CATACOMBE

Enciclopedia Italiana (1931)

CATACOMBE

Orazio MARUCCHI
Gioacchino MANCINI
Carlo CECCHELLI

. Il nome di Catacombe, col quale oggi s'indicano gli antichi cimiteri cristiani sotterranei, non si adoperò anticamente con tale significato, giacché il nome che si dava ad ogni sepolcreto cristiano, tanto sotterraneo quanto stabilito sopra terra, fu sempre quello di cimitero (v.).

Il nome di catacombe fu dato in Roma fino dal sec. IV a uno speciale sotterraneo posto dove oggi è la basilica di S. Sebastiano ad catacumbas sulla via Appia. Il nome certamente derivò dalle condizioni della località, perché significa "cavità" ed infatti ivi si è riconosciuta l'esistenza d'una profondità naturale. In seguito quel nome, dopo che si confuse e si abbandonò la nomenclatura speciale antica dei singoli cimiteri, fu esteso a tutti; sicché tutti nel Medioevo furono chiamati catacombe.

Cenni generali. - I cimiteri cristiani ebbero origine fino dal primo secolo; e si scavarono sotterranei in varie località, ma i più importanti furono quelli di Roma. Nella loro storia si devono distinguere quattro periodi:

1° periodo. - I cimiteri furono, in origine, tombe di famiglia, protette dal diritto privato; e ciò perché la legge romana dichiarava la tomba, a chiunque essa appartenesse, locus religiosus.

I cimiteri cristiani, destinati anche alle riunioni liturgiche, furono tutti cimiteri privati, dove i ricchi proprietarî permettevano la sepoltura degli altri fedeli. Si può credere che fin dall'origine i cimiteri fossero messi in relazione con i luoghi di riunione posti nell'interno della città (ecclesiae domesticae), come avvenne certamente nel sec. IV, quando furono costituiti i titoli.

A Roma il più antico cimitero fu quello di Priscilla sulla via Salaria, che ebbe origine fino dall'età apostolica e del quale uno dei nuclei primitivi fu l'ipogeo della famiglia di Manio Acilio Glabrione, morto nel 94 o 95.

Le cripte di Lucina, sulla via Appia, sono pure antichissime e sono poste al disotto d'un monumento pagano: il De Rossi suppose che i proprietarî dell'area fossero ancora pagani quando edificarono questo monumento, e che il cimitero sotterraneo fosse stabilito dopo la loro conversione al cristianesimo.

Un terzo cimitero privato assai antico era sulla via Ardeatina, ove fu la tomba di famiglia di Flavio Clemente, cugino di Domiziano e delle due Flavie Domitille.

2° periodo. - Nel sec. III, essendo divenuto grandissimo il numero dei cristiani, fu necessario avere dei cimiteri comuni. La chiesa allora usò dei diritti che la legge riconosceva alle associazioni. Questo secondo periodo va dal principio del sec. III fino all'anno 313. In quest'epoca i cimiteri s'ingrandiscono; e molti cessano di portare il nome del proprietario primitivo, prendendo quello del papa che vi ha fatto dei lavori o d'un martire che vi è venerato. I cimiteri privati continuano tuttavia ugualmente, e restano in uso anche durante le persecuzioni di Valeriano e Diocleziano, quando i cimiteri comuni sono confiscati.

In questo periodo, e precisamente al principio del sec. III, si stabilisce dal papa Zeffirino il cimitero ufficiale della Chiesa romana sulla via Appia, cimitero che prese poi il nome da Callisto, e nel quale furono sepolti i papi del terzo secolo.

3° periodo. - Nel terzo periodo, da Costantino ad Alarico (313-410), si estese ancor più l'immensa necropoli sotterranea; nello stesso tempo essa cominciò a divenire un santuario, e ciò fu specialmente ai tempi del papa Damaso, il quale ricercò e adornò con le sue celebri iscrizioni molte tombe di martiri. L'editto di Milano (313) proclamò l'esistenza legale della Chiesa come società e il suo diritto di possedere. Con questo riconoscimento si poterono stabilire più liberamente i cimiteri a cielo aperto. Nondimeno fino al principio del sec. V si scavarono ancora gallerie sotterranee.

Poiché i cristiani desideravano vivamente d'essere sepolti vicino ai martiri, e questi luoghi privilegiati erano anche difficili a ottenersi (quod multi cupiunt et rari accipiunt, come si legge in un'antica iscrizione), così spesso si scavarono piccole cappelle vicino o dietro alle tombe dei martiri (retro sanctos) e, pur di soddisfare questa devozione, si danneggiarono talvolta anche le pitture anteriori.

Sui cimiteri furono allora costruite in Roma delle basiliche, o si trasformarono in chiese le cripte sotterranee. Verso il principio del sec. V, le tombe sotterranee divengono rare; spesso si abbandonano gallerie scavate a metà e si seppellisce sopra terra. Questo cambiamento concorda col trionfo definitivo del cristianesimo nel 394, dopo le leggi di Teodosio.

4° periodo. - Il quarto periodo va dal principio del sec. V fino all'abbandono dei cimiteri. Il De Rossi ha supposto che le iscrizioni consolari dei cimiteri sotterranei non oltrepassino l'anno della presa di Roma per opera di Alarico (410) e che i monumenti sepolcrali siano tutti, salvo rare eccezioni, anteriori al sec. V. Questo canone, che bisogna intendere in modo assai largo, è importante per la confutazione degli errori sulla cronologia delle iscrizioni e delle pitture cristiane, particolarmente delle pitture dommatiche, le quali da taluni sono state attribuite a torto anche all'alto Medioevo. È vero che alcuni cimiteri contengono pitture posteriori al sec. V, ma queste in generale hanno carattere decorativo e non sepolcrale, e non hanno contenuto simbolico o dommatico.

Se i cimiteri cessano nel sec. V di essere luoghi ordinari di sepoltura, essi continuano però ad esser visitati come luoghi di devozione. I pii visitatori hanno lasciato in molte cripte il ricordo del loro passaggio, con graffiti sull'intonaco i quali forniscono spesso indizî preziosi per riconoscere le tombe dei martiri: poiché molti di essi contengono i nomi dei martiri venerati nei rispettivi cimiteri.

Nel sec. VII cominciarono le prime traslazioni dei corpi dei martiri dalle catacombe, traslazioni che divennero frequenti nei secoli VIII e IX. Le prime conosciute sono quelle dei corpi dei Santi Primo e Feliciano, dal cimitero suburbicario di Nomentum, verso il 645, e quelle di Santa Beatrice e di San Faustino, dal cimitero ad sextum Philippi, verso l'anno 682. Paolo I, nel 757, trasportò una grande quantità di reliquie, fra le quali il corpo di San Tarsicio, per consacrare la chiesa da lui costruita nel luogo della casa paterna, a San Silvestro in capite.

Adriano I, non volendo togliere i corpi dalle catacombe, fece un ultimo sforzo per conservare i cimiteri; egli li restaurò e cercò di mantener l'uso di celebrarvi gli anniversarî dei martiri. L'elenco dei suoi lavori ci è stato conservato nel Liber pontificalis, alla fine della sua biografia. L'opera di Adriano fu continuata dal suo successore Leone III; ma il popolo romano aveva già perduto l'abitudine di frequentare i cimiteri sotterranei, e gli sforzi dei papi a nulla valsero.

Così Pasquale I, verso l'817, fu costretto a riprendere le traslazioni cominciate da Paolo I, trasportando nella città i corpi dei papi deposti nel cimitero di Callisto. La chiesa di Santa Prassede ricevette allora le reliquie di 2300 martiri, i cui nomi si veggono ivi incisi in una tavola di marmo.

I cimiteri rimasti in grande venerazione erano quelli di San Sebastiano, di San Lorenzo, di San Pancrazio e di San Valentino, presso i quali erano sorti dei monasteri, e dei quali i religiosi erano pertanto divenuti i custodi; quelli poi di San Pietro e di San Paolo erano stati assorbiti dalle basiliche costruitevi sopra, gli altri erano invece stati abbandonati, e non se ne conosceva più nemmeno l'ingresso: tanto che si faceva confusione fra i varî cimiteri.

Gli studî sulle catacombe cominciarono nel sec. XVI, specialmente per opera di Antonio Bosio (v.); fra i continuatori di lui debbono ricordarsi l'Aringhi, il Bottari, il Boldetti, il Settele, il Marchi e sopra tutti Giov. Battista De Rossi (v.). La grande importanza delle catacombe consiste nel fatto che i loro monumenti ci fanno conoscere la fede professata dai cristiani dei primi secoli.

Aspetto delle catacombe. - Le catacombe sono scavate nel tufo granulare, assai abbondante nel sottosuolo della Campagna romana, e sono costituite da una vasta rete di gallerie sotterranee, nelle quali si aprono le camere sepolcrali (cubiculi).

I termini che si adoperano per indicare le differenti parti dei cimiteri sono in parte tradizionali, in parte invece convenzionali.

Ad ogni galleria si potrebbe dare il nome di ambulacrum, nome usato nel linguaggio tecnico dei Romani; ma un'iscrizione del cimitero di Priscilla e gli Atti dei martiri ci fanno conoscere che gli antichi cristiani usavano invece per esse il nome di cryptae.

Nelle pareti delle gallerie sono scavate le tombe, loci, che sono semplici cavità di dimensioni sufficienti per ricevere uno, due, o anche tre corpi, e sono disposte orizzontalmente nel senso delle gallerie. D'ordinario parecchi loci si vedono sovrapposti, nel numero permesso dall'altezza della parete. L'apertura ha la forma di un rettangolo; un incavo praticato tutto intorno ai margini permette di fissarvi la lastra di marmo o i grossi mattoni per la chiusura. Il temine locus era impiegato per designare una tomba, e si ritrova spesso nelle iscrizioni; ma il diminutivo loculo ha prevalso nel linguaggio archeologico. I loculi non si trovano soltanto nelle gallerie, ma anche nelle cappelle e perfino nelle pareti delle scale. I più elevati sono quasi sempre i più antichi, perché a mano a mano e misuratamente si abbassava il livello della escavazione, come osservò fin dal 1864 Michele Stefano De Rossi nella sua Analisi geologica ed architettonica della Roma sotterranea.

Una tomba più distinta delle altre e molto usata era l'arcosolium (v. arcosolio). Il termine arcosolium, arcisolium, arcusolium, che si legge talvolta anche nelle iscrizioni, è composto da arcus, che designa l'arco aperto nella parte superiore della tomba, e da solium, che indicava propriamente quei grandi recipienti balneari di marmo a forma di urna. Gli arcosolî non rimontano a una grande antichità. In alcuni ipogei assai antichi si usarono piuttosto grandi nicchie, nelle quali erano posti i sarcofagi di marmo o di terracotta. Il vestibolo del cimitero di Domitilla ha di tali nicchie, e inoltre contiene un loculo decorato di stucchi con la rappresentazione di un sarcofago. Ma questa è una disposizione eccezionale; come pure per eccezione si vede lì accanto una tomba a forma di camera, senza alcuna porta, in cui si penetra per un'apertura destinata ad esser chiusa da una pietra, e che è senza dubbio un'imitazione della tomba del Redentore. La parete attinente all'arcosolio era detta parieticulum, come si legge in un'antica iscrizione.

Anteriormente all'arcosolium si nota una forma di tomba che ne è come il primo saggio: il solium non è sormontato da una vòlta ad arco, ma da una vòlta piana. Questo è il sepolcro che il De Rossi chiamò "a mensa" i e che si riscontra in parecchi cimiteri di Roma.

Da ogni lato delle gallerie si aprono cubiculi o camere, che erano tombe di famiglia, come indicano chiaramente le iscrizioni, o tombe destinate ai membri di un'associazione; giacché anche nei cimiteri sono stati trovati gl'indizî di associazioni funerarie sorte nel seno della Chiesa; e i nomi plurali Eutychiorum, Pelagiorum, in alcune iscrizioni dei cimiteri di Callisto e di Priscilla, debbono indicare associazioni di tal genere. Le cappelle avevano carattere privato, ed erano spesso chiuse con porte.

Altre cappelle, più grandi, che contenevano qualche volta la tomba d'un martire, sono da noi distinte col nome di cryptae, ma gli antichi dovevano chiamarle anche cubicula. Alcune di queste erano destinate per le cerimonie liturgiche, come quella detta di Milziade nel cimitero di Callisto, nella quale si distinguono ancora tutto intorno gli avanzi d'un banco, e quella nel coemeterium naius di Sant'Agnese, dove si riconoscono il santuario, il presbyterium, la sedia per il vescovo e l'arco trionfale. Queste chiese sotterranee delle catacombe hanno le forme più svariate: ve ne sono di quadrate, rettangolari, poligonali: una rotonda, molto importante, si trova nel cimitero di Callisto.

Anche prima della pace della Chiesa vi furono dunque dei luoghi di riunione nei cimiteri: ne abbiamo le testimonianze negli Atti dei martiri, e in un'antichissima iscrizione del cimitero di Priscilla, in cui s'invitano i fedeli a pregare per i defunti, quando si adunavano nel cimitero: Vos precor, o fratres, orare huc quando venitis, ecc. Anche nelle piccole cappelle erano probabilmente celebrati gli anniversarî dei defunti; si può credere anzi che questa liturgia domestica cimiteriale abbia dato origine alla messa letta. All'epoca della pace si riservò per le basiliche superiori la liturgia solenne, missa publica, continuando quella meno solenne nelle cripte, missa ad corpus.

La sepoltura nelle catacombe. - Studiando gli antichi cimiteri possiamo riconoscere ancora alcune vestigia dei riti funerarî dei primitivi cristiani, e la conferma di quanto ci dicono Sant'Agostino (Confess., IX, 8-13) e Prudenzio nel Peristephanon. I cristiani rifuggirono sempre dall'uso pagano della cremazione.

Il corpo era deposto inviluppato in un lenzuolo, intorno si spargevano balsami e fiori: il Bosio, il P. Marchi e il De Rossi affermano di aver ancora inteso il profumo di questi balsami, aprendo alcuni loculi. Anche i fiori sono spesso dipinti sugli arcosolî, o incisi sulle pietre sepolcrali.

Talvolta nella calce che chiude le tombe, soprattutto nelle regioni cimiteriali posteriori alla pace, sono affissi frammenti di vetri: spesso sono semplicemente i fondi delle coppe adoperate nelle agapi, che si mettevano come un segno d'onore o come un'indicazione per riconoscere un sepolcro.

Talvolta si mettevano presso il cadavere anelli, sigilli, ma raramente oggetti preziosi. Le lampade, fissate nella calce al di fuori dei loculi, erano accese per gli anniversarî e per altre circostanze, e spesso si possono ancora riconoscere nella parete vicina le tracce del fumo.

Talvolta i cristiani praticarono l'imbalsamazione, in ricordo della sepoltura del Signore e. conformemente agli usi giudaici; ma essi eseguivano questa operazione in modo molto imperfetto, onde questi corpi si conservavano male; e non si possono certo paragonare con le mummie egiziane le poche mummie trovate nelle catacombe.

Le agapi facevano parte del rito sepolcrale e venivano celebrate presso il cimitero, ma fuori del sotterraneo. Nel cimitero di Domitilla si vede un luogo che ha servito a quest'uso. È una sala a volta che precede l'ingresso principale della tomba dei Flavî; vi si riconosce un banco tagliato nella parete, e accanto un pozzo. La cella tricora del cimitero di Callisto, che si chiama comunemente dei Santi Sisto e Cecilia, poté egualmente essere in origine destinata alle agapi. I conviti funebri erano certamente più solenni in occasione degli anniversarî dei martiri: Santo Agostino ci attesta che quest'uso era conservato anche al suo tempo.

La traslazione dei cadaveri si compiva con solennità anche nei periodi di persecuzione. Il corpo di San Cipriano, a Cartagine, fu trasportato al cimitero nell'anno 258 cum voto et triumpho magno (Passio S. Cypr.).

Dopo aver deposto il corpo nel locus, si chiudeva l'apertura della tomba con mattoni o con lastre di marmo. Nell'epigrafe si poneva spesso la data della deposizione, onde poter celebrare l'anniversario, con l'indicazione del mese, talvolta quella del giorno della settimana, e, più raramente, la data consolare.

Le iscrizioni più antiche sono le più semplici e contengono o il solo nome del defunto o qualche acclamazione, come per es. pax tecum. Fra i simboli incisi sulle pietre sepolcrali il più antico è l'ancora (croce e speranza nella croce); vengono poi le colombe (l'anima che vola al cielo), il pesce (Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore), e più tardi, specialmente nel sec. IV, il monogramma del nome di Cristo.

I martiri nelle catacombe. - Quando il corpo deposto in un loculo era quello d'un martire, la tomba doveva essere indicata da qualche segno speciale. L'unico segno sicuro è il titolo solenne di Martyr, come si legge, per es., nelle iscrizioni dei papi Ponziano e Fabiano, in quella di San Cornelio nel cimitero di Callisto, e nell'altra trovata a Sant'Ermete del martire Giacinto. Talvolta questo titolo fu abbreviato in MR o semplicemente M.

Sulle tombe dei martiri riconosciuti non si sono trovate mai formule di preghiere per il riposo dell'anima, come per es.: Refrigeret, pax tecun, ecc., così frequenti sulle tombe dei semplici fedeli; giacché per un martire la preghiera di suffragio sarebbe stata superflua. Un altro segno sicuro potrebbe essere quello delle ampolle, quando queste avessero contenuto veramente del sangue. Prudenzio nota l'abitudine che avevano gli antichi cristiani di raccogliere il sangue dei martiri, ma non parla dell'uso di metterlo nei sepolcri, bensì dice che si conservava in casa come una preziosa reliquia; sembra pure che talvolta si deponesse il sangue o nel sepolcro o presso il sepolcro; e si può citare a questo proposito un'importante iscrizione dell'epoca di Diocleziano, in cui si ricorda appunto la deposizione del sangue dei martiri. Ma per constatare se il contenuto di quei vasi che spesso si trovano nei sepolcri sia stato realmente sangue, è necessario ricorrere all'analisi chimica. Soltanto a questa condizione l'ampolla può stabilire la presenza del corpo d'un martire.

Bisogna però guardarsi bene dall'ammettere che le fiale, le quali tanto spesso si rinvengono sui loculi dei cimiteri, siano ordinariamente segni di martirio; ché anzi generalmente esse non lo sono. È impossibile che abbiano contenuto sangue quelle fiale che si adoperarono rotte e che erano fissate al di fuori delle tombe; e di più esse sono state per solito ritrovate su sepolcri dell'epoca della pace.

Alcuni altri segni sono del tutto falsi e inammissibili, quantunque in altri tempi siano stati tenuti per buoni. Così per esempio la palma che si trova anche su monumenti pagani, come allusione alla vittoria degli aurighi del circo o dei gladiatori dell'anfiteatro e che per i cristiani poteva significare la vittoria sul mondo e sulle passioni. Così il monogramma ☧ che alcuni tradussero erroneamente Pax Christi, o anche peggio passus pro Christo, mentre non è che un'abbreviazione del nome greco ΧΡΙΣΤΟΣ. Questo monogramma è stato raramente usato prima di Costantino, e soltanto dopo la pace della Chiesa esso venne in uso comune, adoperandosi anche isolato.

Quanto alle tombe dei martiri conosciuti dalla storia, il De Rossi stabilì altri indizî per riconoscerle, e cioè la presenza di resti, o anche semplicemente di tracce d'oratorî o di basiliche o di lucernarî o di scale d'accesso in vicinanza di cripte, perché queste cripte di martiri furono sempre oggetto di venerazione nell'epoca della pace.

I graffiti dei pellegrini e le pitture foniscono anche indicazioni preziose. Le pitture degli arcosolî e delle cappelle private sono generalmente anteriori al sec. V; invece le tombe dei martiri continuarono ad essere decorate anche dopo. Così per es. nella cappella di Santa Cecilia si vedono importanti pitture bizantine, e della stessa epoca sono le pitture della cappella di San Cornelio; altri esempî si possono citare nei cimiteri di Ponziano, di San Valentino e di Commodilla. Oltre ai dati monumentali, alla ricerca delle cripte dei martiri possono servire gli antichi documenti, e cioè: 1. le passiones martyrum; 2. gli antichi martirologi; 3. l'antico feriale della Chiesa romana; 4. il Liber pontificalis; 5. gl'itinerarî dei pellegrini compilati nel secolo VII.

Le principali catacombe romane.

Via Cornelia: Cimitero Vaticano. - Si estendeva a destra della via Cornelia, che lo separava dal Circo di Nerone; e ivi furono probabilmente sepolti quei numerosi martiri sconosciuti, uccisi da Nerone nei suoi orti del Vaticano dopo l'incendio di Roma dell'anno 64 (Tacito, Ann., XV, 44). Anche l'apostolo Pietro fu crocifisso e sepolto nel Vaticano. Sulla tomba dell'apostolo il papa Anacleto eresse una memoria, e l'imperatore Costantino edificò la grandiosa basilica. Il corpo di San Pietro fu trasferito temporaneamente sulla via Appia, secondo alcuni alla fine del sec. I, secondo altri nel sec. III (anno 258), ma dopo breve tempo fu riportato di nuovo al Vaticano. Alla basilica costantiniana fu sostituita l'odierna nel sec. XVI.

Via Aurelia: Cimitero di S. Pancrazio. - L'antico nome del cimitero è quello di Coemeterium Octavillae; di esso rimangono poche gallerie sotto la basilica omonima. Il martire S. Pancrazio fu sepolto da una matrona di nome Ottavilla in un fondo di sua proprietà; nel tempo della pace venne sul suo sepolcro eretta una basilica, restaurata poi dal papa Simmaco (498-514). Nel sec. VII il papa Onorio vi fece un nuovo restauro, ponendo in mezzo all'abside l'altare del martire.

Cimitero dei SS. Processo e Martiniano. - Si crede che corrisponda, almeno in parte, a quel cimitero che si svolge sotto l'odierna villa Pamphili, e che è ancora inesplorato; probabilmente si stendeva anche sotto la vigna Pellegrini a destra dell'Aurelia.

Cimitero di Calepodio. - Può identificarsi con quello che si svolge sotto la vigna già Lamperini, incontro al Casaletto di S. Pio V. Ivi fu sepolto il papa S. Callisto. Nulla più vi si vede di monumentale, ad eccezione d'un avanzo dell'abside della basilichetta sopra terra, trasformata in rustico casolare.

Via Portuense: Cimitero di Ponziano. - Ha l'ingresso a mezza costa della salita di Monte Verde. Si vede ancora l'antica scala, sulla cui vòlta è dipinto un grande busto del Salvatore in stile bizantino. Ai piedi della scala si scende ad un piccolo battistero con pittura del sec. VI, rappresentante il battesimo di Cristo. A sinistra è un grande sarcofago di muratura con pitture del sec. VI o VII che rappresentano il Salvatore, il quale incorona i due martiri Abdon e Sennen. I martiri furono però sepolti sopra terra.

In un altro piccolo corridoio si veggono due sepolcri di martiri con le loro fenestellae, pitture bizantine e graffiti di visitatori.

Via Ostiense: Cimitero di Lucina. - Ivi fu sepolto l'apostolo S. Paolo. Costantino, secondo il Liber pontificalis, vi costruì una basilica (324 o 325). L'iscrizione Paulo Apostolo Mart(yri) che ancora si vede sul sarcofago, guardando nell'interno dell'altare papale, può attribuirsi al sec. IV.

Sepolcro di San Timoteo. - Nel 1872 si fecero deglí scavi a sinistra della via Ostiense incontro all'abside di San Paolo; a ffmetà d'una scala che aveva sulle pareti dei nomi graffiti greci e latini, si scoprì un cubicolo con arcosolio privo d'iscrizioni e di pitture, nel quale il De Rossi credette di poter identificare il sepolcro di S. Timoteo.

Cimitero di S. Tecla. - Questo cimitero si svolge sotto la vigna Serafini, subito dopo il ponticello di S. Paolo. Fu chiamato dal Boldetti "Cimitero al ponticello di S. Paolo", ovvero "Cimitero anonimo". L'Armellini riconobbe in esso il cimitero di S. Tecla. Di questa Tecla non sappiamo nulla; essa fu deposta presso la tomba di S: Paolo forse a causa della omonimia con la discepola dell'apostolo.

Cimitero di Commodilla. - L'ingresso di questo cimitero, che prese ìl nome da una sconosciuta matrona cristiana, si trova nella via delle Sette Chiese nella vigna Serafini. Dopo l'abbandono del Medioevo, esso venne ritrovato dal Boldetti nel 1720, ma poi si ostruì nuovamente e rimase quasi del tutto inaccessibile fino agli scavi eseguiti dalla commissione d'archeologia sacra (1903-1905).

Gl'itinerari indicano in questo cimitero le tombe dei Ss. Felice e Adautto (30 agosto), martiri della persecuzione di Diocleziano.

La basilica cimiteriale dei Ss. Felice e Adautto fu edificata, come dicono gli atti, nel tempo della pace.

Via Ardeatina: Cimitero di Domitilla. - Fu in origine il sepolcro domestico dei Flavî cristiani e divenne poi un grande cimitero pubblico della Chiesa.

Appena si scende dalla nuova scala, che è vicina all'ingresso, si giunge alla basilica edificata sulla tomba dei Ss. Nereo ed Achilleo, martiri di Domiziano o di Traiano e addetti, secondo la leggenda, a Domitilla giuniore, nipote dell'imperatore Domiziano. Ivi fu anche sepolta S. Petronilla.

La basilica fu edificata fra il 390 e il 395, e rinvenuta nel 1874. Recentemente si sono riconosciute innanzi all'abside le tracce dei sepolcri di Nereo, Achilleo e Petronilla. Fra le iscrizioni affisse alle pareti, alcune portano l'indicazione del titolo di Fasciola da cui dipendeva la basilica.

Via Appia: Cimitero di Callisto. - Questo insigne cimitero ebbe forse origine nel sec. II, ma prese tal nome sul principio del III da Callisto diacono di Zeffirino, preposto all'amministrazione del cimitero, come attesta Ippolito romano. Callisto, divenuto pontefice, ingrandì la necropoli, che divenne nel sec. III il sepolcreto ufficiale dei papi.

La parte più antica del cimitero si riconosce in quella regione che il De Rossi chiamò le "cripte di Lucina". Ivi sono iscrizioni degli esordî del sec. II, due cubicoli con pitture di stile pompeiano, pure del principio del sec. II, col battesimo del Salvatore e il gruppo del pesce con un cesto contenente il pane e il vino, simbolo dell'Eucaristia.

Oltre alle cripte di Lucina il De Rossi distinse altre quattro regioni, e cioè: il cimitero propriamente detto di Callisto, con le cripte dei papi, di S. Cecilia, di S. Eusebio e la galleria dei Sacramenti; quello che egli chiamò inesattamente cimitero di S. Sotere e che aveva una propria scala; una grande regione del sec. IV, verso il nord, detta "regione Liberiana", perché vi si trovarono alcune iscrizioni dei tempi di papa Liberio; una regione più settentrionale, ancora in parte inesplorata, che in origine dovette essere un cimitero a sé, e che corrisponderebbe a quello di Marco e Balbina.

All'ingresso del cimitero, sopra terra, è una basilichetta a tre absidi, che va sotto il nome di "Cella tricora dei Ss. Sisto e Cecilia". Innanzi all'abside centrale si vedono gli avanzi d'un sepolcro, ora scoperto, che fu certo in venerazione; in esso può riconoscersi la tomba del papa Zeffirino, il fondatore del cimitero papale dell'Appia. Esso però non è probabilmente nel posto suo primitivo, ma è come lo vedevano i visitatori del sec. VII, i quali veneravano, insieme, anche il sepolcro di Tarsicio. Questo luogo fu poi sacro alla memoria di Sisto II, il quale, insieme con quattro suoi diaconi, fu martirizzato qui presso nel 258.

Nel sotterraneo si trova subito ai piedi della scala la cripta dei papi con le iscrizioni originali in greco di Antero (235), Ponziano (235), Fabiano (1250), Lucio (254), Eutichiano (184), e nel fondo la grande iscrizione damasiana, nella quale si enumerano i gruppi dei martiri sepolti nel cimitero.

Nella cripta contigua fu sepolta la martire S. Cecilia (forse del principio del sec. III). La cripta fu decorata più volte e vi si vedono ancora pitture dei secoli V, VI e IX. Le reliquie della santa furono di lì rimosse nell'anno 817 dal papa Pasquale I, e trasportate alla chiesa eretta sulla sua casa nuziale nel Trastevere. La cripta in seguito a ciò fu abbandonata, e si rinvenne solo nel 1854. Un altro centro storico assai notevole è la cripta del papa Eusebio; nella cripta incontro a questa si vede l'iscrizione sepolcrale primitiva del papa Caio (anno 296).

In una parte più lontana può visitarsi la cripta del papa Cornelio, con la sua iscrizione sepolcrale contemporanea (252) contenente il titolo martyr.

Sopra terra, vergo ovest, è un'altra cella tricora, chiamata una volta di S. Sotere, sembra che possa riconoscervisi invece il bisomo dei martiri fratelli Marco e Marcelliano, poiché la tomba di questi e quella di papa Damaso si debbono porre fra il cimitero di Callisto e quello di Domitilla, sopra terra. Nella cripta detta delle Quattro colonne, sotto l'antico monastero dei Trappisti, va infine posto con molta probabilità il Santuario dei martiri greci del tempo di Valeriano.

Cimitero di S. Sebastiano ad catacumbas. - Il cimitero di S. Sebastiano, che sta sotto la basilica omonima, è quello che ebbe in origine il nome di cimitero ad catacumbas. La più importante memoria storica che ad esso si rannoda è quella degli apostoli Pietro e Paolo, che secondo alcuni avrebbero abitato qui presso, o di cui, secondo altri, furono qui deposte provvisoriamente le reliquie nel sec. III. Recenti scavi hanno portato in luce un complesso di monumenti di straordinaria importanza. A circa quattordici metri di profondità dal piano attuale della chiesa, in una cavità naturale, che bene spiega il nome ad catacumbas dato alla località, sono siate scoperte tre camere sepolcrali, ornate di pitture, in origine certamente pagane, poi circa il sec. III venute in possesso di Cristiani. Sopra ad esse, che poco dopo tale epoca furono interrate, sorse una triclia o loggia aperta, destinata alle riunioni dei fedeli, che quivi si raccoglievano per celebrare i refrigeria o banchetti funebri. Un grandissimo numero di graffiti, sparsi su tutte le pareti conservate della triclia, e contenenti invocazioni ai Ss. Pietro e Paolo, ci testimoniano in modo indubbio che tali refrigerî erano celebrati soprattutto in memoria degli apostoli (sui recenti scavi di S. Sebastiano, v. G. Mancini ed O. Marucchi, in Notizie Scavi, 1923, p. 1 segg.; v. anche Nuovo Bull. Arch. Crist., 1915 segg., passim).

Nel sec. IV si eresse sul cimitero una basilica, che fino al sec. VIII fu chiamata basilica Apostolorum, ed è quella che in alcuni codici del Liber pontificalis è attribuita al papa Damaso. Soltanto nel sec. VIII la basilica cambiò il nome antico in quello di basilica sancti Sebastiani, in onore di S. Sebastiano anch'egli deposto apud vestigia Apostolorum.

Cimitero di Pretestato. - Il cimitero esisteva già nella seconda metà del sec. II, poiché vi fu sepolto S. Gennaro, primogenito di S. Felicita, martire sotto Marco Aurelio (162); si può vedere la sua cripta nella spelunca magna.

Via Latina. - I cimiteri della via Latina sono, cone quelli della via Aurelia, i soli non esplorati regolarmente. Seguendo gl'itinerarî si puòstabilire presso a poco così l'ordine topografico dei tre gruppi di essi: 10 il cimitero con la chiesa di S. Gordiano, ubi ipse cum fratre Epimaco in una sepultura (iacet); e ivi presso il gruppo dei Ss. Quarto, Quinto, Trofimo ed altri; 2° la basilica col cimitero di Tertullino; 3° la chiesa di S. Eugenio col cimitero di Aproniano.

Via Labicana: Cimitero di S. Castulo. - L'ingresso, oggi ostruito, stava a destra della via Labicana presso l'acquedotto Felice. Secondo gli atti, Castulo, domestico dell'imperatore Diocleziano, di cui si parla nella passio di S. Sebastiano, essendo stato denunziato per cristiano fu gettato vivo in una cava della via Labicana, non lungi dalla città, e poi ivi sepolto. Il Fabretti scoprì il suo cimitero nel 1672, avendo trovato una iscrizione che nominava il martire. Nel 1864, in occasione dei lavori per la strada ferrata, se ne riconobbero alcune gallerie, ma si dovette mutare l'ingresso, perché era in uno stato di completa rovina.

Cimitero dei Ss. Marcellino e Pietro. - L'ingresso sta presso il mausoleo di Sant'Elena (Tor Pignattara). In questo cimitero gl'itinerarî ricordano diversi gruppi di martiri della persecuzione di Diocleziano.

I Ss. Marcellino e Pietro, l'uno prete, l'altro esorcista, furono martirizzati sulla via Cornelia, e poi sepolti presso al martire Triburzio, figlio di Cromazio prefetto di Roma. Intorno ai santi Quattro Coronati, deposti nello stesso cimitero, sappiamo ben poco, e si può dire che la loro storia costituisca uno dei più difficili problemi dell'antica agiografia.

Ivi era anche il sepolcro di Elena, madre di Costantino, il quale costruì una basilica in onore dei Ss. Marcellino e Pietro, i corpi dei due santi rimasero nella cripta sotterranea fino all'anno 826, quando furono rimossi e trasportati prima in Francia e poi in Germania, dove ancora si venerano. La cripta fu rinvenuta nel 1897: essa è notevole per la sua forma, che imita quella d'una piccola basilica, nel cui mezzo è il sepolcro con l'altare.

Via Tiburtina: Cimitero di Ciriaca o di S. Lorenzo. - Questo cimitero fu chiamato di Ciriaca dal nome d'una vedova cristiana; ma dovette tutta la sua importanza al sepolcro del martire S. Lorenzo, ucciso nella persecuzione di Valeriano (10 agosto 258). Il cimitero si svolgeva nell'area che fu poi occupata dalla basilica, e sotto la prossima collina; ma i lavori per il moderno cimitero hanno molto danneggiato il sotterraneo.

L'imperatore Costantino eresse la basilica di S. Lorenzo ad corpus, al piano stesso della cripta del martire, ma, non essendo questa sufficiente a contenere la moltitudine dei fedeli, il papa Sisto III (432-40) costrui la nuova basilica, detta basilica maior.

Le due basiliche, la costantiniana e quella del sec. V, furono poi riunite ai tempi di Onorio III (1216-27).

Cimitero di S. Ippolito. - Si svolge a sinistra della via Tiburtina incontro a quello di S. Lorenzo. Gli scavi fatti finora non hanno messo alla luce monumenti che abbiano potuto risolvere il problema intorno alla figura, d'altronde assai oscura, di questo santo. Si ritiene che egli fosse il prete e dottore della chiesa romana (sec. III), di cui si ha nel Museo Lateranense la bella statua marmorea sedente, scoperta qui presso.

Gli scavi compiuti negli anni 1882-1883 portarono alla scoperta della piccola basilica sotterranea, composta d'un doppio vestibolo, di una navata oblunga e del santuario con l'abside nel fondo.

Via Nomentana: Cimitero di S. Nicomede. - Il cimitero di Nicomede sembra che possa riconoscersi in un vasto sotterraneo ora distrutto dalla fabbrica della Direzione delle ferrovie.

Cimitero di S. Agnese. - Poche e vaghe sono le notizie che abbiamo intorno a S. Agnese, che fu uccisa sotto Decio nel 250.

Il cimitero è senza dubbio anteriore alla deposizione della martire; ma, dopo che questa vi fu sepolta, esso prese un grande sviluppo, giacché risulta composto di tre piani e si può distinguere in tre regioni: la regione primitiva, a sinistra della basilica, anteriore al sec. III; una regione del sec. III fra la basilica, la via Nomentana e S. Costanza; due gruppi di gallerie del sec. IV, uno sotto la Nomentana, l'altro comunicante con il mausoleo di S. Costanza.

La basilica di S. Agnese è stata edificata sul sepolcro stesso della santa, a livello della parte più antica del cimitero. La basilica attuale è quella ricostruita dal papa Simmaco, mentre la primitiva fu eretta da Costantino.

Cimitero naggiore di S. Agnese sulla via Nomentana. - L'ingresso è a sinistra della via Nomentana nella vigna Leopardi.

Gli antichi archeologi lo chiamar0no col nome di S. Agnese e così fu sempre chiamato anche dal De Rossi, il quale soltanto più tardi credé di riconoscervi quel cimitero Ostriano, dove si conservava la memoria del battesimo amministrato da S. Pietro e della sua sede primitiva. Ma ulteriori studî e recenti scoperte hanno mostrato che tale denominazione non è giusta, e che le memorie della prima predicazione di S. Pietro in Roma debbono piuttosto collegarsi al cimitero di Priscilla. Il nome di cimitero maggiore dato a questo sotterraneo della Nomentana da alcuni antichi documenti deve spiegarsi in relazione al più piccolo cimitero di S. Agnese (Coemeterium in agello) posto sotto la basilica.

Cimitero di S. Alessandro. - È al VII miglio della Nomentana e conserva grandiosi avanzi della basilica eretta sul sepolcro del martire e scoperta nel 1855 (apparterrebbe al gruppo dei cimiteri suburbicarî, ma si indica per solito fra i cimiteri di Roma per la sua vicinanza alla città).

Si crede da alcuni che il martire Alessandro non fosse il papa di questo nome, come vorrebbe la tradizione, ma piuttosto un martire locale, forse della vicina Ficulea.

Via Salaria: Cimitero di S. Felicita. - L'ingresso è a destra della via Salaria presso la via Simeto. Si chiama anche coemeterium Maximi, dal nome d un ignoto personaggio che ne fu il fondatore. Santa Felicita, martire della persecuzione di Marco Aurelio (162), vi fu deposta insieme con l'ultimo dei suoi figli, Silano, e il luogo del suo sepolcro fu riconosciuto in seguito agli scavi dell'anno 1885. Vi si rinvenne infatti una basilichetta sotterranea che si trova subito ai piedi della scala. In fondo alla parete si veggono gli avanzi d'una pittura bizantina, rappresentante in alto il busto del Salvatore e sotto di lui le figure di S. Felicita e de' suoi figli, con alcune lettere dei loro nomi ancora visibili.

Cimitero della Vigna Massimo. - L'ingresso è a destra della villa Massimo. Questo cimitero, situato sotto le ville Massimo e Savoia, è il più profondo della Roma sotterranea, potendovisi riconoscere fino a cinque piani; i gruppi delle sue gallerie sono separati da un'immensa arenaria.

Qui accanto era anche il cimitero dei Giordani.

Cimitero di Priscilla. - L'1ngresso è sulla via Salaria, poco prima di giungere al ponte sull'Aniene.

È il più insigne e il più antico dei cimiteri cristiani di Roma. Ebbe il nome da Priscilla, madre di quel Pudente che, secondo una tradizione, avrebbe ospitato S. Pietro nella sua domus presso il Viminale, dove oggi è la chiesa di S. Pudenziana. Dopo la pace della Chiesa fu ivi edificata una basilica, recentemente rimessa in luce e in venerazione, nella quale furono collocati i corpi dei Ss. Felice e Filippo. O. Marucchi ritiene che in esso, e non nel cimitero della via Nomentana, doveva conservarsi il ricordo della prima sede di S. Pietro in Roma.

Fra i gruppi più importanti del cimitero è la "cappella greca", così detta per due iscrizioni greche dipinte su una parete. Essa è una vera chiesa, divisa da un arco in due parti e adorna di pitture con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, del sec. II. L'affresco più prezioso rappresenta la comunione eucaristica o Fractio panis. La regione vicina è scavata in un'antica arenaria; nella parte più antica vi sono ancora intatte tombe del sec. II e molte iscrizioni dipinte in rosso su tegole. In una cappella si ammira la più antica pittura della Vergine esistente nelle catacombe, del principio del sec. II. In un altro cubicolo del sec. III è dipinta la scena della consacrazione d'una vergine; il vescovo seduto in cattedra ha il tipo iconografico tradizionale di San Pietro.

Negli scavi del 1888-89 fu scoperto l'ipogeo degli Acilii Glabrioni; le tracce di pitture nelle gallerie adiacenti e i marmi ivi trovati provano che esso era riccamente decorato. I nomi dei proprietarî ci sono forniti da parecchie iscrizioni.

Cimitero di S. Ermete. - Ivi è un'importante basilica sotterranea; in questo cimitero il Marchi scoprì nel 1845 l'iscrizione originale del martire S. Giacinto. Poco lungi di lì nel 1919 si scoprì il cimitero di Panfilo, assai notevole per la grande conservazione dei suoi sepolcri.

Via Flaminia: Cimitero di S. Valentino. - L'ingresso è sul principio del viale dei Parioli. S. Valentino, prete della Chiesa Romana, morì martire sotto Claudio il Gotico (268-70) e fu sepolto al 1° miglio della via Flaminia dalla matrona Sabinilla. Presso la cripta fu innalzata nel sec. IV una basilica dal papa Giulio I (337-52); e intorno ad essa si formò un vasto cimitero all'aperto che si estendeva nella pianura sottoposta ai monti Parioli.

Nel febbraio 1928 vi si scoprì un frammento d'iscrizione Damasiana, la quale conferma che veramente lì stava il sepolcro di questo martire.

Da distinguersi dai cimiteri di Roma sono i cimiteri suburbicarî appartenenti alle piccole città vicine a Roma: degni di menzione sono quelli di Albano, Mentana, Grottaferrata, Montelibretti (S. Antimo), S. Sinforosa sulla via Tiburtina, ecc.

Catacombe fuori di Roma. - Oltre a quelli di Roma e del suo suburbio, i più notevoli cimiteri cristiani d'Italia sono quelli di Napoli e di Siracusa. Questi differiscono da quelli di Roma per essere stati in origine cave di pietra; la durezza della roccia ha talora permesso che assumessero dimensioni più vaste e comode in confronto di quelle necessariamente anguste dei cimiteri di Roma. Tuttavia il modo di seppellimento è identico, e i loculi e gli arcosolî di poco differiscono dalle forme usuali.

A Napoli le gallerie cimiteriali si estendono sotto le alture di Capodimonte e sono scavate nel tufo; le più antiche risalgono al sec. I e sono d'origine pagana, come dimostra il carattere della decorazione. Nel sec. II in una cripta fu sepolto il vescovo di Neapolis, Agrippino; questa cripta e quella vicina del martire Gennaro formarono il nucleo del vasto cimitero. Notevole è un vasto triclinium le cui pitture pagane furono coperte con soggetti cristiani. Le gallerie del piano superiore hanno pitture di vario soggetto, notevoli fra le altre le visioni del Pastore di Erma, tre fanciulli che costruiscono una torre, ecc. Vicino è il cimitero di S. Gaudioso che si apre nella confessione della chiesa di S. Maria della Sanità.

Le catacombe di Siracusa si svolgono nel sottosuolo dell'antica Achradina, presso la Latomia dei Cappuccini, annessa alla chiesa di S. Giovanni, la cattedrale medievale siracusana.

Formano una vera città sotterranea con grandi e piccoli ambulacri scavati nella roccia calcare, con veri e proprî piazzali e crocevie. Nelle intersezioni delle gallerie si notano grandi stanze con vòlta a botte, illuminate da ampî lucernarî. Colpisce la regolarità quasi perfetta della pianta, con un ampio decumano massimo dal quale si dipartono lateralmente gallerie normali al suo asse, alla loro volta intersecate da altre gallerie minori parallele al decumano.

Questa regolarità di allineamento, di proporzioni e di disposizioni si deve al fatto che le gallerie furono scavate come sepolcreto, forse prima della conquista romana della Sicilia. Soltanto molto tardi divennero un cimitero cristiano. Le pareti delle gallerie, nelle quali si aprono le tombe arcuate, sono in più punti rivestite di stucco e adorne d'affreschi con i consueti simboli cristiani. Le gallerie minori conducono a cinque vasti cubicoli; uno di questi è detto la rotonda di Adelphia, per esservisi trovato il bellissimo sarcolago recante questo nome, ora nel museo di Siracusa. Altre gallerie cimiteriali siracusane di minore importanza sono tra Villa Landolina e la chiesa di S. Maria di Gesù, nella vigna Cassia; le più antiche risalgono alla seconda metà del secolo III d. C.

Presso l'antica capitale di Malta, a Rabato, si svolge una caratteristica catacomba le cui gallerie corrono con molta irregolarità di pianta, diramandosi in tutte le direzioni.

Fra le altre catacombe esistenti in Italia è degna di nota quella di Chiusi, presso ll vecchio cimitero, scoperta nell'anno 1634 e sterrata nel 1831. Risale al sec. III ed è chiamata di S. Mustiola: la sepoltura originale di questa è nel corridoio centrale. Nel cubicolo principale è una sedia episcopale, ricavata nel masso.

Altre catacombe, generalmente di modeste dimensioni, sono quelle di Anagni, Sutri, Nepi, Soriano al Cimino (S. Eutizio di Fèrento), Bolsena (S. Cristina), Otricoli, Valmontone, Subiaco, Velletri, Monteleone Sabino. Nell'Italia centrale furono identificati cimiteri cristiani a Lucca Prato, Aquila (martiri di Amiternum), Terni, Vulci. Nell'Italia meridionale a Sessa Aurunca, Nola, Pozzuoli, Castellammare di Stabia (S. Biagio), Sorrento, Atripalda (S. Ippolito), Manfredonia, Canosa di Puglia, Oria, Venosa, Tropea. Per la Sicilia, oltre alle già menzionate, vanno ricordate le gallerie cimiteriali cristiane di Taormina, Palermo, Messina (S. Placido), Naro, Agrigento (Grotta dei Frangipani), Ragusa.

Accenneremo soltanto di volo ai numerosi cimiteri cristiani esistenti fuori d'Italia. In Francia si hanno ipogei di carattere cristiano a Marsiglia, Poitiers, Reims, Saint-Victor; in Spagna a Saragozza, Siviglia, Elvira. In Germania il cimitero di S. Eucharius a Treviri, in Ungheria l'ipogeo di Pécs.

In Africa merita speciale menzione la piccola catacomba di Alessandria d'Egitto, ricca di pitture di carattere liturgico. Nei pressi della stessa città si trovano gallerie cimiteriali cristiane più estese che hanno origine egizio-greca.

Altri notevoli cimiteri cristiani africani sono quelli di Hadrumetum (Susa), di Sitifi (Sétif), di Sirte e di Cirene. Termineremo questa rapida rassegna con la menzione della vasta necropoli di Sidone in Siria, e del cimitero cristiano di Kerč, in Crimea.

Catacombe ebraiche c di eretici in Roma. - Le catacombe ebraiche della via Appia risalgono ai secoli II e III. Se ne distinguono tre: una nella vigna Randanini, un'altra dietro S. Sebastiano nella vigna Cimarra, la terza sulla via Appia Pignatelli. La prima è la più importante. I cimiteri hanno in generale la stessa forma di quelli cristiani, unica essendone l'origine. Si distinguono tuttavia per i simboli giudaici tracciati sulle lastre tombali (candelabro a sette braccia, corno dell'unzione, ecc.).

Le iscrizioni sono quasi tutte in greco, alcune poche in latino; rarissime quelle in ebraico: sono talora notevoli per la menzione dei dignitarî della sinagoga. Queste catacombe appartenevano alla numerosa comunità ebraica della porta Capena e delle regioni limitrofe all'Appia. Altre catacombe ebraiche furono scoperte nel 1882 sull'antica via Labicana (Cailina), nella vigna Apolloni, contenenti le sepolture degli ebrei della Suburra. Le vastissime catacombe ebraiche di Monteverde (antica vigna Pellegrini) appartennero agli ebrei della numerosa comunità del Trastevere. Anche sulla via Nomentana è stato scoperto un altro cimitero ebraico le cui gallerie si svolgono sotto la villa Torlonia (Not. scavi, 1920, p. 143 segg.).

Alcuni altri ipogei scoperti in Roma, pur avendo un carattere cristiano, appartennero a cristiani eterodossi, e le pitture che ne decorano le pareti sono ispirate all'eclettismo delle varie sette gnostiche, fra le quali furono molto potenti in Roma nel sec. III quella degli Ofiti e quella dei Carpocraziani. Importante è l'ipogeo. messo in luce nel 1919, fra la via di Porta Maggiore e il viale Manzoni. Un'iscrizione in musaico nel mezzo del pavimento indica che il monumento sepolcrale appartenne a liberti della gens Aurelia. Di grande interesse e di ancora discussa interpretazione sono i soggetti delle numerose pitture che lo decorano. Notevoli, fra le altre, le figure in piedi di personaggi, vestiti di tunica e pallio, che si ritiene rappresentino gli Apostoli. Altri soggetti rappresentati sono il Discorso della montagna e alcune scene con personaggi e sfondi paesistici di difficile interpretazione. L'ipogeo e le pitture si possono datare ai primi decennî del sec. III (G. Bendinelli, L'ipogeo degli Aurelii, in Mon. Lincei, XXVIII).

Un altro ipogeo con pitture cristiane eterodosse, che prende il nome dal suo fondatore e proprietario Trebio Giusto, esiste presso l'antica via latina, in via Gino Capponi. Un singolare miscuglio di elementi pagani e cristiani, tuttora oggetto di studio e di discussione, appare in un altro ipogeo scavato nel 1923 all'angolo di via Po con via Livenza; in esso, accanto alla figura di Diana cacciatrice, vi è un avanzo di musaico con la rappresentazione del noto gruppo di Mosé-S. Pietro che fa scaturire l'acqua dalla rupe, mentre un milite inginocchiato si disseta. Sul davanti del vano è scavato un vascone. Appartiene al sec. IV (G. Wilpert, in Rend. Accād. Pont., ser. II, t. II, p. S7 segg.; R. Paribeni, in Not. scavi, 1923, p. 380 segg.).

Bibl.: A. Bosio, Roma sotterranea, Roma 1632; P. Aringhi, Roma subterranea, Colonia e Parigi 1650 (2ª ed.); G. Marchi, Monumenti delle arti cristiane primitive nella metropoli del Cristianesimo, Roma 1844; G. B. De Rossi, Roma sotterranea cristiana, Roma 1864-67; O. Marucchi, Les catacombes romanes, Parigi 1900; id., La nuova Roma sotterranea, 1° e 2° fascicolo (Cimitero di Domitilla), Roma 1914, in corso di pubbl.

Arte. - L'arte cimiteriale cristiana consiste soprattutto nella decorazione pittorica e in qualche tenue resto musivo, in sarcofagi (v.) e in suppellettili d'arte minore (per le quali v. avorio e vetri). Circa l'architettura giustamente osservò P. Toesca che è meglio parlare di pratica fossoria, giacché rade volte s'incontra qualche ambiente che abbia un certo valore o pretesa architettonica. Per quanto riguarda gli ambienti con un certo adattamento architettonico, non grande valore estetico hanno taluni cubicoli con colonne angolari cavate dalla stessa parete tufacea e raccordate alla vòlta, ed altri con arcosolî e pareti rivestite di marmi. In una cripta del cimitero di Domitilla si nota lo studio d'una pianta quazi circolare costituita da due grandi absidi affrontate (cripta dei Fornai; sec. IV). Nella cosiddetta spelunca magna del cimitero di Pretestato v'è tutta una decorazione laterizia, specie nelle mostre di porte, che ricordano quelle delle case ostiensi, della coorte dei Vigili in Trastevere, dell'ipogeo degli Aurelî al Viale Manzoni (inizî del sec. III).

Quanto alle pitture cimiteriali, in tutte le trattazioni finora apparse è predominante la preoccupazione del contenuto iconografico e del valore teologico di esse, mentre ogni giudizio sul loro carattere stilistico è un po' scosso dal fatto che ci mancano ancora due elementi: una precisa assegnazione cronologica delle varie pitture; uno studio esauriente della contemporanea pittura profana del mondo romano a partire dalla fine del sec. I sino ad arrivare al V. Purtroppo fino a non molto tempo addietro lo scavo delle catacombe è stato condotto senza quella diligenza che oggi la tecnica giustamente richiede. Per la seconda deficienza, notiamo che qualche buono studio recente sulla pittura romana non è che un inizio; e noi ci troviamo ancora ai quattro stili della pittura pompeiana distinti dal Mau, mentre varie scoperte dimostrano che dopo quel periodo l'arte pittorica romana ha avuto un suo grande risalto originale.

Per giudicare delle pitture delle catacombe, bisogna anche tener conto del loro stato originario. L'aria umida dei sotterranei le conserva assai bene, ma troppi scavatori fra il '500 e l'800 procedettero senza alcun riguardo, spinti da un sacro ardore talvolta malinteso. Gli antichi eruditi fecero eseguire delle copie; ma con quanta cautela ci si debba servire di esse ha dimostrato il Wilpert.

Per la tecnica, si noti che le pitture delle catacombe non sono encausti, ma solamente affreschi. L'encausto richiede vari strati d'intonaco ben preparati, mentre nell'opus tectorium delle catacombe il Wilpert ha rilevato due strati fino al sec. III, e, salvo eccezioni, uno solo in età posteriore. Le pareti di tufo e pozzolana non riescono a sostenere un grosso strato d'intonaco. La fattura di questi intonachi è più accurata negli ambienti più antichi, mentre tipi pessimi si hanno nel cimitero Maggiore e in S. Ermete. I colori sono minerali perché la calce fresca non li distrugga. La tavolozza è povera: predominano l'ocra gialla, il rosso e il verde; più raramente si trovano il minio e il cinabro e assai più raro è il turchino.

La pittura cimiteriale romana si distende su pareti e vòlte di cubicoli, sullo sfondo, nel sottarco e sulla fronte degli arcosoli (v. arcosolio), in alcuni casi anche su pareti e vòlte di ambulacri monumentali (v. quello dei Flavî in Domitilla). La vòlta dei cubicoli ha partizioni geometriche che imitano un po' quelle coeve dell'arte sepolcrale profana. Il Markthaler ha distinto varî sistemi di scomparti. Tutto, specie nelle vòlte, è disciplinato (la partizione di frequente è con striscie rosse) e non si nota quella libertà che per es. appare nella cupola della camera sepolcrale di el-Khārgeh nella Grande Oasi (Egitto). Più libere talvolta le figurazioni su pareti (es. cubicolo dei Cinque Santi, in Callisto; cubicolo nelle catacombe di Vigna Massimo, ecc.).

Il genere di pittura è impressionistico. Nota il Toesca che già nell'arte profana si era manifestata questa decorazione rapida a masse di colore, a tratti che mettono in evidenza un aspetto caratteristico, a effetti illusionistici. In catacomba si sviluppò assai per le particolari condizioni dei luoghi sotterra ove industriarsi nelle rifiture dei particolari è opera inutile. Sulla scelta dei colori dominanti influì la illuminazione artificiale. In principio si stentò alquanto a capire la necessità di certi accorgimenti. I pittori dell'ambulacro cosiddetto dei Flavî in Domitilla (che sono del sec. II avanzato e non del I come crede il Wilpert: nel I si praticava il rito della cremazione nel soprassuolo) dipingono gli amorini a masse sfumate di colori brillanti. Tentano poi la pittura di genere col paesaggio di tipo ellenistico. Quelli delle cripte di Lucina in Callisto (sec. II), se pure più decisi, hanno ancora grandi trasparenze di colori e grandi raffinatezze. Ma l'esempio maggiormente istruttivo del passaggio da un orientamento all'altro è nella cosiddetta cappella greca in Priscilla. Qui, sotto la protezione di una nobile famiglia, si era stabilito assai per tempo (forse alla fine del sec. I) un oratorio entro un criptoportico della villa. Il pittore vi aveva delineato su fondo rosso pompeiano scene di contenuto escatologico: la coena caelestis col Cristo che frange il pane ai suoi fedeli nelle mense superne (la cosiddetta fractio panis), Noè uscente dall'arca, Daniele nella fossa dei leoni, ecc. Nella scena di Daniele aveva dipinto uno sfondo con un palazzo di villa romana. Nella vòlta dipinse figurette palliate che sembrano innalzarsi su corolle fioreali, tipo che ricorda affreschi pompeiani. Ma, in una seconda fase decorativa, la parte anteriore del cubicolo fu tutta dipinta su Iondi biancastri, e le scene di Susanna, o dei Fanciulli nella fornace, si fecero in ben diversa proporzione, sgraziate, senza cura di particolari, urtanti sul fondo unito e chiaro. Si può attribuire questo secondo periodo alla seconda metà del sec. II. Più abile, ma sempre nello stesso indirizzo è il più antico decoratore del cosiddetto cubicolo della Coronatio in Pretestato, che abbonda di luci giallastre, fatte risaltare contro magnifici rossi. Le figure si rilevano da lontano, ma da vicino sono soltanto masse chiaroscurate. Oramai le scene si riducono ai personaggi indispensabili, senza sfondo alcuno. La decorazione, tracciata rapidamente, ha particolari di una sintesi miracolosa che in poche macchie di colore individua un vaso, un uccello, un ippocampo, una gazzella, un delfino, una ninfa (v. lo stupendo es. della vòlta di un cubicolo di Pretestato: inizî sec. III). In questa seconda fase pittorica, sugli inizî va collocata anche la celebrata Madonna di Priscilla (seconda metà del sec. II) che ha vicino un Buon Pastore rilevato in stucco.

In una terza fase i colori si fanno meno luminosi, le tinte calde spesseggiano e i rapporti sono più aspri, i chiaroscuri più vibrati. Si fa strada in molte pitture quella che si potrebbe chiamare una "maniera rossa", cioè un prevalere di rossi e di gialli coriacei offuscati da larghe ombre scure. Tipica la Velatio Virginis in Priscilla che va confrontata con le scenette di Amore e Psiche in Domitilla (sec. III ambedue). In una quarta fase risorge il gusto del colore, ma non più tenue e brillante, bensì caldo ed applicato a masse decise. Si giunge a quel capolavoro che è la Madonna orante del Coemeterium Maius sulla Nomentana (sec. IV).

A quali audacie giungessero questi pittori lo prova il decoratore della cripta detta "degli Apostoli piccoli" in Domitilla Ivi, in un sottarco, egli si studiò di volgere i personaggi del Collegio apostolico in modo che apparissero a chi li contempla, in posizione normale, e lo fece con scorci arditissimi (l'opera è del sec. IV). Nella seconda metà del sec. IV un pittore in Pretestato dipinge Susanna e i vecchioni sotto veste di agnella fra i lupi, figurandoli con linee scure, ben nette sui fondi uniti. Comincia il disgregamento del colore di cui c'è pure qualche accenno nella scena del Cristo fra Pietro e Paolo e dell'Agnello fra i martiri Pietro, Gorgonio, Marcellino e Tiburzio, che si ammira nel cimitero dei Ss. Pietro e Marcellino sulla Labicana. Nel sec. V si entra nell'ultima fase della pittura cimiteriale: Colori giustapposti a piani uniti e contrastanti l'uno con l'altro. Ne sono esempî i santi del cimitero di Ponziano sulla Portuense, che appaiono rigidi a lato della croce gemmata (fine secolo V), e soprattutto il capolavoro di quest'ultimo stile: la Madonna in trono venerata dalla matrona Turtura (inizî sec. VI), affresco del cimitero di Commodilla presso la Via Ostiense. Ormai l'evoluzione della pittura cimiteriale segue la maniera dei decoratori basilicali e non obbedisce più alle peculiari necessità dei luoghi. Si nota a parte il cubicolo di Ampliato in Domitilla, ov'è una singolare imitazione di finte architetture dell'ultimo stile pompeiano, però così scialba e lontana che denuncia un'epoca più recente dei secoli I-VI fino ad ora indicati. Ravvicinare molte delle più antiche pitture cimiteriali, come vorrebbero il Wirth e in parte lo Styger, é esagerare per smania di novità. Varie altre pitture dovranno invece ritenersi di fattura più recente.

Molto l'arte cimiteriale romana ha preso dalla corrente decorazione di gusto ellenistico, parecchio si è anche valsa di motivi profani; ma tutto ha subito una grandiosa rielaborazione per effetto delle condizioni dei luoghi, per impulso d'un nuovo patrimonio d'idee che ormai nella comunità cristiana di Roma aveva il suo fulcro. Nessun pittore veramente ligio alla tradizione, asservito al gusto antiquato od esotico dei committenti, si sarebbe mai lanciato a certe esperienze di alcuni decoratori delle catacombe. Quando si parla di rozzi pittori, non si considera il fatto che a molte di queste sintesi pittoriche si giunge soltanto dopo una lunga e meditata evoluzione. Perciò l'arte delle catacombe ha una sua grande originalità fino ad ora quasi negletta.

Giustamente il Komstedt considera questo genere di pittura come vormittelalterlich, cioè nel senso di "precedente" l'arte medievale. Egli constata che nel primo periodo dell'arte cristiana la figurazione è a base realistica, ma simbolizzata in servizio dell'idea religiosa, mentre nel secondo periodo si progredisce verso uno stile "trascendentale" dove la stessa immagine ha il compito di rendere l'astrazione dell'idea religiosa. Qui si deve ricercare la radice dell'arte bizantina.

Fuori di Roma, le catacombe di S. Gennaro in Napoli mostrano l'evoluzione pittorica dalla metà del sec. II fin verso il X, poiché in questo cimitero si è continuato a seppellire fino a epoca tarda. Le pitture più antiche sono sulla linea evolutiva dell'ultima fase pompeiana, quella che ci è documentata ampiamente negli ultimi scavi di Via dell'Abbondanza. Si ricordi il cubicolo ov'è la più antica scena di Adamo ed Eva ed un'altra simbolica tratta dal Pastore di Erma. Ivi tutto è sapientemente sfumato e ha tonalità brillanti. I particolari sono di grande finezza. Invece gli affreschi più recenti hanno gli sbattimenti di colore proprî della pittura che ha subito un lungo influsso bizantino, pur non rinunciando a uno spirito tutto proprio, che si potrebbe dire campano.

Ancora più orientaleggianti sono gli affreschi delle catacombe di Siracusa: enormemente appiattito è quello dell'arcosolio di Vigna Cassia. Meriterebbero maggiore studio gli affreschi del cimitero sardo presso Cagliari e anche quelli dei cimiteri cirenaici incompletamente osservati dal Pacho. Degli affreschi di Alessandria ci resta una traccia in copie assai mediocri dell'opera di Nerutsos bey, insufficienti per un giudizio stilistico.

In quanto ai musaici delle catacombe romane, purtroppo non ne rimane che qualche breve traccia in Ermete e in Priscilla, e in pochi altri cimiteri. Due pezzi stanno al Museo Lateranense (clipei a cubi grossolani con figure di uomo e donna, provenienti dal cimitero di Ciriaca; galletto a piccoli cubi, di fattura egregia, proveniente pure da Ciriaca). (V. tavv. CXXVII-CXXXII e tavv. a colori).

Bibl.: G. Marchi, Monumenti delle arti cristiane primitive, I: Architettura, Roma 1844; J. Wilpert, Die Katakombengemälde und ihre alten Kopien, Friburgo in B. 1891; F. X. Kraus, Geschichte der christlichen Kunst, Friburgo in B. 1896 segg.; J. Wilpert, Pitture delle catacombe romane, ed. ital., Roma 1903; L. v. Sybel, Christliche Antike, Marburgo 1909; O. Wulff, Altchristliche und byzantinische Kunst, Berlino-Neurbbelsberg 1913; C. M. Kaufmann, handbuch der christlichen Archaeologie, 3ª ed., Paderborn 1922; O. Marucchi, Manuale di arch. cr., 3ª ed., Roma 1923; F. Grossi Gondi, I monumenti cristiani iconografici ed architettonici dei sei primi secoli, Roma 1923; K. Pfister, Katakumbenmalerei, Potsdam 1924; W. Neuss, Die Kunst der alten Christen, Augusta 1926; P. Styger, Die altchristliche Grabeskunst, Monaco 1927; id., in Zeitschr. f. kath. Theol., 1929, p. 545 segg.; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927; P. Markthaler, Die dekorativen Konstruktionen der Katakombendecken Roms, in Römische Quartalschrift, XXXV (1927), pp. 53-111; R. Kömstedt, Vormittelalterliche Malerei, Augusta 1929; F. Wirth, Römische Wandmalerei vom Untergang Pompejis bis Hadrian, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Röm. Abt., XLIV (1929), fasc. 1-2, p. 91 segg.

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