CATANIA

Enciclopedia Italiana (1931)

CATANIA (A. T., 27-28-29)

Attilio MORI
Guido LIBERTINI
Enrico MAUCERI
Giuseppe PALADINO
Giovanni PEREZ
Giovanni PEREZ

Città e porto della Sicilia orientale, dopo Palermo la più importante dell'isola per popolazione e per attività economica. Catania si trova all'estremo settentrionale della vasta insenatura della costa sicula distinta col nome di Golfo di Catania, al piede meridionale dell'Etna, dalla cui sommità dista 27 km. in linea retta, alla posizione geografica, riferita alla cupola della chiesa dei benedettini, di 37°30′10′′ lat. nord e 15°4′55′′ long. est. Quasi ovunque pianeggiante, la città va lievemente degradando da nord verso sud. Il clima, come comportano la sua latitudine e la sua favorevole posizione è mite, e considerato fra i più dolci e salubri d'Italia. Dalle osservazioni di circa un secolo si deduce una temperatura media annua di 18°,4, un grado superiore a quella di Palermo. La media del mese più freddo (gennaio) è di 100,9; quelle del mese più caldo (luglio) di 27°,1; ma le massime assolute, a differenza di Palermo, raramente supetano i 40°, difficilmente le minime assolute scendono sotto lo zero. L'escursione diurna, quasi costante, raggiunge in estate gli 8°,7 e in inverno i 6°,9. La media delle precipitazioni è di 474,7 mm. e la frequenza delle piogge di 45,7 giorni l'anno (meno della metà che a Palermo e a Messina), distribuiti quasi esclusivamente nelle stagioni invernale e autunnale.

Danneggiata dall'eruzione etnea del 1669, e pochi anni dopo rovinata completamente dal terremoto dell'11 gennaio 1693, Catania risorse compiutamente dalle sue fondamenta secondo un piano regolatore stabilito dal luogotenente duca di Camastra; onde la città odierna, straordinariamente sviluppatasi nella seconda metà del secolo XIX, conserva nella sua parte centrale il carattere settecentesco con vie ampie e regolari intramezzate da vaste piazze e tagliantisi ad angolo retto, fiancheggiate da edifici pubblici e privati di architettura barocca, d'aspetto nobile e talvolta anche veramente sontuoso. Due grandi arterie principali, intersecandosi a squadra - la via Stesicoro-Etnea nel cui sfondo si prospetta l'ampio cono fumante dell'Etna e la via Lincoln, la cui parallela, intitolata a Vittorio Emanuele, incrocia la prima presso il Duomo; vie lungo le quali specialmente si accentua il movimento cittadino e s'aprono i migliori negozî - formano come l'ossatura della città che s'inquadra poi nella rete delle vie parallele o ortogonali a quelle principali, talvolta anche attraversate da minori arterie tortuose e irregolari; mentre i nuovi quartieri, resi necessarî dall'accrescimento costante della popolazione, si sono andati sviluppando con bei viali alberati e ampie vie nella parte a est dell'antico nucleo, coprendo la contrada di Monserrato e tendendo a ricongiungersi coi sobborghi della Guardia, dell'Ognina e di Cibali. Le distruzioni replicatamente subite quasi nulla hanno lasciato sussistere dell'antica città, i cui avanzi monumentali, messi in luce specialmente negli ultimi anni, ancora attestano la passata grandezza, nonostante che i terremoti abbiano prodotto gravissimi danni, anzi vere e proprie devastazioni, e che quegli avanzi siano stati vandalicamente manomessi per trarne i materiali per le nuove costruzioni.

Largamente dotata di buona acqua potabile, sfarzosamente illuminata, ben lastricata con lava etnea, provvista di buoni servizî pubblici di comunicazione, ecc., la città appare una delle più progredite dell'Italia meridionale.

Catania, dopo le dolorose vicende cui fu soggetta sino allo scorcio del sec. XVII, ha veduto col suo rifiorire svilupparsi rapidamente, specie negli ultimi decennî, la sua popolazione. Dopo la catastrofe del 1693, in cui perirono, si dice, 18.000 persone, circa un terzo della sua totale popolazione, era risalita a 45.000 ab. nel 1798. Al censimento del 1861 il comune contava 68.810 ab. di cui quasi 68.000 per il solo centro urbano. Successivamente queste cifre salirono a 84.397 e 83.496 nel 1871; a 100.417 e 96.017 nel 1881; a 149.245 e 143.184 nel 1901; a 210.703 e 186.381 nel 1911 e finalmente a 252.448 e 234.871 nel 1921, nel quale anno perciò Catania risultava per popolazione la 7ª città del regno venendo subito dopo Firenze, ehe ormai supera con i 274.666 ab. calcolati al 10 gennaio 1928 contro i 272.348 di Firenze. Questo considerevole aumento, che è fra i maggiori presentati nello stesso periodo da città italiane, è dovuto in parte all'eccedenza delle nascite rispetto alle morti, ma più ancora all'immigrazione e al fenomeno proprio dell'urbanesimo provocato dallo sviluppo industriale della città. La natalità nel periodo 1921-26 fu in ragione del 25,7‰ mentre la percentuale della mortalità fu del 15,1‰, onde l'eccedenza dei nati sui morti supera annualmente il 10‰, cifra notevolmente maggiore di quella ottenuta per le grandi città italiane. Della popolazione del comune, esteso 176,27 kmq., 249.272 ab. vi avevano dimora abituale, 2346 erano temporaneamente assenti (dei quali 645 all'estero), onde la popolazione residente o legale si riduceva a 251.618 ab. Dei presenti di età superiore ai 10 anni 65‰ erano agricoltori, pescatori ecc., 248‰ erano addetti alle industrie in genere compresi i trasporti; 57‰ addetti al commercio, 36‰ addetti all'amministrazione pubblica e privata; 27‰ professionisti e addetti al culto; 15‰ addetti ai servizî domestici; 11‰ erano proprietarî e benestanti e 594‰ (donne per circa 9/10) attendenti alle cure domestiche. Le risorse della città derivano soprattutto dal commercio dei prodotti agricoli della plaga feracissima che vi fa capo; dalle lavorazioni industriali specialmente alimentari, meccaniche e chimico-minerarie, dal traffico del suo porto. La metà circa della produzione dello zolfo raffinato o macinato che si ricava dal minerale estratto nell'isola, è ottenuta nelle officine catanesi, e dal porto di Catania si esporta lo zolfo greggio della Sicilia: nel 1928 se ne esportarono 15.283 tonn. per l'interno del regno e 54.869 per l'estero.

Catania, che dalla terra feracissima più che dal mare, che appena da qualche punto intravede, trae la sua prosperità, non ebbe mai nell'antichità un porto notevole. L'eruzione del 1669 colmò per circa la metà la piccola insenatura che ne costituiva l'approdo riparato. Dopo d'allora invano per oltre un secolo e mezzo si sono fatti studî e disegni per dotare la città di uno scalo marittimo rispondente alle esigenm del suo sviluppo economico. I primi lavori furono iniziati sotto il governo borbonico con la costruzione di alcune banchine e ripari che formarono il Porto Vecchio con la relativa darsena, ora riserbato solo ai velieri; ma soltanto dopo l'unificazione del regno, con la costruzione del gran molo orientale lungo 1380 m. e con altri lavori sussidiarî più recenti, il porto di Catania ebbe il suo assetto corrispondente all'intensificato traffico marittimo. Catania è oggi uno dei principali porti del regno, il cui movimento, alquanto inferiore a quello di Palermo per numero e tonnellaggio di navi, lo supera per quanto riguarda le merci imbarcate. Nel quinquennio 1924-28 vi approdarono annualmente in media circa 3000 navi per un tonnellaggio complessivo di 1.750.000 tonn.; le merci sbarcate vi ragguagliarono 490.000 tonn, e 178.000 quelle imbarcate; i viaggiatori sbarcati furono 1860; quelli imbarcati 1225. Catania è testa di linea delle ferrovie per Palermo, per Messina e per Siracusa, della ferrovia circumetnea che fa capo a Giarre-Riposto e di una tranvia elettrica per Acireale.

Monumenti. - Della Catana greca abbiamo scarsissimi indizî (tracce d'una necropoli calcidese, qualche tratto di antiche mura e forse anche la prima costruzione del teatro), cosicché le monete, e tra queste quelle incise da Eveneto, da Procle, da Choirion e da Eracleida, gareggiando con altri bei conî della Sicilia greca, sono i più luminosi monumenti che ci siano pervenuti di quel periodo. Invece, seppure non vediamo più le rovine del famoso tempio di Cerere derubato da Verre del suo simulacro e se sono scomparsi alcuni monumenti che la tradizione collegava al nome del conquistatore Marcello, diversi edifici, con la loro robusta costruzione, ci parlano ancora della Catania romana. Sono gli avanzi di un Foro, il Teatro maggiore, oggi mezzo sepolto da abitazioni moderne, il contiguo Odeon, l'anfiteatro, la cui distruzione sembra sia cominciata sin dai tempi di Teodorico, infine gli abbondanti avanzi di edifici termali e di opere idrauliche (acquedotti e castelli d'acqua) che portavano da 16 km. di distanza le acque di Licodia sino a Catania, la quale sarebbe stata altrimenti insufficientemente fornita dal fiume Amenano, ricordato dagli storici e talora dalle monete greche ma oggi quasi invisibile.

La Catania odierna è la città più settecentesca della Sicilia, e tale caratteristica le deriva dal fatto che l'antica rimase quasi del tutto distrutta nella catastrofe del 1693. L'architetto che le diede l'impronta d'un barocco tutto suo, genialmente schietto e spontaneo, fu il palermitano G. B. Vaccarini. Egli lavorò a chiese, principalmente alla facciata del duomo, a palazzi pubblici, come il municipio, e ad altri di famiglie patrizie, fra cui il palazzo Sangiuliano. Del medesimo artista è la caratteristica fontana con l'elefante, emblema della città, in Piazza del duomo. Al Vaccarini seguirono Francesco e Antonino Battaglia, Stefano e Sebastiano Ittar; ed edifizî degni d'ammirazione sono la collegiata, il palazzo Biscari, il convento dei benedettini con la chiesa di S. Nicolò, la più vasta della Sicilia. Ma se Catania sorprende per la sua architettura maestosa e bizzarra che trova il suo posto ragguardevole nella storia dell'architettura barocca siciliana, non presenta cospicui esempî di scultura e pittura. In quest'ultima arte, per esempio, il catanese Olivio Sozzi è da considerarsi come un modesto decoratore privo di robuste qualità d'inventiva e di tecnica.

Il barocco domina dappertutto e opprime gli scarsissimi avanzi medievali. Le absidi normanne del duomo, che sorgono imponenti nei loro bene squadrati conci di basalto, rimangono come nascoste dietro la mole settecentesca, e il castello Ursino, del tempo di Federico II di Svevia, è mascherato in grandissima parte da superfetazioni: esso fu per lungo tempo ridotto a caserma militare, con nuove manomissioni e alterazioni, e solo recentemente è stato destinato a sede delle raccolte archeologiche e artistiche comprendenti anche le famose collezioni Biscari.

Esempio di buona arte dugentesca è il portale marmoreo della chiesa del Santo Carcere con arco a tutto sesto che richiama le forme coeve dell'Italia meridionale. Pregevole è il busto argenteo con smalti rappresentante Sant'Agata, lavoro di Giovanni di Bartolo da Siena (sec. XIV), che si conserva, insieme con il prezioso reliquiario, nella cappella di S. Agata nel duomo.

Nei secoli XV e XVI, Catania dipese artisticamente da Messina: vi lavorò Antonello e vi portarono il contributo della loro attività i Gagini. Nel sec. XVIII, cioè nel periodo del risorgere della città, si formarono alcune raccolte di archeologia e d'arte, come quella del principe di Biscari e l'altra dei benedettini, che costituisce il nucleo principale del Museo civico. La pinacoteca di quest'ultimo contiene la Madonna col Bambino di Antonello De Saliba e un S. Cristoforo di Pietro Novelli. Il convento dal 1885 accoglie l'osservatorio astronomico, da cui dipende quello etneo.

V. tavv. CXXXIX-CXLII.

Biblioteche e istituti di cultura. - Il primo e più antico istituto di cultura catanese è l'università degli studî, fondata nel 1434 da Alfonso d'Aragona, che dieci anni dopo ottenne da Eugenio IV i privilegi già largiti alle altre università italiane; essa è fornita d'importanti musei e raccolte scientifiche e le è annessa la biblioteca universitaria, fondata nel 1755 per cura di Vito M. Amico con i libri del Caruso, ai quali si aggiunsero nel 1783 quelli donati da Salvatore Ventimiglia, arcivescovo di Catania e poi cardinale, e più tardi altri fondi. In questa biblioteca, e nell'annessa Ventimiliana, si conservano importanti manoscritti, come le Consuetudini di Catania del 1345, il cod. del Muntaner (sec. XV), quello del Malaterra (sec. XVI), la Cronaca del Cristoadoro (sec. XIX).

Nell'edifizio universitario sono pure l'Accademia Gioenia fondata da Carlo Gemmellaro nel 1824 e intitolata al nome di Giuseppe Gioeni, e la Società di storia patria per la Sicilia orientale, fondata nel 1904 da Vincenzo Casagrandi. Fuori dell'università è la biblioteca dei benedettini (ora civica), costituita in epoche varie e collocata nella sala del Vaccarini, nel 1773. Essa contiene una pregevole Bibbia miniata del sec. XIV, attribuita dal Toesca alla scuola di Pietro Cavallini, parecchi altri manoscritti, pergamene, autografi di musicisti catanesi, tutti i libri già appartenuti al Rapisardi e gran parte del suo carteggio.

Storia. - Le origini sicule di Catania, più che dalla tradizione o dalle reliquie archeologiche trovate nel suo territorio ricoperto da lave secolari e millenarie, si desumono dal nome stesso (greco Κατάνη, lat. Catëna o Catana), meglio spiegabile con un etimo siculo anziché con uno greco o fenicio, e dalla presenza di popolazioni indigene testimoniate da antiche grotte di abitazione, scoperte nelle colline immediatamente al nord della città, dove questi Siculi forse si ritirarono quando, nella seconda metà del sec. VIII a. C., i Calcidesi di Nasso, sotto la guida di Tucles o, secondo una tradizione catanese, di Euarco, impiantarono la loro terza colonia siciliana ai piedi dell'Etna (Thucyd., VI, 3, 9).

L'ampio golfo e forse un vasto porto, oggi non più riconoscibile, la bontà del clima e la retrostante fertilissima pianura, facendo dimenticare la pericolosa vicinanza dell'Etna, che in diversi periodi danneggiò o distrusse la città, dovettero essere le cause della nuova fondazione calcidese, i cui primi secoli di vita sono per noi quanto mai oscuri o illuminati soltanto dal ricordo della legislazione di Caronda (v.) e della presenza di Stesicoro che si diceva qui sepolto. Una posizione di prim'ordine tra le città greche dell'isola sembra abbia raggiunto più tardi Catania quando Ierone, intravedendo forse le sue possibilità di futuro sviluppo, la tolse ai Calcidesi, ai quali sostituì una popolazione dorica, e la pose sotto l'amministrazione di suo figlio Dinomene, proclamandosi quasi l'ecista di questa nuova città alla quale egli diede il nome del vulcano cui essa soggiace, mentre Eschilo con una tragedia (Le donne dell'Etna) e Pindaro con i suoi inni (v. Pyth., I) ne celebravano la fondazione. Ma la vita di Aetna, di cui ci parla anche qualche bella moneta, non durò più a lungo della dinastia dei Dinomenidi e nel 461 gli antichi abitatori calcidesi l'occuparono nuovamente cacciandone i Dori e ridandole il suo antico nome di Catana. Per il periodo seguente gli accenni degli storici diventano sempre più saltuarî e incompleti: incidentalmente sappiamo della sua ambigua condotta durante la guerra ateniese (413) e della spedizione punitiva di Siracusa troncata dal sopraggiungere dei Cartaginesi (409), dell'occupazione da parte di Dionisio che v'insediò dei mercenari campani (403), di quella, effimera, di Callippo, l'uccisore di Dione (Plut., Dio, 5), infine della tirannide del sabellico Mamerco (345-338), vinto poi e giustiziato da Timoleone (Corn. Nep., Timol., 2; Diod., XIV, 68). Nel 263 se ne impadronirono i Romani, sotto i quali Catania visse in qualità di civitas decumana fino a che, dopo la guerra con Sesto Pompeo, Ottaviano, rinsanguandone la popolazione con nuovi abitanti, la fece colonia romana (Plin., III, 89; Strab., VI, 2, 3). Nell'epoca imperiale v'ebbe notevole sviluppo il cristianesimo che nella persecuzione di Decio e in quella di Diocleziano, annovera non pochi martiri catanesi, tra i quali primeggia Sant'Agata, patrona della città.

Nel 544 Catania, che col resto della Sicilia era caduta in mano degli Ostrogoti, fu conquistata da Belisario. Nel 550 Totila la riprese, ma di lì a poco tornarono i Bizantini, i quali la tennero fino all'avvento degli Arabi. Alla dominazione saracena successe dopo un periodo di contrasti nel quale Catania passò dalle mani dell'uno a quelle dell'altro occupante, la signoria normanna, che fu benefica per la città. Nel 1090 il conte Ruggiero gettò le basi del duomo e nell'agosto 1126 le reliquie di Sant'Agata vennero riportate a Catania da Costantinopoli, dove le aveva trasferite, il secolo innanzi, Giorgio Maniace. Ricordando i benefici ricevuti dai Normanni, i Catanesi si mostrarono avversi, in un primo tempo, agli Svevi. Enrico VI infatti ordinò che la città fosse saccheggiata (1194) e alla stessa punizione l'assoggettò nel 1232 Federico II, il quale vi fece costruire allora da Riccardo di Lentini, a perenne minaccia, il maestoso castello Ursino. La caduta della dominazione sveva fu però rimpianta dai Catanesi, i quali si sollevarono a favore di Corradino (1267) e accolsero con favore gli Aragonesi. Degna di ricordo la vittoria riportata al Simeto, nel 1287, contro gli Angioini di Rinaldo di Avella. A Catania si tenne, nel 1296, il parlamento da cui fu eletto re Federico d'Aragona. In compenso di tanti benefici gli Aragonesi stabilirono frequentemente la propria sede in Catania.

La città fu quindi teatro di molti degli avvenimenti che si svolsero durante quell'agitato periodo di storia siciliana. Nel 1579 mentre Maria d'Aragona si trovava rinchiusa nel castello Ursino per volere di Artale d'Alagona, fu trafugata da Raimondo Moncada, il quale la consegnò all'ava Eleonora in Barcellona. Maria sposò nel 1390 Martino d'Aragona, e tornò con lui in Sicilia. Catania fu presa a viva forza e re Martino convocò ivi il parlamento del 1386 per rivendicare alla corona i diritti che le erano stati tolti durante l'anarchia precedente.

Passata la Sicilia alla Spagna, sotto il governo dei viceré Catania continuò a essere protetta dai sovrani. Alfonso d'Aragona restaurò il porto. Anche nel sec. XV, come nel precedente, si tennero in Catania parlamenti generali di tutta l'isola. I secoli XVI e XVII furono particolarmente fortunosi per la città. Partecipò ai tumulti che si scatenarono sotto il viceré Ugo di Moncada. Oltre a ciò, terremoti, incursioni di pirati, contro i quali fu eretta una cortina di mura (1553), epidemie, carestie desolarono la città. Nuovi tumulti scoppiarono nel 1647. I danni più gravi ebbe Catania nel 1669 da un'eruzione dell'Etna, delle più terribili che la storia ricordi, e dal terremoto del 1693. Con la riedificazione della città cominciò il suo risorgimento economico, dovuto massimamente al commercio e alle mutate condizioni della terra, che a non lunga scadenza portarono Catania al livello dei maggiori centri d'Italia.

Ai primi del sec. XIX si scoprì a Catania la congiura, che costò la vita ad Antonino Piraino: essa non offuscò la devozione della città ai Borboni, e non impedì a Ferdinando d'elevare Catania a sede d'intendenza (1817) e d'istituirvi due anni dopo la Gran corte civile. I Catanesi nel 1820 non si ribellarono; mandarono i proprî deputati al parlamento napoletano e respinsero le bande palermitane.

Un primo sintomo d'un nuovo spirito d'indipendenza si manifestò a Catania nel 1837 quando, in occasione del colera, scoppiarono moti d'una certa gravità, che il Del Carretto represse energicamente; manifestazione più importante fu quella del 1848, quando Catania fece causa comune col resto dell'isola nel rivendicare l'autonomia tanto che il 6 aprile 1849 il Filangieri, dopo vana intimazione di sottomettersi, dovette ridurre la città all'obbedienza con la forza. Il 31 maggio 1860 Catania tornò a insorgere e divenne libera definitivamente. Nell'agosto del 1862 la città fu teatro degl'inizî del movimento garibaldino che doveva concludersi ad Aspromonte; da Catania infatti i volontarî sfuggiti alla vigilanza delle truppe, s'imbarcarono per il continente. Da allora la città si è venuta sempre ingrandendo e popolando, in relazione alla sua posizione allo sbocco di un territorio fertilissimo. Sul suo sviluppo ha influito indirettamente anche il disastro messinese del 1908, per il quale una parte del movimento commerciale e della popolazione di Messina passò a Catania.

Bibl.: Sulla storia e l'arte della città, v.: P. Carrera, Delle memorie istoriche della città di Catania, Catania 1639; V. Amico, Catania illustrata, Catania 1741-46; S. Ittar, Raccolta degli antichi edifizi di Catania, Catania 1812; F. Ferrara, Storia di Catania sino alla fine del sec. XVIII, Catania 1829; V. Cordaro Clarenza, Osservazioni sopra la storia di Catania, Catania 1833-34; Descrizione di Catania e delle cose notevoli nei dintorni di essa, Catania 1841; D. Lo Faro duca di Serradifalco, Antichità di Sicilia, V, Palermo 1846; C. Sciuto Patti, Le antiche oreficerie del duomo di Catania, in Archivio storico siciliano, n. s., XVII (1893); O. Viola, Saggio di bibliografia storica catanese, Catania 1902; E. Mauceri, L'arte in onore di S. Agata in Catania, in L'arte, X (1906), pp. 423-32; F. De Roberto, Catania, Bergamo 1906; V. Finocchiaro, La rivoluzione siciliana del 1848-1849 e la spedizione del generale Filangieri, Catania 1906; id., Cronache e documenti inediti relativi alla rivolta di Catania del 1837, Catania 1907; A. Holm, Catania antica, trad. italiana, Catania 1925; F. Fichera, Una città settecentesca, Roma 1925; G. Libertini e L. Pollak, Il museo Biscari, Roma 1930; v. inoltre la raccolta dell'Archivio storico per la Sicilia orientale (1900 e segg.). - Sulle istituzioni culturali della città, v.: R. Sabbadini e M. Catalano-Tirrito, Storia documentata della R. Univ. di Catania, I (sola pubblic.); L'Università di Catania nel secolo XV, voll. 2, Catania 1898, 1913; G. Tamburini, Inventario dei manoscritti delle RR. biblioteche Universitaria e Ventimiliana di Catania, in Inventari del Mazzatinti-Sorbelli, XX, Firenze 1914; F. B. Pertucci, Guida del monastero dei benedettini di Catania, Catania 1846.

La provincia di Catania.

La provincia di Catania occupa la parte media della Sicilia orientale, dalla valle dell'Alcantara a quella del Simeto, comprende cioè tutta la regione etnea e la pianura nota col nome di Piana di Catania, in via d'ulteriore bonifica idraulica e agraria. Nel suo interno si estende sino alla sommità dei Nebrodi a nord e sino al piede sudoccidentale dei Monti Iblei a sud, spingendosi a soli 10 km. dalla costa del mare africano. Secondo la circoscrizione attuale, dopo cioè che ne fu distaccato il circondario di Nicosia (1926), essa viene a confinare con le provincie di Messina, di Enna, di Caltanissetta, di Ragusa e di Siracusa, coprendo un'area di 3571,51 kmq., onde è, dopo quella di Palermo, la più vasta dell'isola. La sua popolazione riferita ai suoi limiti odierni, risultò, nel 1921, di 754.409 ab.; la densità era pertanto di 211,2 ab. per kmq., superiore a quella di tutte le altre provincie dell'isola la cui media supera quella del regno. La provincia comprende 51 comuni e altrettanti centri minori. All'infuori della città di Catania, i centri abitati con popolazione superiore ai 10.000 ab., erano, nel 1921, 9 dei quali 3 (Adernò, Caltagirone e Paternò) superano i 30.000 ab. Nessuno dei centri raggiunge i 1000 m.; Maletto, il più elevato, è a 950 m. s. m. La popolazione complessiva dei centri è di 686.355; quella delle case sparse di 68.054 abitanti. L'analfabetismo v'è ancora alquanto diffuso per quanto in notevole diminuzione. Nel 1921 solo il 49% della popolazione di età superiore ai 6 anni sapeva leggere, nel 1911 solo il 40%. Regione prevalentemente agricola dove le condizioni altimetriche lo consentono, ebbe nel 1929 una produzione di frumento di 1.417.300 hl. su 90.700 ettari coltivati, ciò che dà l'elevato rendimento medio di 15,6 q. per ettaro. La produzione dell'uva fu nello stesso anno di 1.371.500 q.; quella dell'olio nel 1928 di 54.500 hl. Gli agrumi dettero, nel 1928, 1.069.700 q., circa 1/5 della produzione totale della Sicilia. Quasi nulla è la produzione mineraria, che si riduce alla scarsa produzione di tre zolfare attive nel 1927. Notevole invece l'attività industriale, per la quale nel 1927 si contavano 14.461 esercizî con 40.467 addetti e con l'uso di 1216 motori, dei quali 1045 elettrici. Gli esercizî commerciali erano 29.075 con 68.389 addetti.

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