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Cecoslovacchia

di Riccardo Picchio - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Cecoslovacchia

Riccardo Picchio

Le terre ceche di Boemia e Moravia che, insieme con la Slovacchia, costituiscono la moderna C., rientrarono negli orizzonti politico-culturali di D. in virtù della loro funzione di perno nella strategia medievale dell'Impero: soprattutto quando si estinse la dinastia indigena dei Přemyslidi (1306) e dopo che, grazie al matrimonio con la sorella dell'ultimo Přemyslide, Venceslao III, l'imperatore Giovanni di Lussemburgo, figlio di Enrico VII, s'insediò sul trono di Praga (1310). Nella Commedia troviamo riferimenti alla situazione boema in Pg VII 97-102 e in Pd XIX 115-117, 124-126. Oltre a questi luoghi principali, si suole ricordare, in rapporto sia pure indiretto e non nettamente implicito con la Boemia, anche Ep VII 18 (Johannes namque, regius primogenitus tuus et rex) come spunto per considerazioni storico-esegetiche su Giovanni di Lussemburgo. A ciò possiamo aggiungere VE I VIII 4, poiché nell'area geografico-linguistica cui si riferiscono le menzioni di Sclavones, Ungaros, Teutonicos (con l'aggiunta cautelativa di alias nationes e l'analoga riserva insita nel ‛ quasi ' di quasi praedicti omnes ‛ jo ' affirmando respondent) è lecito comprendere le terre boemo-morave che nel IX secolo avevano avuto, con la missione slava di Cirillo e Metodio, la prima consacrazione di uno dei diversa vulgaria vagamente noti a Dante.

Quanto alle citazioni della Commedia, la fatica esegetica sembra concentrarsi sulla delucidazione dei fatti storici cui D. allude. A proposito di Pg VII 97-102 resta non nettamente chiarito il motivo per cui Ottacchero (ossia Přemysl Otakar II, c. 1230-1278; v. OTTOCARO), facendo coppia di corteo col suo antagonista Rodolfo d'Asburgo, ne la vista lui conforta. Si è pensato a un acquietamento purgatoriale delle passioni terrene; ma anche, e forse con maggior fondamento, possiamo insistere sul valore etico-politico della Pax imperiale al di sopra delle contese dinastico-statali. Vincislao suo figlio (ossia Venceslao II, 1271-1305) è qui ricordato con una forte e voluta antipatia che, anche con ripresa terminologica tale da darci il senso di un cliché di giudizio (Pg VII 102 lussuria e ozio, Pd XIX 124 la lussuria e'l viver molle), culminerà nell'invettiva-profezia dell'aquila in Pd XIX. Nel discorso dell'aquila il ricorrere del motivo boemo col breve intervallo di due terzine conferma gl'interessi di D. per questa zona dell'impero, ma anche apre problemi di non poco conto a proposito del vero giudizio di D. sull'impresa di Alberto imperatore, sul significato della formula regno di Praga nonché della ribadita accusa di incapacità a carico di quel di Boemme (XIX 117, 125). Oltre che ai rapporti fra regno di Boemia e autorità imperiale, ogni commentatore dovrebbe rifarsi alle lotte dinastiche boemo-ungaro-polacche. Lo studio della politica papale attorno al 1300, quando Ladislao il breve (Lokietek) di Polonia rivendicava presso Bonifacio VIII la corona di Cracovia usurpatagli da Venceslao II (lussurioso e incapace nel giudizio di D., eppure ricordato con termini positivi non solo dai contemporanei, ma anche dai primi commentatori della Commedia, tra cui l'Ottimo), si profila di decisiva importanza a questo proposito. Anche la tecnica di sintetica descrizione geografica della terra corrispondente al regno di Praga ovvero a Boemme può servire a uno studio comparato della concezione giuridico-territoriale che D. ha dei regni nell'ambito dell'impero: cfr. per es. Pg VII 98-99 la terra dove l'acqua nasce / che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta, con Pd VIII 65-66 a proposito dell'Ungheria, quella terra che 'l Danubio riga / poi che le ripe tedesche abbandona. (Per particolari eventi storici, v. BOEMIA).

Le considerazioni politiche che inducono a postulare un preciso interesse di D. per la Boemia possono spiegare o almeno possono farci ammettere la possibilità di una precoce diffusione di sue opere nelle terre ceche. Il codice di Znojmo della Monarchia sembra essere stato portato a Praga, per Carlo IV, da Cola di Rienzo nel 1350. Poiché Carlo IV già era stato, giovinetto, in Italia nel 1331, varie congetture possono nascere in merito a ciò che l'illuminato imperatore avrebbe sentito o letto di D. a circa un decennio di distanza dalla morte del poeta. Meno fragili risultano, al confronto, le notizie relative al viaggio italiano di Carlo IV nel 1355. Di D. avrebbe potuto parlare allora all'imperatore, in occasione di un'ambasceria perugina a Pisa, Bartolo di Sassoferrato, le cui cognizioni potevano derivare, in proposito, da Cino da Pistoia. Tre altri personaggi boemi presenti in Italia nel 1355 sono stati comunque presi in considerazione come possibili conoscitori di D.: Arnošt z Parbudic (primo vescovo di Praga), Jan Očko z Vlašimĕ (secondo vescovo di Praga) e Jan ze Středy (Giovanni Novoforense, ovvero Johann von Neumarkt). Solo a proposito dell'ultimo, che ebbe dimestichezza al monastero agostiniano di S. Spirito di Firenze con Luigi Marsili e che conobbe anche Coluccio Salutati (oltre a vari altri dotti italiani, compreso il Petrarca) è possibile sostenere qualche meno vaga ipotesi, fondata su indizi documentari. Il Novoforense, secondo quanto ci riportano gli Annali di Ragusa del 1384 per testimonianza di Giovanni Conversino da Ravenna (il quale, tuttavia, si riferisce a un " Apocrisarius Johannes ep. Ulmocensis " non identificabile con assoluta certezza col Novoforense stesso), avrebbe imparato a memoria D. (la Commedia?) pur senza sapere quasi nulla di italiano. Si tratti o no di notizia attendibile, questo fatto ha variamente attirato gli studiosi del dantismo boemo, ai quali non è sfuggito neppure un lascito dello stesso Novoforense a un monastero agostiniano da lui fondato nel 1356. Tra i volumi citati in quel documento notarile figura infatti anche un " liber Dantis Aligieri item glossa eiusdem Dantis ". Si è pensato alla Monarchia e, forse più fondatamente, al Convivio, ma bisognerebbe probabilmente prendere in considerazione la Vita Nuova (che, come il Convivio, richiama l'idea di una " glossa eiusdem Dantis ") o anche la Commedia con commento di Iacopo o Pietro, se non addirittura la Commedia con glossa costituita dall'EP XIII.

Quanto all'età ussita e immediatamente posteriore al Concilio di Costanza, solo indiretti spunti analogici ci autorizzano a pensare che D. fosse allora letto in Boemia. Non molto più sicuri, del resto, sono i riferimenti a D. come scrittore volgare (ovvero scrittore ‛ nazionale ', pur senza opposizione alla dignità della tradizione del latino) che troviamo in Viktorin Kornel ze Všehrd, nella prefazione a una sua versione di s. Giovanni Crisostomo del 1501, nonché in Mikuláš Konáč in uno scritto pubblicato postumo (da B. Hadĕjovský) nel 1571. Si tratta di dati isolati che potrebbero meglio venire inquadrati in una storia comparata della questione della lingua, dalla Boemia ussita sino al Cinquecento italiano e alla riscoperta critica del De vulg. Eloq.

La ricostruzione di un posteriore dantismo ceco porta a risultati praticamente nulli per i secoli XVII e XVIII e ci fa ritrovare il tipico D. ‛ vate ', ‛ profeta ', ecc. del repertorio romantico paneuropeo non solo per quanto riguarda il sec. XIX, ma anche il XX. Motivi danteschi o pseudodanteschi sono, in tal senso, riscontrabili in Jan Kollár (1793-1852), cantore del primo risorgimento cecoslovacco, nonché - presso i Cechi - in Pravoslav Koubel (1805-1854), Jan Neruda (1834-1891), Jaroslav Vrchlický (1853-1912), Julius Zeyer (1841-1901), Josef Svatopluk Machar (1864-1942), Otokar Březina (1868-1929) e altri minori. Appena degni di menzione, data l'estrema genericità dei loro richiami danteschi, sono alcuni scrittori slovacchi, a partire dal padre delle lettere nazionali L'udovít Štúr (1815-1856) a Hviezdoslav (pseudonimo di Pavel Orszagh, 1849-1921).

Fra i traduttori di D. in ceco il posto d'onore spetta indubbiamente al Vrchlický, la cui versione completa della Commedia fa ancor oggi testo. Prima di lui si devono ricordare l'abate Vincent Žák (il cappellano dello Spielberg di cui parla Silvio Pellico ne Le mie prigioni), il quale tradusse il III dell'Inferno nel 1829; nonché Frantísek Doucha, autore di un Kvetný vybor z Božké Komedie (" Florilegio della D.C. ", 1854). Alla stessa epoca della versione del Vrchlický (1875) appartiene anche un tentativo di versione del canto di Ugolino da parte di Karel Steinich. La versione del Vrchlický fu pubblicata in redazioni successive sino al 1930 ed è considerata un documento essenziale anche per l'evoluzione del ceco letterario moderno. L'unico tentativo di contrapporvisi fu compiuto da O. Babler, la cui versione della Commedia fu pubblicata nel 1952 (Il ediz. 1958).

Il Vrchlický, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, aveva inoltre consolidato il culto ceco per D. poeta lirico, ancor più che per D. ‛ vate ', con le sue versioni della Vita Nuova, delle Rime nonché delle canzoni del Convivio. Altre versioni di D. minore si devono a E. Frinta, J. Bukáček, F. Hrubin. La Monarchia fu pubblicata da B. Ryba, nel 1942, in traduzione ceca col titolo O jedne vlade (" Del potere unico ").

In slovacco, D. è stato tradotto molto poco. Un primo tentativo, limitato al primo canto dell'Inferno, fu compiuto nel 1888 dal gesuita Andrej Kubina. Di C.G.Zoymous ci è giunto un saggio di versione del III dell'Inferno (1893). Solo all'avvicinarsi del centenario del 1965, J. Felix e V. Turčány, che già avevano pubblicato una traduzione della Vita Nuova nel 1958, si sono accinti all'integrale versione della Commedia.

La storia degli studi danteschi in C. è aperta dal don J. Blokša (1861-1923), il cui commento alla Commedia accompagna tradizionalmente la . versione di J. Vrchlický. Tra i rappresentanti della generazione più recente si distingue particolarmente J. Bukáček.

Bibl. - D. a Češi (vol. miscellaneo), Olomouc 1921; J. Bukáček, Le relazioni culturali ceco-italiane, in " Annali R. Università di Trieste " II (1930); A. Cronia, Čechy v dĕjinach italské kultury, Praga 1936; ID., La conoscenza del mondo slavo in Italia, Padova 1958; Z. Kalista, Cisař Karel IV a D.A., in " Annali - Sezione slava " VI, Napoli 1963; A. Cronia, La fortuna di D. nelle letterature céca e slovacca, dal secolo XIV ai nostri giorni, Padova 1964; J. Bukáček, Čechi, Slovaki i D., in D. i Slavjane. Sbornik Statej, a c. di I. Belza, Mosca 1965.

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