CECOSLOVACCHIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

CECOSLOVACCHIA

Sergio Conti
Piero Benetazzo
Alena Wildová Tosi
Lajos Németh
Nicola Balata
Stefania Parigi

(IX, p. 602; App. I, p. 390; II, I, p. 541; III, I, p. 335; IV, I, p. 395)

Dall'aprile 1990 il paese ha assunto la denominazione ufficiale di Repubblica Federativa Ceca e Slovacca.

Condizioni demografiche e sociali. - Le stime del 1989 rilevavano una popolazione residente di 15,6 milioni di ab., in confronto ai 14.344.987 del censimento generale del 1970. Il coefficiente di accrescimento annuo, già inferiore alla media europea nei primi decenni postbellici, si è ridotto ulteriormente sino allo 0,2‰ del periodo 1983-89, come conseguenza di un debole tasso di natalità (dal 17,4‰ del 1972 al 13,8‰ del 1988) e di un tasso di mortalità cresciuto a sua volta dall'11,1‰ all'11,4‰.

Se la densità del popolamento è relativamente elevata (122 abitanti per km2 nel 1989), è diminuito sensibilmente l'esodo rurale, come conseguenza sia della legge federale del 1978, che privilegia lo sviluppo delle città medio-piccole secondo il principio delle attività polivalenti, sia dei successivi piani che prevedono la diffusione nelle zone agricole di un elevatissimo numero di impianti manifatturieri. La stessa Praga nel periodo più recente ha invertito la tendenza all'accrescimento demografico assestandosi (nella seconda metà degli anni Ottanta) attorno a una popolazione di 1,2 milioni di abitanti.

Ciò si riverbera in una strutturale mancanza di mano d'opera (in particolare nelle regioni ceche) cui si è fatto fronte promuovendo accordi bilaterali con altri paesi del COMECON (Polonia in primo luogo) per la regolamentazione dei flussi di lavoratori immigrati.

Condizioni economiche. - Sul piano della politica economica, è proseguita la strategia tesa ad armonizzare lo sviluppo fra paesi cechi, le cui concentrazioni industriali non si discostano da quelle di altri paesi industrializzati dell'Europa occidentale, e le regioni in ritardo della Slovacchia. In tal modo, se nel 1960 la produttività per addetto nella repubblica slovacca era ancora inferiore del 25% a quella dei paesi cechi, all'inizio degli anni Ottanta la produttività media era pressoché eguale.

Permangono ancora squilibri rilevanti nella distribuzione del potenziale industriale, sia fra le due repubbliche che al loro interno. Di fronte all'imperativo di rivitalizzare una struttura produttiva solida ma obsoleta e di decongestionare l'agglomerato della capitale, la strategia avviata nel 1975 e non modificata significativamente in seguito prevede, per i paesi cechi, la concentrazione degli investimenti in dodici poli di sviluppo (Praga, Ústí nad Labem, Karlovy Vary, Plzeň, České Budĕjovice, Liberec, Hradec Králové, Jihlavá, Brno, Olomouc, Gottwaldow e Ostrava). Ciò evidenzia, nel complesso, una significativa inversione nelle priorità di sviluppo regionale: se nei primi tre decenni del dopoguerra l'obiettivo prioritario della politica regionale fu l'area carbonifera della Moravia settentrionale (Ostrava, Havirov e Poruba), con il settimo piano quinquennale (1981-85) un terzo degli investimenti era invece destinato all'area energetica della Boemia settentrionale (Chomutov, Most, Teplice, Ústí nad Labem). La repubblica slovacca, a sua volta, pur occupando circa un terzo della superficie del paese si vede assegnare una quota di investimenti sostanzialmente paritetica rispetto a quella destinata ai paesi cechi. Dal punto di vista delle strategie di sviluppo, sono stati individuati due assi privilegiati di concentrazione degli investimenti: la Valle del Váh, che vede rafforzati vari centri polivalenti (Trnava, Trenčin, Žilina), e la Valle del Hron, comprendente i nuclei di Zvolen e Lučenec.

Commercio e comunicazioni. - Nei confronti degli altri paesi del COMECON, la C. continua a essere specializzata nell'esportazione di macchinari e veicoli, prodotti dell'industria di base, agricola e di vari generi di consumo; nel contempo minerali e metalli (di cui il 34% proveniente dall'URSS) rappresentano le principali voci dei flussi di importazione. Poco indebitata con i paesi occidentali (comparativamente ad altre economie dell'Est europeo), la C. ha accumulato dal 1978 un disavanzo di oltre 2 miliardi di rubli nei confronti dell'Unione Sovietica, per il cui riassorbimento sono stati avviati numerosi accordi di cooperazione nei settori dell'alta tecnologia e della robotica in particolare, cui la C. partecipa fornendo tecnologia e personale qualificato.

Lo sviluppo delle vie di comunicazione ha subìto negli ultimi 15 anni un'accelerazione sensibile. Nel 1980 è stata ultimata la costruzione dell'autostrada Praga-Bratislava (440 km) e sono iniziati i lavori di costruzione della tratta che dalla capitale raggiungerà la Boemia meridionale, mentre in Slovacchia è stato completato il primo tronco (60 km) dell'autostrada che unirà Bratislava a Košice. Di notevole rilevanza, infine, sono i progetti di comunicazione fluviale: fra questi spicca il progetto ambizioso, attualmente in fase di realizzazione, di unire il Danubio con l'Oder fra Bratislava e Ostrava. Un altro canale, fra Přerov e Pardubice, congiungerà l'Oder con l'Elba.

Storia. - Molti osservatori si aspettavano che G. Husak e i suoi uomini ripercorressero la stessa strada di pacificazione nazionale aperta in Ungheria da J. Kadar dopo la rivolta del 1956. Ma per il nuovo gruppo dirigente cecoslovacco ''normalizzazione'' significò solo reimporre le leggi dell'ortodossia ideologica, senza alcuna flessibilità per le esigenze della società. Il concetto stesso di riforma fu di fatto bandito dai documenti ufficiali e per ritrovarne l'espressione sulla stampa bisogna arrivare al 1985, quando la crisi economica comincia a farsi drammatica e a Mosca ha preso il potere Gorbačëv. Il 1968 e il suo riformismo diventano dunque dei fantasmi da esorcizzare − come scrive il politologo cecoslovacco Z. Mlinar − perché accennare a riforme avrebbe significato per Husak ridare legittimazione a ben 500.000 membri del partito espulsi nella purga più massiccia mai attuata in un paese dell'Est (URSS esclusa).

La ''normalizzazione'' cercò dunque ispirazione nei dettami di quello schematismo ideologico che la ''primavera'' di A. Dubcek aveva rifiutato. Ricomparvero le rigide pianificazioni centralizzate e i piani quinquennali, fu reintrodotta la censura, scomparvero dagli scaffali i libri di F. Kafka e di altri autori ''proibiti''; la polizia si gonfiò fino a raggiungere la cifra record di 140.000 agenti e le Forze armate − come scrisse il Rude Pravo, organo del partito − divennero le più numerose d'Europa. Gli oltre due decenni di ''normalizzazione'' furono quella che si potrebbe chiamare una ''vicenda senza storia'', caratterizzati da un pertinace rifiuto di ogni riformismo e di ogni riconciliazione con quel movimento liberaleggiante che aveva attraversato la società cecoslovacca. Alla guida del paese restò quel gruppo ristretto di uomini che avevano combattuto Dubcek e che avevano voluto l'intervento sovietico, una piccola classe di garanti che cadranno solo con la caduta del regime.

Questa strategia dell'immobilismo aveva i suoi pilastri nell'appoggio costante di Mosca e nello sforzo economico diretto a riempire le vetrine dei negozi per controllare i malumori, secondo il vecchio schema di un patto sociale a cui si erano attenuti tutti i regimi dell'Est e che offriva un po' di benessere e di parassitismo sul posto di lavoro in cambio di una piena delega politica al partito e ai suoi dirigenti.

Ma già all'inizio degli anni Ottanta la stessa propaganda ufficiale non riusciva a nascondere il continuo deteriorarsi della situazione economica e sulla stampa cominciarono a filtrare le cifre di quello che si stava ormai profilando come un disastro: le sovvenzioni ai prezzi, garanzia di pace sociale, stavano divorando il bilancio dello stato che si era sestuplicato in poco più di un decennio; le esportazioni non riuscivano più a tenere il ritmo con le importazioni; le industrie cecoslovacche, prive di ogni stimolo alla modernizzazione, erano diventate le più vecchie d'Europa e i loro prodotti non solo non riuscivano a competere con quelli occidentali, ma stavano anche uscendo dal mercato orientale, facendo della C. un paese debitore anche nell'ambito del COMECON, una struttura che l'aveva sempre vista nella posizione del creditore. Nel 1988 il presidente della Banca Centrale, S. Potac, dichiarò che le industrie cecoslovacche "avevano perso la capacità di pagare i fornitori", innescando così il meccanismo di una generale insolvenza.

Piccole e inevitabili dosi di glasnost aprirono squarci sul malessere sociale che si stava approfondendo: l'esasperato egalitarismo, che puniva gli stipendi degli intellettuali, aveva svuotato le università a un punto tale che la C., che aveva debellato l'analfabetismo oltre un secolo prima, contendeva all'Albania il record del minore numero di studenti universitari (in percentuale) in Europa. E nella graduatoria delle spese dedicate all'educazione la C. era finita al 27° posto nel mondo.

La crisi dei servizi e della produttività era sintetizzata in due cifre su cui la stampa accese il dibattito: due terzi degli appartamenti appena costruiti erano difettosi e 280.000 persone attendevano il telefono da almeno un decennio.

Il declino dell'apparato industriale e l'obiettivo di aumentare continuamente la produzione portarono a uno sfruttamento selvaggio dell'ambiente, che ha fatto dell'ecologia il problema più importante di fronte a cui si trova il paese: la durata della vita media è crollata e la C. si trova, tra i paesi europei, al terz'ultimo posto, mentre due terzi della popolazione è affetta da malattie croniche. Del profondo malessere economico, politico e sociale che cominciò ad attraversare il paese erano espressione i gruppi di dissidenti che continuavano a sorgere e a moltiplicarsi. Il primo e il più importante era Charta 77, un movimento fondato non appena la C. ratificò l'accordo dell'ONU sul rispetto dei diritti politici e sociali dei cittadini. Il suo obiettivo − precisò il documento di fondazione − non era quello di diventare una forza politica di opposizione, ma piuttosto di porsi come un'alternativa culturale, affinché la popolazione non dimenticasse i propri diritti politici e civili. Fra le centinaia di persone che vi aderirono c'era anche lo scrittore V. Havel, che diventerà poi presidente della Repubblica.

Nei suoi dodici anni di tormentata attività il movimento produsse centinaia di studi e documenti che richiamavano l'attenzione su temi o ignorati o falsificati dalla propaganda del regime: dall'ecologia alla situazione economica, dalla discriminazione nelle scuole alla persecuzione degli zingari, dalla mancanza di appartamenti ai problemi della sicurezza militare e del disarmo. Nel 1979 parecchie decine di suoi membri furono arrestati e condannati (fra di essi anche Havel) e la persecuzione sporadica e selettiva continuò fino alla fine del regime. Charta 77 fu una specie di ombrello protettore dei vari gruppi del dissenso cecoslovacco, che negli ultimi anni si erano andati moltiplicando. I più numerosi erano il Club del Jazz e quello del Rock and Roll, generi musicali entrambi proibiti come espressione di ''deviazionismo borghese''. Ma c'erano anche il Movimento per le libertà civili, il Gruppo indipendente per la pace, gli Amici della perestrojka, il Club dei lettori della stampa sovietica, che era sparita dalle edicole con l'affermarsi del movimento di liberalizzazione a Mosca.

Tra il 1987 e il 1988 oltre 600.000 persone trovarono il coraggio di firmare un appello pubblico che chiedeva libertà di culto e la fine delle persecuzioni contro i credenti. Ma nonostante il fiorire e il diffondersi dei gruppi del dissenso, il movimento civile in C. non aveva la forza e l'organicità di quello polacco, rimaneva frammentato e con rapporti difficili con una popolazione che faceva fatica a rimarginare la ''ferita'' del 1968. Il regime, a parte alcuni arresti e alcune condanne, non dimostrò mai di preoccuparsene troppo, sicuro della forza di persuasione della sua polizia e della fedeltà dell'apparato.

Più che la pressione interna furono dunque gli avvenimenti dell'Est a scuotere, in C., il regime e le sue certezze. Nel dicembre del 1987, pochi mesi dopo la visita di Gorbačëv a Praga, il regime fu costretto a un primo cedimento per non perdere i contatti con Mosca: G. Husak lasciò la carica di segretario generale del partito, ma fu sostituito da M. Jakes, suo fedele compagno di ortodossia, l'uomo che, come capo della commissione di controllo, aveva diretto la grande purga contro gli uomini di Dubcek e aveva restaurato le pianificazioni centralizzate nell'economia. Nell'ottobre del 1988 Jakes, per bilanciare il cedimento, allontanò dal potere le uniche frange di un timido riformismo che facevano capo al premier L. Strugal, sostituito da L. Adamec, e inserì nell'ufficio politico dei quarantenni non coinvolti con l'occupazione del 1968, ma di sicura fede conservatrice.

Un'operazione di cosmesi che ha lasciato un partito immobile, ancorato nella strenua difesa di quell'ortodossia interna e internazionale che si andava velocemente sfaldando. Ma il crollo del muro di Berlino − il 9 novembre 1989 − lasciò la C. del tutto isolata in centro Europa, mentre i negoziati sul disarmo avevano ormai indebolito il suo ruolo di prima linea nel Patto di Varsavia, ruolo su cui contavano i dirigenti cechi per ottenere un minimo di complicità da parte di Mosca alla loro rigidità ideologica. I primi missili nucleari a medio raggio installati in C. all'inizio del 1980 cominciavano a essere ritirati e l'invasione del 1968, l'unica legittimazione al potere del gruppo dirigente, era già sottoposta a revisione a Mosca. Eppure quando a Berlino crollò anche uno degli ultimi alleati e l'ordine europeo uscito dalla seconda guerra mondiale fu rimesso in discussione non si registrò, tra i dirigenti cecoslovacchi, nessuna apparente reazione di panico.

Quello che invece cambiò, in modo decisivo, fu l'umore della popolazione. Già da alcuni mesi l'inquietudine della gente, premuta dalle difficoltà economiche e dagli avvenimenti che si susseguivano negli altri paesi dell'Est, era aumentata, dando luogo alle prime consistenti manifestazioni di piazza dal lontano 1968. Nell'agosto del 1988 una folla di circa 10.000 persone aveva trovato il coraggio di ricordare, in una pubblica manifestazione, il ventennale dell'occupazione e nel gennaio 1989, in occasione dell'anniversario del suicidio di J. Palach, le dimostrazioni di piazza si fecero più pressanti e coraggiose: durarono per cinque giorni, a indicare la fine di quel riflesso di paura e di rassegnazione che aveva dominato la vita pubblica del paese.

Il governo varò un decreto che considerava ''atto criminale'' anche la semplice presenza passiva vicino al luogo di una manifestazione non autorizzata. Sulla base di questa legge fu arrestato nuovamente V. Havel, ma l'intenzione del governo di organizzare un altro processo dimostrativo e intimidatorio si scontrò con una valanga di proteste: oltre mille persone, molte appartenenti al mondo della cultura ufficiale, firmarono una petizione in cui si chiedeva l'immediato rilascio dello scrittore, che, condannato a nove mesi, fu sollecitamente liberato. I mesi successivi furono caratterizzati da una serie di continue, piccole manifestazioni, fino al 17 novembre 1989 − una settimana dopo la caduta del muro − quando corpi speciali della polizia intervennero brutalmente contro 50.000 persone che, nel centro di Praga, dimostravano contro il regime.

Quel giorno − che nella nuova pubblicistica è diventato ''il giorno del massacro'' (anche se non ci furono morti) − scatenò un'indignazione collettiva che travolse il regime. Gli studenti occuparono le università, entrarono in sciopero i teatri del paese, i musicisti interruppero i concerti, dagli schermi televisivi scomparvero gli attori più amati e popolari. L'''oscurarsi'' della cultura fu una caratteristica fondamentale in quella che Havel definì la ''rivoluzione gentile''. In questo piccolo paese al centro dell'Europa all'intellettuale è da sempre affidato un ruolo risorgimentale, di custode della lingua e della coscienza collettiva. In questa funzione i teatri sono considerati una specie di ''santuario nazionale'': sono diffusi ovunque, nelle grandi città, ma anche nei piccoli paesi, in una rete capillare (sono oltre 600) che raccoglie e diffonde leggende e tradizioni nazionali. Sospesi gli spettacoli i teatri erano diventati, ogni sera, luogo di dibattito politico acceso e affollato. Fu un teatro, la Lanterna Magica di Praga, la sede improvvisata del Forum Civico (Občanské Forum), il movimento fondato da Havel il 18 novembre e che riuniva tutte le correnti dell'opposizione.

Il regime reagì allo sviluppo degli avvenimenti con singolare rilassatezza. Passò una settimana prima che Jakes si decidesse a convocare i 60 membri del Comitato Centrale: per sette giorni, nonostante il dilagare della protesta, aveva continuato a sostenere che "la situazione era perfettamente sotto controllo".

Per Jakes il Comitato Centrale, convocato malvolentieri il 24 novembre, doveva rappresentare un semplice gesto rituale, ma esso finì, due giorni dopo, con la decapitazione dell'intero gruppo dirigente della ''normalizzazione'', segreteria e ufficio politico compresi. Jakes e i suoi uomini cercarono di resistere mobilitando le milizie operaie, come aveva fatto A. Novotny nel dicembre 1967, per cercare di opporsi all'elezione di Dubcek. Ma dalle principali fabbriche del paese, compresa la Ckd di Praga (il ''santuario'' del regime a cui era riservato da sempre l'onore di candidare il segretario del partito), venivano, a getto continuo, risoluzioni rabbiose e sdegnate: la base era in rivolta, protestava per essere rimasta a lungo senza istruzioni, senza una guida di fronte al montare delle manifestazioni di piazza e al veloce politicizzarsi della popolazione. Il Comitato Centrale fu dunque costretto a dimettere Jakes, l'intera segreteria e tutto l'ufficio politico, e segretario del partito fu eletto K. Urbanek, uomo di apparato senza molti meriti se non quello di non aver espresso particolare animosità nei confronti della perestrojka sovietica e della necessità di riforme anche in C. che essa implicava.

I cambiamenti, per quanto profondi e traumatici, arrivarono troppo tardi e non servirono a calmare un'opinione pubblica ormai mobilitata. Tanto più che i nuovi dirigenti del partito rifiutarono ancora una piena riabilitazione della ''primavera'' e dei suoi uomini, come del resto cominciavano a chiedere molte organizzazioni del partito, in particolare il Comitato Centrale slovacco. Il giorno dopo le decisioni del Comitato Centrale, lunedì 27 novembre 1989, il paese rispose in modo massiccio all'appello per uno sciopero generale lanciato dal Forum Civico in appoggio alle sue richieste di una democratizzazione della vita politica del paese: vi parteciparono, secondo calcoli ufficiali, da cinque a sette milioni di lavoratori che, di fatto, paralizzarono l'attività produttiva del paese. Il successo fece del Forum Civico, fondato solo 9 giorni prima, la forza politica più importante del paese e, mentre le manifestazioni di piazza erano diventate un avvenimento quotidiano, il partito fu costretto prima a trattare e poi a capitolare. Il 10 dicembre fu varato il governo di M. Calfa, il primo a maggioranza non comunista dal 1948: ministro degli Esteri divenne J. Dienstbier, firmatario e portavoce di Charta 77, più volte arrestato e condannato. Lo stesso giorno G. Husak fu costretto a dimettersi da presidente della Repubblica e prima della fine del mese presidente della Repubblica era diventato V. Havel, mentre A. Dubcek, il leader della ''primavera'', fu eletto presidente del Parlamento, e un portavoce del partito chiedeva pubblicamente scusa alla società cecoslovacca per le ''sofferenze'' di tanti anni. Ai primi di gennaio 1990 Calfa si dimise dal partito. La transizione dal comunismo a un sistema democratico fu particolarmente veloce.

Le condizioni obiettive in cui si sviluppò la rivolta furono particolarmente favorevoli: gli avvenimenti in Polonia e Ungheria e la caduta del muro di Berlino avevano dimostrato che l'epoca degli interventi militari era finita e che l'Unione Sovietica riconosceva ai paesi dell'Est il diritto a scegliere liberamente il proprio sistema sociale; ma sulla rapidità e la profondità del cambiamento incisero, secondo molti osservatori, la maturità politica di un paese che aveva avuto una lunga esperienza democratica, sconosciuta alle altre nazioni della regione, ed era stata l'ultima democrazia nel centro Europa a cedere al nazismo. In poche settimane il sistema fu praticamente smantellato sia nei suoi aspetti concreti che nel suo armamento giuridico.

Il Parlamento, con voto unanime, cancellò dalla Costituzione il ruolo guida del partito, e abolì tutte le restrizioni alle libertà civili e politiche. La milizia operaia, il braccio armato del partito, e la polizia segreta furono smantellate, e furono sciolte tutte le organizzazioni del partito nelle aziende e nella pubblica amministrazione, Forze armate comprese. Prima ancora delle elezioni generali del 9-10 giugno 1990 il Parlamento si è autoristrutturato, sostituendo 120 deputati comunisti con esponenti di altre organizzazioni, dando all'opposizione la maggioranza parlamentare. Già a fine febbraio, il partito non occupava più alcuna importante carica nella società, nemmeno il ministero degli Interni (andato a un cattolico) o le massime gerarchie della giustizia (ricoperte da ex dissidenti), mentre il comando delle Forze armate spetta ora a V. Havel.

Il partito si è dunque sollecitamente ritirato da quelle strutture sociali con cui per tanti decenni si era identificato, e le sue organizzazioni si sono praticamente disintegrate, almeno nella dimensione in cui erano state volute e concepite: il movimento sindacale è stato, in gran parte, assorbito dai Comitati di sciopero sorti durante la rivolta, la Gioventù comunista ha cambiato nome e programma, l'organizzazione dei ''Pionieri'' ha cambiato programma e proclamato la sua indipendenza, tutte le Unioni degli intellettuali, compresa l'Associazione dei giornalisti, si sono sciolte e rifondate, il Fronte Popolare, che univa i comunisti ai simulacri di altri partiti, è stato abolito. La ''rivoluzione gentile'' ha dunque determinato un cambiamento profondo nelle strutture del potere senza aspettare che ciò avvenisse attraverso libere elezioni.

Altrettanto rapidi e incontestati i cambiamenti di rotta in politica estera: nella sua prima conferenza stampa il ministro Dienstbier proclamò che la C. avrebbe subito ripreso il suo ruolo tradizionale di piccola potenza al centro dell'Europa, abbandonando quello ''innaturale'' di frontiera dello scontro Est-Ovest. Come primo provvedimento il governo cecoslovacco ordinò lo smantellamento delle barriere di sicurezza ai confini con l'Austria e quindi delle fortificazioni lungo il confine con la Repubblica Federale di Germania. Quindi furono riallacciate le relazioni diplomatiche con Israele e con il Vaticano. Lo stesso presidente Havel si è fatto promotore di ''un'azione concertata'' tra tutti i paesi dell'Est per armonizzare e rendere meno faticoso e problematico il loro ''ritorno in Europa'', cioè il loro ingresso nella Comunità economica europea. Alla fine di febbraio 1990, durante la sua visita ufficiale a Mosca, il presidente cecoslovacco trattò il ritiro dei 75.000 soldati sovietici che, dal 1968, stazionavano in Cecoslovacchia. L'occupazione era stata infatti dichiarata ''illegittima'' dai parlamenti di tutti i paesi che vi presero parte, e dunque − secondo il governo di Praga − illegittima doveva ritenersi anche la permanenza delle truppe di Mosca nel paese. In base all'accordo allora raggiunto, il ritiro delle forze sovietiche, avviato nella primavera 1990, è stato portato a termine nel giugno 1991.

Le elezioni svoltesi il 9-10 giugno sono state in realtà una specie di referendum contro il passato. Così aveva voluto impostarle il Forum Civico trasformatosi in una specie di ombrello di tutte le nuove forze politiche emerse dalla rivoluzione di novembre. Nel Forum sono confluiti 9 partiti, dai cattolici ai socialisti, ai comunisti riformatori. Il suo programma è perciò vago e generico, con poche indicazioni concrete su come uscire dal regime. La necessità di ridimensionare le vecchie strutture di potere ha suggerito questa impostazione un po' ecumenica, ma i dirigenti del Forum hanno già dichiarato che esso ha solo lo scopo di preparare una normale dialettica politica, dopo di che il movimento si scioglierà. Alle elezioni ha avuto un notevole successo, ottenendo (unitamente al suo equivalente slovacco, Pubblico contro la violenza) il 46,6% dei voti e la maggioranza assoluta dei 150 seggi del Parlamento (ne ha ottenuti 87). I comunisti con il 13,6% (23 seggi) sono il secondo partito prima dei cristiano democratici (12% e 20 seggi). Entra in Parlamento anche un Partito autonomista della Moravia e Slesia (5% e 6 seggi) e fa la sua comparsa il Partito nazionale slovacco, dalle forti tinte nazionalistiche e che si batte per la separazione dai paesi cechi (Boemia e Moravia) e la creazione di uno stato indipendente. Nelle elezioni per il Parlamento il Partito nazionale slovacco ha ottenuto il 3,5%, ma la sua affermazione è stata notevole nelle elezioni (svoltesi gli stessi giorni) del Parlamento slovacco, dove ha superato il 10%. Avrà, dunque, i suoi deputati nella cosiddetta Camera delle Nazioni (75 seggi ai Cechi e 75 agli Slovacchi), chiamata ad approvare tutte le leggi e il cui ruolo sarà molto importante nel varare la nuova Costituzione.

Due problemi di fondo sono emersi nel corso del 1990: il rafforzarsi del nazionalismo slovacco e le divisioni nel Forum soprattutto in relazione ai problemi delle riforme economiche. In questo campo l'orientamento di chi mira a una rapida transizione all'economia di mercato si confronta con quanti (fra cui Havel) sostengono invece un passaggio più morbido che tuteli le conquiste dello stato sociale.

Bibl.: V. Havel e altri, The power and the powerless: citizens against the State in central eastern Europe, Londra 1985; K. Kaplan, The communist party in power: a profile of party politics in Czechoslovakia, Boulder 1987; V. V. Kusin, Reform and dissidence in Czechoslovakia, in Current history, 1987, pp. 361 ss.; C. S. Leff, National conflict in Czechoslovakia: the making and remaking of a State, 1918-1987, Princeton 1988; T. Garton Ash, The uses of adversity. Essays on the fate of central Europe, Cambridge 1989; Id., The magic lantern. The revolution in Warsaw, Budapest, Berlin and Prague, New York 1990.

Letteratura. - Letteratura ceca. - Il decennio 1979-88 ha visto una parziale ricomposizione del quadro della letteratura ceca, con una maggiore apertura da parte delle autorità verso gli scrittori che erano stati emarginati dopo i fatti del 1968. Certamente vi sono ancora scrittori di rilievo esclusi dalla possibilità di pubblicare, eliminati dalle biblioteche pubbliche, neppure menzionati nei dizionari di letteratura: autori emigrati o costretti all'esilio (fra questi M. Kundera, J. Kolář, J. Škvorecký, Z. Salivarová, V. Linhartová, P. Kohout, A. Lustig, J. Gruša, J. Vejvoda) e altri che, pur vivendo in C., sono stati messi al bando per motivi politici o ideologici. Lentamente (con una maggiore frequenza dall'inizio degli anni Ottanta) per alcuni autori di primo piano residenti in patria il veto è stato tolto, a volte dopo che le loro opere erano già apparse all'estero o rese note dall'editoria alternativa.

I versi scritti dopo il 1968 da J. Seifert (1900-1986) e usciti un decennio più tardi in Morový sloup (1981; trad. it. La colonna della peste, 1985) testimoniano un sorprendente rinnovamento tematico e formale del poeta, al quale nel 1984 fu conferito il premio Nobel per la letteratura. La sua voce ormai nostalgica, a tratti ammonitrice, continua a esprimere la consapevolezza della ''dolce sciagura'' di essere poeta nelle sue ultime raccolte, Deštník z Piccadilly (1979) e Býti básníkem (1983; trad. it. L'ombrello di Piccadilly; Essere poeta, 1985).

Dopo oltre un decennio di forzato silenzio hanno potuto pubblicare le poesie scritte negli anni Settanta anche due notevoli poeti moravi, O. Mikulášek, di cui citiamo almeno Žebro Adamovo ("La costola di Adamo", 1981) e J. Skácel che ha elaborato un verso denso di significati dove una funzione importante è assegnata alle assonanze e all'enjambement; la sua raccolta Nadĕje s bukovými křídly ("La speranza con le ali di faggio", 1983) racchiude anche un bel ciclo di quartine pubblicate in precedenza all'estero, Chyba broskví (trad. it. Il difetto delle pesche, 1981). Altri poeti di rilievo recuperati in questi ultimi anni sono M. Holub, autore di versi di grande concretezza e incisività (Naopak, "Viceversa", 1982), e il cantautore-poeta J. Suchý (Kolik očí má den, "Quanti occhi ha il giorno", 1987).

La giovane poesia ceca sfugge a una caratterizzazione globale, anche se si possono notare alcune linee di tendenza comuni a più autori. Mentre nel decennio precedente era invalsa una poesia di tipo autobiografico, dove schegge di impressioni intime venivano a volte inframmezzate da appelli sociali piuttosto didascalici, oggi gli ammaestramenti sono scomparsi e si manifesta uno sforzo di ricomporre la frammentazione del mondo poetico.

Ne dà un esempio J. Peterka con Autobiografie vlka ("Autobiografia di un lupo", 1980). Un disegno unitario sta anche dietro i libri di J. Čejka (Kapesní sbírka zákonů, vĕt a definic, "Raccolta tascabile di leggi, teoremi e definizioni", 1983), K. Sýs (Kniha přísloví, "Il libro dei proverbi", 1985), P. Rut (Menší poetický slovník v příkladech, "Dizionario poetico minore con esempi", 1985). Sono poi da ricordare J. Žáček, uno dei rari poeti cechi dotato di senso dell'umorismo (Rýmy pro kočku a pod psa, "Rime per cani e gatti", 1984; Text'appeal, 1986), P. Prouza, S. Fischerová e, della generazione poetica precedente, V. Janovic e M. Florian, mentre i testi di poeti non allineati, come K. Šiktanc, I. Wernisch o il cattolico J. Kostohryz, vengono pubblicati all'estero. Un altro fenomeno rilevante è l'abbandono del lirismo puro e il passaggio a forme lirico-epiche, seguendo l'eredità di V. Holan e F. Hrubín; citiamo Velký Magellanův oblak ("La grande nube di Magellano", 1987) di K. Boušek e Netopýr v podkroví ("Il pipistrello nel solaio", 1987) di Z. Bratršovská. Infine, la critica ceca ha salutato in questi ultimi anni il ritorno in forza della metafora e del simbolo, spesso reso con drammaticità e asprezza, come ha fatto J. Stehlíková in Neobydlené ostrovy ("Isole disabitate", 1987).

Sul versante del teatro c'è da rilevare il permanente divario tra la data di creazione di un'opera e la sua rappresentazione. Vengono così penalizzati i testi teatrali più ricchi di problematiche e più interessanti, come quelli di K. Steigerwald che mette in evidenza i lati negativi del carattere nazionale (Dobové tance, "Balli d'epoca", 1980). Vari autori, come I. Vyskočil e P. Rut (Takový beznadĕjný případ, "Un caso disperato", rappresentato nel 1986), sono relegati su piccoli palcoscenici di periferia. Tra i commediografi affermati è da citare il fertile O. Danĕk (n. 1927) almeno con Vévodkynĕ valdštejnských vojsk ("La condottiera delle schiere di Wallenstein", 1980). I testi teatrali di V. Havel (n. 1936 ), il drammaturgo di maggiore spicco dell'ultimo quarto di secolo, sono stati a lungo pubblicati e messi in scena solo all'estero (Largo desolato, 1985; trad. it. 1985; Asanace, "Risanamento", 1987).

La narrativa è dominata dalla figura di B. Hrabal (n. 1914), il quale ritiene fortunato il periodo in cui non ha potuto pubblicare in patria, in quanto ciò gli ha permesso di produrre alcune delle sue opere migliori: Obsluhoval jsem anglického krále (1971; trad. it. Ho servito il re d'Inghilterra, 1986), Postřižiny (1976; trad. it. La tonsura, 1987) e soprattutto Příliš hlučná samota (1981; trad. it. Una solitudine troppo rumorosa, 1987).

Tra gli scrittori messi al bando in patria è da nominare in primo luogo L. Vaculík (n. 1926), autore di un originale romanzo-diario, Český snář ("La chiave dei sogni boema", 1982); all'estero pubblicano anche altri innovatori, come E. Bondy e J. Hiršal. La vita in esilio ha lasciato segni sull'espressione linguistica di non pochi scrittori; spesso si tratta comunque di scelte consapevoli. Nei suoi ultimi testi J. Škvorecký (n. 1924) ricorre per i discorsi diretti dei personaggi anche a un gergo ceco-americano (Ze života české společnosti, "Dalla vita della società ceca", 1985). V. Linhartová (n. 1938) ha ormai scelto di scrivere in francese (Portraits carnivores, 1982; trad. it., 1987).

Intanto in C. il clima politico-culturale si è almeno in parte modificato, si sono fatte avanti nuove leve di scrittori e i gusti del pubblico stanno cambiando. Mentre nei primi anni Settanta c'è stata una fuga dai temi d'attualità accompagnata da una vera e propria inflazione del romanzo storico che rappresentava un terreno tematicamente ''sicuro'', nel decennio successivo la fortuna di questo genere letterario si è un po' appannata, pur continuando ancora soprattutto nella variante del romanzo-biografia o romanzo-cronaca. Lo testimoniano le grandi tirature delle opere tratte dalla storia patria dell'affermato F. Kožík, di A. Vrbová, H. Šmahelová, M. Kratochvíl, J. Loukotková; a parte andrebbe citato V. Körner.

Per alcuni autori, come M. Ivanov, la documentazione degli avvenimenti del passato diventa l'obiettivo principale, mentre per altri il quadro storico serve solo da sfondo (J. Šotola). Una coulisse storica, della Vienna di fine secolo, è usata anche da L. Fuks (1923) per l'ampio romanzo Vévodkynĕ a kuchařka ("La duchessa e la cuoca", 1983), dove la disgregazione di un'epoca è vista in chiave simbolica.

Il favore del pubblico si è spostato in questi anni maggiormente verso storie di vita contemporanea, con una certa preferenza per ambienti particolari, come teatri, ospedali, istituti di ricerca, uffici direttivi delle grandi imprese. A questa domanda risponde una schiera di scrittori che traggono ispirazione prevalentemente dal proprio ambito professionale, come i medici O. Dub e V. Stýblová; vi appartiene anche J. Švejda con i suoi romanzi assai critici verso il consumismo, l'egoismo, la caccia al denaro imperanti nell'attuale società ceca (Moloch, 1988).

Sembra che Švejda abbia raccolto la tematica (ma non l'ironia) dell'affermato V. Páral (1932), il quale dopo Muka obraznosti ("Tormenti dell'immaginazione", 1980) si è rivolto alla letteratura fantastica trattando il tema di una futura catastrofe ecologica (Válka s mnohozvířetem, "La guerra con la multibestia", 1983) e quello assai sentito di una futura supremazia femminile (Zemĕ žen, "La terra delle donne", 1987). Va notato che nell'ultimo decennio la fantascienza sta diventando un genere in ascesa, dopo anni in cui la coltivava quasi esclusivamente J. Nesvadba (1926). Accanto a questo autore, di professione psichiatra, che l'ha arricchita di elementi sociologici e psicologici (Hledám za manžela muže, "Cerco per marito un uomo", 1986), si possono citare i giovani O. Neff, J. Petr e altri.

Una cospicua parte del pubblico preferisce tuttavia letture di tipo tradizionale: da qui il permanente successo del romanzo realistico a sfondo rurale o ambientato nella natura. Vi appartengono molte opere di J. Kozák, J. Křenek, J. Kostrhun. La prosa psicologica è rappresentata da K. Houba, E. Petiška, J. Navrátil, di cui andrà menzionato almeno Soudcův sen o řetĕzech ("Il sogno del giudice sulle catene", 1979). Una freschezza di stile e linguaggio si nota nei romanzi dell'ex-minatore J. Frais e nei testi di V. Dušek, che colloca i suoi giovani emarginati in una squallida periferia di Praga mettendo loro in bocca uno slang inedito (Dny pro kočku, "Giorni da cani", 1979). Fra i nuovi narratori ricordiamo ancora R. John con Memento (1986), un romanzo-inchiesta sul mondo della droga; Z. Zapletal, che nelle sue prose ricorre a procedimenti sintattici e compositivi di notevole effetto drammatico (Půlnoční bĕžci, "I corridori di mezzanotte", 1986); e ancora, P. Prouza, K. Misař, J. Moravcová, I. Charvátová.

Letteratura slovacca. - In questi ultimi anni si è assistito a una vasta penetrazione della narrativa slovacca nell'area ceca, grazie anche alle frequenti e quasi immediate traduzioni: i migliori autori slovacchi sono ormai recepiti come appartenenti all'intera comunità cecoslovacca pur mantenendo i loro valori autonomi e peculiari.

L'ascesa qualitativa della prosa iniziata nella seconda metà degli anni Settanta (va detto che la pressione della censura è stata in Slovacchia sempre minore) è proseguita anche in questo decennio. Ci riferiamo in particolare alle opere di L. Ballek (Pomocník, "L'aiutante", 1977; Lesné divadlo, "Il teatro nel bosco", 1987), A. Hykisch (Milujte král'ovnu, "Amate la regina", 1984), V. Šikula (Matej, 1983), P. Jaroš (Tisícročná včela, "L'ape millenaria", 1979), ai suggestivi racconti di J. Johanides (Pochovávanie brata, "La sepoltura del fratello", 1987).

Una menzione a parte meriterebbe la letteratura per ragazzi, tradizionalmente di ottimo livello, come testimonia per es. K. Jarunková, e la prosa umoristico-satirica (V. Bednár). Vanno citati anche A. Bednár, R. Sloboda, J. Puškáš, J. Lenčo.

Per quanto riguarda i narratori della nuova leva, essi introducono spesso un certo innovamento tematico attingendo alle loro prime esperienze professionali dopo la fine degli studi universitari. Alla società edificata dai loro padri e con la quale sono in disaccordo reagiscono poi utilizzando volentieri approcci umoristici o ricorrendo al grottesco; a volte però vi si avverte una tensione morale non lontana dallo sdegno.

Ciò vale per es. per A. Ferko, il quale dopo due prose di successo tratte dall'ambiente studentesco ha pubblicato una novella amara e critica, Proso ("Il miglio", 1984). Da rilevare infine, fra gli scrittori che non potevano pubblicare in patria, il nome di D. Tatarka (Písačky, "Scribacchiare", 1984).

La poesia slovacca non ha offerto negli ultimi tempi grandi sorprese; per riassumere la situazione con un critico slovacco, ci sono molti buoni versificatori, ma poca poesia. Spicca tuttavia la personalità di autori come M. Rúfus (Prísný chlieb, "Il pane severo", 1987); si fanno notare la concretezza e l'espressività di J. Mihalkovič, V. Mihálik e J. Stacho, seguiti da J. Šimonovič, M. Kováčik e J. Štrasser; nonché i limpidi versi degli anni 1977-87 di M. Válek (Zakázaná láska, "L'amore proibito", 1987). Da apprezzare anche, per il tono autoironico, la poesia satirica di L'. Feldek (Slovák na Mesiaci, "Uno slovacco sulla Luna", 1986).

Fra gli autori teatrali più rappresentati c'è J. Solovič con la sua ''trilogia civica'' iniziata con Meridián ("Il meridiano", 1974), e O. Zahradník di cui citiamo Sonatína pre páva ("Sonatina per un pavone", 1977). Solo di recente sono stati pubblicati i testi scritti negli anni Settanta da P. Karvaš, un drammaturgo e commediografo veramente di primo piano (Sedem hier, "Sette opere teatrali", 1987).

Bibl.: Slovník českých spisovatelů, Toronto 1982; Encyklopédia slovenských spisovatel'ov, Bratislava 1984; Slovník české literatury 1970-1981, Praga 1985; Čeští spisovatelé 20. století, ivi 1985; A. Mĕšťan, Česká literatura 1785-1985, ivi 1987. Annate delle riviste: Tvorba, Kmen, Literární mĕsíčník, Slovenské pohl'ady, Romboid, Svĕdectiví, Listy, Promĕny.

Arti figurative e Architettura. - Lo sviluppo organico dell'arte cecoslovacca venne interrotto dalla svolta politica del 1968. L'arte ufficiale era caratterizzata dallo stanco languire del realismo socialista, il livello professionale delle opere era basso, il loro contenuto propagandistico e privo di sincerità. Dopo la tragica svolta solo alcuni artisti anziani mantennero lo status professionale: J. Bauch, C. Bouda, K. Souček, J. Želibsky, J. Štrudek, V. Hložnik. Nella pittura prevalsero il genere naturalistico e la rappresentazione di paesaggi; l'unico segno di modernismo era costituito da una superficiale tendenza di post-cezannismo. Nella scultura si rafforzò di nuovo la ''propaganda monumentalista'', cioè la scultura monumentale accademica e pseudomoderna, e il ritratto naturalistico. Le reminiscenze di elementi stilistici dell'arte plastica moderna erano presenti piuttosto nella plastica minore (L. Korkos, R. Svoboda, L. Janouch).

Accanto all'arte ufficiale, tuttavia, negli anni Settanta si è andata formando la cosiddetta ''arte parallela'', maturata nella cultura di opposizione. I suoi rappresentanti non potevano partecipare a mostre, le loro opere non potevano essere acquistate da musei e da istituti, la critica ufficiale li ignorava. Con mezzi amministrativi venivano ostacolati nei loro rapporti con le istituzioni artistiche occidentali. Questa arte ''parallela'' non disponeva perciò di una ideologia unitaria, di un ideale di stile; la sua forza unificatrice stava nel negativo: nel non avere nessun rapporto con l'arte ufficiale e con le istituzioni. Gli artisti lavoravano isolati e solo sporadicamente avevano l'occasione di tenere una mostra breve e clandestina. Per via dell'isolamento non potevano formarsi tendenze, direzioni comuni, ognuno percorreva la propria strada, per cui la decisione individuale, la fantasia creativa, la mitologia personale avevano un grande ruolo.

Negli anni Sessanta si è assistito alla formazione di tre grandi centri artistici separati: Praga, Brno e Bratislava. A Praga fioriva l'arte nonfigurativa, il surrealismo nutrito da tradizioni manieristiche e barocche, il Nouveau Réalisme con la sua sensibilità sociale e anche l'happening. Gli artisti di Brno erano più legati alle correnti internazionali dell'avantgarde, gli slovacchi, invece, più portati a una tendenza folcloristica e a un'arte d'azione, ad happening di tono speciale e di ispirazione comunitaria. Negli anni Settanta e Ottanta queste tendenze si sono sviluppate, anche se le frontiere tra i vari centri si andavano smarrendo. In generale si può dire che l'arte cinetica e il costruttivismo puritano, tendenze prima molto fiorenti, si sono affievolite in questi anni. Le opere di ispirazione costruttivista si sono riempite di un contenuto emozionale, filosofico e metafisico (V. Cigler, H. Demartini, R. Kratina, K. Malich, V. Kopecký). Un rappresentante di altissimo livello dell'arte cibernetica è Z. Sýkova.

A Praga si assiste alla sopravvivenza del simbolismo-surrealismo poetico (J. Anderle, Z. Beran, J. John) e all'inclinazione verso la simbologia manieristica (Z. Sion). Gli spirituali del gruppo d'avanguardia Smidrá si sono rivolti verso il neodada e il Nouveau Réalisme (B. Dlouhý, K. Nepraš, J. Vožniak).

Negli anni Ottanta si delineano personalità artistiche dalle caratteristiche spiccatamente individuali. Tali sono gli espressionisti-figurativi N. Načeradsky e L. Dúdor; S. Filko, creatore di environments ricchi di contenuto; J. Jankovic, che analizza le questioni esistenziali dell'uomo e della società; J. Melis, maestro slovacco dell'environment folcloristico; un artista sperimentalista come A. Vesely, segnalatosi anche in precedenza per l'apertura alle correnti contemporanee.

Il nuovo periodo dell'architettura cecoslovacca è caratterizzato dal funzionalismo razionalista. I nuovi quartieri d'abitazione (Olova-Horni; Lutýn; Chrenova;Nitra; Plzeň; Doubrovka), gli insiemi urbanistici (centro della città, Most), le istituzioni culturali (teatro, Gottwaldow; casa della cultura, Mladá Boleslav; Museo del Movimento operaio, České Budĕjovice), gli ospedali (Bratislava-Ružinov; Piestany), le scuole (Ostrava-Poruba), gli impianti sportivi (palazzo del Ghiaccio, Plzeň; piscina, České Budĕjovice), gli uffici (sede della ditta Chemapo, Bratislava-Ružinov), i supermercati (Trnva, Nitra), sono tutte costruzioni geometriche senza particolari invenzioni di soluzione spaziale o di forma individuale. La maggioranza di queste opere lascia fuori considerazione l'ambiente storico e naturale. Negli ultimi tempi ha ottenuto grandi risultati la difesa dei monumenti; soprattutto la ricostruzione del vecchio centro di Praga e la nuova configurazione del Monastero S. Giorgio (Praga) come museo di monumenti si possono considerare restauri ben riusciti. Vedi tav. f. t.

Bibl.: G. Benamon, L'art aujourd'hui en Tchécoslovaquie, Parigi 1979; J. Pechar, Československa Architektura, Praga 1979; T. Zalčik, M. Dulla, Slovenská architektura 1967-1980, Bratislava 1982; L. Haváček, L. Peterejova, Súčasné české a slovanské umenie, Bratislava-Praga 1985; M. Nladek, Tschechoslowakei, in Expressiv. Mitteleuropäische Kunst seit 1960, Vienna 1987.

Musica. - Con la fine della seconda guerra mondiale e l'instaurazione della repubblica socialista, la vita musicale in C. subisce un processo di profonda ristrutturazione sotto il diretto controllo dello stato.

Già nel 1945 l'Orchestra filarmonica ceca e le Case dell'opera ceca fondate durante la dominazione tedesca passano dalla gestione privata a quella pubblica. Lo stesso accade nel 1948 con la nazionalizzazione dell'Orchestra filarmonica slovacca. Durante gli anni Cinquanta vengono istituite da parte dello stato nuove orchestre sinfoniche nei centri principali come Olomouc e Karlovy Vary nel 1951, Mariánské Láznĕ e Ostrava nel 1954, Brno nel 1956 e Gottwaldov nel 1958. Orchestre stabili sorgono inoltre presso le sedi della radio cecoslovacca di Praga, Brno, Ostrava e Plzeň. A partire dal 1948 enti statali curano la gestione dei concerti a livello nazionale e gli istituti di istruzione, e lo stesso accade per biblioteche, musei, collezioni e archivi, oltre che per le case editrici. Dal 1949 l'Unione dei compositori cecoslovacchi prende il posto del Sindacato dei compositori (1946-49) con funzioni di controllo ideologico; l'Unione cura inoltre edizioni librarie e discografiche, oltre alla pubblicazione della rivista Hudební rozhledy, che nel 1969 si è unita all'Opus Musicum di Brno.

Nel 1946 viene istituita presso l'università di Praga l'Accademia di arti musicali, nel 1947 un istituto analogo sorge a Brno, mentre a partire dal 1960 vengono istituiti conservatori nella stessa Brno, Ostrava e Plzeň, e scuole di livello elementare come la Scuola popolare d'arte. Le facoltà musicali delle università di Brno, Praga e Olomouc divengono presto importanti centri per la ricerca musicologica. Un ruolo primario in questo settore viene peraltro svolto a partire dal 1962 dall'Istituto musicologico (1962-1971) e, a partire dal 1972, dall'Istituto per la teoria e la storia dell'arte presso l'Accademia delle scienze, al quale si devono pubblicazioni di rilievo come Miscellanea Musicologica e Hudební vĕda.

Un ruolo molto importante per la diffusione della musica, e non soltanto di quella contemporanea, è svolto dalle numerose manifestazioni e concorsi musicali di carattere nazionale e internazionale, fra i quali è da ricordare anzitutto il festival della Primavera musicale di Praga, inaugurato nel 1945, cui prendono parte gruppi strumentali e interpreti solisti di altissimo livello provenienti da tutto il mondo. Nel 1965 è stato inoltre inaugurato il Festival musicale di Bratislava, quello di Brno e nel 1966, nel 1974 lo Smetana-Festival di Plzeň. La Settimana di Praga e la Settimana di Bratislava vengono annualmente dedicate alla presentazione della più recente produzione di musica cecoslovacca.

Con i compositori del dopoguerra ha inizio un primo significativo cambiamento, nella modernizzazione dello stile e nell'utilizzazione di tecniche compositive avanzate. La figura forse di maggior rilievo è quella di V. Sommer (n. 1921), allievo a Praga di K. Janaček, del quale va ricordata particolarmente la sinfonia Vokální (1963) per mezzosoprano, voce recitante e coro, su testi di Dostoevskij, Kafka e Pavese. Altri autori di rilievo sono V. Kalabis (n. 1923), J. Berg (1927-1971) e M. Ištvan (n. 1928).

È intorno agli anni Sessanta che tuttavia si verifica il superamento di un programma fino ad allora ispirato ai principi del realismo socialista, anzitutto da parte di un gruppo di compositori di generazioni diverse, ma tesi tutti al recupero delle più importanti tendenze della musica cecoslovacca tra le due guerre. Fra questi vanno ricordati I. Krejčí (1904-1968) e J. Kapr (n. 1914), che risentono dell'influenza neo-classica di B. Martinu̇ (1890-1959), e che sono tra i più significativi compositori cecoslovacchi della prima metà del Novecento, mentre K. Slavický (n. 1910), dedicatosi di fatto alla composizione solo a partire dagli anni Cinquanta, M. Kabeláč (1908-1979) e D. Kardoš (n. 1914) si sono richiamati, seppure in modo diverso, al neofolklorismo; un ritorno alla genuina tradizione nazionale è dato parimenti rilevare nelle opere di questo periodo di P. Eben (n. 1929). Una maggiore apertura allo sperimentalismo musicale è presente in altri autori, come J. M. Burghauser (n. 1921), J. Rychlík (1916-1964) e Z. Vostřák, che nel 1965-66 ha preso parte ai corsi di Darmstadt, dirigendo poi nel proprio paese il gruppo Musica viva Pragensis (fondato nel 1961 da J. Rychlík), uno dei più importanti della nuova musica cecoslovacca, accanto al quale andranno ricordati il gruppo Nuova musica (1961) e lo Studio Antorŭ (1963) di Brno, il Sonatori di Praga (1964) e il QUaX Ensemble (1967).

Un contributo decisivo alla diffusione della musica d'avanguardia venne tuttavia dallo stesso Kabelač, il quale si dedicò allo studio della musica elettronica soprattutto presso il Centro di Utrecht, tenendo in seguito un seminario al riguardo presso il conservatorio di Praga tra il 1968 e il 1970. Sotto la sua guida si sono formati numerosi giovani compositori di rilievo, come Z. Lukás (n. 1928), J. Klusak (n. 1934) e I. Loudová (n. 1941). Accanto a Kabeláč e Vostrak, protagonisti della nuova musica a partire dagli anni Sessanta sono anche M. Kopelent (n. 1932), direttore di Musica viva Pragensis e membro di Nuova musica di Praga (1965), cui presero parte anche V. Srámek (n. 1923) e R. Komorous (n. 1931).

Intorno al Gruppo creativo A (''Tvúrči Skupina A''), fondato nel 1963 a Brno, si raccolgono alcuni esponenti di rilievo della musica morava, fra i quali figurano A. Piňos-Simandel (n. 1925), Z. Pololánĭk (n. 1935) e A. Parsch (n. 1936), oltre ai già citati Istvan e Berg.

A partire dagli anni Settanta, ormai al passo con l'evoluzione tecnico-stilistica internazionale, molti compositori sembrano avere superato ogni remora nei confronti della musica d'avanguardia. Tra i più significativi vanno ricordati V. Kucera (n. 1929), attivo nello studio di musica elettronica di Plzeň, e vincitore del Premio 1983 dell'Unione compositori cechi con il quartetto Connexions imaginables, e C. Kohoutek (n. 1929), che ha elaborato un metodo compositivo del tutto personale (La composizione musicale progettata, dissertazione del 1973). Tra i compositori più recenti sono da ricordare fra gli altri M. Burlas (n. 1955), J. Filas (n. 1955), J. Jrasek (n. 1955), I. Szeghyová (n. 1956), V. Godár (n. 1956), I. Burlas (n. 1959) e H. Bartoň (n. 1960).

Bibl.: V. Štĕpánek, B. Karásek, An outline of Czech and Slovak musik, Praga 1964; C. Gardavský, Contemporary czechoslovak composers, Praga-Bratislava 1965; J. Racek, Die Stellung der tscechischen Musik in der Musik Europas und in der WeltBibl.: musik, in Convivio Musicorum, Berlino 1974, 254 ss.; T. Volek, S. Jareš, Dĕjiny české hudby v obrazech-Geschichte der tschechischen Musik in Bildern, Praga 1977.

Cinema. - Il cinematografo Lumière arriva a Praga nel 1896 e si diffonde rapidamente, soprattutto come attrazione nelle fiere. Alla fine del secolo J. Křiženecký gira alcune vedute cittadine e brevi cortometraggi a soggetto insieme a un popolare cantastorie, J. Šváb-Malostransky. Dal 1910 cominciano a comparire case di produzione che lavorano stabilmente, come la Kinofa, la Illusion Film, la Asum, con un'attività abbastanza differenziata e composita. Il film più famoso del periodo prebellico è Prodaná nevĕsta ("La sposa venduta", 1913), tratto da un'opera di B. Smetana e diretto da M. Urban, il fondatore della Asum.

Dopo l'inevitabile calo produttivo causato dalla guerra, l'industria riceve un nuovo impulso con la conquista dell'indipendenza, nel 1918. Ma a partire dal 1923 la massiccia importazione di pellicole straniere genera una crisi allarmante, costringendo il governo a prendere misure di contingentamento, tuttavia mai realmente applicate.

Nel periodo del muto si realizzano soprattutto film ispirati ai classici della letteratura o basati su temi intimisti e sentimentali. Sono rare le opere in cui si affrontano problematiche attuali, aspetti della realtà o di critica sociale. Tra i maggiori registi attivi in questi anni si distinguono G. Machatý, J. Kolár, V. Kubásek, M. Krňansky, K. Lamač e K. Anton.

L'avvento del sonoro coincide con un momento culturalmente molto vivace della storia nazionale. Verso il cinema si convoglia l'interesse di intellettuali, artisti e letterati che alimentano una produzione caratterizzata da un forte impegno critico, chiare tensioni progressiste e una particolare disposizione alla satira sociale. In quest'ambito si segnalano lo scrittore V. Vančura, che nel 1932 dirige Prĕd maturitou ("Studenti"), Martin Frič e J. Honzl, registi di farse e film-rivista interpretate dai famosi attori del ''Teatro liberato'', J. Voscovec e J. Werich.

Realismo critico o realismo sociale costituiscono il contenuto di molti altri film visibilmente influenzati dal cinema sovietico. Nel frattempo continuano gli adattamenti dalla letteratura e dal teatro, e si sviluppa il genere documentario soprattutto attraverso il lavoro di K. Plicka. Al Festival di Venezia del 1934 la sezione cecoslovacca ottiene un grande successo internazionale presentando Řeka ("Amore giovane"), storia sentimentale avvolta in atmosfere fiabesche di Josef Rovenský; Extase, notissimo film erotico di G. Machatý, e due documentari di K. Plicka e di T. Trnka. Nelle edizioni successive del 1936 e del 1939 si affermano i film di Mac Frič e di O. Vávra.

L'occupazione nazista (1939-45) interrompe la fase d'espansione sequestrando gli studi di Barrandov edificati nel 1932-33. Subito dopo la guerra il governo repubblicano procede alla nazionalizzazione del cinema, e la produzione si orienta verso i temi della lotta antifascista affrontando successivamente quelli legati all'edificazione del socialismo, secondo le direttive lanciate nel 1950 dal Partito comunista cecoslovacco con la sua ''Risoluzione sul film''. Il Leitmotiv della lotta di classe percorre d'altra parte anche il film storico, che rappresenta uno dei generi più frequentati negli anni Cinquanta, insieme alla commedia di costume e al film biografico educativo. Accanto ai registi già affermati come Frič e Vávra emergono nuove personalità: K. Steklý, J. Krejčik, J. Weiss. Nel settore del cinema di animazione, in netto sviluppo a partire dal 1945, J. Trnka si afferma come fondatore di una tradizione destinata a fare scuola in tutto il mondo. Gli si affiancherà, dagli anni Sessanta in poi, un altro grande maestro, J. Svanmajer. Dopo il 20° Congresso la crisi dello stalinismo trascina con sé quella del realismo socialista stimolando una più libera ricerca espressiva di cui offrono testimonianza le opere di V. Jasný, J. Kadár, F. Vláčil.

Dal 1962-63 si afferma la nová vlna ("nuova ondata" o nouvelle vague), un gruppo di registi non omogeneo quanto a età ed esperienze − a differenza della nouvelle vague francese − ma che con grande entusiasmo e coraggio ribalta le basi estetiche e contenutistiche del vecchio cinema.

L'analisi critica dei conflitti sociali ed esistenziali procede di pari passo con la sperimentazione di nuove soluzioni formali, rompendo sia con il dogmatismo del realismo socialista sia con la tradizione calligrafica precedente. Numerosi personaggi animano questa eccezionale stagione creativa, senza precedenti in Cecoslovacchia. Nel 1962 S. Uher presenta al Festival di Cannes Slnko v sieti ("Il sole nella rete"), film sulle vicende di due adolescenti che impone all'attenzione internazionale il movimento nascente. Nel 1963 esordisce nel lungometraggio E. Schorm con Každý den odvahu ("Il coraggio quotidiano"), una storia d'amore. Nello stesso anno esce Černy petr ("L'asso di picche") di M. Forman, un altro film sulla tematica adolescenziale, mentre V. Chytilová realizza O nĕčem jiném ("Qualcosa d'altro"), un ritratto di donna, come il successivo film di Forman, Lásky jepné plavovlásky ("Gli amori di una bionda", 1965). Si afferma poi il giovanissimo J. Jakubisko, che a soli 28 anni firma Kristove roky ("Gli anni di Cristo", 1966), un'opera autobiografica sulla crisi esistenziale di un giovane pittore. J. Nĕmec e K. Kachyňa offrono nuove angolazioni sul tema della guerra e della violenza, rispettivamente con Démanty noci ("I diamanti della notte", 1964) e At žije republika ("Viva la repubblica", 1966). Obžalovaný ("L'accusato", 1964) di J. Kadár ed E. Klos propone una coraggiosa critica della burocrazia, mentre O slavnosti e hostech ("La festa e gli invitati", 1966) di J. Nĕmec rappresenta una satira incisiva del potere totalitario. Nel 1966 esce il capolavoro di J. Menzel, Ostře sledované vlaky ("Treni strettamente sorvegliati") tratto dal romanzo di B. Hrabal. Tra gli altri registi attivi in questo momento ricordiamo H. Bočan, Z. Brynych, V. Jasný, P. Juráček, J. Jireš, I. Passer.

Gli eventi del 1968 e il tragico ''ritorno all'ordine'' comportano anche per il cinema l'abbandono progressivo della problematicità e dello spirito inventivo. I cineasti sono di nuovo costretti al rispetto dell'ideologia di regime che impone soggetti schematici e storie esemplari, entro i confini di una retorica comunista rigidamente fissata. Gli esiti di questa situazione sono per alcuni (Forman e Passer) l'esilio, per altri l'abbandono temporaneo dell'attività cinematografica, per altri ancora l'adattamento e il tentativo conseguente di aggirare la ricetta ufficiale cercando nuove vie di espressione. Così autori come Jireš, Kachyňa, J. Herz, Uher riescono a filmare opere non convenzionali rifugiandosi in temi intimisti, psicologici, letterari o fantastici. Tra gli esordi degli anni Settanta risaltano per l'originalità V. Drha, D. Trančik, J. Svoboda, J. Soukup, K. Smyczek, V. Kavčiak. La loro attività continua nel decennio successivo, produttivamente e culturalmente più fervido. Accanto ai generi classici si sviluppa una nuova attenzione verso le problematiche delle nuove generazioni e aumenta il numero dei film dedicati all'attualità. La svolta politica rappresentata dalla liberalizzazione della vita intellettuale comporta, sul finire degli anni Ottanta, il recupero di film di rilevante valore artistico a lungo bloccati dalla censura (Allodole sul filo di J. Menrel, L'orecchio di K. Kachyňa, ecc.)

Bibl.: P. Hames, The Czechoslovak new wave, Berkeley 1985; S. D'Arbela, Messaggi dallo schermo. Cinema cecoslovacco degli anni Ottanta, Roma 1986; AA. VV., Esteuropa '80. Opacità e trasparenze, Venezia 1987.

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