CATARI

Enciclopedia Italiana (1931)

CATARI

Antonino De Stefano

(fr. cathares; sp. cátaros; ted. Katharer; ingl. cathars).- Eretici medievali, a partire dal sec. XI, così chiamati dal greco καϑαρός "puro".

Nomi. - I càtari ebbero nomi diversi, indicanti i diversi focolari dell'eresia e anche le diverse tendenze di essa. D'origine balcanica sono i nomi di Publicani o Poplicani (Pauliciani), e di Bougres (Bulgari), dati loro nelle Fiandre e nella Francia settentrionale. Nella Francia meridionale vennero designati con il nome di Albigesi (da Albi, nella Linguadoca), Tolosani, ecc. Diffusasi la setta largamente tra i lavoratori della lana, furono designati in Francia anche con il nome di Tixerands (texitores, tessitori). In Italia da alcuni centri principali della setta, che rappresentavano pure scuole e tendenze diverse, furono chiamati Albanesi (da Albi nella Linguadoca), Concorezziani (da Concorezzo, presso Monza). Più genericamente vennero chiamati anche Patareni, dal nome dell'antico partito d'opposizione alla Chiesa. Spesso furono indicati anche col titolo di Boni Homines. In Germania, Cataro servì a designare l'eretico per eccellenza (Ketzer).

Dottrina. - Bisogna ricercare nelle dottrine manichee (v.) le prime scaturigini del catarismo, detto perciò anche neo-manicheismo. Sua dottrina fondamentale è, infatti, la coesistenza di due principî sovrani, che si contrastano il dominio del mondo: il principio del bene e quello del male, Dio e Satana. Opera divina sono le creature angeliche e spirituali, sia che esse scaturiscano per via di emanazione e d'ipostasi dall'essenza divina e siano pertanto coeterne con Dio, sia che esse siano state tratte per virtù creativa dal nulla; opera demoniaca sono le creature materiali e terrene, sia che esse siano state prodotte per virtù demiurgica da Satana, cui Dio permise di organizzare la materia, separando e poi combinando diversamente i quattro elementi essenziali del caos: il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra (Concorezziani e Bagnolesi), sia che esse siano state create dal nulla, dal principio del male (Albigesi e Albanesi). Nell'uomo, dotato d'una duplice natura, spirituale e materiale, s'incontrano e si oppongono i due principî supremi.

Il suo corpo, che è natura corruttibile, è opera di Satana e a lui soggetto; la sua anima, che è puro spirito, è opera e proprietà di Dio. Da questo dualismo, spiegato dagli eretici miticamente attraverso narrazioni diverse, deriva l'intima lotta che lacera la coscienza dell'uomo, la cui anima è schiava della materia. Mosso a compassione dell'uomo, Dio inviò nel mondo il Cristo, suo figlio, perché redimesse l'umanità dal giogo di Satana. Cristo, spirito e soltanto in apparenza rivestito di corpo, secondo l'antica concezione del docetismo gnostico, rivelò all'uomo, sino allora vissuto nell'ignoranza, la natura divina della sua anima, e come imprigionato nella materia potesse raggiungere la sua liberazione. Essendo il Cristo puro spirito e venendo sulla terra a liberare gli uomini senza assoggettarsi alla loro stessa schiavitù, il corpo ch'egli prese e gli atti materiali che compì, dall'incarnazione sino alla passione, non furono che pura apparenza. Anche la Vergine Madre fu puro spirito sotto l'aspetto umano e la sua maternità l'unione di due spiriti, il suo e quello del suo figlio divino. Il dualismo che è nell'uomo si riflette così sulla storia dell'umanità, la quale perciò si divide in due grandi periodi: quello precedente la venuta e rivelazione di Cristo, caratterizzato dall'ignoranza dell'uomo e dal dominio incontrastato di Satana, e quello che venne dopo Cristo, in cui la dottrina che sottrae le anime alla schiavitù corporale contrasta e limita il dominio satanico. A questi due periodi corrispondono i due Testamenti: l'Antico, che ha per centro Satana ed è la storia del suo dominio sul popolo ebreo; il Nuovo, che ha per centro Cristo e contiene la dottrina della salvezza. La redenzione, più che un'espiazione, fu una dottrina. Coloro che la conoscono e la praticano, adorando Dio in spirito e verità, sono i figli dello Spirito e formano la chiesa catara. Gli altri, ignorando la vera natura della missione di Cristo e il genuino significato del Nuovo Testamento, sono i figli di Satana e formano la chiesa cattolica. Lo stesso dualismo che era nella natura dell'uomo e nella storia dell'umanità si perpetuava cosi nel contrasto irreduttibile tra catarismo e cattolicismo.

Come conseguenza di queste loro dottrine, i catari negavano parecchi dogmi del cattolicismo, come la transustanziazione e il sacrificio della messa, il battesimo materiale, l'esistenza del purgatorio e l'utilità dei suffragi, la venerazione delle immagini e il culto delle chiese; conservarono però alcune delle grandi feste cristiane, come il Natale, la Pasqua e la Pentecoste.

Morale. - Dalle loro dottrine teologiche e metafisiche i catari derivarono i principî della loro morale individuale e sociale. Poiché la salvezza consisteva nella separazione dell'anima dalla materia, era necessario praticare l'ascetismo più rigoroso. L'astinenza, che è una delle pratiche più caratteristiche della morale catara, permetteva infatti d'incorporare il meno possibile di materia e attenuava o sopprimeva l'azione esercitata dal corpo sull'anima.

Tale astinenza consisteva non soltanto nel consacrare al digiuno tre periodi dell'anno di 40 giorni ciascuno, ma soprattutto nella pratica tli un rigoroso regime vegetariano. L'uso delle carni degli animali e di tutto ciò che da esse deriva, come il latte, il formaggio, e le uova, era considerato come un peccato mortale. Era permesso l'uso del pesce, sia perché essendo i pesci animali a sangue freddo apparivano meno materiali di quelli a sangue caldo, sia soprattutto perché si credeva che essi non fossero generati per accoppiamento. Questo orrore per la carne si traduceva anche nel divieto di uccidere gli animali, nei quali alcune sette credevano anche risiedessero le anime dei morti fuori della loro chiesa. Altri poi consideravano lecita solo l'uccisione dei serpenti.

Per liberare più rapidamente l'anima dal corpo, specialmente dopo aver ricevuto il battesimo spirituale, i catari non raramente ricorrevano al suicidio, o meglio alla morte volontaria e liberatrice provocata dall'astinenza completa da ogni nutrimento. Questa morte per fame era nota specialmente nella Francia meridionale sotto il nome di endura. Essa serviva a far sì che il carisma spirituale ricevuto con l'imposizione delle mani non andasse compromesso e perduto. Qualche volta gli stessi ministri catari condannavano alla morte per digiuno coloro che erano stati purificati in virtù dell'iniziazione. Questo era anche il segreto per cui il cataro, libero da ogni legame materiale e morale, da ogni vincolo domestico e sociale, solo preoccupato di prepararsi a morire in modo da eludere le insidie di Satana e ricongiungersi all'essenza divina, affrontava con lieto coraggio, nei periodi di persecuzione, la morte.

Non minore è l'orrore che i catari sentivano per la generazione umana, l'atto materiale per eccellenza, che, oltre ad avere invischiato nella materia Adamo e tutta la sua discendenza, era lo strumento più acconcio ad estendere e a perpetuare il regno di Satana, chiamando nuovi esseri alla vita terrestre e materiale. La castità perpetua fu perciò una delle pratiche fondamentali del catarismo. Non solo la lussuria, ma anche il matrimonio e, pertanto, la propagazione della specie umana furono considerati come peccati mortali. Come l'astinenza spinta sino alla pratica dell'endura tendeva a soffocare la vita individuale, così l'assoluta verginità era destinata a sopprimere la vita sociale nella sua radice. Dal punto di vista dell'universale liberazione dell'umanità, delitto maggiore appariva il matrimonio che non il libertinaggio, il quale escludeva la formazione d'una famiglia e i cui legami naturalmente più fragili costituivano un più debole ostacolo all'iniziazione, alla quale era connesso il voto di continenza perpetua. Lo stesso concetto pessimistico, che a torto si voleva derivare dal Vangelo, ispirava l'avversione dei catari alle istituzioni fondamentali della società, come la proprietà privata e l'esercizio della giustizia. Peccato mortale era per gl'iniziati il possesso di beni terreni. Allo stato negavano il diritto di repressione dei delitti, soprattutto quello della condanna alla pena capitale, e il diritto di muover guerre, sia pure difensive. Ispirati al Vangelo erano infine alcuni altri precetti del catarismo, come il divieto assoluto della menzogna.

Organizzazione e riti. - I seguaci del catarismo si dividevano in due classi fondamentali: i perfetti e i credenti. Ai perfetti incombevano gli obblighi più essenziali del catarismo: la povertà assoluta, l'astinenza dalle carni, la castità perpetua. All'iniziazione erano ammessi così gli uomini come le donne. L'iniziato che avesse già contratto matrimonio doveva separarsi per sempre dal proprio congiunto. Sottoposti a una severa disciplina, i perfetti facevano vita comune, vivendo in specie di conventi dei due sessi, e, quando viaggiavano, andavano come gli apostoli a due a due. Sull'esempio della primitiva comunità cristiana, la chiesa catara era governata da una gerarchia formata da vescovi e diaconi. Qualche antico scrittore parla anche d'un papa cataro, senza che si abbiano testimonianze certe al riguardo. È invece da ritenersi che il catarismo formasse una specie di federazione di circoscrizioni ecclesiastiche, a capo d'ognuna delle quali stava un vescovo. Questi presiedeva alle assemblee ed era assistito da due prefetti, specie di vicarî generali (figlio maggiore e figlio minore), e intraprendeva regolari visite pastorali nel proprio territorio. Di tanto in tanto i vescovi delle varie contrade si riunivano in sinodi e concilî.

I diaconi, che assistevano i vescovi nella loro missione spirituale, percorrevano di continuo la propria regione e mantenevano il collegamento tra i perfetti e i credenti, predicando e presiedendo le assemblee particolari e le riunioni liturgiche della setta.

Numerose e fiorenti scuole catare, in cui, oltre alla grammatica, si studiavano i testi biblici e s'insegnavano ed illustravano le dottrine della setta, erano disseminate in varie regioni e ad alcune di esse era annesso una specie di collegio, in cui fanciulli e ianciulle venivano raccolti ed allevati nello spirito della setta. Da tali scuole uscivano dottori assai versati nella conoscenza dei testi biblici e molto abili nel darne quelle interpretazioni letterali ed allegoriche che meglio servissero a difendere e illustrare le loro dottrine. Tale istruzione permetteva loro di potere, nei periodi di maggiore libertà e specialmente in Provenza, affrontare in pubbliche dispute, tanto i teologi cattolici quanto gli eretici rivali, i valdesi. Molti perfetti furono anche assai versati nella medicina, e di essa si servivano come strumento di propaganda. Sotto la loro sorveglianza erano officine di operai che lavoravano specialmente la lana.

I credenti o simpatizzanti facevano professione di catarismo, accordavano ai perfetti protezione ed aiuto, ne accettavano la direzione spirituale, ne favorivano la propaganda, ne accoglievano la dottrina, senza però spingere all'estremo il loro ascetismo e continuando a vivere nel mondo, non distinguendosi apparentemente affatto dai cattolici. Frequentavano anzi, al pari di questi, le chiese e le funzioni religiose, e come essi lavoravano, mangiavano, assistevano alla predica dei perfetti (appareillamentum "apparecchiamento"), durante la quale essi facevano una specie d'esame di coscienza, rendevano omaggio ai perfetti (adorazione), ne ricevevano la benedizione. In sostanza, i credenti erano dei candidati all'iniziazione e allo stato di perfezione, che consisteva nel ricevere il consolamentum. Questo rito era una specie di battesimo spirituale, conferito con l'imposizione delle mani, e grazie al quale si entrava a far parte della comunità dei perfetti. Con il consolamentum il Paracleto discendeva nell'uomo e ne cancellava tutte le colpe, infondeva la verità e rendeva l'anima degna di ricongiungersi a Dio. Esso faceva del credente un perfetto, capace di somministrare agli altri il consolamentum e di esercitare i riti della setta. Morendo così "consolati", i membri della chiesa catara erano accolti nella beatitudine eterna, mentre gli altri erano condannati a far penitenza trasmigrando di corpo in corpo. Perciò i credenti preferivano generalmente ricevere il consolamentum sul punto di morte, e di ciò prendevano impegno (convenientia) con i perfetti. Talvolta se, appena "consolati", la morte tardava a venire, essi l'affrettavano lasciandosi morire di fame.

Diffusione, persecuzioni e tramonto. - Le dottrine manichee, che costituiscono il fondo del catarismo, furono introdotte dai Pauliciani nell'Armenia e poi nella Bulgaria, che divenne il principale centro di diffusione. Quegli eretici fecero tali progressi che, verso la fine del sec. XI, l'imperatore Alessio Comneno, per ragioni di ordine pubblico, ne fece imprigionare e condannare al fuoco un gran numero. Grazie specialmente ai contatti commerciali tra l'Oriente e l'Occidente, le dottrine manichee penetrarono in Europa e si diffusero, principalmente per opera di Roberto le bougre, nelle Fiandre, donde passarono poi anche in Inghilterra e nella Francia settentrionale, invasero man mano l'Aquitania e la Linguadoca, dove, verso la fine del sec. XII, il loro influsso quasi dominò la vita pubblica e privata. Li troviamo inoltre nell'Italia settentrionale e centrale, nella Spagna del Nord e in Germania. Una delle prime manifestazioni del catarismo francese si ebbe nel 1017, quando dieci canonici d'Orléans, convinti di manicheismo, furono scomunicati e bruciati per ordine del re Roberto di Francia.

Nel sec. XII, S. Bernardo lamentava con accenti accorati gli strepitosi successi degli eretici. Verso la fine del secolo l'eresia aveva, specialmente in Provenza, conquistato tutte le classi sociali, la nobiltà non meno che il popolo. Lo stesso clero non solo si mostrava impotente a neutralizzare la propaganda ereticale, ma spesso si mostrava tollerante e talvolta simpatizzante con essa. Forti dell'appoggio dei baroni e del popolo, i catari non temevano di organizzare pubbliche conferenze in contraddittorio con i cattolici, di compiere pubblicamente i loro riti, predicare e cantare pefino nelle chiese stesse dei cattolici. Anche in Italia, specialmente a Milano, a Firenze, a Viterbo e in altri luoghi, gli eretici avevano conquistato una libertà e una forza notevoli. La Chiesa sembrava impotente di fronte a questa specie di controchiesa catara. Invano i papi avevano organizzato missioni e concilî per fiaccarne l'audacia e il proselitismo. S. Bernardo, verso la metà del sec. XII, Pietro cardinale di S. Crisogono nel 1177, Enrico abate di Chiaravalle nel 1281 avevano capeggiato le varie missioni, ma, nonostante l'ardore del loro apostolato e il loro prestigio personale, tutti i loro sforzi erano rimasti vani. La lotta riprese nuovo vigore per opera di Innocenzo III. Questi organizzò una nuova missione cisterciense, capeggiata da due religiosi, di cui uno, ammalatosi, venne sostituito con Pietro di Castelnau, arcidiacono di Maguelonne. Muniti di pieni poteri, i nuovi legati pontifici si misero all'opera usando mezzi sia persuasivi sia repressivi, predicando e disputando con gli eretici, ma nello stesso tempo scomunicando, confiscando e facendo appello al braccio secolare. I risultati furono dapprima così meschini che Pietro Castelnau, avvilito, chiese al papa d'essere dispensato dalle sue funzioni; ma il papa non volle. In questo momento, appunto, si trovavano a passare per la Linguadoca Diego, vescovo di Osuña nella Spagna, e il sottopriore del suo capitolo Domenico di Guzman, i quali decisero di rimanere in quei luoghi per consacrarsi alla lotta contro gli eretici. Per rendere più efficace la loro opera, accoppiarono alla parola l'esempio, imitando l'atteggiamento dei "perfetti". Rinviata la propria scorta in Spagna, a piedi nudi, vestiti di saio, senza denaro, percorrevano le campagne esortando, predicando, prendendo parte a dispute pubbliche. Queste, che si prolungavano talvolta per parecchi giorni, erano presiedute da un comitato misto di cattolici e di eretici, e terminavano con un ordine del giorno votato a maggioranza dall'assemblea a favore o contro le conversioni al cattolicismo.

I risultati furono incerti: talvolta rimase vano ogni sforzo per vincere l'ostinazione degli eretici, talvolta si verificarono numerose conversioni, che resero più violenta la reazione dei catari.

Intanto Innocenzo III moveva ripetuti appelli a Filippo Augusto re di Francia e ai suoi baroni del Nord perché mettessero la loro forza a servizio dei suoi legati. Pietro di Castelnau riprese allora la lotta, ma gli si oppose Raimondo VI, conte di Tolosa, favorevole agli eretici. Il papa allora invitava Filippo Augusto a combattere contro gli eretici nella contea di Tolosa, accordando a lui e seguaci le stesse indulgenze dei crociati di Terra Santa. Era la crociata contro gli Albigesi.

Mentre queste trattative duravano, il legato papale Pietro di Castelnau, il 15 gennaio 1208, veniva assassinato da mano ignota, che si disse armata dal conte di Tolosa. In seguito alle lettere sempre più insistenti d'Innocenzo III, con il consenso di Filippo Augusto, ancora restio a uscire dal suo prudente riserbo col pretesto dello stato di guerra con l'Inghilterra, venne organizzata nel 1209 la crociata contro gli eretici e il loro fautore conte di Tolosa; i crociati, in numero circa di 50.000 uomini, baroni, prelati e contadini, erano sotto il comando di Simone di Montfort e la direzione del nuovo legato pontificio Arnaldo. La campagna, contrassegnata da devastazioni ed eccidi senza nome, fu aspra e lunga ed ebbe alterne vicende. Nel 1209 i crociati presero Béziers, sterminando tutti gli abitanti non esclusi i cattolici, Carcassonne e Albi. Se la morte, nella battaglia di Muret, del principale alleato degli eretici, Pietro re d'Aragona, parve dare il sopravvento ai crociati, la morte di Simone di Montfort sotto le mura di Tolosa nel 1218, parve comprometterlo. Morto poi anche Raimondo VI nel 1222, la lotta venne continuata, senza risultati apprezzabili, dal figlio di Simone, che era successo al padre nel comando dei crociati, e dal figlio di Raimondo. Fu allora che il figlio di Filippo Augusto, Luigi VIII, prese la direzione della crociata e, in parte con le armi, in parte con la diplomazia, costringeva Raimondo VII ad accettare la pace di Parigi del 1229. In essa, il conte di Tolosa prendeva, tra l'altro, l'impegno di sterminare gli eretici, espellendoli dalle sue terre e confiscandone i beni. L'eresia catara venne definitivamente sradicata dalle terre di Francia (v. albigesi).

Anche in Inghilterra i catari, che espulsi dalle Fiandre nel 1163 vi si erano rifugiati, furono sterminati da Enrico II. Negli altri paesi, in Italia specialmente, l'Inquisizione, che era venuta man mano organizzandosi soprattutto per opera di Gregorio IX, estinse con il ferro e con il fuoco la setta. In tal modo, il grande pericolo manicheo, che aveva seriamente minacciato la compagine della Chiesa, verso la fine del sec. XIII poteva dirsi ormai superato. Gli avanzi del catarismo a poco a poco scomparvero del tutto.

Fonti: Hugo Rotomag., Contra haereticos sui temporis, III (Migne, Patr. Lat., CLXXXIX, 1255); Ekbertus, Serm. XIII adv. Catharorum errores (Migne, Patr. Lat., CXCV, 11); Evervinus Steinfeld., Ep. ad Bernardum (Migne, Patr. Lat., CLXXXII, 676); S. Bernardo, In Cant. Serm. LXV, LXVI (Migne, Patr. Lat., CCXXXIII, 1088 segg.); Everardus de Beth., Liber antihaeresis (Bibl. PP. Lugd., Parigi 1644, IV, 1073); Alanus, Summa contra haereses (Migne, Patr. Lat., CCX, 305); Bonaccursus, Vita haereticorum (Migne, Patr. Lat., CCIV, 775); Moneta Crem., Adv. Catharos et Waldenses, Roma 1743; Rainerius Sacconi, Summa de Chataris et Leonistis, in Martène e Durand, Thes. nov. anecd., Parigi 1717, voll. 5; C. Duplessis D'Argentré, Coll. iudic. de novis erroribus Parigi 1728; J. von Döllinger, Beiträge zur Sektengeschichte des Mittelalters, Monaco 1890; Fredericq, Corpus docum. haereiicae pravitatis Neerlandiae, I e II, Gent 1889-896; C. Douais, Documents pour servir à l'histoire de l'Inquisition en Languedoc, Parigi 1900; Ch. Molinier, Un traité inédit du XIIIe siècle contre les Cathares, in Ann. de la Fac. de lettres de Bordeaux, V, fasc. 2.

Bibl.: U. Hahn, Gesch. der Ketzer im Mittelalter, I, Stoccarda 1845; Ch. Schmidt, Histoire et doctrines de la secte des Cathares, voll. 2, Parigi 1849; C. Comba, Storia della Riforma in Italia, I, Firenze 1881; F. Tocco, L'eresia nel Medioevo, Firenze 1884, pp. 73-134; Ch. Lea, History of the Inquisition of Middle Age, Londra 1888; J. Guiraud, L'Inquisition mediévale, Parigi 1928, p. 21 segg.; G. Volpe, Mov. relig. e sette eret. nel M. E., Firenze s. a.; E. Broeckx, Le catharisme ecc., Lovanio 1912; E. Holmes, The Albigensian or Catharist Heresy, Londra 1925.

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