Cassa integrazione guadagni

Diritto on line (2014)

Domenico Garofalo

Abstract

Si esamina l’istituto della cassa integrazione guadagni (ordinaria; straordinaria; in occasione di procedure concorsuali; per solidarietà interna) con particolare attenzione rivolta al campo di applicazione (oggettivo e soggettivo), alle cause integrabili, alle modalità di finanziamento e alle criticità, anche alla luce delle più recenti novità normative che hanno visto consolidare una tendenza estensiva dell’intervento.

L’intervento ordinario della cassa integrazione guadagni (CIGO)

La CIGO ha la funzione di sostegno del reddito dei lavoratori del settore industriale nelle contrazioni dell’attività produttiva congiunturali e cioè, per sospensioni dal lavoro e riduzioni dell’orario di lavoro dovute ad eventi transitori non imputabili né al datore di lavoro né ai lavoratori, ovvero a situazioni temporanee di mercato (cd. cause integrabili) (art. 1, co. 1, l. 20.5.1975, n. 164).

La CIGO – finanziata da contributi statali e dei datori di lavoro in percentuale sulle retribuzioni, cui si aggiunge un contributo addizionale a carico dell’impresa che se ne avvale (art. 12, l. n. 164/1975.) – era prevista solo per gli operai (d.lgs.lgt. 9.11.1945, n. 788), ed è stata estesa ad impiegati e quadri (art. 14, co. 2, l. 23.7.1991, n. 223), per evitare il ricorso alla CIGS, utilizzabile anche per le due categorie da ultimo citate, in presenza di cause integrabili CIGO.

L’ammontare del trattamento è pari all’80% della retribuzione spettante ai lavoratori per le ore non lavorate (art. 2, l. n. 164/1975); dopo il primo semestre di erogazione (art. 14, l. n. 223/1991) non può superare un tetto massimo incrementato annualmente in base all’indice ISTAT (art. 1, co. 2, l. 13.8.1980, n. 427).

La legge impone una procedura di informazione e consultazione sindacale con le RSA, di solito preventiva (art. 5, l. n. 164/1975; v. anche Cass., 9.6.2009, n. 13240 e Cass., 3.7.2009, n. 15964). Solo nei casi di sospensione o riduzione indifferibile del lavoro, l’imprenditore deve comunicare alle RSA o, in mancanza di queste, agli organismi provinciali dei sindacati di categoria più rappresentativi, la durata prevedibile della sospensione o contrazione del lavoro ed il numero dei lavoratori interessati; se la sospensione o contrazione superi le 16 ore settimanali, su richiesta dell’imprenditore o degli organismi rappresentativi dei lavoratori si procede ad un esame congiunto sulla ripresa del normale lavoro e sui criteri di distribuzione degli orari di lavoro.

Dopo la procedura d'informazione e consultazione sindacale, vi è la fase del procedimento amministrativo che porta alla concessione della CIGO (presentazione della domanda da parte del datore di lavoro; esame da parte dell’Inps, competente ad adottare, in sede provinciale, il provvedimento di ammissione).

Per la CIGO, a differenza della CIGS (infra), il datore di lavoro anticipa il trattamento una volta adottato il provvedimento di concessione, conguagliando i contributi dovuti (art. 12, d.lgs.lgt. n. 788/1945. In giurisprudenza Cass., sez. lav., 15.5.2013, n. 11720).

Se dall’omessa o tardiva domanda deriva la perdita totale o parziale della CIGO, l’imprenditore è tenuto a corrispondere ai lavoratori una somma pari all’importo dell’integrazione non percepita (art. 7, co. 3, l. n. 164/1975).

La durata massima della CIGO è di tre mesi continuativi, ma in casi eccezionali può essere prorogata per tre mesi fino a un massimo complessivo di un anno. Salvi i casi d'intervento dovuto ad eventi oggettivamente inevitabili, la CIGO accordata per periodi non consecutivi non può superare comunque i 12 mesi in un biennio (art. 6, l. n. 164/1975).

L’intervento ordinario della CIG si applica, con autonoma disciplina, all’edilizia (l. 3.2.1963, n. 77; l. 2.2.1970, n. 14; l. 6.8.1975, n. 427; art. 3, l. 29.2.1980, n. 33; art. 10, l. n. 223/1991 e s.m.i.) e all’agricoltura (l. 8.8.1972, n. 457), fronteggiando la naturale discontinuità occupazionale della prestazione lavorativa in questi due settori.

L’intervento straordinario della cassa integrazione guadagni (CIGS)

Anche la CIGS “nasce” nel settore industriale, garantendo il reddito e l’occupazione dei lavoratori sospesi in tutto o in parte dal lavoro e consentendo all’impresa di conservare il proprio patrimonio di professionalità con la sospensione dei rapporti di lavoro in alternativa ai licenziamenti collettivi, in situazioni di crisi strutturali (durevole seppure non definitiva eccedenza di personale; ristrutturazione, riorganizzazione, conversione dell’attività produttiva; crisi d’impresa, a volte con cessazione dell’attività, con o senza assoggettamento a procedura concorsuale).

La CIGS e la CIGO sono caratterizzati da una comune lettura teleologica giurisprudenziale, qualificandole come vero e proprio «strumento di politica economica ad immediato sostegno del sistema delle imprese e secondo valutazioni rimesse ad enti pubblici» (Cass., S.U., 20.6.1987, n. 5454).

La disciplina è contenuta in diverse fonti legislative, succedutesi a partire dal 1968, pur se meritano un cenno particolare la l. n. 223/1991, che ne ha razionalizzato l’utilizzo, ed il d.P.R. 10.6.2000, n. 218, che ne ha regolamentato gli aspetti procedurali, sostituendo la disciplina della l. n. 164/1975 (sulla compatibilità tra d.P.R. n. 218/2000 e l. n. 223/1991 v. Cass., sez. VI, 12.12.2011, n. 26587).

Anche il finanziamento della CIGS è a carico dello Stato e dei datori che svolgono attività ricomprese nel relativo campo di applicazione, con un contributo obbligatorio ed uno addizionale, ove se ne avvalgano (art. 12, l. n. 164/1975; art. 8, co. 1, d.l. 21.3.1988, n. 86, conv. in l. 20.5.1988, n. 160; art. 1, co. 4, l. n. 223/1991).

Il ricorso alla CIGS è consentito (cd. cause integrabili) in caso di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale (art. 1, n. 2, lett. b, l. n. 164/1975) e di crisi aziendale che presenti particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale locale e a quella produttiva del settore (art. 2, co. 5, lett. c, l. 12.8.1977, n. 675); inoltre, si è aggiunto, dapprima nella prassi amministrativa, e dal 2004 in via legislativa, l’intervento per crisi aziendale, ma con cessazione dell'attività dell'intera azienda, di un settore di attività, di uno o più stabilimenti o parte di essi (art. 1, d.l. 5.10.2004, n. 249, conv. in l. 3.12.2004, n. 291).

Va tenuta distinta da tali ipotesi la CIGS per le imprese assoggettate ad una procedura concorsuale (art. 3, l. n. 223/1991, su cui v. infra), ovvero all'amministrazione straordinaria (art. 10, co. 7-ter, d.l. 20.5.1993, n. 148, conv. in l. 19.7.1993, n. 236), nonché l’intervento connesso al contratto di solidarietà interna (art. 1, d.l. 30.10.1984, n. 726, conv. in l. 19.12.1984, n. 863, su cui v. infra).

Confrontando le varie cause integrabili, emerge che nei primi due casi si verifica una difficoltà per l’impresa a stare sul mercato, che può dipendere dalla necessità d'innovazione degli impianti, dei modelli organizzativi o degli stessi prodotti, ovvero da una crisi indotta da difficoltà (finanziarie o di mercato) tali da determinare una sospensione o riduzione dell'attività produttiva e da provocare ripercussioni di tipo occupazionale in considerazione del rilievo della stessa impresa sul piano territoriale o settoriale. In tali casi la legge ritiene che si assista a situazioni fronteggiabili con adeguati programmi di risanamento: di qui la possibilità dell’intervento CIGS. Altra soluzione alla crisi, nella prospettiva della ripresa dell’attività produttiva, è costituita dalla CIGS a seguito di contratto di solidarietà difensiva o interna (infra).

Costituisce una deroga a tale principio la CIGS per aziende in crisi che abbiano cessato l’attività, in quanto è da escludersi qualunque ipotesi di risanamento, al più potendosi auspicare una ripresa dell’attività produttiva, con recupero della forza lavoro, attraverso la cessione dell’azienda stessa o di sue parti. Una situazione analoga è prevista per la CIGS concessa ad imprese assoggettate ad una procedura concorsuale; anzi, si è dell’opinione che l’estensione della CIGS alle aziende cessate abbia voluto eliminare la disparità di trattamento a danno di queste ultime, rispetto a quelle fallite, anch’esse cessate, almeno fino alle modifiche apportate all’art. 3, l. n. 223/1991, dalla l. n. 92/2012.

In quest’ultimo caso, la concessione della CIGS tende ad evitare che, sospesa l’attività dell’impresa, gli organi della procedura licenzino il personale, assicurando un congruo periodo durante il quale rinvenire soluzioni che salvaguardino l’occupazione, attraverso la cessione dell’azienda.

Ben diversi sono i presupposti per l’intervento CIGS in caso di amministrazione straordinaria, in quanto è l’assoggettamento a quest’ultima che consente il ricorso all’intervento, a prescindere dalla cessione eventuale dell’azienda; inoltre, la durata della CIGS è pari a quella della procedura (artt. 10, co. 7-ter, d.l. n. 148/1993, e 107, d.lgs. n. 270/1999).

La CIGS può essere concessa alle imprese industriali che nel semestre antecedente la data di presentazione della richiesta abbiano occupato mediamente più di 15 dipendenti (sui criteri di computo dei lavoratori v. l’art. 1, co. 1, l. n. 223/1991) e spetta ad operai, impiegati (art. 1, co. 4, l. 8.8.1972, n. 464) e quadri intermedi (art. 2, co. 3, l. 13.5.1985, n. 190) sospesi dal lavoro e con anzianità di servizio presso l’azienda di almeno 90 giorni (art. 8, co. 3, d.l. n. 88/1986).

La misura del trattamento è pari all’80% della retribuzione che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate (art. 2, l. n. 164/1975), e comunque sin dall’inizio entro il tetto massimo previsto dalla l. n. 427/1980.

In caso di difficoltà finanziarie dell’impresa il Ministro del lavoro e delle politiche sociali può autorizzare l’erogazione diretta del trattamento da parte dell’Inps (art. 2, co. 6, l. n. 223/1991). Il pagamento diretto è stato poi esteso dalla l. n. 223/1991 anche alle aziende del settore edile, che facciano richiesta di proroga (art. 10, co. 2-bis, l. n. 223/1991). Tale eccezionale modalità di pagamento della CIGS è stata poi estesa agli ammortizzatori in deroga (art. 7-ter, co. 2, d.l. 10.2.2009, n. 5, conv., con modif., in l. 9.4.2009, n. 33), per le sospensioni successive al 1.4.2009, prevedendosi un pagamento diretto ancor prima dell’emanazione del provvedimento di autorizzazione.

Quanto agli ammortizzatori “a regime”, va segnalata l’estensione in via amministrativa del pagamento diretto alla CIGO per difficoltà aziendali dovute a carenze di liquidità (msg. Inps 15.12.2009, n. 29223).

Anche per la CIGS la legge prevede l’obbligo per il datore di lavoro di attivare una procedura per l’esame congiunto della situazione aziendale con le RSU o, in mancanza di queste, con le organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella provincia. La procedura si svolge presso il competente ufficio individuato dalla regione nel cui territorio sono ubicate le unità aziendali interessate dalla CIGS, qualora l'intervento riguardi unità aziendali ubicate in una sola regione, ovvero presso il Ministero del lavoro, nel caso di unità aziendali site in più regioni. In tal caso, l'ufficio richiede, comunque, il parere delle regioni interessate.

Oggetto dell'esame congiunto è il programma che l'impresa intende attuare, comprensivo di durata e numero dei lavoratori interessati alla sospensione, misure previste per la gestione di eventuali eccedenze di personale, criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e modalità della rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione (Cass., sez. VI, 30.3.2012, n. 5179). L'impresa è tenuta ad indicare le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione (art. 2, d.P.R. n. 218/2000). A proposito dei criteri di scelta, la previsione introdotta nel 2000 diverge da quella del 1991, secondo la quale i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità della rotazione devono formare oggetto delle comunicazioni e dell'esame congiunto previsti dall'art. 5, l. n. 164/1975 (art. 1, co. 7, l. n. 223/1991). Applicando il criterio della successione delle leggi nel tempo, è da ritenere che quest’ultima disposizione sia stata superata da quella del 2000, ma tale soluzione non è pacifica.

La procedura di consultazione, attivata dalla richiesta di esame congiunto, si esaurisce entro i venticinque giorni successivi a quello in cui è stata avanzata la richiesta medesima, ridotti a dieci per le aziende fino a cinquanta dipendenti (art. 2, d.P.R. n. 218/2000).

L’impresa deve presentare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la richiesta di ammissione all’intervento in cui si attesti l’avvenuta consultazione sindacale, corredata dal programma di risanamento (predisposto secondo un modello ministeriale) che essa intende attuare. Da quest’ultimo devono risultare le eventuali misure da adottare in relazione alle conseguenze delle scelte imprenditoriali sul piano sociale (art. 1, co. 2, l. n. 223/1991).

La domanda va presentata entro il 25° giorno dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro; in caso di presentazione tardiva della domanda, la CIGS decorrerà dall’inizio della settimana anteriore alla data di presentazione della domanda stessa (art. 3, co. 2, d.P.R. n. 218/2000).

Alla CIGS l’impresa viene ammessa con decreto ministeriale da emanarsi entro 30 giorni dalla data di ricezione della domanda, ovvero 60 ove ricorrano particolari esigenze istruttorie (art. 8, d.P.R. n. 218/2000).

L’ammissione alla CIGS fa scattare l’obbligo per il datore di lavoro di corrispondere la prestazione, salvo che quest’ultima non sia stata anticipata per effetto di accordo sindacale, non operando per la CIGS alcun obbligo legale come quello previsto per la CIGO.

Quanto alla durata dell’intervento, nell’ipotesi di ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale, la durata del programma e del trattamento non possono essere superiori a due anni. Nel corso dell’attuazione del programma, tuttavia, l’impresa può richiederne una modificazione, previo confronto sindacale; il Ministero del lavoro può autorizzare fino a due proroghe della CIGS, ciascuna del periodo di 12 mesi, qualora il programma presenti particolare complessità ai sensi dell’art. 1, co. 2 e 3, l. n. 223/1991.

Nelle crisi aziendali, invece, la durata massima del trattamento è di 12 mesi, senza possibilità di proroghe, e un nuovo intervento è consentito solo dopo un periodo pari a 2/3 di quello relativo alla prima concessione (art. 1, co. 5, l. n. 223/1991).

Giova ricordare che i contratti e gli accordi collettivi di gestione di crisi aziendali che prevedono il ricorso agli ammortizzatori sociali devono essere depositati presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (art. 2, co. 70-bis, l. 28.6.2012, n. 92).

Ai cd. limiti interni di durata, la l. n. 223/1991 ha affiancato un limite esterno (sulla distinzione tra limiti v. Cass., 6.7.1988, n. 4449 e Cass., sez. lav., 5.5.2005, n. 16537). Infatti, con riferimento a ciascuna unità produttiva, non è erogabile la CIGS per più di 36 mesi in un quinquennio (limite «fisso» a partire dall’11.8.1990 ex art. 4, co. 35, l. 28.11.1996, n. 608), a prescindere dalle cause di intervento e computandosi anche i periodi di CIGO per situazioni temporanee di mercato (art. 1, co. 9 e 10, l. n. 223/1991).

Il limite fisso può essere superato nel caso di proroga dell’intervento per ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale (art. 1, co. 9, l. n. 223/1991), ovvero nel caso di CIGS concessa per solidarietà interna, o per amministrazione straordinaria (art. 4, co. 34, l. n. 608/1996).

A parte questi limiti, dopo il primo trimestre l’erogazione del trattamento avviene per semestri «subordinatamente all’esito positivo dell’accertamento sulla regolare attuazione del programma da parte dell’impresa» (art. 2, co. 3, l. n. 223/1991), e precludendo all’impresa di richiedere la CIGS per le unità produttive per le quali abbia già richiesto, con riferimento ai medesimi periodi, la CIGO (art. 1, co. 11, l. n. 223/1991).

Tuttavia, la razionalizzazione della materia tentata con la l. n. 223/1991 si è scontrata con l’esigenza di governare una complessa fase economica, caratterizzata da elevati livelli di disoccupazione e da prospettive d'improbabile allargamento della base occupazionale quanto meno nei settori manifatturieri. Di qui la frequente emanazione di normative transitorie e derogatorie rispetto alla disciplina sin qui delineata, sul piano della durata della concessione della CIG (art. 1, co. 1, d.l. n. 249/2004).

Un profilo problematico, affrontato dalla giurisprudenza in materia di intervento straordinario, riguarda l’individuazione dei lavoratori da sospendere e da collocare in CIGS, attraverso criteri enunciati dall’impresa nel corso della procedura di consultazione sindacale. I limiti che tale facoltà datoriale incontra sono vari; in primo luogo, v’è il limite esterno del divieto di discriminazione, che non consente al datore di lavoro di sospendere lavoratori individuati non in base a criteri oggettivi, ma con fini discriminatori: il relativo provvedimento di CIGS è nullo e il lavoratore ha diritto all’immediato rientro in azienda.

Un secondo ordine di limiti – interni – riguarda la coerenza della sospensione del lavoratore con le ragioni addotte dal datore di lavoro per attuarla, ovvero la mancata comparazione tra lavoratori astrattamente destinatari della sospensione, in ragione di criteri di natura soggettiva (anzianità aziendale e carichi di famiglia). In entrambi i casi la sospensione è illegittima e il lavoratore sospeso avrà diritto al risarcimento del danno (differenza tra la retribuzione dovuta e la CIGS percepita).

Un terzo limite è connesso al meccanismo legale della rotazione tra lavoratori aventi identico profilo professionale (art. 1, co. 7 e 8, l. n. 223/1991), per spalmare le ricadute della sospensione sul maggior numero possibile di soggetti. Possono sussistere ragioni tecnico-organizzative connesse al mantenimento dei normali livelli di efficienza ostative all’attuazione della rotazione (sull’insussistenza dell’obbligo a fronte di motivate esigenze tecnico-organizzative dell’azienda v. Cass., S.U., 11.5.2000, n. 302); in tal caso il datore di lavoro deve enunciare tali ragioni nel programma e comunicarle agli organi amministrativi competenti (Cass., 6.12.1997, n. 12406) e alle OO.SS. (Cass., 11.11.2002, n. 15846; contra, su quest’ultima comunicazione, ma non sulla prima, Cass., 6.12.1997, n. 12406). La legge affida ad un accordo sindacale la regolamentazione della rotazione, ed in assenza spetta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali convocare le parti, per tentare di raggiungere un accordo; in mancanza di accordo, il Ministero stabilisce con decreto le modalità della rotazione. Ove l’azienda non ottemperi al decreto, per ogni lavoratore sospeso corrisponderà con effetto immediato un contributo addizionale maggiorato (raddoppio del contributo sub art. 8, co. 1, d.l. n. 86/1988; lo stesso contributo, con effetto dal 1° giorno del 25° mese successivo all'atto di concessione della CIG, è maggiorato di una somma pari al 150% del suo ammontare). Si è discusso se l’inasprimento del contributo addizionale costituisse l’unica sanzione a carico del datore di lavoro, ovvero se la stessa non escludesse l’eventuale azione risarcitoria da parte del lavoratore, prevalendo quest’ultima tesi.

Un’ulteriore ipotesi risarcitoria a favore del lavoratore sospeso è quella connessa alla omessa o tardiva domanda con perdita totale o parziale del diritto alla CIGS; in tal caso, l’imprenditore è tenuto a corrispondere una somma pari all’importo dell’integrazione non percepita (artt. 3, co. 6, d.P.R. n. 218/2000 e 7, co. 3, l. n. 164/1975).

Anche i lavoratori sospesi e collocati in CIGS soggiacciono al meccanismo della condizionalità, in quanto ad essi, ove la sospensione superi i sei mesi, deve essere offerta una iniziativa formativa della durata complessiva non inferiore a due settimane, adeguata alle competenze professionali del disoccupato (art. 3, co. 3-ter, d.lgs. n. 181/2000). Il lavoratore decade dal trattamento CIGS se rifiuta di essere avviato ad un corso di formazione o di riqualificazione o non lo frequenti regolarmente senza un giustificato motivo.

I servizi competenti hanno l’obbligo di comunicare il nominativo di tali lavoratori all’Inps che emette il provvedimento di decadenza, impugnabile in via amministrativa, oltre che giudiziaria (art. 4, co. 40, l. n. 92/2012).

L’intervento della CIG nelle ipotesi di procedure concorsuali

Diversa è la disciplina prevista nel caso in cui l’impresa sia sottoposta ad una procedura concorsuale (fallimento; amministrazione straordinaria), per cui, qualora sia stata disposta la continuazione dell’attività produttiva, l’organo della procedura (curatore o commissario) può richiedere la CIGS. Tale disciplina si applica anche per il concordato preventivo con cessione dei beni, in assenza di omologazione e se vi v’è dichiarazione di fallimento, il periodo di CIGS goduto dai lavoratori è detratto da quello concesso in relazione al fallimento (art. 3, co. 1, l. n. 223/1991 e s.m.i.).

In ordine alla condizione per aversi l’intervento, giova segnalare la recente estensione al primo intervento (per un periodo non superiore a 12 mesi) della previsione, originariamente limitata all’eventuale proroga (per massimo sei mesi), della sussistenza di prospettive di continuazione dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto ministeriale (art. 2, co. 70, l. n. 92/2012 e d.m. 4.12.2012).

Sostanzialmente, una volta disposta la continuazione dell’attività produttiva gli organi della procedura concorsuale possono accedere alla CIGS per 12 mesi, prorogabili per ulteriori 6, in funzione della salvaguardia dell’azienda, o di parti di essa, e di conseguenza dei livelli occupazionali.

Invero, quest’ultimo obiettivo raramente è stato centrato, per cui l’intervento CIGS appare strumentale a ritardare il ricorso alla mobilità, spiegandosi così l’abrogazione della norma dal 1.1.2016 (art. 2, co. 70, l. n. 92/2012).

I contratti di solidarietà interna

La stipulazione tra imprenditore e sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative di un contratto collettivo aziendale che riduca l’orario di lavoro giornaliero, settimanale, o mensile (art. 5, co. 1, l. n. 236/1993, e s.m.i.), e quindi la retribuzione, per evitare anche in parte la riduzione o la dichiarazione di esubero del personale (Cass. 23.1.1998, n. 637), consente al Ministro di disporre la concessione di un trattamento di integrazione salariale a carico della contabilità CIGS (sul cumulo di CIG e CIGS per solidarietà interna nelle unità produttive interessate v. art. 13, co. 2, l. n. 223/1991 e s.m.i.).

L’integrazione, pari al 60% della retribuzione perduta a causa della riduzione oraria (art. 6, co. 3, l. n. 608/1996), può essere corrisposta per non più di 24 mesi (art. 1, co. 2, l. n. 863/1984), prorogabili fino ad ulteriori 24 mesi (art. 7, co. 1, d.l. 30.12.1987, n. 536, conv. nella l. 28.2.1988, n. 48), ovvero 36 mesi per i lavoratori delle aree meridionali (art. 7, co. 3 e 4, l. n. 48/1988). Ai datori di lavoro sono, invece, assicurate agevolazioni contributive per un biennio (art. 6, co. 4, l. n. 608/1996).

Il ricorso alla solidarietà interna è stato incentivato in via sperimentale fino al 2013 (art. 1, co. 256, l. 24.12.2012, n. 228) con un incremento della integrazione della retribuzione perduta del 20%, portandola dal 60% all’80%. A partire dal 2014 l’integrazione è pari al 70%.

Ai fini del calcolo del trattamento CIG la retribuzione perduta va calcolata senza tener conto di eventuali aumenti convenuti con contratti aziendali nei 6 mesi antecedenti la stipulazione del contratto di solidarietà (art. 1, co. 2, l. n. 863/1984), e ciò al fine di evitare fraudolente collusioni tra datore di lavoro e lavoratori; per lo stesso motivo il trattamento resta inalterato in caso di eventuali aumenti dovuti a successiva contrattazione aziendale. Peraltro l'integrazione non è soggetta ai limiti massimi di importo previsti in generale (art. 13, co. 1, l. n. 223/1991). In presenza di temporanee esigenze di maggior lavoro, il contratto di solidarietà può prevedere l’aumento dell’orario ridotto con riduzione proporzionale del trattamento CIG (art. 5, co. 10 e 12, l. n. 236/1993).

Per questo tipo di intervento – al quale si applicano, per quanto non diversamente stabilito, le norme sulla CIGS (art. 1, co. 6, l. n. 863/1984) – è richiesto il parere favorevole della competente amministrazione regionale. Inoltre, non è dovuto il contributo addizionale (art. 8, co. 8, l. n. 160/1988), ed il periodo per il quale è corrisposto il trattamento è utile ai fini pensionistici (art. 1, co. 4, l. n. 863/1984), mentre ai fini del TFR, l’accantonamento relativo è a carico della CIG e va effettuato sulla base della retribuzione che sarebbe stata percepita senza la riduzione di orario (art. 1, co. 5, l. n. 863/1984, e s.m.i.).

Successivamente, si è estesa la solidarietà difensiva ad aziende non rientranti nel campo di intervento della CIG, con una integrazione del reddito perso a seguito della riduzione di orario di lavoro, a carico dello Stato o degli enti bilaterali (art 5, co. 5-8, l. n. 236/1993).

L’estensione progressiva della CIGS

La CIGS, introdotta nel 1968 per le imprese industriali, comprese quelle edili (artt. 2, l. 5.11.1968, n. 1115 e 1, co. 1, l. n. 164/1975), è stata progressivamente estesa ad altri settori (informazione ed editoria ex artt. 35, l. 5.8.1981, n. 416 e 7, co. 3, l. n. 236/1993) assimilati a quello industriale o complementari a quest’ultimo (cd. indotto). A tale riguardo vanno citati:

- i dipendenti di imprese industriali in crisi, addetti ad unità organiche esercenti in modo continuativo e prevalente la commercializzazione del loro prodotto (art. 4 bis, d.l. 30.3.1978, n. 80, conv. in l. 26.5.1978, n. 215);

- imprese appaltatrici di servizi di mensa e ristorazione, solo per gli addetti prevalentemente e continuativamente impiegati in tale attività, sospesi (in tutto o in parte) dal lavoro in conseguenza di crisi o di difficoltà dell’impresa industriale presso la quale svolgono tali servizi, purché queste situazioni diano luogo ad un intervento CIGO/CIGS (art. 23, co. 1, l. 23.4.1981, n. 155);

- imprese appaltatrici dei servizi di pulizia per gli addetti (anche soci lavoratori subordinati di cooperativa) in modo prevalente e continuativo allo svolgimento delle attività appaltate, ove sospesi in tutto o in parte in conseguenza della riduzione delle attività appaltate per il ricorso alla CIGS da parte dell’impresa appaltante (art. 1, co. 7, l. n. 451/1994);

- imprese artigiane con più di 15 addetti che sospendano o riducano l’attività produttiva in conseguenza della sospensione o riduzione dell’attività dell’impresa committente con ricorso alla CIGS, a condizione che la stessa eserciti sull’impresa artigiana un influsso gestionale prevalente (art. 12, co. 1 e 2, l. n. 223/1991).

Ad una ratio diversa attinge il fenomeno dell’estensione a settori diversi da quello industriale e ad esso non connessi, avvenuta nel 2012, ma funzionale alla strutturalizzazione di interventi transitori introdotti sin dal 1993, e prorogati di anno in anno sino al 2012. Si tratta dell’estensione della CIGS alle:

- imprese commerciali con più di 50 addetti (art. 12, co. 3-bis, lett. a, l. n. 223/1991, aggiunto dall’art. 3, co. 1, l. n. 92/2012);

- agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici, con più di 50 dipendenti (art. 12, co. 3-bis, lett. b, l. n. 223/1991, aggiunto dall’art. 3, co. 1, l. n. 92/2012);

- imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti (art. 12, co. 3-bis, lett. c, l. n. 223/1991, aggiunto dall’art. 3, co. 1, l. n. 92/2012).

Altro settore interessato dall’estensione è quello del trasporto aereo, prevedendosi che a decorrere dal 1.1.2013 la CIGS e i relativi obblighi contributivi sono estesi alle:

- imprese del trasporto aereo a prescindere dal numero di dipendenti (art. 12, co. 3-bis, lett. d, l. n. 223/1991, aggiunto dall’art. 3, co. 1, l. n. 92/2012);

- imprese del sistema aereoportuale a prescindere dal numero di dipendenti (art. 12, co. 3-bis, lett. e, l. n. 223/1991, aggiunto dall’art. 3, co. 1, l. n. 92/2012).

In questo caso la l. n. 92/2012 ha sistematizzato, più che strutturalizzato, un intervento preesistente (per il trasporto aereo v. l’art. 1 bis, d.l. n. 249/2004; per i servizi aeroportuali v. l’art. 2, co. 37, l. 22.12.2008, n. 203), svincolandolo dal numero dei dipendenti ed in tal modo perpetuando un atteggiamento di eccessiva protezione nei confronti di questo settore, che non ha dato nel corso degli ultimi tempi grande prova di sé, come dimostra l'ennesima attuale crisi di Alitalia.

Fonti normative

D.lgs.lgt. 9.11.1945, n. 788; l. 3.2.1963, n. 77; l. 5.11.1968, n. 1115; l. 2.2.1970 n. 14; l. 8.8.1972, n. 457; l. 8.8.1972, n. 464; l. 20.5.1975, n. 164; l. 6.8.1975, n. 427; art. 2, co. 5, lett. c), l. 12.8.1977, n. 675; art. 4 bis, d.l. 30.3.1978, n. 80, conv. in l. 26.5.1978, n. 215; art. 3, l. 29.2.1980, n. 33; art. 1, l. 13.8.1980, n. 427; art. 23, l. 23.4.1981, n. 155; art. 35, l. 5.8.1981, n. 416; art. 1, d.l. 30.10.1984, n. 726, conv. in l. 19.12.1984, n. 863; art. 2, co. 3, l. 13.5.1985, n. 190; d.l. 30.12.1987, n. 536, conv. in l. 28.2.1988, n. 48; art. 8, d.l. 21.3.1988, n. 86, conv. in l. 20.5.1988, n. 160; l. 23.7.1991, n. 223; d.l. 20.5.1993, n. 148, conv. in l. 19.7.1993, n. 236; d.l. 16.5.1994, n. 299, conv. in l. 17.7.1994, n. 451; d.l. 1.10.1996, n. 510, conv. in. l. 28.11.1996, n. 608; art. 107, d.lgs. n. 270/1999; d.P.R. 10.6.2000, n. 218; art. 1 e 1 bis, d.l. 5.10.2004, n. 249, conv. in l. 3.12.2004, n. 291; art. 2, co. 37, l. 22.12.2008, n. 203; art. 7 ter, co. 2, d.l. 10.2.2009, n. 5, conv., con modif., in l. 9.4.2009, n. 33; l. 28.6.2012, n. 92; d.m. 4.12.2012; art. 1, co. 256, l. 24.12.2012, n. 228.

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