ALFIERI, Catalano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

ALFIERI, Catalano

Alberto Merola

Nacque probabilmente nel 1602. Figlio del conte Urbano di Magliano, colonnello della cavalleria del duca di Savoia, governatore di Alba e di Villanova d'Asti e valoroso combattente nelle ultime guerre di Carlo Emanuele I, l'A. divenne, alla morte del padre, "consignor di Maglianò, Ferrere e Castellinaldo, conte di Castagnole delle Lanze" e fu quindi fra i più grandi feudatari del Piemonte ed il maggiore dell'Astigiano. Educato alla carriera militare, iniziò diciassettenne la vita di soldato ed occupò numerose ed importanti cariche, sia militari sia politiche, dimostrando notevoli doti di coraggio e di fedeltà al sovrano, ma, forse, non altrettante capacità di uomo politico e di cortigiano.

Le prime notizie che restano sul suo valore militare si riferiscono al combattimento della barricata di Susa contro I Genovesi (1625); l'A. combatté in seguito a Trino, Crescentino e Santhià, e nel 1635, partecipando alla presa di Ceva, venne ferito ad una spalla in modo da restarne storpio per tutta la vita. Durante la crisi succeduta nel ducato alla morte di Vittorio Amedeo I (1636), con la reggenza di Maria Cristina di Borbone, "Madama Reale", l'A. si schierò tra i fautori della reggente, i "madamisti", e partecipò alla difesa di Torino assediata dalle truppe "principiste" del cardinale Maurizio e del principe Tommaso di Carignano. Dal 1642, dopo la pacificazione interna del ducato, fu nominato comandante di Ceva e delle Langhe e, nell'anno successivo, diede un notevole contributo all'azione per sottrarre Asti al dominio spagnolo.

Nel 1647, in seguito alla pubblicazione, ad opera di un ex frate cisterciense, Antonio Gandolfo, di un almanacco astrologico dal titolo Accademia planetaria, ove erano contenute funeste profezie per il duca Carlo Emanuele e per sua madre Maria Cristina, si iniziò un processo, sotto accusa di congiura, contro l'autore dell'almanacco e contro altre persone implicate nel fatto. L'A., che era ancora governatore di Ceva, riuscì a catturare il Gandolfo che tentava di fuggire a Genova e fu tra i giudici che processarono il frate ed i suoi presunti complici. Tale processo venne trasformato per volere del duca e di Madama Reale in una repressione preventiva contro eventuali sovvertitori interni, e l'A. si prestò completamente ad un tale disegno, inimicandosi, tra l'altro, molti elementi della corte che non avevano ancora abbandonato i loro sentimenti "principisti".

Nel 1652 l'A. era governatore di Trino ed in tale qualità dovette, dopo una fortunosa ed eroica difesa, arrendersi con il suo presidio agli Spagnoli assedianti; nel 1658, però, lo stesso A. fu tra i comandanti delle truppe che rioccuparono Trino a viva forza. Continuando a godere di cordiali legami con Carlo Emanuele II, che lo aveva investito del titolo di cavaliere dell'Ordine della SS. Annunziata, nel 1665 l'A. fu nominato governatore di Vercelli e successivamente, nel 1668, di Montmélian. Proprio per questi rapporti con la corte di Torino l'A. fu scelto a far parte di quel gruppo di nobili piemontesi che il duca inviò nel 1664 in difesa di Candia assediata dalla flotta turca.

Nel 1668, mentre si trovava in Savoia, come governatore di Montmélian, l'A. organizzò su incarico del duca una impresa contro Ginevra destinata a fallire prima ancora di essere iniziata.

Carlo Emanuele II era stato convinto da un certo Gian Ciarle di Londra (così nei documenti italiani il nome di questo personaggio sul quale scarseggiano le notizie) e da altri avventurieri suoi amici ad occupare la città di Ginevra. Truppe sabaude, sotto il comando dell'A., avrebbero dovuto approntare i mezzi tecnici (scale, funi, ecc.) per l'escalade della città e si sarebbero quindi recate, su avviso dello stesso Gian Ciarle, ad assalire di notte Ginevra dove Gian Ciarle ed i suoi compagni avrebbero favorito loro l'ingresso e la vittoria. Ma quando l'A. si recò ad un appuntamento con Gian Ciarle presso il lago Lemano, per decidere la data dell'assalto, non trovò nessuno ad attenderlo. Reputò allora opportuno interrompere una simile impresa e, convintone il duca, fece scomparire ogni notizia e traccia di un piano così assurdo.

L'A., dopo questo avvenimento, fu nominato maresciallo di campo e, in seguito, (1672) luogotenente generale e comandante della fanteria.

È di quell'anno il fallimento della congiura di Raffaello Della Torre, in accordo col duca Carlo Emanuele II, contro la Repubblica di Genova; ed in questa impresa e negli avvenimenti che seguirono, l'A. ebbe parte non trascurabile.

La congiura organizzata in Torino, oltre che dal duca di Savoia e dal Della Torre, dal marchese di Livorno Carlo Simiane, figlio del celebre marchese di Pianezza, e dall'A., avrebbe dovuto sfociare in un insurrezione popolare a Genova il giorno della festa del patrono s. Giovanni Battista (24 giugno). Mentre il Della Torre avrebbe fatto saltare il palazzo del governo e tentato di impadronirsi della città, l'A., cui era dato come aiutante il marchese di Livorno, avrebbe provveduto, alla testa dell'esercito piemontese, alla occupazione dei territori della Repubblica.

Ed infatti il 24 giugno del 1672 l'A. si trovava nei pressi di Savona, pronto ad iniziare l'azione militare. Il giorno successivo, però, l'A. ricevette un dispaccio del duca che lo informava della fallita azione del Della Torre e gli ordinava di trasformare il piano dell'impresa da invasione dei territori di Genova in occupazione di alcune zone già da lungo tempo in contestazione tra il ducato e la Repubblica. L'A. spostò l'esercito a Garessio, donde, appena giunto, fece occupare la Pieve in contestazione e dove emanò un editto del duca, mirante a presentare l'impresa come originata dal desiderio di trovare la soluzione di questioni di confine. Veniva cioè taciuto ed occultato ogni contatto e coincidenza, come già affermavano i Genovesi, tra l'azione del Della Torre e quella delle truppe sabaude. Ma la Repubblica di Genova non desistette ed iniziò l'attacco di Oneglia; a dirigere le operazioni militari il duca inviò un suo zio naturale, don Gabriele di Savoia. Questi fece dividere in due parti l'esercito: sconfitto dai Genovesi nel tentativo di difendere Oneglia, riparò a Briga in Piemonte. L'A. ed il marchese di Livorno, che d'altronde non operavano in grande accordo, furono costretti a ritirarsi nella fortezza di Castelvecchio, dove vennero cinti d'assedio. Il 6 agosto l'A. tentò la sortita, decidendo contemporaneamente di far saltare il forte. Ma le perdite furono notevoli; a stento si salvò lo stesso A. ed il disordine tra gli ufficiali provocò numerosi incidenti.

Il più grave fu causato dal marchese di Parella, il quale, mentre durava la battaglia, tornò al forte ed impedì che esso saltasse, sostenendo, in seguito, che ciò aveva fatto per salvare importanti documenti. Questo episodio, invece, permise ai Genovesi di impadronirsi del carteggio dell'A., pubblicato poi col titolo di Secretaria del conte Cattalano AlfIeri, a dimostrazione palese della malafede delle dichiarazioni sabaude a proposito dei rapporti intercorsi col Della Torre. Il 7 agosto l'A. ricevette un'affettuosa lettera del duca che si congratulava con lui per lo scampato pericolo; il giorno successivo, però, un altro dispaccio ducale gli ordinò di abbandonare il comando e di ritirarsi nel suo castello di Magliano, dove egli rimase sino alla fine della guerra con Genova, conclusasi per la mediazione francese (25 genn. 1673). Alla corte ducale, dove non mancavano antiche ostilità nei suoi riguardi, l'A. fu reputato il maggior responsabile degli insuccessi subiti. Il 12 ag. 1673 venne chiamato a Torino e rinchiuso in Palazzo Madama. Il processo, imperniato su ventitré capi d'accusa, fra cui quello dì connivenza col nemico, iniziò il 9 settembre e fu istruito, con irregolare procedura, da Carlo Antonio Blancardi, ostilissimo all'A., anche per vecchi rancori personali; il Blancardi, basandosi su indizi assolutamente inadeguati - tra l'altro ilmarchese di Livorno, che era stato anch'egli citato al processo, aveva cercato rifugio in Francia - fece sottoporre l'A. alla tortura. L'A. non resistette e morì per infarto cardiaco nella sua cella il 14 sett. 1673.

Il cadavere fu sottoposto ad autopsia, perché si sospettò che l'A. fosse stato proditoriamente ucciso. D'altro canto, Carlo Emanuele II, che in questa circostanza tenne un contegno estremamente ambiguo, iniziò, anche su istanza del figlio dell'A., il conte Carlo Emanuele di Magliano, che era stato degradato dal suo titolo di ufficiale, un'inchiesta sul conto del Blancardi: inchiesta che si concluse con l'uccisione del Blancardi, dopo la morte del duca (1675). Il 17 genn. 1679 Carlo Emanuele di Magliano venne reintegrato nei suoi titoli e riottenne, con atto che riabilitava la memoria dell'A., i beni del padre, confiscati al tempo del processo.

Fonti e Bibl.: Memoriale autografo di Carlo Emanuele II duca di Savoia, a cura di G. Claretta, Genova 1879, p. 16, 186, 217, 251, 257-259, 265-268, 270-272, 339, 377, 378; A. de Saluces, Histoire militaire du Piémont, IV, Turin 1818, pp. 352-380 e passim; A. Ferrero della Marmora, Le vicende di Carlo di Simiane Marchese di Livorno poi di Pianezza tra il 1672 ed il 1706, Torino 1862, pp. 459-483 e passim; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, VI, Firenze 1869, pp. 199-226 e passim; G. Claretta, Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele II duca di Savoia, I, Genova 1877, pp. 234, 644, 645,651 667, 668 e passim; D. Perrero, Disegno di una scalata alla città di Ginevra da aggiungere alla storia di Carlo Emanuele II di Savoia, in Atti d. R. Acc. d. Scienze di Torino, XXX (1894-95), pp. 568-582; E. Casanova, Tavole genealogiche della famiglia Alfieri, Torino 1903, tav. VII; E. Masi, Asti e gli Alfieri nei ricordi della villa di San Martino, Firenze 1903, pp.272-332 e passim; C. Salvi, Carlo Emanuele II e la guerra contro Genova Roma 1933, passim.

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