CEFALU

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi CEFALU dell'anno: 1959 - 1994

CEFALÙ (v. vol. II, p. 453)

A. Tullio

Recenti studi e ricerche hanno contribuito a una migliore conoscenza dell'antica C., integrando le notizie, scarse e spesso contraddittorie, delle fonti letterarie (Archestr., Hedyp., frg. 21; Diod. Sic., XIV, 56, 2 e 78; XX, 56, 3 e 77, 3; XXIII, 18, 3; Cic., Verr., 11, 1, 128 ss. e 2, 103; Strab., VI, 2, 1; Plin., Nat. hist., III 90; Ptol., Geog., II, 2; Polyean., Strat., V, 2; Tab. Peut., VII, 1) e numismatiche. Al momento attuale si può indicare in C. uno dei tanti insediamenti di cultura greca sorti lungo la costa, al cadere del V sec. a.C, magari presso la sede di un preesistente emporio fenicio, se la compresenza di sepolture greche e puniche nelle più antiche fasi di frequentazione della necropoli può costituire un utile indizio.

Il phrourion di Kephalòidion si sviluppò ai piedi della Rocca, al di sotto dell'attuale centro storico, tuttora delimitato dai cospicui avanzi delle c.d. mura megalitiche, all'interno delle quali numerosi rinvenimenti ne hanno documentato la struttura urbana. Sulla Rocca, invece, due grotte del versante orientale tuttora inedite - dette rispettivamente «delle giumente» e «delle colombe» - con funzione, forse, di riparo o di santuario, documentano la presenza dell'uomo fin dall'età preistorica.

Le mura in opera pseudoisodoma seguono la linea di costa saldandosi con le due estremità alle pareti strapiombanti della Rocca. In esse si aprivano quattro porte, ancora documentate nel XVII sec. e facilmente individuabili, nonché una postierla con architrave monolitico tuttora visibile. Per alcuni aspetti tecnici e per i dati desumibili dalle fonti, la loro datazione non può risalire oltre la fine del V sec. a.C., mentre sono evidenti almeno due momenti di ripresa, uno altomedievale e l'altro recenziore. Nel corso dei lavori di restauro si è messo in luce lungo il fronte settentrionale della cortina muraria, un monumentale doccione litico che, posto al termine di uno degli assi stradali dell'antica città, assolveva egregiamente allo smaltimento delle acque piovane dilavanti dalla Rocca.

All'interno della cinta sono stati portati alla luce elementi dell'impianto stradale dell'antica C.: un lungo tratto di uno stenopòs E-O e parti di quattro platèiai relative a un impianto urbanistico regolare di tipo ippodameo con isolati disposti in senso E-O, la cui estensione è valutabile in c.a m 30 x 65. Le strade - a parte quella a grossi ciottoli di calcare, più antica, rinvenuta dietro l'abside del preconio del duomo - sono pavimentate a basoli di flysch arenaceo verdognolo e talvolta presentano al centro un canaletto ribassato per lo scolo delle acque piovane. La sistemazione si data tra la fine del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C. e suggerisce l'ipotesi di un rinnovamento delle infrastrutture urbane della civitas decumana. Presso queste arterie e in altri saggi sono inoltre venuti alla luce resti di abitazioni e di una bottega (?) con pavimento in cocciopesto. Nell'area dell'ex Convento dell'Annunziata, è stata messa in luce una strada NE-SO, con andamento parallelo alla parete strapiombante della Rocca, che pare chiudere da questo lato (SO) l'area urbanizzata. Pavimentata a basoli di flysch, si data come le altre, ma è completata dalle reti idrica (a fistulae di piombo e copertura con canali di cotto) e fognante (a elementi di terracotta), messe in luce sotto il livello pavimentale a metà circa della carreggiata. Su questa strada si aprono due ampi locali (magazzini?) con soglie litiche accuratamente lavorate.

Un interessante documento della primitiva comunità cristiana di C. si è scoperto, in uno strato di abbandono, al di sopra dello stenopòs individuato presso il portico del duomo. Si tratta di un mosaico pavimentale policromo con figurazioni simboliche vegetali e animali, riferibile al VI sec. d.C.

Al di fuori della cinta muraria, al centro del declivio sul versante O della Rocca, è il celebre «edificio megalitico» noto come Tempio di Diana. Si tratta di una specie di recinto con due vani e un corridoio in fondo a cui è situata una cisterna protostorica, nella quale va riconosciuta la sede di un culto delle acque. Il santuario dovette rivestire notevole importanza in ambito locale se fu «monumentalizzato» all'atto dell'impianto del phrourion (fine V-inizio IV sec. a.C.) e successivamente «restaurato» in età romana (II sec. a.C.) con l'aggiunta dei filari superiori e l'inserzione degli stipiti e dell'architrave modanati. Dubbia è invece la funzione del complesso il cui carattere cultuale perdurò fino a epoca tarda (chiesetta bizantina). Un'accessoria funzione difensiva non è tuttavia da escludersi, in relazione alla posizione topografica e alla realizzazione tecnica.

Dal 1976 è in corso l'esplorazione, di un lembo della necropoli che si estende a SO del centro storico di C., il cui riferimento al phrourion è certo (reimpiego di mattoni con la scritta ΚΕΦΑ). Sono state scoperte oltre quattrocento sepolture, tra tombe e deposizioni, in quattro/cinque strati sovrapposti senza soluzione di continuità, databili tra la metà del IV sec. a.C. e il I sec. d.C. Caratteristica della necropoli è l'adozione massiccia, specialmente a partire dal III sec. a.C., di segnacoli monumentali, alcuni con iscrizione, di varie e interessanti tipologie: dai più semplici, a mucchio di pietre, ai tipi di piramide di gradini intonacati, talvolta stuccati e con resti di policromia, a quelli a blocco di calcare; altri pur essendo aniconici, mostrano più 0 meno chiari intenti figurativi. L'orientamento è quasi sempre E-O e mentre nelle fasi più antiche si riscontrano, adottati contemporaneamente, il rito dell'inumazione, con corredi di cultura greca, e quello dell'incinerazione in anfore, per lo più di tipo punico, successivamente diviene esclusivo il rito dell'incinerazione primaria in fosse terragne, sormontate o meno dagli epitýmbia. Tra i reperti più significativi dei corredi sono le terrecotte figurate che si segnalano per la freschezza e la vivacità di alcuni soggetti, da mettere in relazione con il mondo della commedia; tra i rari vasi figurati, due lekànai a figure rosse attribuibili una al Gruppo dell'Etna, l'altra alla cerchia del Pittore di Lipari.

Da un'area di necropoli ancora più a O (a c.a 850 m dalla porta I) provengono due pregevoli sarcofagi litici del tipo «a naìskos», con tetto a spioventi e frontoncini triangolari, uno dei quali presenta anche colonnine ioniche e fregio dorico. Questi esemplari, frammentari e privi di corredo, possono datarsi al maturo ellenismo (II sec. a.C.) e riflettono un gusto diffuso in Sicilia che trova riscontro ad Alessandria; allo stesso ambito culturale riconducono del resto non solo l'adozione ricorrente di epitýmbia, ma anche alcuni reperti.

Museo Mandralisca. - Amministrato dall'omonima fondazione, nata per legato testamentario del barone Enrico Pirajno di Mandralisca, il museo custodisce le vecchie collezioni di Casa Mandralisca, cui si sono andati aggiungendo, nel tempo, alcuni lasciti e alcuni rinvenimenti archeologici effettuati nel territorio.

La collezione archeologica comprende i materiali degli scavi effettuati dal Mandralisca nella necropoli di contrada Diana a Lipari (1864), alcuni reperti frutto di ricognizioni in varie località della Sicilia e gli acquisti più dichiaratamente «antiquari» cui si deve, tra l'altro, la costituzione del ricco monetiere (circa tremila esemplari) con le emissioni di quasi tutte le zecche siciliane. A queste raccolte, in anni recenti, si sono aggiunti varí rinvenimenti occasionali effettuati nella stessa Cefalù. Tra i materiali più significativi un unicum è senz'altro il cratere da Lipari detto «del venditore di tonno», opera significativa della pittura vascolare italiota, in cui è stata riconosciuta la mano di un ceramografo contraddistinto come Pittore del venditore di tonno (380-370 a.C.). Altri vasi della stessa provenienza costituiscono un gruppo piuttosto omogeneo di manufatti attribuiti al Pittore di Lipari e ad altri artigiani che segnano il tramite tra certe esperienze della ceramografia campana e i primi prodotti di quella siceliota (Pittore di Cefalù, Sikon). Tra la ceramica d'importazione sono quattro crateri attici a colonnette a figure rosse, tre dei quali rispettivamente con un komòs dionisiaco, con l'abbraccio di Eos e Tithonos e con la «fuga» di Elena e Paride, sono stati attribuiti al Pittore della Centauromachia di Firenze (480-470 a.C.).

Tra le terrecotte figurate si segnalano alcuni pìnakes votivi (IV sec. a.C.) e figurine di varia datazione. Il gruppo più consistente è costituito dalle terrecotte di argomento teatrale (maschere e varie figurette) in buona parte provenienti probabilmente da Lipari.

Tra i reperti da C. sono comprese alcune iscrizioni funerarie, da ritenersi parti di epitýmbia dalla necropoli ellenistico-romana, un mosaico pavimentale tardo ellenistico (fine II-inizi I sec. a.C.) che presenta nell'èmblema policromo un amorino su cigno, e il citato sarcofago a colonnine ioniche e fregio dorico.

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