Attorno a questo giardino, più o meno vagamente adornato di statuette, oscilla, bacini con fontanine, giuochi d'acqua, ecc., e circondato (ma non sempre su tutti i quattro lati) da un portico a colonne, si concentra ormai la vita di famiglia, abbandonando la parte anteriore o dell'atrio, che è destinata all'ufficio di rappresentanza. Talune case conservano la parte rustica, con cucina (culina), dispensa (cella penaria), talora anche un bagno, nei pressi dell'atrio su uno dei lati; altrove anche questi ambienti sono trasportati nei pressi del peristilio. E anche nelle adiacenze di questo si trova di regola l'uscita secondaria (posticum).

Questa, così sviluppata in lunghezza, distinta in due parti (l'anteriore che gelosamente conserva le forme arcaiche di architettura tuscanica, e la posteriore contenente un giardino con portico e locali distribuiti attorno) è la casa del miglior periodo di Pompei, che fu mantenuta nel tipo così raggiunto anche dopo la deduzione della colonia sillana (80 a. C.), nel periodo romano della città; questa è pure la casa romana quale è descritta da Vitruvio.

Qualcuno ha sostenuto che l'aggiunta della parte posteriore della casa, nella quale ricorrono molti nomi greci (peristilio, triclinio, ecc.) sia dovuta a influenze ellenistiche; ma l'ipotesi non regge al confronto delle prove monumentali. La grecità dei nomi fu effetto di una moda del tempo.

Bibl.: G. Patroni, L'origine della "domus", in Rend. Acc. Lincei, Sc. Mor., serie 5ª, XI, 467 segg.; id., Due stadi dello sviluppo della "domus", in Rend. Ist. Lomb., 1930; A. Sogliano, in Atti Acc. archeol. di Napoli, XIX.

La casa odierna.

Notizie generali: Classificazioni. - Una prima ed essenziale distinzione si può porre fra le case costruite in campagna, isolate ed autonome, e quelle costruite in ben ordinati complessi urbani. Le prime, qualunque sia lo scopo a cui sono adibite, all'abitazione di contadini o montanari, a residenza permanente o temporanea di gente facoltosa, al servizio di aziende agricole, ecc., non soggiacciono a speciali vincoli d'interdipendenza; il loro carattere tecnico ed economico e la loro forma sono attinti esclusivamente alle condizioni che esse stesse o i piccoli gruppi di cui fanno parte sono chiamati a soddisfare. Le case urbane invece, fatta eccezione per alcune costruzioni di gran lusso, palazzi, ville, ecc., soggiacciono, oltre che a criterî intrinseci più serrati, funzioni di complesse variabili di diverso ordine, anche a tutta una serie di vincoli estrinseci, insiti nelle strettamente predeterminate condizioni di ubicazione, orientamento e forma delle aree su cui debbono sorgere ed alle indispensabili condizioni d'interdipendenza di ciascuna con le circostanti: vincoli che influiscono su tutti i loro attributi, quelli più generali della disposizione planimetrica e altimetrica dei varî elementi, del carattere costruttivo e architettonico, e quelli più speciali della limitazione dello spazio, dell'aria, della luce, delle condizioni igieniche e giuridiche.

Ogni nazione civile ha sentito la necessità di fissare con disposizioni legislative i criterî tecnici ed igienici atti a salvaguardare l'incolumità e il minimo di benessere fisico degli abitatori per tutte le costruzioni indistintamente. Per le case urbane poi la codificazione ha dovuto essere estesa anche alle caratteristiche emergenti dai suddetti legami estrinseci, codificazione di cui una parte riguarda i principî più generali valevoli per tutto lo stato ed è raccolta in leggi di estensione nazionale; una parte invece è funzione delle particolari esigenze, usi, necessità proprie dei singoli complessi urbani, ed è sancita dai regolamenti edilizî municipali edilizia; piano regolatore). Le norme sancite da questi regolamenti edilizî, convalidate e chiarite nella redazione dei piani regolatori, riguardano specialmente i seguenti punti: il tipo degli isolati e dei lotti; il carattere e la distribuzione delle case in essi; le limitazioni relative all'altezza e all'estensione dei fabbricati, ai distacchi di essi dai confini di proprietà e dal filo stradale, e dei singoli fabbricati fra di loro; la grandezza e dimensione dei cortili in rapporto alle larghezze stradali o all'altezza degli edifici vicini; i rapporti di proprietà fra le case confinanti, ecc. Tali dati sono generalmente diversi nelle singole città e spesse volte nelle varie zone di una stessa città. Sui criterî di zonizzazione e sulla dislocazione nelle singole zone dei varî tipi di case di abitazione influisce notevolmente il prezzo dell'area nei singoli punti dell'abitato, dipendente da innumerevoli e talvolta imponderabili coefficienti di varia indole (vedi abitazione, pagine 100-102).

Un altro criterio di classificazione valevole per tutte le case di abitazione, salvo per i fabbricati rurali e per quelli di gran lusso, è quello relativo alla loro mole e capienza di vani in confronto all'estensione dell'area fabbricabile e in altri termini, il criterio della costruzione estensiva, intensiva e semintensiva.

Si dice costruzione estensiva quella che sfrutta poco un'area fabbricabile, costruzione intensiva quella che la sfrutta molto. Fra le due categorie si può porre una terza, la semintensiva, che corrisponde a uno sfruttamento intermedio. È ovvio che tanto maggiore è l'intensività della costruzione quanto è minore il quoziente tra l'area fabbricabile a disposizione e l'area coperta, e quanto è maggiore l'altezza della costruzione. Se l'intensività si definisse in base alla cubatura della costruzione, le funzioni si tradurrebbero in proporzionalità rispettivamente inversa e diretta in confronto a codesti due valori; ma una tale definizione avrebbe scarso valore pratico, onde abitualmente l'intensività viene definita, più comprensivamente sebbene più grossolanamente, in base al numero dei vani di abitazione contenuti in una determinata area fabbricabile e si esprime con indici equivalenti al numero di mq. di area totale impiegata per un vano. In tal caso le funzioni sono più complesse ed anzi indeterminabili rigorosamente, giacché entra in giuoco la definizione, molto aleatoria e controversa, di vano d'abitazione e la sua cubatura lorda. Ognuno vede che, data l'estrema varietà delle piante degli edifici di abitazione e la difficoltà di fissare universalmente la qualifica di vano vero e proprio per gli ambienti adibiti a servizio e a disimpegno, non si possono stabilire indici di valutazione validi in ogni caso: ma, potendosi in un determinato ambito e per un determinato tipo di costruzione precisare tali qualifiche, la possibilità di classificazione esiste con risultati chiari e istruttivi, come si vedrà in seguito.

In linea generale si può intanto fissare che la costruzione estensiva si riferisce alle aree fabbricabili in cui le superficie coperte siano contenute in limiti modesti, in cui le case non abbiano più di due o tre piani, con tipi planimetrici non richiedenti l'uso di scale serventi molti alloggi per piano; in esse per conseguenza la vita famigliare si svolge piuttosto appartata e indipendente. La costruzione intensiva si riferisce invece alle aree fabbricabili con forti percentuali di superficie coperte, in cui le case abbiano almeno quattro o cinque piani, con corpi di fabbrica molto densi, con scale serventi parecchi alloggi per piano; in esse la vita di ciascuna famiglia si svolge in condizioni di relativa comunanza con quella dei coinquilini. La costruzione semintensiva si riferisce agli edifici aventi caratteri intermedî; comprende quindi case e palazzine a tre o quattro piani, isolate in lotti sufficientemente grandi e non già raggruppate in blocco; in esse tuttavia le scale servono a parecchi alloggi e l'organizzazione elementare dell'alloggio è analoga a quella che si riscontra nelle costruzioni intensive.

Le costruzioni estensive nella zonizzazione dei moderni piani regolatori hanno il loro naturale luogo nelle aree piuttosto periferiche della città, o addirittura in zone lontane dall'abitato. In esse la planimetria può essere studiata con molta libertà e coi massimi requisiti di comodo, le condizioni d'illuminazione ed aereazione sono le migliori possibili; sono quindi molto igieniche e suscettibili, per la libertà maggiore di movimento nei volumi, di buona e individuale architettura. Al contrario le costruzioni intensive si hanno in zone interne della città, oppure, se hanno carattere assolutamente popolare, anche in rioni eccentrici, possibilmente in vicinanza dei centri di produzione industriale. La costruzione intensiva conduce per la sua stessa natura a fornire abitazioni con programmi ristretti e vincolati, nelle quali le esigenze dell'illuminazione, dell'aereazione, dell'igiene sono soggette a molte transazioni. La vita è in esse meno libera e sana fisicamente e moralmente.

Nella civiltà attuale i due tipi di costruzione, intensivo ed estensivo, si avviano a coesistere con caratteri spiccatamente divergenti e modernamente originali, specie per gl'intensivi (fig. 42 e tav. LXXVI); segno evidente che ciascuno di essi corrisponde a bisogni reali. Ciascuno ha pregi e difetti: nella costruzione estensiva alle migliori possibilità di vita autonoma e sana si oppone il maggior costo, dovuto, oltre che al più forte impiego di area fabbricabile, anche al notevole peso economico di alcuni elementi di struttura e di altri riguardanti le sistemazioni generali del terreno, come sarà specificato in seguito: maggior costo che induce a risparmiare buona parte di quegli elementi di conforto e di agio che a parità di prezzo nelle costruzioni intensive si possono conseguire. Per contro, nelle costruzioni intensive i difetti base nel campo igienico e morale sono compensati dal minor costo e dalla maggior vicinanza ai centri della città e conseguente risparmio di tempo e di mezzi di trasporto.

Le case di abitazione si possono anche considerare sotto l'aspetto delle classi sociali che le abitano, potendosi così ad esempio distinguere le case rurali dalle case operaie, le case popolari dalle case di impiegati, le case da pigione e villini per la media borghesia dalle case signorili da pigione e da quelle adibite all'abitazione del solo proprietario: vi sono ancora edifici ove abitano inquilini appartenenti a diverse classi sociali.

Criterî generali di costruzione. - La casa moderna è realizzata con mezzi e procedimenti strutturali in tutto analoghi a quelli degli altri edifici civili, sia per quanto si riferisce agli elementi costruttivi di ossatura, sia per quanto riguarda gli organi di chiusura e gli elementi di rivestimento e abbellimento, o gl'impianti speciali. Essa è comunemente composta di elementi murarî, i quali consentano la distribuzione nel complesso di un determinato numero di ambienti organizzati in modo da formare una sola o più abitazioni. Si consegue lo scopo mediante un'intelaiatura di muri perimetrali e maestri costituenti corpi di fabbrica generalmente doppî, più raramente semplici o tripli, portanti varî piani sovrapposti di strutture orizzontali a solaio o a vòlta, sopra i quali ulteriori leggiere tramezzature verticali determinano i singoli vani e i relativi disimpegni. Le larghezze dei corpi di fabbrica sono diverse fra loro a seconda del carattere della casa, come si vedrà in seguito, ma sono generalmente comprese fra m. 5 e m. 9 per i corpi di fabbrica semplici, tra m. 9 e m. 16 per quelli doppî e tripli. L'ossatura di un corpo di fabbrica si effettua con muratura di pietra o mattoni, semplice o dotata di scheletro in cemento armato o in ferro. Talvolta si adottano strutture completamente in cemento armato, secondo i varî sistemi consentiti dal duttilissimo materiale. La struttura abituale e più economica nelle fabbriche di altezza limitata è quella a muratura ordinaria e solai di travi di ferro e laterizî: con essa si ottengono ripartizioni interne di vani molto vincolati dalle necessità costruttive del sistema, per cui in tutti i piani dello stabile è necessario conservare quanto più è possibile l'identica rete di muri portanti e l'identica dislocazione dei pieni e dei vuoti. Con le strutture di cemento armato invece si consegue grande libertà in questi elementi e si possono raggiungere tipi di abitazioni del tutto originali e di carattere moderno.

Costo. - Elemento principale da tener presente nello studio della casa moderna è anche quello del costo in rapporto ai bisogni a cui si deve soddisfare. Tale costo in molte case rurali e nelle dimore adibite ad abitazione personale di ricchi proprietarî è relativo solo alle disponibilità finanziarie del proprietario stesso. La costruzione invece di case d'affitto ha carattere d'industria: esse vanno dunque progettate e realizzate con caratteristiche dispositive, tecniche, architettoniche tali che il costo complessivo si adegui alla possibilità di un affitto costituente reddito vantaggioso. Molti dunque, se non tutti i requisiti caratteristici delle case moderne di abitazione hanno rapporti strettissimi e talvolta univoci con criterî economici.

Altri fattori che influiscono sul tipo di costruzione. - Innanzi tutto è il carattere psicologico-sociale degli abitanti: si pensi, per es., alla preferenza degl'Inglesi per la costruzione estensiva, anzi per la casetta individuale; e degli Americani per quella estremamente intensiva; si pensi anche alla tendenza di varî popoli a conseguire una determinata disposizione degli alloggi o ad usare ambienti speciali (hall degl'Inglesi, Wohnzimmer o Wohnküche dei Tedeschi). Anche il clima ha la sua influenza: ad esso si debbono elementi essenziali metrici e formali, come la scarsa altezza dei piani attuata nei paesi settentrionali e la maggiore altezza propria dei paesi meridionali, la diversa pendenza dei tetti nelle varie latitudini, la diversa densità e ampiezza delle finestre, e così via. I materiali da costruzione disponibili e la loro economicità nei varî luoghi costituiscono anch'essi un elemento determinante la foggia e il sistema costruttivo delle case, seppure in grado minore di quanto accadesse nelle epoche passate, data la maggiore facilità attuale di scambio: insieme con gli elementi tecnici e dispositivi, anche quelli architettonici rimangono da tutto ciò profondamente influenzati.

Criterî igienici. - Una casa, a qualunque classe appartenga, prima di ogni requisito di comodo e di piacere deve possedere le qualità fondamentali atte a tutelare la salute fisica degli abitatori. La salubrità di una casa si realizza in primo luogo curando alcune condizioni generali esterne, come quelle della migliore esposizione al sole e all'aria, ed altre interne, come quella del facile ricambio d'aria: condizioni implicanti notevoli remore ai criterî economici e che per questo appunto sono in gran numero considerate ed imposte dai regolamenti edilizî. In secondo luogo si debbono vagliare condizioni particolari, come l'orientamento dei singoli ambienti, la loro grandezza e illuminazione. Ordinariamente risulta che l'est e il sud-est sono gli orientamenti più favorevoli per le camere da letto, permettendo essi che gli ambienti ricevano la luce del sole di buon mattino: l'ovest e il sud-ovest sono invece più adatti per i salotti, stanze da pranzo, ecc., per cui è più importante che la luce solare duri nelle ore della sera. L'orientamento a nord è sfavorevole igienicamente ad ogni ambiente e perciò lo si attribuisce alle scale, alle cucine, ai servizî; l'orientamento radicale a sud è ricercatissimo e sfruttato nei paesi freddi e si deve possibilmente evitare nelle regioni calde. Le dimensioni da darsi agli ambienti sono connesse alla possibilità della ventilazione che però negli edifici di abitazione non è quasi mai artificiale ma naturale. Ogni stanza di abitazione deve avere almeno 25 mc. di aria per abitante adulto e 10 mc. per un ragazzo, e altezze minime nette non superabili, le quali del resto variano col clima, da m. 2,50 e 2,75 in alcune regioni settentrionali, fino a m. 4 in alcune città del sud, come per esempio a Napoli. In media tale altezza può ritenersi di m. 3. Anche per l'ampiezza delle finestre i dati variano a seconda delle latitudini (v. anche stanza; finestra, ecc.).

In terzo luogo, per l'igiene della casa bisogna considerare i procedimenti costruttivi adatti alla difesa degli ambienti dalle intemperie e dagli agenti esterni, procedimenti proprî di tutte le costruzioni edilizie (per gl'impianti sussidiarî, v. impianti edilizî).

Enti finanziatori. - Oltre all'aspetto economico intrinseco della casa per sé stessa, ha oggi grande importanza quello relativo alla sua costruzione. Solo poche persone ricchissime ed in determinate circostanze sono in possesso di somme liquide sufficienti per costruire o acquistare per contanti la loro abitazione, ed un numero ancor minore potrebbe immobilizzare tanta quantità di danaro quale sarebbe necessaria per intraprendere coi proprî esclusivi mezzi un'industria edilizia su vasta scala. Esiste dunque in ogni paese civile tutta una completa organizzazione avente lo scopo di prestare i mezzi alla costruzione delle abitazioni. Da un lato si sviluppa l'opera autonoma di banche e istituti di credito, volta a stipulare con cittadini e con enti mutui e ipoteche, a concedere crediti, e in linea generale a rendere possibile l'anticipo del danaro necessario per le costruzioni. Dall'altro si sviluppano le iniziative di enti pubblici e privati e dello stato stesso, delle provincie o dei comuni, volte a render possibile alle classi meno abbienti di avere in proprietà o in affitto una dimora; iniziative che hanno subìto una codificazione legale in tutti gli stati civili. Tali iniziative hanno un valore e una portata diversa nelle singole categorie di edifici (v. credito fondiario).

Suddivisione degli ambienti e degli appartamenti. - L'abitazione di un individuo o di un'unità famigliare moderna solo in casi eccezionali occupa tutto l'edificio: normalmente essa ne comprende solo alcuni ambienti, riuniti organicamente in unità autonome, gli appartamenti, i quali quindi possono essere in una stessa casa numerosissimi. Sempre però essi comprendono, in misura più o meno grande, classi diverse di ambienti: di ricevimento, di abitazione privata, di servizio (v. abitazione, p. 97; v. anche, per i requisiti di questi diversi tipi di ambienti, cucina; stanza; scala; sala; ecc.). Dette classi, al fine di conseguire il più confacente e comodo organamento dell'abitazione, devono soggiacere a varie condizioni; ad esempio quella di essere, nei limiti del possibile, seppur intercomunicanti, nettamente indipendenti l'una dall'altra, onde toglier di mezzo noiosi inconvenienti come quello derivante dalla mancanza di riservatezza e di libertà nella vita famigliare, qualora non esista la possibilità di appartarla dalla vita esterna; o quello dello stretto contatto con la vita della servitù; o della percettibilità degli odori e rumori della cucina, se non esista una certa segregazione dei servizî, ecc. La detta suddivisione dei reparti di un appartamento (naturalmente se sufficientemente vasto) conviene non soltanto dal punto di vista del comodo e del piacere, ma anche da quello costruttivo, giacché ciascuno di essi possiede speciali requisiti metrici, volumetrici, distributivi e d'orientamento, cosicché l'isolamento di ciascuno costituisce piuttosto una facilitazione che una difficoltà per la composizione delle masse dell'edificio (per le disposizîone e l'orientamento delle tre classi di ambienti considerate, v. abitazione, p. 97). Gli ambienti sono resi accessibili per comunicazione diretta dall'esterno, ovvero da elementi di disimpegno più generale, come scale, androni, cortili, i quali costituiscono in qualche modo una continuazione della pubblica via. Nell'ingranamento planimetrico di un appartamento il maggiore elemento di pregio consiste appunto nella sagacia con la quale il progettista ha saputo conciliare l'indipendenza dei tre reparti d'ambienti e per contro il loro contatto a mezzo di elementi di disimpegno, i quali, rappresentando in fin dei conti spazio perduto, debbono essere ridotti al minimo o per lo meno resi in qualche modo utili all'abitazione.

Da un punto di vista esclusivamente planimetrico si può dire che le soluzioni offerte a un appartamento il quale non sia del tutto elementare possono riferirsi ad uno dei seguenti schemi costruttivi:

1. Tipo a corridoio centrale, in cui i varî ambienti sono disposti lateralmente a un disimpegno dalle due parti. Tale soluzione è la più economica per l'utilizzazione dell'area, ma è la meno felice per le deficienti condizioni di aereazione ed illuminazione; a questo si può ovviare con chiostrine o rientranze dei muri perimetrali.

2. Tipo a corridoio laterale, che si usa se il corpo di fabbrica è doppio: si applica quando speciali condizioni di utilizzazione di uno spazio a ridosso di un muro cieco lo renda necessario, o in soluzioni planimetriche ricchissime.

3. Tipo ad unico ambiente di disimpegno, che può essere, nei piccoli appartamenti, la stessa stanza d'ingresso, nei maggiori una sala centrale e che ha applicazioni vastissime (hall degl'Inglesi o Wohnzimmer dei Tedeschi).

Tipi diversi di case. - In conformità alla definizione già data, saranno esclusi dalla trattazione che segue quei tipi di edifici d'abitazione (albergo, baita, casale, cottage, palazzo, villa, ecc.) che, per particolari loro caratteristiche hanno bisogno di una trattazione a parte, e ci si limiterà a considerare la casa di abitazione nel suo triplice aspetto di casa rurale di abitazione; casa operaia, popolare ed economica; casa civile di abitazione.

Case rurali di abitazione. - Per la casa rustica, fabbricata dagli uomini della terra nelle campagne e nelle montagne più remote senza speciali regole che non emergano dall'individuale e rudimentale bisogno del primordiale costruttore, v. rustica, architettura, baita; ecc. Le case rurali sono propriamente quei fabbricati di recente costruzione i quali costituiscono il mezzo necessario per l'esercizio delle aziende agricole. I fabbricati rurali si possono riferire all'uso di una sola azienda oppure possono far parte di colonie agricole addette allo sfruttamento di vaste zone di terreno con carattere collettivo. Quelle del primo tipo (fig. 34) fanno parte di organizzazioni costruttive comprendenti tutto il fabbisogno di un determinato podere: la casa dei coloni con le relative dipendenze, quelle del proprietario, del fittavolo, dell'amministratore; i fabbricati serventi al ricovero e allevamento di animali, o alla custodia di attrezzi, macchine e derrate; e infine quelli addetti all'esercizio di particolari industrie agrarie. È naturale che codesti fabbricati offrano grandissima varietà di tipi, in funzione della località in cui sorgono o della speciale industria e coltura a cui servono. Un fabbricato rurale è bene sia centrale rispetto ai confini del podere, o meglio al suo centro di attività; in un luogo favorevole per salubrità, vicinanza di acqua potabile, facile accesso da una strada vicina. Se la zona è del tutto insalubre, le case rurali dei varî poderi si raggruppano in villaggi nel più vicino luogo ove condizioni di vita possibili si possano riscontrare. Generalmente l'insieme dei fabbricati addetti all'uso di una azienda sono disposti ai margini di un cortile o di un'area libera di forma rettangolare, con lati preferibilmente non minori di m. 25, affinché si possano ivi compiere gli atti necessarî alla vita dell'azienda. Nelle piccole aziende l'insieme dei fabbricati è steso su uno solo dei lati del cortile e l'abitazione dei coloni forma un sol corpo di fabbrica con i magazzini e le stalle degli animali: nelle aziende maggiori, ove sono più vasti anche i cortili, i fabbricati possono essere variamente disposti su due, tre o quattro lati di essi e le abitazioni dei padroni e dei coloni possono aver luogo in corpi di fabbrica diversi e separati.

Case per coloni. - Dànno ricovero alle famiglie di lavoratori residenti permanentemente nel fondo; hanno ordinariamente non più di due piani abitabili fuori terra. Nelle case rurali dell'Italia centrale l'altezza del pianterreno è d'ordinario m. 3,50-4, quella del primo piano m. 3-3,50. Nelle regioni più a nord le altezze possono diminuire e nel Mezzogiorno aumentare. Spesso esiste un sotterraneo adibito a cantina; in mancanza di esso il pianterreno deve avere il piancito sollevato rispetto al piano di campagna, e reso asciutto da un vespaio. La costruzione delle case coloniche è fatta coi materiali più economici che si trovano in immediata vicinanza, ma deve essere solida e rispettare le norme igieniche. Le porte interne è bene siano un po' più larghe ed alte del normale (m. 1-1,20 di larghezza per 2-2,30 di altezza), le finestre invece possono essere anche di piccolo formato. La distribuzione planimetrica di una casa colonica può essere naturalmente variabilissima. In genere lo schema è il seguente: la porta d'ingresso della casa si apre su un ambiente di disimpegno dove è allogata la scala e che ha comunicazione diretta con la cucina, con altri importanti ambienti del pianterreno e sovente sbocca direttamente sul lato opposto della casa. La cucina molto vasta serve anche da stanza da pranzo e da soggiorno; vicino a essa si troverà un ambiente a uso di dispensa e nelle immediate vicinanze un forno da pane e un lavatoio, più discosto possono trovarsi al pianterreno magazzini per derrate, prodotti e attrezzi. Al primo piano sono le stanze da letto e, se non esiste il sotto tetto, ambienti di deposito.

Le case per fattori, fittavoli e proprietarî sono realizzate con criterî meno economici delle precedenti e con materiali più pregevoli. La classe degli ambienti di soggiorno è ivi maggiormente rappresentata: così al pianterreno, anche nelle più semplici, si trova sempre una stanza da pranzo vicino alla cucina e un ufficio o studio per il capo di famiglia. Spesso queste case sono munite, nella parte anteriore, al pianterreno, di un porticato, opportuno per svolgervi operazioni agricole che non siano incomode o nocive, o per depositarvi provvisoriamente merci e prodotti: sopra questo, al primo piano, un loggiato. Le più ricche tra le dimore dei proprietarî delle tenute sono sovente isolate dal resto dei fabbricati agricoli del fondo, in bei giardini: qualche volta esse sono vere e proprie ville.

Ambienti sussidiarî al servizio delle abitazioni coloniche. - In primo luogo i granai; per le esigenze dell'uso essi debbono essere assolutamente asciutti, alti a sufficienza perché vi possa circolare un uomo con un carico sulle spalle; se sono ubicati nei piani superiori di una casa, i loro solai debbono esser collaudati a un carico accidentale di circa 400 chilogrammi per metro quadrato, peso di uno strato di grano alto o,50, e debbono essere dotati di mezzi per il sollevamento dei carichi. Nelle grandi aziende si costruiscono, per la conservazione dei grani, dei silos, i quali si possono allogare nei sotterranei degli edifici, curando diligentemente l'isolamento dall'umidità, o meglio in costruzioni speciali. Nei poderi dove si coltiva la vite hanno importanza le tinaie e le cantine. Altri ambienti o elementi sussidiarî nella casa colonica possono essere: i locali per la bachicoltura, che è bene siano sufficientemente ventilati e si possano riscaldare a mezzo di caminetti; il forno da pane, che spesso è nello stesso corpo della casa di abitazione e talvolta nelle sue immediate vicinanze; il pozzo, che esiste sempre quando vicino alla casa non vi sia una sorgente d'acqua potabile; i pozzi sono spesso dotati di una pompa per spingere il liquido in serbatoi collocati nel sottotetto, possono essere di tipo ordinario, se esiste acqua buona in strati poco profondi, oppure del tipo Norton, se esistono falde acquifere adatte in profondità; le cisterne, di tipo ordinario o a filtri, essenziali in mancanza di sorgenti o di vene acquifere adatte ai pozzi; le ghiacciaie, che in campagna si costruiscono in modo elementare e sono indispensabili per la conservazione delle vivande e per l'industria del caseificio. Si deve poi considerare la classe degli ambienti adibiti al ricovero di animali domestici e dei mezzi di trasporto: le stalle; le scuderie; i garages; i magazzini per ospitare le macchine agricole, le autotrattrici, ecc.; e ancora quella delle costruzioni minori, quali il porcile, l'ovile, il pollaio, la colombaia, la conigliera, ecc. Sono anche costruzioni e strutture generalmente indispensabili alle case coloniche: le tettoie, che servono ai più svariati usi e soprattutto per custodire i prodotti agricoli e per riparare i veicoli e gli attrezzi: l'aia, situata vicino alla casa colonica, sistemata con un fondo duro e consistente, ove le acque abbiano, mediante appositi drenaggi, veloce smaltimento. Infine, oltre ai suddetti ambienti e fabbricati che sono proprî, in maggiore o in minor grado ed estensione, a tutte le fattorie di campagna, ve ne sono altri che servono solo a quei poderi in cui si esercitano speciali industrie agrarie, come fabbricati per caseificio, per l'industria olearia ed enotecnica e molti altri.

Oltre ai fabbricati rurali di cui abbiamo parlato, i quali nel loro insieme servono soltanto ai bisogni agricoli ed industriali di un podere appartenente a un proprietario, in questi ultimi tempi si son visti sorgere organismi edilizî rurali più complessi di carattere collettivo (v. fig. 35), adibiti all'abitazione di nuclei di lavoratori addetti allo sfruttamento di vaste zone di terreno per parte di consorzî, oppure ad imprese industriali o minerarie svolgentisi in determinate plaghe lontane da precostituiti nuclei edilizî. Tali borgate rurali (le Siedlungen dei Tedeschi) non rivestono caratteri molto diversi per il fatto che gli abitatori siano addetti a lavori agricoli piuttosto che ad altre industrie (se ne differenziano talvolta per una lottizzazione più rada, con molto terreno coltivabile a carico individuale di ciascuna casa) e si possono far rientrare, per il loro carattere, nella categoria delle borgate operaie, tema che sarà trattato più innanzi.

Case operaie, popolari ed economiche. - Vengono considerati insieme questi tre gruppi di case di abitazione per la stretta analogia che li lega, e perché si differenziano soltanto per gradazione di complessità nel programma e di pregio nella fattura, senza possibilità di netta delimitazione.

Esempî sporadici di un'attività edilizia intesa a dotare le classi meno abbienti di abitazioni sane e in armonia con le mutate esigenze della civiltà moderna si riscontrano fin dal sec. XVI. Ma il problema sociale delle abitazioni collettive prese precisa consistenza solo nella seconda metà del sec. XIX, in conseguenza dello sviluppo industriale iniziatosi verso la fine del sec. XVIII e affermatosi vigorosamente nei primi decennî del sec. XIX: a Londra, nel 1841, si formò la prima società fondata per costruire case per operai e piccoli impiegati al centro e ai sobborghi. Negli Stati Uniti nel 1877 l'Improved Dwellings Association fu fondata per costruire case popolari e case di affitto a New York e a Philadelphia. Anche in Francia consimili iniziative sorsero intorno al 1850. Un po' prima prese consistenza il problema delle città operaie, specialmente acuito dalla necessità di dare alloggio agli operai delle miniere di carbone e dei centri industriali. Nel 1833 ne fu fondata una a Verviers, in seguito ne sorsero a Mulhouse, a Saarbrücken, a Essen, ecc. Poi le iniziative si moltiplicarono, finché ai nostri giorni si può dire essersi formata in tutti i paesi una speciale branca d'industria edilizia dotata di una propria fisionomia e di proprî sistemi di finanziamento, branca che negli ultimi anni si è talmente espansa da rappresentare il principale coefficiente d'ingrandimento nelle moderne metropoli. La forma tipica di codeste iniziative è quella per cui un determinato progetto di edificazione popolare od economica è intrapreso da società cooperative tra aspiranti all'abitazione, oppure da enti di beneficenza o comunque specializzatisi in questo ramo di costruzioni, o ancora da privati intraprenditori o da società industriali; mentre gli enti pubblici investiti di autorità politica, come lo stesso stato o i municipî o le provincie, quando non siano essi stessi gli autori dell'iniziativa, come talvolta accade, ne aiutano e sollecitano la realizzazione mediante contributi di svariatissima specie. Detti contributi possono assumere una forma diretta quando i suaccennati enti pubblici collaborino stanziando con diversi procedimenti somme a fondo perduto, o cedendo l'area o concedendo prestiti, ecc.; o possono assumere invece una forma indiretta quando la collaborazione si determini fornendo garanzie presso istituti di credito, o mediante la sottoscrizione di azioni, o mediante l'esenzione da imposte o tasse, ecc. Queste agevolazioni sono sempre sanzionate da una speciale legislazione dello stato che dà loro regolare norma di diritto: legislazione che per lo più si riferisce alla costruzione di case da cedere in locazione o in proprietà per parte di organismi costruttori specialmente autorizzati allo scopo, come i comuni, gli enti autonomi, le società cooperative ed industriali; e che dell'operato di tali enti fissano i limiti, prevedono le modalità dei finanziamenti, controllano insomma tutta l'azione.

In Italia il problema delle costruzioni popolari ed economiche si acuì e prese consistenza negli ultimi lustri del sec. XIX, richiamando l'attenzione dei sociologi, degl'igienisti, dei costruttori, e da allora si fecero notevolissimi sforzi per offrire ad esso soluzioni adeguate.

In Italia le varie disposizioni emanate dall'inizio dell'intervento diretto dello stato e cioè dalla legge 31 marzo 1903, n. 254 (regol. 24 aprile 1904, n. 164) sino allo scoppio della guerra ebbero lo scopo di provocare la costruzione di case a tipo economico. Lo stato disciplinò tutta la materia concernente le abitazioni nei suoi più complessi aspetti, economici, giuridici e tecnici; e stimolò gli enti pubblici e privati a svolgere un'attività efficace, facilitata dai benefizî concessi. Scoppiata la guerra europea, la crisi edilizia cominciò a destare gravi preoccupazioni, poiché l'iniziativa privata evitava di fare investimenti ritenuti aleatorî a cagione degli alti costi dei materiali e della mano d'opera. L'intervento dello stato si attuò allora in altri modi; e innanzi tutto esso addossò alla collettività l'onere della svalutazione per stimolare con forme efficaci l'afflusso di capitali. A questo intento fu emanato il decr. legge 23 marzo 1919, n. 455, che autorizzò lo stato a concorrere al pagamento di una parte degli interessi sui mutui concessi, purché le case fossero costruite nel quinquennio; e fra le altre agevolazioni ed esenzioni fiscali fu concessa l'autorizzazione ai comuni di esentare da dazî i materiali, e di cedere gratuitamente, o a prezzi di costo, o mediante corresponsione di un canone annuo, terreni proprî o espropriabili. Poco dopo, il decr. legge 19 giugno 1919, n. 1040, modificando il precedente, concesse un contributo supplementare dello stato, estese a 10 anni l'esenzione totale dalle imposte e sovrimposte fabbricati per le case di abitazione da chiunque costruite entro il 1921; ammise ai mutui di favore e ai contributi dello stato le cooperative anche a proprietà individuale fra impiegati, salariati e pensionati dello stato, mutilati e invalidi di guerra; autorizzò l'espropriazione e l'occupazione temporanea da parte dei comuni di cave, fornaci e terreni necessarî per agevolare le costruzioni. Come conseguenza dei nuovi aspetti della legislazione edilizia, si modificarono le caratteristiche delle case popolari ed economiche; furono escluse dal contributo governativo tutte quelle opere e forniture non aventi carattere di necessità in una casa di civile abitazione (decr. min. 28 marzo 1923) e si stabilirono precise norme per il collaudo dei fabbricati (decr. min. 1° maggio 1923) costruiti col contributo governativo, e dei lavori degli enti costruttori (regio decr. legge 29 luglio 1927, n. 1765). Inoltre si dettarono norme per l'economia delle costruzioni di case popolari ed economiche e per l'assegnazione degli alloggi delle cooperative (decreto ministeriale 8 dicembre 1922 e r. decr. legge 20 gennaio 1925, n. 343). Le nuove caratteristiche delle case popolari ed economiche furono stabilite dal decr. legge 15 giugno 1919, n. 1857, che considera popolari le case costruite da certi enti, quali: l'Unione edilizia nazionale; istituti cooperativi autonomi per le case popolari; enti pubblici e enti morali che costruiscano case per i loro impiegati o salariati; società cooperative di mutuo soccorso, di credito e i loro soci; società di beneficenza che provvedano alloggi per i poveri. È prescritto che le case costruite dai detti enti restino in proprietà inalienabile e indivisa degli enti stessi; e ogni alloggio deve avere: il proprio accesso diretto dal ripiano della scala, un proprio gabinetto di decenza, acqua potabile; non deve essere costituito di più di sei vani abitabili, esclusi da questo numero i locali accessorî, e deve soddisfare a tutte le condizioni d'igiene e di salubrità. Il r. decr. legge 30 agosto 1925, n. 1548, apportando altri provvedimenti per le nuove costruzioni, mantenne queste caratteristiche, ma ridusse da 6 a 3 il numero dei vani abitabili, esclusi sempre i locali accessorî.

Estesi i benefici e le agevolazioni fiscali a molteplici enti e associazioni per la costituzione delle case, era necessario sostituire alle norme del testo unico 27 febbraio 1908, n. 89 (e a quelle successive dei regi decreti legge 18 gennaio 1917, n. 102, 23 marzo 1919, n. 455, e 19 giugno 1919, n. 1040), altre disposizioni aggiuntive e modificazioni suggerite dalla esperienza e meglio rispondenti all'indole della nuova edilizia popolare, e alle forme più complesse dell'intervento statale. A ciò provvide il r. decr. legge 30 novembre 1919, n. 2318, che, oltre alle caratteristiche delle case popolari ed economiche e alle norme per la vendita, per la locazione, per la successione e per l'espropriazione, apportò nuove modificazioni concernenti i prestiti e i contributi dello stato, le agevolazioni fiscali anche per le case costruite da industriali e per le case rurali, per agevolare la costruzione e il trasferimento di proprietà di altri edifizî a uso di abitazione. Altre agevolazioni fiscali furono concesse con r. decr. legge 8 gennaio 1920, n. 16, che modificò il testo unico 30 novembre 1919, e furono concessi anche con il r. decr. legge 2 maggio 1920, n. 521, nuovi mutui ai comuni e agli enti morali e istituti autonomi per le case popolari, come pure venne estesa alle provincie (r. decr. legge 5 ottobre 1920, n. 1559) la facoltà di contrarre mutui. Prorogati alcuni termini fissati alle nuove costruzioni per la concessione del contributo statale (r. decr. legge 18 agosto 1920, n. 340), si provvide all'esenzione doganale per i materiali di costruzione (r. decr. 12 ottobre 1920, n. 1675, e decr. min. 19 giugno 1921), alla proroga del privilegio tributario a favore delle società cooperative costituite anteriormente alla guerra (r. decr. legge 16 ottobre 1921, n. 1525), all'esenzione dall'imposta sui fabbricati e dalle relative sovraimposte comunali e provinciali per 25 anni ai privati e alle società per la costruzione di case per abitazioni civili, per alberghi, uffici, negozî, ovvero per la sopraelevazione di tali edifizî (r. decr. legge 8 marzo 1923, n. 695; 16 ottobre 1924, n. 1613; 30 agosto 1925, n. 1548; r. decr. legge 23 gennaio 1928, n. 20). Con queste ultime disposizioni i benefizî fiscali si estesero anche alle costruzioni diverse da quelle considerate dalla legge, di guisa che l'azione dello stato si espanse largamente, interessando alle costruzioni nuove e diverse categorie di enti e privati.

Il punto più rilevante di questo intervento consiste nei contributi dello stato e segnatamente nelle maggiori assegnazioni per concorrere al pagamento di una parte degl'interessi, fissate con le leggi 7 aprile 1921, n. 463, e 20 agosto 1921, n. 1177, contro la disoccupazione, e con il regio decr. legge 10 marzo 1926, n. 386, che autorizzò la spesa di 100 milioni di lire per concorso dello stato nella costruzione di case popolari eseguite dai comuni e da istituti autonomi ed enti morali, da cedersi in proprietà a singoli privati, estendendo alle case predette l'esenzione dall'imposta e dalle sovrimposte per 25 anni, e concedendo la riduzione del 50% sulle tariffe delle ferrovie dello stato per il trasporto di tutti i materiali destinati alle costruzioni. Le varie disposizioni sono state completate da altre per assicurare l'osservanza delle norme sulle case popolari, per garentire lo sviluppo dell'edilizia e anche l'erario pubblico. A tale intento furono emanati il r. decr. 2 dicembre 1920, n. 1790, e il decr. min. 15 genn. 1921.

Abolite con il r. decr. 11 gennaio 1923, n. 65, le commissioni e i comitati per l'edilizia popolare, il legislatore dettò norme per le controversie fra le cooperative di case e le imprese costruttrici (r. decr. legge 8 febbraio 1923, n. 345), e volle riordinare la materia delle assegnazioni, della disponibilità e dell'assicurazione degli alloggi cooperativi, e dell'ordinamento dei mutui edilizî concessi dalla Cassa depositi e prestiti. Al che provvidero i r. decr. legge 7 ottobre 1923, n. 2412, 2 dicembre 1923, n. 2654, e 20 gennaio 1925, n. 343, contenenti norme per l'esecuzione delle decisioni della commissione di vigilanza e per le facilitazioni tributarie per le nuove costruzioni; finché il r. decr. legge 7 febbraio 1926, n. 193, stabilì l'ordinamento degli uffici preposti all'edilizia popolare ed econoinica, coordinando le loro attività, e quelle della commissione di vigilanza, con l'attività di altri organi dell'amministrazione dei lavori pubblici, e fissando le rispettive sfere di competenza. Altre agevolazioni furono concesse coi r. decr. legge 10 marzo 1926, n. 386; 16 agosto 1926, n. 1714; 23 ottobre 1927, n. 1982, 29 dic. 1927, n. 2655, con le leggi 7 giugno 1928, n. 1780 e 17 agosto 1928, n. 402, e finalmente col r. decr. legge 11 febbraio 1929, n. 283 e 6 giugno 1929, n. 1024.

Le case popolari ed economiche, da chicchessia costruite e gestite, si possono concedere sia in fitto, sia facilitando il modo di acquisto; quest'ultimo provvedimento si attua in due forme diverse, quella dell'ammortamento semplice, secondo cui il costo dell'area e dell'appartamento è pagato a rate, mediante annualità o mensilità comprendenti il fitto e l'ammortamento del capitale; o quella, più gravosa ma preferibile, dell'ammortamento assicurativo, che ha per effetto di estinguere il capitale occorso a fabbricare la casa, alla morte dell'inquilino assicurato, mercé il pagamento di una quota annuale o mensile comprendente, oltre al fitto e alla quota d'ammortamento del capitale, anche il premio di assicurazione.

Le case popolari e operaie si possono dividere in tre classi; a tipo di costruzione intensivo, estensivo e semintensivo. Il grado di sfruttamento dell'area totale di ciascuno di questi tipi si può fissare solo per costruzioni aventi un omogeneo carattere distributivo.

Ad esempio l'Istituto per le case popolari in Roma, che appunto realizza case economiche e popolari, le quali sia nel tipo intensivo sia nell'estensivo conservano caratteri planimetrici e distributivi piuttosto omogenei, ha convenuto di numerare, agli effetti statistici, i vani contenuti in ciascun fabbricato computando come tali tutte le stanze e le cucine, e aggiungendo al totale un vano in più per ciascun appartamento se la costruzione , ha carattere popolare (onde tener conto dei servizî e accessorî, in tal caso limitati a un'alcova per la cucina, al gabinetto, all'ingresso con corridoio, ambienti la cui area netta corrisponde appunto approssimativamente nel totale a quella di un vano) e invece due vani in più per ciascuno appartamento, se la costruzione ha carattere economico (giacché in tal caso i servizî e disimpegni, comprendenti un capace bagno, l'alcova per la cucina, un ingresso, dei corridoi piuttosto larghi e qualche ripostiglio, hanno una superficie complessiva netta presso a poco equivalente a quella di due vani). Posta tale definizione, detto istituto realizza costantemente edifici nei quali la superficie media di piano occupata da ogni vano, al lordo dei muri, delle scale e accessorî, è sensibilmente costante e pari a circa mq. 23; e in cui il volume lordo medio del vano, riferito al volume totale vuoto per pieno del fabbricato, computato dal piano stradale alla linea di gronda, è anche sensibilmente costante e pari a circa mc. 90. Con queste premesse, l'istituto in parola ha conseguito, nelle sue costruzioni, indici di sfruttamento varianti in cifra tonda da un minimo di mq. 8 di area totale per vano nelle costruzioni più intensive, fino a un massimo di mq. 44 di area totale per vano in quelle più estensive: dividendo l'intervallo in tre parti, si può definire la costruzione come intensiva se l'indice di sfruttamento del terreno è inferiore ad un massimo di mq. 20, estensiva se detto indice è superiore ad un minimo di mq. 32; le costruzioni aventi indici compresi tra 20 e 32 sono a tipo semintensivo. Tali indici metrici corrispondono infatti fino a mq. 20 a tipi di costruzione a blocco, con quattro, cinque, sei piani fuori terra, coi prospetti generalmente sul filo stradale e con cortili piuttosto modesti ma dotati di larghezze superiori alle indispensabili; da mq. 20 a mq. 32 a tipi di lottizzazione a palazzine isolate con tre o quattro piani fuori terra, con area coperta e valori metrici pari a quanto è richiesto dal regolamento edilizio; sopra i mq. 32 a lottizzazioni comprendenti casette e villini isolati o accoppiati, brevi serie a schiera con due o tre piani fuori terra e distacchi regolamentari. È peraltro evidente che, se cambiano radicalmente il carattere dispositivo della pianta e la cubatura e la definizione di vano di abitazione, anche gl'indici ricavati col suesposto procedimento subiranno qualche modificazione.

Ogni appartamento di abitazione popolare ed economica moderna deve contenere un numero di ambienti sufficiente per il bisogno di una famiglia, evitando qualsiasi comunione di ambienti tra più famiglie, come gabinetti e corridoio di accesso agli alloggi. Le scale, nei tipi intensivi, è bene non servano a troppi appartamenti: in Italia è prescritto non più di quattro per piano, mentre all'estero talvolta assai di più (fig. 40); è bene anche evitare che le stanze da letto servano ad altro uso di giorno, e provvedere a che esse siano tante e così disposte che i genitori non dormano con i figli o che si verifichi promiscuità fra i sessi. All'antiquato sistema di lasciare, in una casa popolare o economica, indeterminato il programma di abitazione delle stanze (naturalmente esclusa la cucina), si va, specialmente all'estero, sostituendo il criterio di fissarlo preventivamente, traendo da ciò partito, col predisporre l'arredamento, per utilizzare gli spazî nel modo più serrato, inglobando certi mobili nello spessore dei muri e provvedendo anche alla costruzione del mobilio in serie.

L'appartamento di una casa popolare normale italiana è costituito generalmente: da un piccolo ambiente d'ingresso che, se l'appartamento è molto piccolo, serve anche da organo di disimpegno tra le varie stanze, altrimenti è in diretta comunicazione con un corridoio; da una cucina; da un certo numero di stanze adibite al soggiorno od abitazione; da un gabinetto munito di W.C. e talvolta di una doccia e di un lavandino. Le case di tipo economico hanno vani un po' più grandi e in maggior numero; esiste una stanza da bagno seppur modesta, l'ingresso ha superficie notevole ed è quasi sempre illuminato e arieggiato mediante una finestra verso l'esterno; i corridoi sono più spaziosi. Costituendo l'adozione dei corridoi negli appartamenti di media grandezza un notevole sciupio di spazio, si cerca in questi ultimi tempi di evitarli, adoperando quali organi di disimpegno ambienti speciali utili insieme al transito e all'attività famigliare (living room degl'Inglesi; Wohnzimmer e Wohnküche dei Tedeschi). L'altezza dei piani di abitazione nelle case popolari ed economiche non è omogenea nei varî luoghi, ma corrisponde al minimo consentito dai varî regolamenti edilizî: l'ampiezza dei vani è anch'essa assai variabile, pur dovendo sempre corrispondere al minimo consentito in base al numero di persone ospitate nelle singole stanze.

Possiamo citare quali esempî i dati metrici medî di ampiezza, desunti da una statistica eseguita sui vani delle numerosissime costruzioni realizzate, dopo la guerra, dall'Istituto per le case popolari in Roma. È già stato detto che il vano, posta la definizione data sopra, ha i seguenti valori: mq. 23 circa di superficie lorda di piano e mc. 90 di cubatura lorda; e come tali dati siano sensibilmente costanti nelle case popolari e in quelle economiche.

Anche la superficie netta del vano è sensibilmente costante, mentre invece le dimensioni planimetriche nette delle singole categorie di ambienti, cioè le loro aree effettive al netto dei muri e di ogni altro elemento, sono sensibilmente diverse nei due casi, e precisamente:

Superficie medie nette nelle case di tipo popolare: (vano mq. 17,25), stanze mq. 15,50, cucine mq. 11,20, disimpegni, servizî, ecc., mq. 10.

Superficie medie nette nelle case economiche: (vano mq. 17,00), stanze mq. 17,00, cucine mq. 12,30, disimpegni, servizî, bagni, ecc., mq. 22,30.

Codesti dati portano alle seguenti percentuali di area netta totale occupata nei singoli alloggi dalle suddette categorie di ambienti e riportate al 100, quale valore totale per l'alloggio.

Le stanze hanno normalmente nelle case popolari ed economiche la loro dimensione massima secondo la normale del corpo di fabbrica, variante generalmente al netto da m. 4 a m. 5,50. I corridoi, di cui deve farsi il minore e più oculato uso possibile, hanno nelle case popolari larghezze variabili da m. 0,90 a m. 1,20 e nelle case economiche da m. 1,20 a 1,30. La superficie libera delle finestre deve essere relativa alle prescritte proporzioni regolamentari in rapporto alle superficie degli ambienti. Le porte interne possono avere piccole dimensioni (0,75 × 1,95 nelle camere e 0,55 × 1,95 nei gabinetti delle case popolari: nelle case economiche generalmente non si fanno meno di 0,80 × 2,00 e 0,70 × 2,00 rispettivamente).

Nei moderni gruppi di abitazione intensivi o estensivi si procura che le unità basi, cioè i singoli appartamenti tipo, si ripetano uniformemente. Un tal criterio permette di concentrare maggiore studio nelle soluzioni-tipo, ripetendone i vantaggi; consente l'ordinazione degli elementi e dei manufatti in serie, semplificando gli sviluppi tecnici; facilita e sollecita la costruzione; permette sensibile risparmio di tempo semplificando i preventivi e i computi di reddito; infine se ne avvantaggia l'unità architettonica dell'insieme, che viene ad assumere nelle singole parti soluzioni volumetriche ed estetiche omogenee ed armoniche. È naturale che il tipo di costruzione intensiva, implicando un maggiore numero di vincoli, per il carattere planimetrico molto più chiuso e compatto degli edifici, per la necessità di dar adito mediante le scale a numerosissimi alloggi nello stesso blocco, renda più difficile l'opera d'ingranamento tra le cellule-basi e il tutto e porti a soluzioni meno convenienti sotto gli altri punti di vista già esposti.

a) A tipo intensivo. I blocchi di case popolari ed economiche possono avere forme assai diverse; se essi debbono sorgere in lotti di terreno relativamente piccoli e predeterminati, naturalmente la loro planimetria vi si deve uniformare: si hanno in tal caso i blocchi a cortile chiuso, se la costruzione circostante non ha soluzioni di continuità (fig. 37 a), a cortile aperto se tali soluzioni di continuità esistono (figg. 37 b, 38, 39; tav. LXXVI).

Se il lotto ha proporzioni tali che una semplice disposizione perimetrale dei corpi di fabbrica lasci troppa superficie scoperta, si possono costruire all'interno del cortile corpi di fabbrica disposti in molti modi e variamente collegati con quelli perimetrali (fig. 36). Se poi la superficie da fabbricare è vastissima, è necessario lottizzarla, arrivando a composizioni planimetriche svariatissime: allora sarà necessario provvedere al transito attraverso il gruppo con la creazione di arterie stradali private (figg. 41, 43; tav. LXXVI).

Nelle costruzioni intensive l'organizzazione interna degli appartamenti-tipo è estremamente importante giacché, ripetendosi essa nei varî piani, i pregi e i difetti si ripercuotono largamente. È stato detto che nello studio planimetrico dei grandi blocchi non è sempre possibile tener conto in senso assoluto di provvedimenti utili all'igiene e alla comodità; ad esempio non si potrà studiare l'orientamento particolare di ciascuna camera, ma si avrà cura di adottare soluzioni buone nel loro insieme: nei limiti del possibile si collocheranno le scale e i servizî verso il nord e gli altri ambienti verso sud-est e ovest: l'orientamento preferibile per un corpo di fabbrica lineare molto esteso è quello per cui il suo asse longitudinale è orientato da sud a nord; è bene che ciascun alloggio occupi ambedue le zone dei corpi di fabbrica doppî, di guisa che si formino attraverso ad esso correnti d'aria.

Nei grandi blocchi di case operaie, popolari ed economiche intensive, specialmente se di proprietà o affidate alla gestione di cooperative e di enti pubblici e privati, esiste sempre un certo numero di servizî accentrati, come per esempio gl'impianti di lavatoi e di stenditoi, i bagni, se di questi sono sprovvisti i singoli alloggi, ecc.; tali servizî sono generalmente allogati nei piani seminterrati, mentre gli stenditoi sono in terrazza: ancora, analogamente a quanto accade per le costruzioni similari estensive, possono collocarsi, in ambienti adatti, particolari istituzioni, come case per bambini, doposcuola, ambulatorî, sale di ginnastica, ecc.

b) A tipo estensivo. Qualora le aree da adibirsi a costruzioni di case popolari ed operaie siano molto eccentriche, o addirittura siano in aperta campagna (città o borgate-giardino, città-satelliti, città o borgate operaie ed agricole) sicché sia tenuissimo il costo del terreno, molto spesso si pratica in esso la costruzione estensiva, di cui sono stati esposti i vantaggi igienici e morali. La costruzione estensiva comprende varî tipi di case: quello più semplice e sano della casetta isolata (fig. 48) a uno o due piani, contenente gli ambienti per una sola famiglia; tipo nel quale evidentemente si acuiscono in sommo grado, insieme coi pregi, anche le condizioni che rendono costosa la costruzione.

Più economiche sono evidentemente le casette doppie o quadruple a uno o due piani, formate con elementi di appartamento-tipo uguali (fig. 45, 46, 47; tav. LXXVII). In esse le condizioni d'illuminazione ed aereazione sono meno felici e ancor meno lo sono nei raggruppamenti più complessi e numerosi, costituenti le cosiddette schiere lineari di casette (fig. 49). Eppure l'organizzazione in corpi di fabbrica unitarî di grande numero di codesti elementi rappresenta l'unico modo per rendere meno costosa e più accessibile la costruzione estensiva. Vediamo quindi le più recenti città-giardino e gli aggruppamenti di case popolari nei sobborghi, in Italia e all'estero, specialmente in Germania, ove esistono ormai notissimi e numerosissimi complessi (Siedlungen) in vicinanza di tutte le principali città, essere appunto formati da ben composti e articolati gruppi di schiere fondate sempre sull'unicità degli elementi (fig. 5); tav. LXXVII). È ovvio che l'organizzazione degli appartamenti nel corpo delle costruzioni estensive è più facile che nei blocchi intensivi. Le costruzioni estensive hanno generalmente due piani abitati fuori terra; possono averne anche tre, e allora si arriva a soluzioni di piante distributivamente analoghe a quelle delle costruzioni intensive: molto più raramente ne hanno uno solo. Se le case hanno due piani, gli appartamenti possono avere una disposizione orizzontale (cioè disposti su un solo piano) oppure una disposizione verticale (cioè con gli ambienti occupanti ambedue i piani). Quest'ultimo tipo è molto più adatto a mantenere la perfetta indipendenza della famiglia, avendo in tal caso ciascun appartamento accesso diretto dalla via o dal giardino ed essendo, esclusivamente, le sue finestre prospicienti su una determinata area circostante; di guisa che tale elemento si presta a costituire lottizzazioni in cui i singoli appezzamenti circostanti la casa sono affidati al tenutario dell'alloggio prospiciente. Se invece gli appartamenti hanno una disposizione orizzontale, quelli ubicati al primo piano debbono essere serviti da scale indipendenti. Nei gruppi di abitazione estensiva è importante la sistemazione degli spazî interni al lotto; essi possono essere divisi in porzioni affidate alle cure di singoli inquilini, ovvero essere sistemati a giardino e dati in custodia ad un incaricato della comune amministrazione (fig. 44; tav. LXXVII). I servizî collettivi di lavanderia e i bagni sono generalmente allogati in padiglioni bene disposti nelle zone scoperte, dove sono anche spesso campi di giuoco.

c) A tipo semintensivo. - Il tipo di costruzioni semintensivo è poco usato per case popolari, operaie ed economiche, perché più adatto alle case di civile abitazione e a quelle di lusso. Tuttavia si usa talvolta frammentariamente in alcuni appezzamenti di zone dedicate alle costruzioni estensive, onde accrescere nel totale l'indice complessivo di sfruttamento dell'area, o nelle zone adibite a costruzioni intensive, se rimangono nelle lottizzazioni relitti di terreno troppo piccoli o soggetti a limitazioni in altezza per poterli convenientemente utilizzare con complessi a blocco (figg. 52, 53, 54, 55). Tali costruzioni semintensive sono formate da unità di appartamenti-tipo analoghi a quelli adottati per le costruzioni intensive, il cui disimpegno è ottenuto con scale analoghe a quelle dei blocchi, mentre invece i corpi di fabbrica sono limitati e isolati in superficie di terreno piuttosto vaste e hanno solo tre o quattro piani fuori terra.

d) Materiali da costruzione e decorazione architettonica. - Mentre i materiali costruttivi delle ossature nelle case popolari e operaie e nelle case economiche sono fra loro pressoché identici, i materiali di finitura invece differiscono notevolmente, distinguendo, insieme con le variazioni metriche e distributive dei vani, l'un tipo dall'altro; e ancora di più si differenziano sotto questo punto di vista le case di civile abitazione e le case di lusso, come si vedrà in seguito. Nelle case operaie e popolari le opere di finitura sono eseguite coi materiali più economici, purché sufficientemente resistenti: all'interno si usano, per le murature, rivestimenti d'intonaco dipinti con tinte a calce, senza ornati né altri elementi decorativi; i pavimenti sono di normali piastrelle di cemento pressate, a uno o più colori; solo in via eccezionale si adoperano marmette di cemento con superficie a impasto di graniglia di marmo; le porte interne sono di abete verniciato, mentre gl'infissi esterni possono essere di castagno o di pitch-pine, gli impianti igienici sono del tipo più elementare; ai gradini e soglie di marmo o pietra si sostituiscono spesso manufatti di cemento retinato.

L'architettura esterna nelle case popolari ed economiche deve essere quanto possibile semplice, esente da decorazioni pseudo-costruttive dispendiose; è bene che essa aderisca al carattere costruttivo e che attinga gli elementi estetici soprattutto dalla ben sentita composizione dei volumi e dall'armonia dei rapporti tra pieni e vuoti; la nota del colore e sobrî spunti decorativi molto spaziati varranno a ravvivare il tutto. Nelle case economiche invece si concede maggior valore ai dettagli architettonici e gl'interni sono eseguiti con maggior cura (v. arredamento).

e) Costo. - La differenza di costo fra la costruzione di tipo popolare e quella economica è soprattutto in funzione della leggiera diversità di proporzione degli ambienti e della differenza di costo delle opere di finitura; essa è contenuta dunque in limiti piuttosto modesti. Ma la differenza di costo fra le costruzioni estensiva ed intensiva è più sensibile, giacché essa dipende da più notevoli coefficienti: nella estensiva infatti è più importante il peso economico in primo luogo delle aree scoperte, e poi di alcune strutture d'ossatura, come le fondazioni, il tetto, la fogna interna, che si ripartiscono su scarsa cubatura totale e su pochi vani; e quello di tutti i servizî esterni, come l'impianto idrico, la fognatura esterna, la conduzione del gas e dell'energia elettrica, ecc.; spese tutte che, essendo piuttosto funzioni della vastità dell'area totale che della mole dei fabbricati, si debbono tuttavia suddividere soltanto tra i vani in essa esistenti. Soprattutto è reso maggiore il costo della costruzione estensiva dalla necessità di sistemare opportunamente le suddette superficie scoperte, e spesso di recingere con muretti e cancellate i lunghi perimetri dei lotti, mentre nella costruzione intensiva tale recinzione è generalmente costituita dagli stessi corpi di fabbrica; né gli svantaggi risultano compensati da taluni tenui vantaggi, come il minor costo del terreno e la minor durata dell'edificazione che rende inattivo il capitale per un più breve periodo di tempo. Si deve notare, in via generale e per ogni tipo di casa, che i dati assoluti di costo risentono variazioni notevoli nei varî paesi anche di una stessa nazione, giacché essi dipendono, oltre che dal carattere intrinseco del tipo di costruzione, anche da condizioni del tutto speciali, come per es. dal costo delle fondazioni e degli sbancamenti o rinterri, dalla diversità di prezzo di mano d'opera e di materia prima sui varî mercati, ecc. Non si possono dare quindi indici assoluti. A titolo di esemplificazione si può ricordare che i prezzi medî calcolati dall'Istituto per le case popolari in Roma sul grandissimo numero di edifici dei varî tipi costruiti nel dopo guerra e facendo riferimento al già noto modo di computare i vani, sono i seguenti: per le costruzioni popolari, a mc. vuoto per pieno della sola costruzione principale, da L. 92 al mc. per le più intensive a L. 105 al mc. per le più estensive; per le costruzioni economiche detto costo va da L. 105 al mc. a L. 115, per detti due tipi rispettivamente. I dati riferentisi al costo del mc. vuoto per pieno del totale della spesa, comprendente cioè, oltre a quello della costruzione principale, ogni altro onere relativo alla costruzione del fabbricato (prezzo dell'area totale con le relative recinzioni, sistemazioni e servizî: spese di progetto e direzione, spese generali e interessi passivi, ecc.) sono invece di L. 110 al mc. per le costruzioni più intensive e di L. 135 per le più estensive di carattere popolare, e rispettivamente di L. 125 e 145 per le costruzioni economiche. Il costo a vano riferito alla spesa totale risulta infine all'ingrosso oscillante per le case popolari da L. 10.000 a vano per le costruzioni intensive a L. 12.000 per le estensive e rispettivamente da L. 11.000 a 13.000 al vano per le costruzioni economiche. Questi dati, benché abbondantemente arrotondati, dànno un criterio significativo dell'ordine di grandezza delle variazioni di costo nei singoli tipi di case sopra descritte; l'esame dei costi delle costruzioni eseguite nella stessa epoca da altri enti offre, tenuto conto delle diversità dei criteri distributivi e planimetrici e di eventuali differenze di valutazione nei vani, risultati analoghi.

Le case popolari, operaie ed economiche, per i loro uniformi elementi volumetrici, si prestano sufficientemente bene a statistiche precise, il che non può dirsi invece per le costruzioni rurali e per le case di lusso, data l'organizzazione del tutto speciale che le distingue.

Case di civile abitazione. - Non esiste una divisione netta tra il tipo di casa economica di cui si è parlato finora e le case di civile abitazione, se non per l'ulteriore grado di agio e di ricchezza con cui queste ultime sono costruite, per la loro ubicazione in zone più centrali della città, e per il fatto che esse sono edificate in gran parte per iniziativa privata, senza i contributi più volte menzionati.

Anche le case civili possono essere a costruzione estensiva, semintensiva e intensiva, e il significato di codesti termini è, in questo caso, da un punto di vista metrico, ancor più indeterminato, data la diversità dei tipi e la varietà della loro costituzione interna.

a) A tipo estensivo. - Nella classe delle costruzioni estensive anche la categoria delle case civili comprende parecchi tipi di abitazione: le case isolate per una sola famiglia, le case multiple e le case a schiera.

Le case isolate di civile abitazione (figg. 56, 57, 58, 59) si differenziano dalle congeneri di tipo popolare ed economico per la loro maggior mole, per il minore rigore finanziario col quale sono costruite, e perché, essendo generalmente predeterminato il possessore, la loro costituzione distributiva viene stabilita con più riguardo alle funzioni specifiche individuali a cui deve rispondere. Le case isolate possono trovarsi in città o in campagna e nei due casi sono diversi i caratteri distributivi e architettonici, in funzione soprattutto della diversa libertà di movimento consentita dall'ambiente e dal differente uso. In città, la forma planimetrica deve scaturire da un opportuno bilanciamento delle opposte esigenze derivanti dalle necessità intrinseche e dalle limitazioni offerte dalla forma dell'area e dai regolamenti edilizî. Queste costruzioni sorgono in generale isolate, all'interno di aree, le quali debbono essere cintate verso la strada e verso le proprietà finitime; esse debbono avere il pianterreno rialzato dal piano di campagna di m. 0,80-1,00 almeno, contro l'umidità e sovente si trae partito da ciò per costruire un piano seminterrato ricavandovi ambienti di servizio come cucine, cantine, lavatoi, ecc. Se la casa ha due soli piani fuori terra, al pianterreno, salvo che esso non sia adibito a usi specialissimi (v. per es. figg. 56 e 57), si dispongono opportunamente stanze da ricevimento e trattenimento; al primo piano camere da letto, gabinetto di toilette, bagno, guardaroba, ecc. Se non esiste seminterrato, la cucina e i servizî sono al pianterreno e il programma si sposta. La scala d'accesso ai piani superiori è bene sia situata nell'interno della costruzione, in modo che il vano ove essa si svolge costituisca disimpegno fra tutti gli ambienti dei due piani; scalette secondarie di servizio metteranno in comunicazione il pianterreno col piano seminterrato e l'ultimo piano con la terrazza: un tal criterio si accentua nelle halls delle ville e dei villini.

Le forme delle piante sono naturalmente quanto mai varie, rettangolari o quadrate, semiregolari o irregolari, a seconda delle esigenze interne in confronto alla forma dell'area totale e in funzione dei criterî artistici dell'architetto (v. per una classificazione accurata di dette forme, come per i particolari della decorazione architettonica esterna, villa e villino). Nell'interno si usano gli stessi mezzi d'opera che nelle case economìche, con qualche maggior elemento di pregio. Le condutture degl'impianti igienici, idrici ed elettrici sono per quanto possibile nascoste alla vista e collocate in ambienti di servizio. Essendo il costo delle case isolate piuttosto alto, spesso si procede alla composizione di alcune di esse in un tutto organico: si hanno allora le case doppie o multiple. Circa i maggiori legami planimetrici relativi al sistema composto di elementi, circa le minori possibilità di conveniente orientamento ed aereazione, si veda quanto è stato detto per le case economiche.

Talvolta le case isolate di civile abitazione si costruiscono in campagna e servono all'abitazione di gente agiata di provincia in zone vicine ai borghi, o dei proprietarî nei territorî delle loro fattorie, ovvero per la villeggiatura al mare o ai monti di non molto ricche famiglie di città: allora esse costituiscono il limite inferiore di forme più complesse, i villini e le ville di campagna (v. villa). Le case civili di campagna, in genere isolate, si differenziano ancora da quelle di città per una composizione planimetrica più libera, non dovendo essa tener conto della forma di aree disponibili, per un arredamento più semplice e rustico; per l'architettura intonata all'ambiente, ed esente da elaborazioni stilistiche complesse.

Analogamente a quanto accade per le case popolari ed economiche a tipo estensivo, anche con elementi di case civili si possono costituire delle schiere, con notevole economia se pur con qualche svantaggio (figg. 60, 61). Ma esistono, nelle zone centrali di alcune città, specialmente dell'Europa del nord, a Londra, a Bruges, ad Amsterdam, case a schiera, per cui il criterio determinante non dipende da ragioni finanziarie ma piuttosto da predilezioni estetiche suggerite da speciali abitudini di vita. Queste schiere di case civili sono realizzate con tale accorgimento tecnico e distributivo da annullare sovente gli svantaggi derivanti dai gravosi vincoli esterni.

b) a tipo intensivo. La classe delle abitazioni a tipo intensivo è, nelle case civili, rappresentata da case da pigione, costituenti il nucleo edilizio principale della zona interna in ogni città.

La casa civile da pigione confina al proprio limite inferiore con la casa economica a tipo intensivo, e se ne differenzia essenzialmente per l'ubicazione più centrale nel corpo della città, per i criterî economici meno restrittivi, per l'assenza della standardizzazione nella distribuzione interna: e al contrario per la spiccata differenziazione di ciascun esemplare, dovuta soprattutto, oltre che alle più individuate funzioni, anche agli strettissimi vincoli planimetrici e altimetrici relativi all'area in cui essa sorge. Quasi sempre infatti, i lotti in cui si edificano case civili d'abitazione sono di taglio relativamente piccolo, affacciantisi su strade strette e chiusi tra masse edilizie laterali e retrostanti. Cosicché in questi tipi di costruzione è ben difficile riscontrare caratteri di omogeneità sufficienti a consentire classificazioni anche approssimative e la determinazione di indici metrici e di costo di portata generale. Si può fissare però che il costo volumetrico unitario di queste case è più alto di quello delle congeneri economiche, oltre che per il maggior grado di perfezione nelle finiture, anche per il carattere dell'ossatura, molto più soggetta a deroghe ai criterî economici in funzione delle dense e difficili soluzioni planimetriche; e soprattutto per l'elevato costo dell'area. Le case da pigione situate in zone centrali della città si differenziano dalle case economiche anche per essere dovuta la loro costruzione quasi sempre all'iniziativa di individui o di società private anziché a quella di enti dotati di contributi.

Per quanto si riferisce al miglior disimpegno degli appartamenti per mezzo di scale, alle mutue condizioni d'ingranamento degli ambienti negli alloggi, all'orientamento e all'aereazione preferibile delle singole categorie di ambienti, ecc. ecc., valgono anche in questo caso le regole già date in generale, salvo che, come accade spesso negli esemplari meno ricchi, non si debba su esse forzatamente transigere. Dal ben bilanciato studio d'un rigoroso sfruttamento dell'area, in rapporto agli scopi da raggiungere, tenuto conto della forma e proporzione di essa e della sua posizione nella massa edilizia, derivano differentissime soluzioni sia della pianta della casa nel suo complesso sia di ciascuna sua parte. Da esse, quando s'applichino ad isolati piuttosto vasti, possono derivare soluzioni capaci di determinare specifiche fisionomie d'intere arterie stradali.

Le case da pigione possono servire a classi sociali più o meno ricche e in funzione di ciò avere specifici caratteri. Così quelle per il medio ceto (v. fig. 62) quasi si confondono per i criterî distributivi e per il pregio delle finiture con le case economiche e, salvo il diverso e più vincolato studio planimetrico, ne riproducono - con qualche piccola diversità - le già note caratteristiche.

Nelle case civili per il medio ceto cominciano già ad assumere notevole importanza funzionale ed architettonica il portone d'ingresso e il relativo androne, il quale a sua volta deve essere in comunicazione diretta o indiretta con le scale. La soluzione della scala non è rigorosamente economica come nelle case di classe inferiore. All'androne deve essere attiguo l'alloggio per il portiere, situato in modo da sorvegliare tutto il transito dalla pubblica via.

Nelle case di questo tipo non esistono scale di servizio. La miglior soluzione distributiva per gli appartamenti si ottiene quando la scala ne serve uno solo per piano, nel qual caso è ovvio che esso abbia una parte degli ambienti sul fronte stradale ed una parte verso il cortile, con una distribuzione compatta, facilmente adatta al disimpegno. Se l'alloggio è piccolo, la scala sarà bene situata lateralmente, se è grande, nella sua zona centrale, onde evitare lunghi attraversamenti; ciò posto, l'ubicazione più opportuna dei singoli vani resta determinata dalle regole già date prima. Se le case hanno due appartamenti, il problema è analogo al precedente e non fa che raddoppiarsi, se esista il modo di ripartire gli appartamenti dalle due parti di un'asse di simmetria del corpo di fabbrica, in prossimità del quale si possa ubicare la scala. Le cose si complicano invece se una tale possibilità non esiste, e ancor più complesse sono le soluzioni planimetriche delle case ospitanti più di due appartamenti per piano se sia esclusa la possibilità di ricondurle, mediante opportune ripartizioni dell'area totale di piano, a una moltiplicazione della soluzione elementare di cui sopra.

Comunque, il problema è sempre posto nelle identiche condizioni: trovare soluzioni distributive tali da offrire il maggior risparmio di area, studiando in pari tempo le condizioni migliori d'aggruppamento e di ingresso degli appartamenti attorno a una delle scale e poi associare e coordinare fra loro nel casamento le varie scale e i varî gruppi. La posizione delle scale nel cortile può essere quanto mai varia, o agli angoli di esso, o in asse ai lati più lunghi. Se non esiste la possibilità di collocare le scale in zone piuttosto vicine all'androne d'ingresso, si cerca spesso di metterle in comunicazione con esso mediante tettoie o logge esterne ai corpi di fabbrica.

Per quanto riguarda l'arredamento interno delle case da pigione del medio ceto, è sufficiente riferirsi a quanto è detto per i tipi corrispondenti a costruzione estensiva; l'architettura esterna invece se ne diversifica molto, non già per quanto si riferisce ai materiali e sistemi usati, ma piuttosto perché la sua soluzione è impostata su basi volumetriche differenti. Infatti, mentre nelle costruzioni estensive siamo in presenza di masse frammentarie, suscettibili di assumere per sé stesse valori estetici, le case da pigione non offrono la possibilità di giuoco di volumi, ma presentano soltanto aridi schemi spaziali costituiti di pareti lisce e uniformi sulle quali è intagliata una geometrica scacchiera di vuoti: è ovvio che, per cercare di arricchirla da un punto di vista estetico, l'architetto incontri ostacolo ben maggiore.

Le case da pigione per le classi agiate costituiscono la categoria più ricca delle costruzioni a tipo intensivo (figg. 63, 64, 65, 66; tavv. LXXIX-LXXX). Esse possono distinguersi, com'è del resto di quelle per il medio ceto e per le case economiche, in due branche diverse, a seconda che sono integamente adibite ad abitazione o invece in parte ad abitazione e in parte a botteghe e uffici. Le prime si differenziano dalle consimili del medio ceto per la maggiore larghezza dei criterî economici, la quale si esplica in primo luogo sulle strutture, nel senso di sacrificare la convenienza finanziaria d'un eccessivo sfruttamento dell'area a vantaggio della comodità e dell'agio, generalmente dunque queste costruzioni lasciano scoperta una maggior quota di superficie di quanto sarebbe indispensabile a tenore dei regolamenti e non raggiungono tutta l'altezza attingibile a termini dei medesimi; esse hanno pochi e lussuosi appartamenti per piano (in genere non più di quattro) dei quali non più di due sono serviti da una stessa scala. Se poi, come talvolta accade, i piani sono molti, comodi ascensori e montacarichi ne elidono gl'inconvenienti.

Il portone d'ingresso, l'androne e le scale hanno qui ancor maggiore importanza architettonica. Le scale sono sempre chiuse da vetrate e, se manca l'ingresso carrozzabile, è chiuso anche l'androne cosicché questi ambienti di passaggio si possono nell'inverno riscaldare col termosifone. L'elemento principale caratterizzante l'organismo delle case per classi agiate è l'adozione delle scale di servizio con ingresso dall'esterno indipendente e lontano da quello padronale. Per il resto, gli appartamenti obbediscono, possibilmente senza deroghe, alle norme generali già date, per quanto riguarda la divisione in reparti, il mutuo ingranamento di essi, l'orientamento preferibile di ciascuno. Gli ambienti di rappresentanza sono sovente spaziosissimi; anche la stanza d'ingresso deve essere ampia, decorosa, ben illuminata. Di speciali cure è oggetto il reparto dei servizî, con cui debbono essere comunicanti le stanze dei domestici, sempre dotate d'un bagno proprio o almeno di gabinetto con doccia; mentre il bagno padronale deve essere sempre separato dal W.C. e annesso alle stanze da letto. Tra la cucina e la sala da pranzo non dovrebbe mai mancare un office. È desiderabile in questi appartamenti evitare del tutto l'uso dei corridoi, ottenendo il disimpegno dei vani con sapienti intercomunicazioni fra le stanze, specie fra quelle di rappresentanza, e con l'intromissione di simpatici gabinetti di passaggio: se non è possibile evitare i corridoi, siano ampî e brevi.

Specialmente perfetti debbono essere i varî impianti accessorî: il termosifone, l'ascensore, il montacarichi prossimo alla scala di servizio. Non mancherà un impianto per eliminare le immondizie e uno per la spolveratura pneumatica. Talvolta gli appartamenti sono dotati d'un impianto di ricambio d'aria che può essere associato all'impianto di riscaldamento; sempre sono muniti di telefono, il cui centralino è spesso nella guardiola del portiere. Quasi tutti questi servizî accessorî, salvo quelli dell'illuminazione elettrica e del gas, sono costruiti in modo da consentire il servizio collettivo. Spesso nei locali terreni circostanti al cortile o in costruzioni indipendenti si trovano i garages, le scuderie e rimesse per i singoli locatarı (v. rimessa, scuderia e, per l'arredamento interno, arredamento). L'architettura esterna risente, di gran lunga accresciute, le difficoltà di cui è stato detto a proposito dell'analoga classe inferiore: essa è realizzata coi materiali più nobili e duraturi, pietra in vista, cortina di mattoni, ecc. E anche le forme debbono essere ricche e vitali.

Gli appartamenti ricavati nei piani superiori delle case da pigione adibite in parte ad abitazione, in parte a botteghe e uffici, sono in tutto analoghi a quelli descritti dianzi; solo, la necessità di tener conto delle disposizioni planimetriche dei piani inferiori occupati in questo caso da uffici, botteghe, locali di trattenimento, ecc. ne rende più difficile una serrata organizzazione e può indurre a transazioni notevoli sulla bontà delle soluzioni.

In Italia questi fabbricati hanno in generale altezze non superiori al normale, ma in alcune nazioni, ove la vita industriale pulsa con maggiore intensità e più forte è la necessità di concentrare nelle zone centrali delle metropoli la rappresentanza d'un numero enorme di attività, la loro mole e l'altezza può essere considerevole: se ne hanno in Germania di 12-16 piani, come per esempio a Colonia e a Düsseldorf; e specialmente in America, dove i grattacieli, se non siano interamente addetti all'uso di aziende industriali, sono appunto edifici a tipo misto.

c) a tipo semintensivo. - Anche il tipo semintensivo (figg. 67, 68; tav. LXXX) delle costruzioni è largamente rappresentato nella classe delle case di civile abitazione: e precisamente ciò accade delle case per il medio ceto, quando, fabbricandosi esse in zone piuttosto eccentriche, si voglia trar partito dal minor costo del terreno e dai minori vincoli planimetrici per realizzare una struttura meno densa e più confortevole: e delle case per classi agiate, quando, pur essendo situate su aree centrali, si voglia transigere ancor più sulla convenienza economica, per offrire loro un'ulteriore larghezza (si chiamano anche palazzine): nell'un caso e nell'altro si può derogare ai criterî d'intensività fino a staccare del tutto la costruzione dai confini del lotto per isolarla nel suo interno.

Si realizzano così dei fabbricati che, pur mantenendo del tipo intensivo il criterio distributivo degli appartamenti e il modo di accessibilità dall'esterno a mezzo di scale, hanno caratteri esterni prossimi a quelli delle ville e delle case isolate. Contengono dunque, questi edifici, un limitato numero di alloggi per piano, e non più di tre o quattro piani fuori di terra; per tutti gli altri caratteri distributivi architettonici sono analoghi alle corrispondenti specie a costruzione intensiva, già descritte. Le forme architettoniche esterne invece, per la maggior frammentarietà dei volumi resa possibile dall'isolamento e per analogo carattere di ricchezza, possono essere a volte simili a quelle delle case isolate, a volte a quelle dei villini e delle ville.

Bibl.: Sulla casa del Medioevo ed epoche seguenti fino all'attuale, si vedano, oltre alle opere citate nell'articolo abitazione, specialmente le seguenti altre, di carattere storico generale o particolare: A. Verdier e F. Cattois, Architecture civile et domestique au moyen âge, Parigi 1864; E. E. Viollet-Le Duc, Histoire de l'habitation humaine, trad. it., Milano 1877; Esserwein u. Stiehl, Das Wonhaus des Mittelalters, in Handb. der arch., II, Lipsia 1908; G. Chierici, La casa al tempo di Dante, Siena 1921; A. Grandjean e A. Famin, Architecture toscane, New York 1923; T. Garner e A. Stratton, The domestic Architecture of England during the Tudor Period, Londra s. a.; J. A. Gotsh, The English Home from Charles I to George IV, Londra s. a.; E. A. Ould, W. Curtis Green, E. Guy Dawber, B. Oliver, Old English cottages and farm-houses, Londra s. a.; F. Kimball, Domestic Architecture of the American Colonies and the early Republic, Londra s. a.; P. Letarouilly, Édifices de Rome moderne, Parigi 1861.

Circa i varî tipi di case moderne, si vedano, oltre alle già citate, le seguenti altre opere: C. Lucas, Études sur les habitations à bon marché, Parigi 1900; J. Hengelhorn, Städtische Wohn-u. Geschäfthäuser, Stoccarda 1900; L. Ferrand, L'habitation à bon marché, Parigi 1906; A. Wolf, The lodging house problem in Boston, New York 1906; C. Fuchs, Zur Wohnungsreform, Berlino 1906; M. A. Boldi, Le case popolari a Milano, Milano 1910; B. Scott, Houses and gardens, Londra 1912; F. Miles Day, American country houses of to-day, New York 1912; A. Byne, M. Stapley, Provincial house in Spain, Londra s. a.; G. Allen, The smaller house of to-day, Londra s. a.; D. Donghi, Manuale dell'architetto, II, cap. sulle case di abitazione, Torino 1925; H. De Fries, Moderne Villen und Landhäuser, Berlino 1925; A. Morancé, Les arts de la maison, voll. 7, Parigi 1923-25; R. Phillips, Das moderne englische Haus, Stoccarda 1926; J. Badovici, la maison d'aujourd'hui, I, Maisons individuelles; II, Maisons de rapport, Parigi s. a.; id., La cité-jardin de Weissenhof à Stuttgart, Parigi s. a.; H. Hoffmann, Haus u. Raum, voll. 3, Lipsia s. a.; H. Schmitz, Der schöne Wohnraum, Berlino s. a.; F. R. Yerbury, Englische Kleinhäuser, Berlino s. a.; A. Hopkins, Neue amerikanische Landhäuser, Berlino s. a.; P. Ehmig, Das deutsche Haus, voll. 6, Berlino 1914-1926; G. Harbers, Das Kleinhaus, Monaco, s. a.; E. H. Ockert, Die städtische Siedlung, Stoccarda 1926; H. Müthesius, Kleinsiedlung, Monaco s. a.; B. Taut, Bauen der neue Wohnbau, Lipsia s. a.; R. Friedmann, Kleinstwohnungen, Amburgo s. a.

Sulla legislazione, in materia di edilizia, vigente in Italia fino all'anno 1925 si veda l'esauriente pubblicazione edita dal Ministero dell'economia nazionale, Direzione generale del lavoro e della previdenza sociale: Legislazione sulle case popolari ed economiche e sull'industria edilizia, Roma 1925; e, per quella posteriore all'anno 1925, la Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia, 1926-30.

Circa l'illustrazione tecnica, economica ed architettonica dell'edilizia popolare del dopo guerra in Italia, si vedano specialmente le seguenti recenti pubblicazioni: A. Calza-Bini, Il fascismo per le case del popolo. L'opera dell'Istituto per le case popolari in Roma nel primo quadriennio di amministrazione fascista, Roma 1927; Istituto Nazionale per le case popolari degli impiegati dello stato, L'opera dell'Istituto nel periodo iniziale, Roma 1927; Istituto Cooperativo per le case degli impiegati dello stato in Roma, Quindici anni di attività, Roma 1925; Istituto per le case popolari di Napoli, La sua opera nel biennio 1926-27, Napoli 1928; Istituto Comunale per le abitazioni minime di Trieste, Venticinque anni di attività dell'Istituto, Trieste 1928; Istituto Autonomo per le case popolari di Venezia, La casa a Venezia nell'opera del suo Istituto, Roma 1928; G. Broglio, L'Istituto delle case popolari in Milano, Milano 1929.

Il tema della casa è trattato in modo specifico da varie riviste, tra cui notevoli: Domus, Milano; Casa bella, Milano; La Demeure française, Parigi; Das schöne Heim, Monaco; Das ideale Heim, Zurigo; The beautiful house, Boston. Si vedano anche i numeri speciali dedicati al tema dalle seguenti riviste: Illustration française: Monografia La maison, marzo 1929; The Studio. Numero speciale sulla casa d'abitazione (Decoration art), 1930; The Architectural Forum. Numero speciale su Apartment houses, New York, settembre 1925.

Casa dei bambini: v. montessori.

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