CAULE

Enciclopedia Italiana (1931)

CAULE (dal lat. caulis, gr. καυλός "stelo, asta"; fr. tige; sp. tallo, troncho; ted. Stamm, Stengel; ingl. stem)

Carlo AVETETTA
Valeria BAMBACIONI

Il caule o fusto è quella parte dell'asse delle piante cormofite che, erigendosi per solito verticalmente nell'aria, porta ai suoi lati le foglie. Con la radice, che è generalmente il prolungamento diretto della parte inferiore di esso, il caule contribuisce a formare l'asse generale unico del corpo della pianta. Anche le piante inferiori, che non posseggono ancora un cormo, ma soltanto un corpo omogeneo chiamato tallo, possono talora presentare qualche parte di esso che simula il caule e che prende perciò il nome di cauloide (v.).

Morfologia esterna. - Il vero caule, differenziatosi gradatamente dal tallo e che troviamo con sicurezza nelle piante superiori, dalle Felci in avanti presenta numerosi caratteri di cui solo pochi esclusivi di esso e che, servono a identificarlo, distinguendolo dagli altri due membri fondamentali, cioè la foglia e la radice. Tali sono:

1. esso forma l'asse del germoglio e porta ai suoi lati appendici di natura diversa dalla sua: le foglie;

2. l'apice vegetativo con cui termina il caule è nudo, ma non visibile, perché coperto dalle sue giovani foglie che oltrepassandolo e incappucciandosi formano con esso la gemma;

3. l'apice ha accrescimento potenzialmente illimitato, cioè può continuare ad allungare il caule indefinitamente;

4. normalmente il caule ha origine esterna cioè dalla parte superficiale del corpo; solo eccezionalmente si forma a una certa profondità e deve aprirsi la strada per affiorare e diventare visibile.

La presenza di foglie ai lati del caule determina su di esso le regioni dette nodi e internodi o meritalli; i primi sono i punti dove s'inseriscono le foglie, i secondi gli spazî che intercedono tra nodo e nodo. Gl'internodi adulti, che han finito di crescere, variano soprattutto per la lunghezza: talora brevissimi, sono per lo più di lunghezza visibile, o tutti uguali, o gli uni più corti degli altri, potendo persino uno di essi allungarsi smisuratamente (Cyperus). Anche la presenza di foglie di diverse forme permette di distinguere regioni diverse del caule. Già i cotiledoni permettono di distinguere nell'asse del germoglio la parte sottostante ad essi (ipocotile), da quella che sta sopra (epicotile). Il caule presenta moltissimi altri caratteri variabili per forma, dimensioni, ecc., che, per quanto non esclusivi di esso, non sono meno importanti.

Forma. - In generale esso ha forma cilindro-conica in quanto l'apice vegetativo con cui termina è per lo più conico (fig. A, 3 e 7). Da tale forma tipica si passa facilmente a quella di prisma con un numero variabile di spigoli, ad es. tre nelle Ciperacee, quattro nelle Labiate, un numero maggiore in certe Cactacee (v.) nelle quali il caule può assumere forma di palla isodiometrica (Echinocactus, Mamillaria), o più larga che lunga (Testudinaria), ovvero ancora appiattirsi a tratti a guisa di tante spatole ovali ristrette alla base (Opuntia) o di nastri (Muehlenbechia), o di lamine simulanti lembi fogliari (Semele, Ruscus): tutti questi cauli appiattiti, che contemporaneamente inverdiscono, vanno sotto il nome generale di cladodio (v.) e rappresentano forme metamorfosate a scopo funzionale. Persino fusti lunghi e cilindrici possono gonfiare nella parte mediana e assumere la strana forma di botti colossali, come avviene nella Chorisia ventricosa, Bombacacea dell'America del sud.

Dimensioni. - Soprattutto quelle in lunghezza variano tra limiti molto ampî. Da piante in cui il caule è tanto corto che si riteneva mancasse, e vennero perciò chiamate impropriamente acauli (il vocabolo è usato oggi per indicare piante dal caule brevissimo), si giunge per gradi ai giganti della vegetazione, quali gli Eucalyptus dell'Australia e le Sequoia della California, alti 100 e più metri ed alle palme sarmentose delle foreste tropicali, di cui alcune (Calamus) si dice raggiungano coi loro esili fusti, somiglianti a corde, la lunghezza di 300 metri. Anche la grossezza dei fusti è molto varia, da quella di un esile filo (Cuscuta, Parietaria Soleiroli) ai colossali alberi sopra ricordati ed altri (Baobab, Taxodium) con diametro di 10-20 metri.

Consistenza. - Di pari passo varia anche il grado di solidità: si hanno cauli a consistenza erbacea, molle e persino succulenta (piante grasse); e cauli a consistenza legnosa per indurimento delle parti interne del corpo; così pure cambia lo stato della superficie (che può essere liscia, glabra, pelosa o variamente rugosa) e il colore, per solito verde nei cauli erbacei ed anche in quelli che diventeranno legnosi quando sono tuttora giovanissimi, per passare poi in questi ultimi al grigio o bruno o altre tinte caratteristiche, quali la rossastra (Cannella) e la bianca (Betulla).

Durata. - Vi sono piante erbacee - quali Stellaria media e Senecio vulgaris - che compiono l'intero loro ciclo vitale in poche settimane, onde se ne producono parecchie generazioni in un anno indipendentemente dalle stagioni. Altre piante a caule erbaceo in maggiore dipendenza dalle stagioni sono annuali o biennali (quando non trovano il modo di diventare perenni con dei ripieghi di cui sarà detto più avanti), ma le piante a caule legnoso, pur perdendo ogni anno alcune parti del corpo (foglie, rami del fusto), possono avere vita lunghissima (v. albero).

Portamento. - Il portamento così vario delle diverse piante dipende soprattutto dai caratteri del loro caule e dal suo modo di vegetazione. Già i cauli erbacei, ma ancor più i legnosi, hanno la tendenza a crescere verticalmente all'insù in posizione eretta od ortotropa quando hanno a tal uopo rigidità sufficiente dovuta a cause diverse (turgore, lignificazione). Ma molti cauli erbacei o loro rami e persino cauli legnosi lunghi e sottili (sarmentosi) non riescono a mantenere la posizione eretta e si sdraiano sul suolo strisciandovi sopra (cauli detti stoloni dell'Ajuga reptans, Viola odorata), vi si addentrano e diventano sotterranei e perennanti, modificando più o meno profondamente il loro aspetto col trasformarsi in rizomi, tuberi, bulbi. Oltre a tali cauli orizzontali, detti anche plagiotropi, che presentano spesso il carattere della dorsoventralità (Hedera, rizomi) si dà pure il caso di piante erbacee a caule debole e incapace di mantenersi eretto od anche di cauli legnosi sottili e lunghissimi che si trovano nelle stesse condizioni, i quali tuttavia non strisciano ma si sollevano in alto, sia avvolgendo ad elica il caule stesso, finché è flessibile, attorno a sostegni rigidi (cauli volubili, destrorsi: Phaseolus, Convolvulus; sinistrorsi: Humulus lupulus), sia sviluppando speciali organi di attacco - cirri, uncini, ventose - coi quali si aggrappano a sostegni non adatti per l'avvolgimento (piante rampicanti o scandenti). Tra i fusti eretti, specialmente quelli legnosi hanno portamenti caratteristici di varie sorta.

Accenniamo alla distinzione tra erbe, arbusti e alberi. Le erbe sono piante a fusto aereo erbaceo, perciò abitualmente annuali e qualche volta biennali, perché nel primo anno il caule rimane breve (piante acauli), a fior di terra e in tali condizioni può svernare; altre volte, vegetando il loro germoglio principale sotterra in forma di rizoma, tubero, ecc., diventano erbe perenni o suffrutici. Arbusti e alberi sono invece piante con caule legnoso: nei primi, detti anche frutici e che sono di statura minore, il caule è guarnito di rami fin dalla base e spesso si confonde con essi in quella forma che si suol chiamare cespugliosa o cespuglio. Negli alberi per contro il fusto, quando ramifica, non porta rami che a cominciare da una certa altezza e la parte inferiore colonnare di esso, che ne è rimasta sfornita, si dice tronco, mentre il completamento dei rami ne forma la cima o chioma. Il fusto che, pur raggiungendo notevole altezza, non ramifica e porta in cima una corona di grandi foglie (es. tipico quello delle Palme) si chiama stipite. Si dice invece culmo il caule semplice o ramoso delle Graminacee, con nodi molto evidenti ed internodi fistolosi.

Uno dei caratteri che influiscono sul portamento dei cauli legnosi ramificati è la direzione che assumono nello spazio i rami rispetto all'asse che li porta (v. albero: Chioma).

La ramificazione del caule, cioè la produzione da parte di esso d'appendici di natura identica alla sua, può effettuarsi secondo due tipi diversi. O l'apice stesso dividendosi longitudinalmente in due parti equivalenti perde la sua individualità, cresce in due rami divergenti, e allora si parla di ramificazione apicale; oppure l'apice del caule conserva intatta la sua individualità continuando a crescere unitario per proprio conto e i rami si originano ai suoi lati per opera di nuovi apici che si sviluppano in punti determinati (generalmente le ascelle fogliari), e in tal caso si parla di ramificazione laterale.

La ramificazione apicale del caule, che era frequente in piante di altre epoche, ma che presentemente è limitata a pochi rappresentanti delle Cormofite inferiori (Licopodinee), ha luogo nel più dei casi per biforcazione dell'apice che si è diviso in due, onde prende anche il nome di dicotomia o di dicopodia, giacché il tratto non diviso fa come da supporto o piede della soprastante biforcazione. Se i due rami della dicotomia crescono con eguale vigore, ripetendo, spesso più volte, la biforcazione per proprio conto, si ha la dicotomia uguale (Lycopodium); se invece uno dei due rami cresce di più e l'altro di meno, il ramo più sviluppato tende a mettersi in posizione verticale spostando da un lato il ramo debole che pare allora un ramo laterale, mentre il primo sembra un diretto prolungamento del piede della biforcazione. E siccome questo ramo piu robusto si biforca a sua volta ripetendo lo stesso comportamento, ne risulta un caule più o meno rettilineo in apparenza unitario, ma effettivamente formato dall'allinearsi capo a capo dei successivi piedi più robusti di altrettante dicotomie disuguali; caule che ha ricevuto il nome di simpodio (dicotomia simpodiale, es. Selaginella).

Invece nella ramificazione laterale il fusto, che è realmente unitario in tutta la sua estensione e porta rami di vera origine laterale, prende per antitesi il nome di monopodio (es. Conifere). Questo si può presentare in due forme di aspetto molto diverso l'una dall'altra, in quella di grappolo o racemo e in quella di cima. Nella forma racemosa il caule primario cresce più dei suoi rami e li sovrasta (Abies, Populus, ecc.); nella forma cimosa invece i rami oltrepassano l'asse che li ha generati, perché si allungano più di esso. Anche nella ramificazione monopodiale a cima si può formare un simpodio.

Morfologia interna. - Per quanto riguarda la struttura interna del caule, essa varia non solo nei diversi gruppi di piante, ma anche nella stessa pianta a seconda della regione che si considera.

Nell'apice troviamo solo tessuti embrionali detti anche meristemi (dal gr. μερίζω "divido" e στῆμα "stame") perché in continua divisione per produrre i tessuti adulti; essi derivano o dalla segmentazione di un'unica cellula apicale a forma di cuneo o di tetraedro, come nella maggioranza delle Pteridofite (fig. A, 7), o da un gruppo di cellule iniziali, come nelle Gimnosperme e Angiosperme (fig. A, 3). In molti casi è possibile distinguere in questi meristemi tre istogeni o meristemi a funzione specifica: il dermatogeno (fig. A, 3-d), il periblema (fig. A, 3-pr) e il pleroma (fig, A. 3-pl), i quali differenziandosi in tessuti definitivi dànno tre regioni, l'epidermide (fig. A,1-e), il cilindro corticale o corteccia primaria (fig. A,1-cc.) e il cilindro centrale o stele (dal gr. στήλη "colonna", fig. A,1-st), caratteristiche della struttura primaria del caule, la quale si rende manifesta a una certa distanza dall'apice.

L'epidermide quasi sempre risulta di un solo strato di cellule a perfetto contatto tra loro e con la parete esterna rivestita d'una cuticola più o meno spessa secondo il clima in cui la pianta vive: può essere glabra o pubescente e si presenta generalmente formata di stomi.

Il cilindro corticale è formato, per lo più, da tessuti parenchimatici a cellule più piccole, verdi verso la periferia, più grandi, incolori verso l'interno; talora presenta ipodermi meccanici risultanti di tessuti collenchimatici o sclerenchimatici, o cordoni sclerenchimatici o infine idioblasti meccanici che hanno sempre un ufficio di sostegno. Esso termina, verso l'interno, col fleoterma o limite della corteccia, strato di cellule differenziato, a seconda che contenga granuli di amido o cristalli di ossalato di calcio, in guaina amilifera o ossalifera; in alcuni rizomi e nei cauli di alcune piante acquatiche le cellule del fleoterma ispessiscono e suberificano le pareti, acquistando così i caratteri proprî dell'endodermide.

Il cilindro centrale o stele è formato da parenchima fondamentale, quasi sempre incoloro, e da fasci vascolari: esso è la regione più caratteristica del caule perché la sua struttura varia nei gruppi diversi di piante. Il tipo più frequente di stele, presente nelle Gimnosperme e nelle Angiosperme Dicotiledoni, è l'eustele (fig. A,1): in essa i fasci vascolari (fig. A,1-fv), composti collaterali, sono disposti alla periferia, generalmente in un'unica cerchia e orientati in modo da rivolgere la porzione vascolare o xilema verso l'interno e la porzione cribrosa o floema verso l'esterno: tra queste due porzioni si trova il cambio detto intrafasciale per la sua posizione nell'interno del fascio, che perciò si dice aperto. Il parenchima fondamentale, che occupa tutto il resto della stele, si differenzia in tre regioni: una detta periciclo (fig. A,1-pr), compresa tra il limite esterno dei fasci e il fleoterma; una nel centro detta midollo (fig. A,1-m) e infine quella dei raggi midollari (fig. A,1-rm), compresa tra un fascio vascolare e l'altro. Il periciclo è omogeneo se è formato di solo tessuto parenchimatico, o eterogeneo se è dato anche da tessuto sclerenchimatico; e allora può formare un anello meccanico continuo su tutta la periferia (fig. A,1) o si limita a produrre delle guaine meccaniche in corrispondenza delle porzioni cribrose dei fasci vascolari.

Nelle Monocotiledoni abbiamo quel tipo di stele, detto atactostele (fig. B, 2) in cui i fasci vascolari composti, collaterali o concentrici, sono sparsi nel parenchima fondamentale, i più grossi al centro, i più piccoli alla periferia. I fasci collaterali hanno la porzione vascolare rivolta all'interno e la cribrosa all'esterno, ma non hanno il cambio; perciò si dicono chiusi. Data la disposizione dei fasci vascolari, non è possibile, nel parenchima fondamentale, la distinzione in midollo e raggi midollari, ma è sempre evidente il periciclo. Nelle Pteridofite attuali e in alcune piante fossili si trovano altri tipi di stele, interessanti specialmente dal punto di vista filogenetico, in quanto ci permettono di spiegare la differenziazione di queste varie forme fino all'eustele. Così, tanto in piante attuali quanto in piante fossili, si ha l'aplostele o protostele data da una massa vascolare compatta circondata, all'esterno, da un anello cribroso (fig. A, 6-a); in altre Pteridofite si trova invece la sifonostele dove al centro della massa vascolare si differenzia un midollo: essa può essere ectofloica o ectocribrosa se la massa cribrosa si trova solo all'esterno (fig. A, 6-b) e amfifloica o amficribrosa se la massa vascolare è circondata dalla massa cribrosa tanto all'esterno quanto. all'interno (fig. A, 6-c). Un altro tipo di stele è la dialistele (fig. A, 6-d) più diffusa della precedente nelle Pteridofite viventi e in quelle fossili: in essa si hanno più stele del tipo dell'aplostele; ciascuna è circondata da un periciclo e da un proprio fleoterma differenziato in endodermide.

Per gli accennati rapporti filogenetici tra i diversi tipi di stele, basterà ricordare che, per alcuni autori, la dialistele deriverebbe dalla sifonostele amfifloica per rottura radiale e saldatura dell'anello cribroso, del periciclo e dell'endodermide, mentre dalla sifonostele ectofloica deriverebbe, per rottura radiale, l'eustele.

Col crescere dell'età, il caule, in molte piante, aumenta di spessore, e questo può essere determinato o dal semplice aumento di volume delle cellule (Palme, Pandanacee) o da moltiplicazione delle cellule e formazione di tessuti secondarî in speciali zone meristematiche con produzione di una struttura secondaria (Gimnosperme, Dicotiledoni sia erbacee sia legnose e Gigliacee arboree). Le modificazioni subite dal cilindro centrale, nella struttura secondaria, variano secondo il tipo di stele presente nella struttura primaria.

Nella eustele, le porzioni di cambio intrafasciali vengono collegate, all'inizio della struttura secondaria, da tratti di cambio interfasciale, prodotto a spese del parenchima dei raggi midollari, cosicché si forma un anello meristematico continuo (fig. B, 8). Le cellule degli archi di cambio intrafasciale, dividendosi per pareti tangenziali, distaccano, verso l'interno elementi di legno o xilema secondario, verso l'esterno elementi di corteccia o floema secondario per cui le porzioni vascolare e cribrosa dei primitivi fasci vengono sempre più allontanate tra loro; di quando in quando, da entrambi i lati, producono anche parenchima secondario che forma i raggi midollari secondarî terminanti, a fondo cieco, nei tessuti legnosi e corticali. Anche le cellule degli archi di cambio interfasciali producono legno e corteccia secondaria, ma prolungano anche i raggi midollari primarî attraverso il legno e la corteccia stessa.

La corteccia secondaria (fig. B, 7-cs), detta comunemente anche libro, risulta d'elementi di varia sorta e precisamente di tubi cribrosi, che nelle Dicotiledoni sono sempre forniti di cellule annesse, di parenchima cribroso che, insieme coi tubi cribrosi, costituisce il libro molle, e di fibre liberiane morte, a pareti più o meno ispessite, spesso lignificate e ordinariamente riunite in gruppi, che costituiscono il libro duro: a questi elementi talora si aggiungono anche cellule secretrici. La corteccia secondaria serve all'immagazzinamento, per mezzo del parenchima cribroso, e al trasporto, per mezzo dei tubi cribrosi, delle sostanze organiche fabbricate dalla pianta: zuccheri, grassi, sostanze proteiche.

Alla formazione del legno secondario (fig. B, 7-l) partecipano: 1. gli apparecchi per il trasporto dell'acqua, cioè: le trachee, le quali, a seconda degli ispessimenti delle pareti, sono reticolate, spiralate, rigate, e le tracheidi, anch'esse areolate, spiralate, ecc.; 2. il parenchima legnoso, sviluppato specialmente intorno alle trachee e tra un raggio midollare e l'altro; 3. le fibre legnose, caratterizzate dall'ispessimento lignificato delle pareti.

L'ufficio del legno è principalmente quello di trasportare l'acqua e i sali nutritizî: esso serve anche come deposito di sostanze di riserva, che si accumulano durante il periodo di riposo nel parenchima legnoso, e infine ha ufficio meccanico costituendo lo scheletro della pianta. Non in tutte le piante il legno risulta degli elementi sopraccennati: nelle Gimnosperme esso è costituito di sole tracheidi areolate, disposte in file radiali molto regolari, e di scarso parenchima legnoso limitato intorno ai raggi midollari e ai canali resiniferi; risulta quindi molto omogeneo ed è perciò detto omoxilo (fig. B, 3). Nelle Dicotiledoni invece, fatte poche eccezioni (Drimys, ecc.), il legno possiede oltre alle tracheidi anche trachee, parenchima e fibre legnose, e sviluppandosi questi elementi in modo diverso, il legno non risulta regolare e omogeneo come nelle Gimnosperme, e perciò è detto eteroxilo (fig. B, 7-l).

Sia la corteccia sia il legno secondario sono radialmente attraversati dai raggi midollari (fig. B, 7-rm) il cui ufficio è quello di mettere in relazione gli elementi del legno con quelli della corteccia per stabilire gli scambî nutritizî. Le dimensioni dei raggi midollari nel legno variano molto: sono sottili nelle Conifere, nel salice, nel pioppo, ecc., molto ampî invece nella quercia, nel castagno; e in corrispondenza di essi il legno, disseccandosi, facilmente si spacca. Nella corteccia i raggi midollari spesso si presentano più ampî che nel legno, perché le loro cellule, per tener dietro all'aumento di spessore del corpo legnoso, si sviluppano tangenzialmente e subiscono anche delle divisioni radiali (fig. B, 7).

Nelle piante legnose dei climi temperati e freddi il cambio è attivo nella buona stagione mentre cessa di funzionare in autunno: da ciò risulta che gli elementi prodotti all'inizio della primavera sono grandi, a lume ampio, a pareti relativamente sottili (legno di primavera) e hanno prevalentemente funzione conduttrice; gli elementi invece prodotti in seguito sono di dimensioni sempre minori finché in autunno sono piccolissimi, a pareti fortemente ispessite (legno d'autunno) e hanno prevalentemente funzione di sostegno. A ridosso di questi elementi piccoli si producono, alla ripresa della vegetazione, nuovi elementi grandi e dal contrasto tra l'aspetto del legno di primavera e l'aspetto del legno d'autunno deriva la formazione di anelli concentrici, le cerchie annuali. In alcune Dicotiledoni (salice), gli elementi prodotti nelle diverse stagioni non differiscono tra loro e quindi non si distinguono le cerchie annuali, il cui sviluppo inoltre è diverso nelle diverse annate, dipendendo da varî fattori esterni, come la fertilità del suolo, e interni, come l'età della pianta. Nei paesi dove a un periodo di pioggia ne segue uno di siccità, la periodicità del cambio è in relazione con tale alternanza, cessando di funzionare col sopraggiungere del secco. Nei luoghi a clima uniforme l'attività del cambio è continua e non si formano cerchie annuali. Generalmente il numero degli anelli legnosi d'un fusto corrisponde al numero di anni della pianta; in certi casi però esso è maggiore, come avviene quando, per la perdita improvvisa delle foglie determinata da gelo tardivo, invasioni di bruchi, ecc., s'aprono prematuramente le gemme, cosicché la nuova produzione di foglie provoca un ripetuto sviluppo di legno primaverile. Inoltre il confine tra le cerchie può non essere bene segnato e lo spessore degli anelli può variare da un settore all'altro del fusto.

A mano a mano che il corpo legnoso s'accresce, gli elementi vivi nella parte centrale, più vecchia, muoiono, quelli degli strati periferici si conservano vivi, cosicché nel legno viene a distinguersi il cuore o durame centrale dall'alburno periferico, fatta eccezione di alcune piante (aceri, betulle) dette a legno dolce, in cui il legno consta di solo alburno. Il cuore, più resistente dell'alburno, è generalmente imputrescibile perché, prima di morire, le cellule vive del legno, sciogliendo le sostanze di riserva in esse contenute, dànno origine a svariati composti organici, specialmente i tannini che, impregnando le membrane, le colorano in bruno e le rendono inalterabili. Inoltre si producono sostanze resinose e gommose che ostruiscono, in parte, le cavità degli elementi del legno comprese le trachee, il cui lume, nei legni morti, spesso rimane anche ostruito da protrusioni delle cellule parenchimatiche circostanti, dette tilli (fig. A, 4). Nelle trachee del durame di alcune piante si depositano anche varie sostanze inorganiche, come carbonato di calcio nell'olmo e nel faggio, silice amorfa nel legno Tek della Tectona grandis, ecc.; in altre piante il durame mostra colorazioni più o meno intense: così il legno di Campeggio è colorato in rosso e serve per l'estrazione dell'ematossilina, quello della Maclura auramtiaca è colorato in giallo, quello dell'ebano in nero, ecc. (v. legno).

Con la produzione del legno secondario il fusto cresce in spessore e perciò i tessuti all'esterno del cambio dividono radialmente le loro cellule. L'epidermide (fig. B, 7-ep), nel maggior numero dei casi, si lascia stirare passivamente finché viene lacerata e, a difesa dei tessuti sottostanti, si forma il sughero (fig. B, 7-s) per opera d'un meristema intercalare, secondario, il fellogeno (dal greco ϕελλός "sughero" γεννάω "genero").

Questo meristema può avere origine, per divisione tangenziale, o dalle stesse cellule epidermiche o, molto più frequentemente, da una serie di cellule più o meno profonda del cilindro corticale primario: in alcuni casi esso si forma anche più profondamente a spese del periciclo e perfino degli strati più superficiali della corteccia secondaria. Il fellogeno può avere attività unilaterale e allora produce soltanto sughero verso l'esterno ma può anche avere attività bilaterale e allora distacca elementi secondarî anche verso l'interno producendo il felloderma. Mentre le cellule del felloderma sono vive e spesso contengono cloroplasti, quelle del sughero sono morte; le loro membrane, suberificate, sono cattive conduttrici del calore e impermeabili; per questo, quando il fellogeno è d'origine profonda, tutti i tessuti all'esterno del sughero, non essendo nutriti, si disseccano e muoiono, formando la scorza. Questa in alcune piante si distacca periodicamente, determinando la decorticazione (platano, eucalipto, vite, ecc.) oppure rimane attaccata alla pianta come nella quercia, nel mandorlo, ecc. Attraverso le cellule del sughero non passano nemmeno i gas e per permettere i loro scambî tra l'esterno e l'interno lo strato di sughero è interrotto dalle lenticelle (fig. A, 2), apparecchi prodotti anch'essi dal fellogeno e capaci di sostituire gli stomi, perché le cellule che li compongono (cellule di riempimento), pur essendo morte, non hanno le pareti suberificate e sono separate da ampî spazî intercellulari.

La struttura secondaria sopra descritta è quella tipica, normale, che si riscontra nella grande maggioranza delle piante legnose, Gimnosperme e Dicotiledoni. Esistono però numerose deviazioni da questa struttura, derivate da irregolare funzionamento del cambio e perciò indicate come anomalie. Sarebbe troppo lungo accennare ai diversi esempî, e basta indicare una delle più frequenti che si riscontra nei generi Cycas e Gnetum fra le Gimnosperme, in alcune Chenopodiacee, Fitolaccacee, Papilionacee, ecc. fra le Dicotiledoni. In queste piante il primo cambio, formatosi nel modo descritto, cessa più o meno presto di funzionare e se ne forma un altro all'esterno della corteccia secondaria, in genere nel periciclo. Questo nuovo cambio genera a sua volta legno all'interno e corteccia all'esterno, poi cessa anch'esso di funzionare e ne compare un altro più esterno. Si formano così tante zone concentriche di legno e di corteccia, talora bene evidenti in sezione trasversale, come si osserva nella liana Mucuna altissima (fig. B, 6).

Nelle Monocotiledoni, il caule si accresce generalmente per aumento di volume delle cellule del parenchima fondamentale e solo in alcune Gigliacee arboree (Dracaena, Yucca, Cordyline, Aloë, ecc.) si ha una struttura secondaria (fig. B,1) determinata da un meristema che si forma nella regione periciclica, all'esterno dei fasci primarî (fig. B,1-fvp). Questo meristema (mv.) prima ad attività unilaterale, produce, solo dal lato interno, parenchima secondario e fasci vascolari secondarî (fvs), successivamente diventa ad attività bilaterale e produce verso l'esterno parenchima corticale secondario, che aumenta lo spessore della corteccia. Oltre a questo meristema vascolare si genera, alla periferia, un fellogeno (mf) produttore di abbondante sughero.

Bibl.: Ph. van Tieghem, Traité de bot., 2ª ed., Parigi 1891; G. Bonnier e Leclerc du Sablon, Cours de bot., Parigi 1905; R. Chodat, Principes de bot., 1ª ed., Ginevra 1907; E. Straburger, Trattato di bot., 4ª ed., 1928.

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